domenica 29 settembre 2013

NOTE IN DISORDINE PER LE PROSSIME NECESSARIE DISCUSSIONI SULLA DEMOCRAZIA DIRETTA, IN GRECIA COME IN ITALIA





Vi ho tradotto, con il suo accordo, ma un po’ alla svelta, lo ammetto, queste riflessioni inviatemi dal mio amico Raoul Vaneigem che mi paiono percorrere spazi nuovi di un dibattito ricco e complesso ancora troppo sottosviluppato e soffocato dall’imperversare della politica spettacolare. Oltre i distinguo e la discussione che queste riflessioni possono suscitare, non c’è dubbio che riguardino pienamente ANCHE la situazione italiana.
Sergio Ghirardi



1. Non c’è dialogo possibile con lo Stato perché non c’è dialogo possibile con le mafie finanziarie e multinazionali che gli dettano decisioni senza appello. Rifiutiamo dunque ogni relazione con il potere!
Come immaginare che un capitalismo che non esita a distruggere una regione per ubbidire al totalitarismo del profitto potrebbe tentare di capire le rivendicazioni del vivente e della semplice umanità?
Come credere che diventi sensibile alla poesia della vita? Tutto quel che il capitalismo può ammettere - per prenderlo in giro - è il discorso dei moralizzatori, quei grotteschi moralisti dell’anticorruzione che appellano a correggere il cattivo funzionamento di un sistema che secondo il parere degli sfruttatori, funziona benissimo.
Non esiste dialogo possibile con il potere, nessun dialogo con la barbarie. Bisogna che la vita vada dritta davanti a sé, senza alcun compromesso con il partito della morte. Si può discutere della fondatezza delle energie naturali e di come procurarsele, ma per quel che riguarda il nucleare i gas di scisto, i foraggi petroliferi, gli Ogm e altri veleni dell’industria agroalimentare è un NO senza riserve, pronti a impedire tutte le forme di devastazione della vita, della terra e della coscienza umana che la dittatura del profitto impone. Bisogna ormai che le relazioni umane soppiantino le relazioni commerciali annullandole.

2. La disobbedienza civile consiste nell’andare oltre le decisioni di uno Stato che truffa i cittadini per compensare le malversazioni del capitalismo finanziario. Perché pagare allo Stato-truffatore delle tasse destinate vanamente a riempire il buco delle malversazioni quando possiamo destinarle in ogni collettività locale all’autofinanziamento delle energie gratuite e di una vita individuale e sociale appassionante? La democrazia diretta delle assemblee autogestite ha il diritto d’ignorare i diktat della democrazia parlamentare corrotta. Facciamo tesoro del mutamento in corso per costituire delle collettività dove il desiderio di vivere abbia la meglio sulla tirannia del denaro e del potere. La disobbedienza civile verso uno Stato che ci spoglia della dignità e del benessere è un diritto.

3. Contro la disperazione e la sua manipolazione. La disperazione è un nemico doppiamente pericoloso. In primis ci spinge alla violenza suicida invitandoci a morire in piedi anziché vivere in ginocchio, come se l’importante non fosse piuttosto alzarsi per vivere in piedi. In secondo luogo essa suscita delle speranze illusorie e magniloquenti la cui ricaduta è ancor più devastatrice della repressione perché propaga il sentimento d’impotenza e la rassegnazione. Diffidiamo dei guaiti profetici e dei discorsi apocalittici che gridano alla catastrofe ineluttabile. Il capitalismo non ignora il profitto che può ricavare da questa propaganda disfattista e incoraggia un “edonismo da ultima spiaggia” che spinge a consumare sempre di più e sempre più in fretta. Sotto questo edonismo da “dopo di noi il diluvio!” covano la disperazione, il terrore e quella spaventevole noia del non avere niente da vivere davvero. Ora, niente come la noia fa arrabbiare la brava gente spingendola verso la violenza vigliacca delle spedizioni punitive e della guerra feroce e imbecille contro i vicini.

