siamo tutti NO TAV: onesti e "illegali" |
Non potendo partecipare di persona alle discussioni, affido
a queste note le considerazioni che vorrei condividere.
Il processo ai NO TAV che comincerà il 21 novembre è un
passaggio importante della lotta contro l’Alta Velocità. La repressione non può
essere separata dall'insieme delle mosse politiche, mediatiche e poliziesche
con cui il potere cerca di imporre la devastazione della Valsusa e di
sconfiggere il movimento di resistenza e di opposizione. Di conseguenza, la
solidarietà nei confronti degli imputati (e più in generale degli indagati e
dei banditi dalla Valle) è allo stesso tempo un terreno della lotta e una delle
sue condizioni, parte integrante della battaglia contro il TAV.
Proprio perché la questione riguarda tutti, comunico alcune
mie riflessioni pur non essendo tra gli arrestati del 26 gennaio scorso.
Quello che comincia il 21 novembre è un uno dei processi più
importanti contro il conflitto sociale di questo paese, perché è evidente che
attraverso l'opposizione al TAV si vuole colpire ogni forma di resistenza e di
autorganizzazione. Che sia una figura come Caselli il titolare dell'inchiesta è
indicativo. Un magistrato di sinistra – proveniente dalle fila del vecchio PCI
–, un servitore dello Stato democratico accanito come pochi altri contro la
generazione che negli anni Settanta tentò l'assalto al cielo rivoluzionario.
Non è certo un movimento come quello NO TAV a farsi impressionare dalle
mostrine dell'«antimafia», avendo sperimentato sulla propria pelle come Stato e
mafia siano in un rapporto di simbiosi mutualistica.
Questo processo ci riguarda tutti, perché, come abbiamo
detto e scritto, in quei boschi, davanti a quelle recinzioni e dietro quelle
barricate c'eravamo tutti. Essere o meno imputati è un fatto aleatorio (una
foto, un riconoscimento reale o presunto, un casco, una felpa, un
braccialetto…); ciò che non lo è sono l'orgoglio e la fierezza di partecipare a
una lotta per la terra, la dignità e la libertà.
Ed è questo che dobbiamo rivendicare tutti a testa alta, con
passione e senza alcun cedimento. Ai tentativi di dividerci e di metterci gli
uni contro gli altri ("violenti" e "nonviolenti",
"valsusini" e "foresti") abbiamo già risposto: «Siamo tutti
black bloc».
Il movimento NO TAV ha raggiunto la consapevolezza che ciò
che è giusto e ciò che è legale non coincidono; che anche noi,
come altri prima di noi, lungo un crinale di bosco e di storia, dobbiamo
operare una scelta: tornarcene a casa perché «è legge» (quella del più
forte, del più ricco, del più armato), oppure batterci perché «è giusto» (una
giustezza che ci suggeriscono sia le ragioni dell'intelletto sia quelle del
cuore).
La resistenza allo sgombero dei trentasette, bellissimi
giorni della Libera Repubblica della Maddalena e il tentativo di riprenderci la
Clarea erano giusti. Di chi è quella mano, chi ha lanciato quel sasso ecc. sono
faccende di giudici e di avvocati. Ciò che deve unire tutti, al di là delle
scelte processuali, è il rifiuto di subordinare quello che riteniamo giusto al
codice penale e ai tribunali. Questi fanno parte – assieme alle ruspe, al filo
spinato, ai new jersey, ai Lince, alle manganellate, al CS – della macchina che
vuole spianare alberi, montagne, vita.
Da questo punto di vista – autonomo, diverso, altro, nostro
– non hanno ragione di esistere le polemiche rispetto alle diverse scelte
processuali. Mi spiego.
Quasi tutti gli imputati – il che è già un risultato significativo
– hanno rifiutato sia il patteggiamento sia il rito abbreviato. Ora, visto che
il movimento ha già dato il proprio giudizio sul 27 giugno e sul 3
luglio, ricorrere o meno alla difesa tecnica non sposta il terreno del
conflitto, che è la giustezza della lotta NO TAV nel suo insieme, lotta che
il processo intende colpire.
Anzi, che dei compagni rifiutino di nominare un avvocato e
di difendersi su questo o quell'aspetto, conferma l'alterità etica della
lotta rispetto ai tribunali. Non solo si tratta di una scelta da rispettare
(che i compagni sono disposti a pagare in prima persona), ma essa esprime anche
la ricchezza e l'eterogeneità del movimento NO TAV: non è mai stata una
"linea politica" ad unirci, ma la convergenza pratica verso una
resistenza e le sue dinamiche. Se gli avvocati degli altri imputati riusciranno
a smontare questo o quell'aspetto tecnico dell'accusa, ben venga. Difendersi o
meno ha che fare con le diverse valutazioni che ognuno dà su rapporti di forza,
agibilità, compromessi, prospettive, lotte e carcere ecc. Se è opportuno che ci
sia un minimo di accordo sulla condotta pratica in aula (per evitare episodi
spiacevoli di incomprensione), il terreno comune non sono le specifiche
arringhe degli avvocati, ma la chiara rivendicazione della lotta NO TAV e delle
sue memorabili giornate.
Forse pecco di ingenuità, ma la questione a me sembra tutta
qui. Più forti saranno la mobilitazione e la solidarietà, e più difficile sarà
per i giudici emettere le loro sentenze.
Ma la posta in gioco va al di là della lotta NO TAV,
soprattutto se inseriamo questo processo nel suo contesto più generale.
In questa fase, nonostante i pesanti attacchi alle
condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone, l'insoddisfazione e la
rabbia sembrano sorde. La collera possibile è inquinata in anticipo dai
discorsi martellanti sulla legalità da contrapporre alla corruzione, con i
partiti «dalla parte dei cittadini» che si fregiano di non candidare persone
con precedenti penali. Se questo mette al riparo, una volta di più, il
movimento NO TAV da tentazioni "politiche" (visto il gran numero di
denunciati, indagati e processati al suo interno...), costituisce anche un
salutare spartiacque. "Legalità" e "onestà" non
coincidono affatto. Erano forse onesti i cittadini che denunciavano gli ebrei
dopo le leggi razziste del 1938? Sono forse onesti i militari che sparano o
bombardano in Afghanistan? È forse onesto chi lavora alla devastazione della
Valsusa? E all'opposto: è stato forse disonesto tagliare filo spinato e recinzioni,
abbattere muri e fari, bloccare trivelle e treni, occupare autostrade e sedi
istituzionali? Non solo lo abbiamo fatto, ma lo abbiamo rivendicato
apertamente. Mentre in nome della legge i potenti arraffavano,
devastavano, gasavano, bastonavano.
Che un movimento di massa dica questo, oggi, è un contributo
per tutte le lotte, per l'autonomia degli sfruttati dalla logica di chi è al
potere (e di chi al potere vuole arrivare).
A differenza di principi e buffoni di corte, non abbiamo
inquinato territori né avvelenato popolazioni, non abbiamo rubato ai poveri né
falsificato bilanci, non abbiamo comprato né venduto favori nei sottoscala di
un ministero. Abbiamo trasgredito le leggi, ma a modo nostro. Il senso
del giusto lo custodiamo lontano dai tribunali, in luoghi che non si possono
perquisire né rinchiudere: i nostri cuori.
Rovereto, 30 ottobre 2012
Massimo Passamani