Vi
ho tradotto, con il suo accordo, ma un po’ alla svelta, lo ammetto, queste
riflessioni inviatemi dal mio amico Raoul Vaneigem che mi paiono percorrere
spazi nuovi di un dibattito ricco e complesso ancora troppo sottosviluppato e
soffocato dall’imperversare della politica spettacolare. Oltre i distinguo e la
discussione che queste riflessioni possono suscitare, non c’è dubbio che
riguardino pienamente ANCHE la
situazione italiana.
Sergio Ghirardi
1. Non c’è dialogo possibile con lo
Stato perché non c’è dialogo possibile con le mafie finanziarie e
multinazionali che gli dettano decisioni senza appello. Rifiutiamo dunque ogni
relazione con il potere!
Come immaginare che un capitalismo che
non esita a distruggere una regione per ubbidire al totalitarismo del profitto
potrebbe tentare di capire le rivendicazioni del vivente e della semplice
umanità?
Come credere che diventi sensibile
alla poesia della vita? Tutto quel che il capitalismo può ammettere - per
prenderlo in giro - è il discorso dei moralizzatori, quei grotteschi moralisti
dell’anticorruzione che appellano a correggere il cattivo funzionamento di un
sistema che secondo il parere degli sfruttatori, funziona benissimo.
Non esiste dialogo possibile con il
potere, nessun dialogo con la barbarie. Bisogna che la vita vada dritta davanti
a sé, senza alcun compromesso con il partito della morte. Si può discutere della
fondatezza delle energie naturali e di come procurarsele, ma per quel che
riguarda il nucleare i gas di scisto, i foraggi petroliferi, gli Ogm e altri
veleni dell’industria agroalimentare è un NO senza riserve, pronti a impedire
tutte le forme di devastazione della vita, della terra e della coscienza umana
che la dittatura del profitto impone. Bisogna ormai che le relazioni umane
soppiantino le relazioni commerciali annullandole.
2. La disobbedienza civile consiste
nell’andare oltre le decisioni di uno Stato che truffa i cittadini per compensare
le malversazioni del capitalismo finanziario. Perché pagare allo
Stato-truffatore delle tasse destinate vanamente a riempire il buco delle
malversazioni quando possiamo destinarle in ogni collettività locale
all’autofinanziamento delle energie gratuite e di una vita individuale e
sociale appassionante? La democrazia diretta delle assemblee autogestite ha il
diritto d’ignorare i diktat della democrazia parlamentare corrotta. Facciamo
tesoro del mutamento in corso per costituire delle collettività dove il
desiderio di vivere abbia la meglio sulla tirannia del denaro e del potere. La disobbedienza civile verso uno Stato che
ci spoglia della dignità e del benessere è un diritto.
3. Contro la disperazione e la sua
manipolazione. La disperazione è un nemico doppiamente pericoloso. In primis ci
spinge alla violenza suicida invitandoci a morire in piedi anziché vivere in
ginocchio, come se l’importante non fosse piuttosto alzarsi per vivere in
piedi. In secondo luogo essa suscita delle speranze illusorie e magniloquenti
la cui ricaduta è ancor più devastatrice della repressione perché propaga il
sentimento d’impotenza e la rassegnazione. Diffidiamo dei guaiti profetici e
dei discorsi apocalittici che gridano alla catastrofe ineluttabile. Il
capitalismo non ignora il profitto che può ricavare da questa propaganda
disfattista e incoraggia un “edonismo da ultima spiaggia” che spinge a
consumare sempre di più e sempre più in fretta. Sotto questo edonismo da “dopo
di noi il diluvio!” covano la disperazione, il terrore e quella spaventevole
noia del non avere niente da vivere davvero. Ora, niente come la noia fa
arrabbiare la brava gente spingendola verso la violenza vigliacca delle
spedizioni punitive e della guerra feroce e imbecille contro i vicini.
4. Contro la tattica del capro
espiatorio. La diversione peggiore, quella che genera il caos profittevole agli
affari, è il richiamo ai più bassi istinti predatori dell’uomo, è la tattica
del capro espiatorio che consiste nello sviare la collera del popolo contro i
suoi sfruttatori affinché scarichi la sua rabbia e la sua vigliaccheria contro
minoranze ridicolmente incolpate di tutti i peccati del mondo: gli stranieri, i
diversi, gli ebrei, gli arabi, i gitani, gli omosessuali, i disoccupati. Se non
stiamo attenti ad assicurare dappertutto la supremazia del comportamento umano,
la replica alla tattica del capro espiatorio rischia di essere inadeguata. Penso
alle comunità di emigrati tentate di ripiegarsi sul comunitarismo, vero concime
in cui si sviluppano il settarismo religioso, politico o etnico e una delle
peggiori ideologie, quella che spinge un uomo a identificarsi con una credenza,
con una nazione, con una tribù, come se la sola identità non fosse quella di
essere semplicemente umani.