4. Contro la tattica del capro espiatorio. La diversione peggiore, quella che genera il caos profittevole agli affari, è il richiamo ai più bassi istinti predatori dell’uomo, è la tattica del capro espiatorio che consiste nello sviare la collera del popolo contro i suoi sfruttatori affinché scarichi la sua rabbia e la sua vigliaccheria contro minoranze ridicolmente incolpate di tutti i peccati del mondo: gli stranieri, i diversi, gli ebrei, gli arabi, i gitani, gli omosessuali, i disoccupati. Se non stiamo attenti ad assicurare dappertutto la supremazia del comportamento umano, la replica alla tattica del capro espiatorio rischia di essere inadeguata. Penso alle comunità di emigrati tentate di ripiegarsi sul comunitarismo, vero concime in cui si sviluppano il settarismo religioso, politico o etnico e una delle peggiori ideologie, quella che spinge un uomo a identificarsi con una credenza, con una nazione, con una tribù, come se la sola identità non fosse quella di essere semplicemente umani.

5. Democrazia diretta.

Dobbiamo essere assolutamente chiari sul modo in cui concepiamo la democrazia diretta.

a) La democrazia diretta non può essere confusa con la pratica referendaria che è soltanto una manovra del clientelismo politico che si appoggia essenzialmente sullo sfruttamento delle emozioni. Un referendum sulla pena di morte organizzato in seguito a un crimine odioso avrebbe mille probabilità di far emergere una maggioranza in favore del suo ristabilimento.

b) Benché si opponga alla democrazia parlamentare denunciandone il principio di corruzione e di menzogna - poiché i mandatari in nome degli interessi pubblici sono innanzitutto preoccupati dei loro interessi personali -, essa non può accontentarsi di essere una soluzione di sostituzione, una specie di democrazia che lava più bianco.

c) Il pericolo consiste nel suo recupero ideologico, cioè nel fatto che essa diventi un’idea separata dalla vita, un concetto intellettuale adatto a fomentare discussioni senza fine.

d) La democrazia diretta non ha senso se non in funzione del cambiamento di vita al quale aspirano gli individui che vedono in essa una pratica di azione diretta sulla loro stessa esistenza.

e) La democrazia diretta è inseparabile dall’autogestione generalizzata. Essa riposa sulla volontà individuale di cui la collettività prende il relais attraverso la libera scelta di mandatari incaricati di difendere le rivendicazioni espresse nelle assemblee. Una tale assemblea riposa su progetti concreti. Il suo scopo è prendere delle decisioni ma è evidente che tali decisioni richiamano al sentimento di solidarietà e alla natura festiva degli incontri. Ciò al fine di non ricadere in un modo burocratico sempre temibile non appena un’organizzazione funziona indipendentemente dall’assemblea. È auspicabile che, come nelle comunità zapatiste, i bambini partecipino alle assemblee e abbiano il diritto di esprimere il proprio parere.

f) Il modo di organizzazione che gli zapatisti chiamano “il buon governo” merita di essere esaminato: la “giunta del buon governo” si compone di encargados, cioè di uomini e donne volontari per portare a buon fine una delle rivendicazioni presentate dai membri dell’assemblea. Il mandato è a durata limitata. Il mandatario rende conto periodicamente davanti all’assemblea dei risultati finora ottenuti.

6. Maggioranza e minoranza nella democrazia diretta.

Tutti i dibattiti sono permessi e possono sottoscrivere al gioco di maggioranza e minoranza in tutte le decisioni che impegnano la sorte della collettività e degli individui che la compongono. C’è, però, un principio al quale non si deve derogare: l’umano predomina sul numero. Esso autorizza dunque a considerare nulle e inapplicabili tutte le decisioni disumane anche se prese con la maggioranza dei voti. Qualunque sia l’adesione massiccia agli editti della barbarie e delle imprese mortifere, noi li rifiuteremo.
Va escluso di tornare alla pena di morte, alla tortura, a qualunque tirannia col pretesto che una maggioranza abbia votato in tal senso. La disumanità non si discute, si rifiuta. Nessuna maggioranza ha il potere d’imporre i decreti della barbarie. La scelta umana di uno solo ha più peso della decisione disumana di molti. La qualità della vita abroga la dittatura del numero e del quantitativo laddove esista un accordo fondamentale sull’assoluta sovranità della vita. L’esercizio della democrazia diretta deve insegnare che l’intelligenza sensibile e la coscienza umana revocano lo spirito gregario, la folla le cui emozioni sono agevolmente manipolate dai predatori di ogni tipo. Il miglior modo di lottare contro la barbarie è costruire situazioni favorevoli all’affinamento e al rigoglio del vivente. Noi siamo decisi a non percorrere più nessuna strada che conduca all’universo concentrazionario di signori e di schiavi. La legge del numero trasforma ognuno in oggetto cieco di una contabilità provvidenziale che governa la disgrazia. Il rimbecillimento quantitativo si è sempre servito della democrazia per schiacciarla sotto le peggiori dittature.

7. Sull’autodifesa.

Prima di tutto, stiamo attenti a non dimenticare che le mafie e le multinazionali hanno interesse a provocare e coltivare il caos. Le minacce di una guerra civile offrono allo Stato l’occasione di esercitare la sola funzione che gli resta: reprimere quel che si oppone alla dittatura delle multinazionali. Quale migliore condizione del disordine organizzato affinché esse possano far funzionare le loro truffe e i loro saccheggi in tutta impunità? Niente serve meglio il loro disegno del disarmare la collera dei popoli innescando un conflitto interno, aizzando gli uni contro gli altri dei clan identitari dove molti cercano un rifugio disperato dalla loro disperazione, suscitando la guerra di tutti contro tutti.

Più apparirà chiaro che il nostro progetto di una società solidale, fondata sulla sovranità della vita, serve gli interessi di tutti e di ciascuno, meglio sapremo come e perché bisogna combattere. Saremo, infatti, portati a batterci per difendere i territori liberati dall’impresa delle multinazionali in particolare e del sistema mercantile in generale. Dobbiamo sapere che le nostre collettività appariranno allo sguardo dell’oppressione statale e mercantile ora come il gatto, ora come il topo. Dobbiamo dunque avere ben chiaro in testa come sfuggire al dilemma che ci condanna a essere prede o predatori. Personalmente diffido delle nozioni di tattica e di strategia: esse provengono da una concezione militare incompatibile con l’umanità che noi vogliamo opporre alla barbarie. Si può invece superarle sviandole. Nel riprendere un principio celebre, “la miglior difesa è l’attacco” aggiungerei una precisazione importante: bisogna attaccare il nemico, non sul suo terreno, ma là dove non ci aspetta. Bisogna attaccarlo sul terreno della vita che esso ignora perché solo la morte lo guida. Un amico di Rosa Nera (a Chania, Creta, ndt) mi ha fatto notare che così dicendo ricorrevo anch’io alle idee di tattica e strategia. Certo, ma sottoscrivere a uno spirito militaresco che ha dato prova di efficacia nel peggio, è forse la stessa cosa che ispirarsi alla vita molto spesso capace di sottrarsi ai pericoli scartando quel che la minaccia e favorendo quel che la conforta?
La vita non entra nella dialettica della vittoria e della sconfitta, essa è un’esperienza chiamata a rinnovarsi incessantemente. La miglior maniera di distruggere un sistema oppressivo, è creare delle condizioni che migliorino la vita quotidiana degli individui e delle collettività che essi compongono. La solidarietà non è un sentimento cristiano e non invita a sacrificarsi. Essa crea un legame sociale nel quale ciascuno capisce di non essere solo e indifeso. Essa permette a ciascuno di scoprire la forza della creatività che ha in sé. In questo risiede la sua capacità di affermare la propria libertà, autonomia ed emancipazione da tutti quelli che gli impongono un potere. Per questo, al momento delle discussioni al Circolo degli immigrati di Chania, l’accento è stato portato sull’importanza di una comunità di esseri umani nell’esercizio della democrazia diretta. Si è insistito anche sul pericolo rappresentato dal comunitarismo. Il collettivo o la comunità è un raggruppamento d’individui coscienti della loro lotta per l’emancipazione e contro lo sfruttamento. Il comunitarismo è ben diverso, è il recupero ideologico del sentimento di comunità. Il comunitarismo offre una tribuna a tutti i manipolatori, siano essi fascisti, nazionalisti o islamisti, a tutti i capi di partito, a tutti gli arringatori in cerca di potere.

Quel che resterà sempre primordiale, è la difesa del progresso sociale e umano contro il sistema mafioso. Il quale non può tollerare una tale difesa perché non riconosce altro terreno che quello del profitto immediato di una redditività rapidamente assicurata prima del crollo del sistema. Le compagnie interessate al petrolio, al gas di scisto, alla sabbia, al palladio, all’alluminio, ai giacimenti auriferi non hanno alcuno scrupolo nel distruggere la vita e l’ambiente pur di incassare il denaro che il crac finanziario finirà per rovinare.

Puntare sulla gratuità e sulla qualità dei beni e dei servizi è una pratica che presenta un doppio vantaggio, se arriviamo a promuoverla. Essa è capace di suscitare il consenso di tutti quelli che sono minacciati d’impoverimento e permette di creare delle zone franche dall’oppressione mercantile.

Considerazioni sulla lotta contro il fascismo.

Non bisogna sbagliare lotta. Fare della lotta contro il fascismo un terreno specializzato, vuol dire dimenticare che noi lottiamo per una nuova società e che la nostra autodifesa si applica all’insieme del sistema oppressivo. È evidente che il fascismo costituisce una minaccia non indifferente contro il nostro progetto di emancipazione. Tuttavia, come per l’islamismo nei paesi arabi, il fascismo è incapace di migliorare la situazione sociale o di risolvere i problemi di qualità di vita e d’ambiente alla quale il più gran numero aspira. Fascismo e populismo non portano che il caos, l’autodistruzione, la barbarie: Noi siamo i porta parola di una società umana e solidale.

Non è vero che le condizioni che noi conosciamo oggi siano comparabili a quelle della Germania del 1932. La causa della formidabile e sinistra adesione delle masse tedesche al nazismo non risiede nella corruzione e nella vigliaccheria del partito comunista e della socialdemocrazia e neppure nel terrore militarmente organizzato dalle sezioni d’assalto del nazionalsocialismo. Quel che ha fortemente giocato è la promessa di un progresso sociale, una promessa che Hitler mantenne prendendo misure capaci di sedurre le masse laboriose: aumento dei salari, auto per tutti (Volkswagen), aiuto alle giovani coppie, ferie pagate e vacanze per gli operai, diminuzione della disoccupazione grazie alle grandi opere, come le autostrade, per non parlare dell’industria bellica… Ditemi, oggi, quale partito fascista, neonazista, nazionalista, populista o religioso dispone dei minimi mezzi per migliorare una situazione sociale che si degrada di giorno in giorno?

Riempiendo la scodella del proletariato, Hitler non ebbe alcuna difficoltà a dissimulare a quale devastazione, a quale asservimento la sua politica avrebbe necessariamente portato. Per arrogarsi un potere di manipolazione ridicolo, i suoi adepti e imitatori non hanno altro da proporre che una situazione ancora più caotica e disperata. Tutto quel che propongono, sono delle nuove forme di pogrom, la caccia agli stranieri, lo sfogo vigliacco dei deboli su gente più debole di loro. Traendo il loro potere dall’odio e dall’esclusione, non fanno che proseguire una politica di distruzione della vita a fine di profitto che è già il programma delle multinazionali e degli Stati servilmente piegati ai loro diktat.

Il nostro terreno è quello della vita affrancata dall’oppressione mercantile. Questo è il territorio che siamo risoluti a difendere contro le multinazionali, contro gli attacchi delle loro polizie e delle loro mafie. È pericoloso allontanarsi dai nostri veri obiettivi per focalizzarsi sulla lotta contro il fascismo e, più generalmente, per ricadere nelle vecchie diatribe ideologiche che sono il concime dei settarismi.

Non abbiamo tempo da perdere con le speculazioni vuote tanto frequenti negli ambienti anarchici, sulla questione di sapere chi è con noi o contro di noi. Il solo criterio è la pratica sul terreno, laddove tutte le discussioni hanno un senso: quello della nostra comune salvezza. E c’è da fare, dalla Calcide al Chiapas, passando per la Tanzania (dove i Masai sono espulsi per stabilire una riserva di caccia all’uso dei ricchi sfruttatori), per Notre-Dame des Landes, per la Val di Susa e per la lotta contro l’inquinamento petrolifero e del gas di scisto.
È là che il nostro presente abbozza il futuro che vogliamo costruire.

Quando Bordiga dichiara che l’antifascismo è il peggior prodotto del fascismo, mette in guardia - George Bataille l’aveva già fatto verso il 1935 - contro il pericolo che la lotta sia una lotta a circuito chiuso, una lotta di specialisti, una guerra dove si tratti, prima di tutto, di schiacciare un avversario. Battersi contro la pauperizzazione, sia che colpisca dei cittadini greci o pakistani, vuol dire battersi per l’essere umano. L’essere umano oppresso se ne fotte delle etichette nazionali, politiche o religiose; gli basta essere umano e sapere che niente di umano gli è estraneo. Il terreno dove si svolge la lotta della vita contro il totalitarismo mercantile, ecco quel che mobilita la nostra creatività e le nostre determinazioni. È tempo che la coscienza della vita, dell’essere umano e del suo ambiente affermi la supremazia sull’ideologia e sulle sue diatribe da intellettuali.

In un gran numero di paesi regna un populismo che include una frangia neonazista. La Grecia è confrontata a un neonazismo che si avvolge dei fronzoli del populismo. Questi punta su un clientelismo, un mercato della carità che sa di disprezzo del genere umano. La politica caritativa non è una soluzione. Dobbiamo essere capaci di creare delle zone di sussistenza non mercantili dove le persone scoprano che hanno i mezzi per creare delle migliori condizioni di vita. Ciò non significa che la stupidità nazionalista sia sul punto di trasformare la “Grecia uber alles” in un campo di sterminio. Resta che è necessario essere pronti ad affrontare tutte le minacce che pesano sulla nostra volontà di creare delle zone libere, affrancate dal totalitarismo dell’economia mercantile.

Non possiamo ingaggiare una lotta con il fascismo che beneficia della simpatia di buona parte della polizia e dell’esercito. Possiamo, però, manifestare con forza il nostro rifiuto di un ritorno al regime dei colonnelli e proclamare come un leitmotiv: “no alla dittatura”, slogan il cui carattere internazionale nutre dappertutto le rivolte. Mai più i colonnelli, mai più il nazismo, mai più la dittatura. Tuttavia, se la lotta per il progresso sociale non diventa prioritaria, nessuno slogan impedirà la lotta di tutti contro tutti e i suoi orrori.

La mobilitazione pacifica e massiccia contro le forze repressive ha un potere di dissuasione. Bisogna, però tener conto:

a) dell’utilità e dei limiti delle manifestazioni di massa: Esse dimostrano il rifiuto di rassegnarsi, ma si tratta di una forma di resistenza che finisce nella rassegnazione se non sfocia sulla messa in atto di nuove relazioni sociali. Il potere statale e sindacale punta sull’affievolirsi di una collera ripetuta che non sfoci su cambiamenti sostanziali.

b) dell’importanza del terreno sociale dove possiamo lottare sviluppando la solidarietà; una solidarietà che si fonda sull’essere umano e non sull’appartenenza a un partito, a una nazionalità, a un gruppo religioso. I collettivi di solidarietà sono la risposta migliora a quanti mettono in funzione un mercato della carità dove l’elemosina rende schiavi.

c) della questione dell’urgenza. Chiunque è aggredito ha il diritto di beneficiare immediatamente di un intervento collettivo. Chi ha fame o si trova nella miseria, merita di essere immediatamente soccorso. Per contro, ci sono urgenze nate da una reazione emotiva che incita a prendere decisioni imponderate e spesso inadeguate. Diffidiamo anche del ricatto dell’urgenza usato senza scrupoli da uomini politici e uomini d’affari (tipo “per salvare l’impiego bisogna diminuire i salari”, “per salvare il paese bisogna applicare un piano d’austerità”; ma anche argomenti del genere: “per sradicare il fascismo bisogna prendere le armi” ecc.).

d) In effetti dobbiamo imparare a preparare i tempi lunghi e trarne lezione per i tempi brevi; così come bisogna sempre agire globalmente e localmente. Imparare insomma ad affrettarsi lentamente.

Mai sbagliarsi di violenza. C’è molta disperazione nei conflitti di strada e la disperazione è sempre un’arma in mano alla tirannide. Non si tratta di opporle delle vane speranze quanto di dare un’eco novella a ogni forma di organizzazione sociale spontanea, in rottura con l’universo della merce, del totalitarismo finanziario e del potere. È su questo terreno, su questa base che è giudizioso situarsi per agire, nella misura dei nostri mezzi, in favore delle forze di vita che operano in Grecia e dovunque.

Eppure, la storia delle guerriglie ci ha insegnato a sufficienza che quelli che s’intestardiscono a combattere i poliziotti e i militari si comportano assai presto da poliziotti e da militari nel loro stesso campo. Ragione di più per evitare le scivolate e precisare sempre meglio quale presente vogliamo e quale passato non vogliamo più.

Quel che è stato più desolante nell’azione delle Brigate Rosse, non è il fatto di essersi sovente lasciate manipolare dalla polizia, è il partito preso di autodistruzione che esse coltivavano. Perché anche nella disperazione della loro lotta, questo disprezzo della vita lo condividevano con le forze della repressione e dello sfruttamento e questo “gemellaggio d’intenzioni” le avvicinava pericolosamente al nemico che pretendevano affrontare.
Diffidiamo della violenza dello sfogo. La rivolta che si compiace spaccando i simboli dell’ordine mercantile è per molti aspetti una versione consumistica della rivoluzione. Non è auspicabile che la lotta contro il populismo e contro il neonazismo sia oggetto di una preoccupazione specializzata. Si tratta di una lotta che non deve essere condotta in funzione del nemico ma nel quadro globale del nostro progetto di autogestione, di democrazia diretta, di territori liberati dall’oppressione mercantile.

Il miglior modo di combattere il nemico e di distruggere un sistema oppressivo non è quello di distruggersi distruggendolo né di sacrificarsi per annientarlo, è quello di creare delle condizioni che migliorino la vita quotidiana delle collettività e degli individui che le compongono, è quella di favorire in ogni luogo le passioni e la gratuità del vivente che non è pagato né paga. Abbiamo vissuto in una logica della violenza distruttrice. Sviluppando le nostre capacità umane, impareremo che esiste una violenza della creazione, un’irresistibile pulsione del vivente che ha la capacità di spezzare le catene con cui lo si vuole ostacolare.
La vera identità, la sola identità, è la parte di umanità, di vita creatrice che abbiamo in noi e che appartiene alla nostra presa di coscienza di confortare, sviluppare, affinare.

Bisogna essere molto chiari su questo punto: vogliamo attaccare un sistema, non gli uomini. Finché il sistema non sarà frantumato, ci saranno dei profittatori per cercare di salvarlo. La difesa delle nostre conquiste non può evidentemente ignorare la loro capacità di nuocere. Tuttavia, mancheranno il loro obiettivo e i loro mezzi se riusciremo a precipitare la rovina del loro mercato. Decretare la gratuità della terra, dell’acqua, dell’aria, delle piante, delle energie rinnovabili, dei trasporti pubblici ha moltissime probabilità di suscitare un movimento di simpatia da parte del più gran numero di persone. Del resto, escludere la violenza contro gli esseri umani non esclude quella contro le macchine. Siamo in grado di mettere fuori uso le macchine che fanno pagare (come i pedaggi di autostrada, i parcheggi, i trasporti pubblici). Oppure quelle con cui gli sfruttatori organizzano il saccheggio e la distruzione di un paesaggio, di una regione.

In ogni rivolta si manifesta la violenza dello sfogo. Essa dà sollievo al risentimento e all’odio accumulati, ma non crea nulla, non fa che riaccendere il ciclo della rimozione e dello sfogo che il potere ha l’abitudine di manipolare puntando sulla soddisfazione di un’aggressività (che prevede e del resto coltiva) destinata a esaurirsi se non sfocia su un cambiamento di società. Quando la folla “si fa piacere” attaccando non l’ordine mercantile ma i suoi simboli (come bruciare una banca), non siamo forse di fronte a una versione consumistica della rivoluzione?

Ai combattenti: non vincerete finché sarete simili al nemico che combattete. La volontà di riuscire e d’imporre il proprio potere non può condurre che alla sconfitta dell’essere a spese dell’avere. Bisogna perdere l’abitudine di accendere del fuoco in una dimora che brucia dappertutto. Vogliamo uscire e costruire nuove case dove sia eliminato il timore di perire. Sappiamo anche, però, che molti disperano talmente della vita da preferire di morire tra le rovine, divorati dal fuoco della distruzione per non riconoscere in se stessi quella via scintillante che si ricrea incessantemente e lascia che si consumi la morte che le si leva di fronte.

Prevedere, articolandoli, due tipi d’intervento in materia di autodifesa: in azione urgente e in azione differita. Il caso degli edifici occupati da anarchici che sono attaccati dalle forze congiunte della polizia e dei neonazisti: operazione di distacco e di rioccupazione delle zone franche.

La vita non entra nella dialettica della vittoria e della sconfitta, è un’esperienza chiamata a rinnovarsi costantemente.

Tolleranza e intolleranza.

La linea di demarcazione deve essere chiara. Ho sempre diffuso il principio: “Tolleranza per le opinioni, anche le più stupide e le più odiose. Intolleranza per ogni atto disumano.”. Non c’è libertà di uccidere, di torturare, di sfruttare. Difendendo ovunque la libera determinazione di vivere, sbarreremo la strada a tutto quello che vuole ostacolarla.

Dovrebbe essere superfluo precisare che tollerare l’espressione di tutte le idee non significa affatto che la propaganda del partito della morte non vada combattuta o che si giustifichi un qualunque dialogo. Persone di tal fatta non hanno alcun progetto di società mentre noi ne abbiamo uno che sta a noi far conoscere attraverso i movimenti autogestionari che cominciano a propagarsi.

A proposito della solidarietà con gli emigrati e i clandestini.

La solidarietà non consiste nel dare direttive. Non si può difendere la democrazia diretta intervenendo al posto dei compagni che si vogliono difendere. Un intervento può impedire una di quelle “spedizioni punitive” che permettono ai neonazisti di sfogare la loro mediocrità. Essa può esigere il rispetto degli emigrati e dei clandestini ma non può lottare al loro posto - gli emigrati di Chania l’hanno espresso chiaramente -.
Noi possiamo soltanto ricordare che la loro lotta è inseparabile da quella che noi conduciamo per l’emancipazione dell’uomo e per il suo riconoscimento in quanto essere umano, qualunque sia la sua carta d’identità, la sua origine, il suo colore della pelle.


Raoul Vaneigem