5. Democrazia diretta.
Dobbiamo essere assolutamente chiari
sul modo in cui concepiamo la democrazia diretta.
a) La democrazia diretta non può
essere confusa con la pratica referendaria che è soltanto una manovra del
clientelismo politico che si appoggia essenzialmente sullo sfruttamento delle
emozioni. Un referendum sulla pena di morte organizzato in seguito a un crimine
odioso avrebbe mille probabilità di far emergere una maggioranza in favore del
suo ristabilimento.
b) Benché si opponga alla democrazia
parlamentare denunciandone il principio di corruzione e di menzogna - poiché i
mandatari in nome degli interessi pubblici sono innanzitutto preoccupati dei
loro interessi personali -, essa non può accontentarsi di essere una soluzione
di sostituzione, una specie di democrazia che lava più bianco.
c) Il pericolo consiste nel suo
recupero ideologico, cioè nel fatto che essa diventi un’idea separata dalla
vita, un concetto intellettuale adatto a fomentare discussioni senza fine.
d) La democrazia diretta non ha senso se
non in funzione del cambiamento di vita al quale aspirano gli individui che
vedono in essa una pratica di azione diretta sulla loro stessa esistenza.
e) La democrazia diretta è
inseparabile dall’autogestione generalizzata. Essa riposa sulla volontà
individuale di cui la collettività prende il relais attraverso la libera scelta
di mandatari incaricati di difendere le rivendicazioni espresse nelle
assemblee. Una tale assemblea riposa su progetti concreti. Il suo scopo è
prendere delle decisioni ma è evidente che tali decisioni richiamano al
sentimento di solidarietà e alla natura festiva degli incontri. Ciò al fine di
non ricadere in un modo burocratico sempre temibile non appena
un’organizzazione funziona indipendentemente dall’assemblea. È auspicabile che,
come nelle comunità zapatiste, i bambini partecipino alle assemblee e abbiano
il diritto di esprimere il proprio parere.
f) Il modo di organizzazione che gli
zapatisti chiamano “il buon governo” merita di essere esaminato: la “giunta del
buon governo” si compone di encargados,
cioè di uomini e donne volontari per portare a buon fine una delle
rivendicazioni presentate dai membri dell’assemblea. Il mandato è a durata
limitata. Il mandatario rende conto periodicamente davanti all’assemblea dei
risultati finora ottenuti.
6. Maggioranza e minoranza nella
democrazia diretta.
Tutti i dibattiti sono permessi e
possono sottoscrivere al gioco di maggioranza e minoranza in tutte le decisioni
che impegnano la sorte della collettività e degli individui che la compongono.
C’è, però, un principio al quale non si deve derogare: l’umano predomina sul
numero. Esso autorizza dunque a considerare nulle e inapplicabili tutte le
decisioni disumane anche se prese con la maggioranza dei voti. Qualunque sia l’adesione
massiccia agli editti della barbarie e delle imprese mortifere, noi li
rifiuteremo.
Va escluso di tornare alla pena di
morte, alla tortura, a qualunque tirannia col pretesto che una maggioranza
abbia votato in tal senso. La disumanità non si discute, si rifiuta. Nessuna
maggioranza ha il potere d’imporre i decreti della barbarie. La scelta umana di
uno solo ha più peso della decisione disumana di molti. La qualità della vita
abroga la dittatura del numero e del quantitativo laddove esista un accordo
fondamentale sull’assoluta sovranità della vita. L’esercizio della democrazia
diretta deve insegnare che l’intelligenza sensibile e la coscienza umana
revocano lo spirito gregario, la folla le cui emozioni sono agevolmente
manipolate dai predatori di ogni tipo. Il miglior modo di lottare contro la
barbarie è costruire situazioni favorevoli all’affinamento e al rigoglio del
vivente. Noi siamo decisi a non percorrere più nessuna strada che conduca
all’universo concentrazionario di signori e di schiavi. La legge del numero
trasforma ognuno in oggetto cieco di una contabilità provvidenziale che governa
la disgrazia. Il rimbecillimento quantitativo si è sempre servito della
democrazia per schiacciarla sotto le peggiori dittature.
7. Sull’autodifesa.
Prima di tutto, stiamo attenti a non
dimenticare che le mafie e le multinazionali hanno interesse a provocare e
coltivare il caos. Le minacce di una guerra civile offrono allo Stato
l’occasione di esercitare la sola funzione che gli resta: reprimere quel che si
oppone alla dittatura delle multinazionali. Quale migliore condizione del
disordine organizzato affinché esse possano far funzionare le loro truffe e i
loro saccheggi in tutta impunità? Niente serve meglio il loro disegno del
disarmare la collera dei popoli innescando un conflitto interno, aizzando gli
uni contro gli altri dei clan identitari dove molti cercano un rifugio
disperato dalla loro disperazione, suscitando la guerra di tutti contro tutti.
Più apparirà chiaro che il nostro
progetto di una società solidale, fondata sulla sovranità della vita, serve gli
interessi di tutti e di ciascuno, meglio sapremo come e perché bisogna
combattere. Saremo, infatti, portati a batterci per difendere i territori
liberati dall’impresa delle multinazionali in particolare e del sistema
mercantile in generale. Dobbiamo sapere che le nostre collettività appariranno
allo sguardo dell’oppressione statale e mercantile ora come il gatto, ora come
il topo. Dobbiamo dunque avere ben chiaro in testa come sfuggire al dilemma che
ci condanna a essere prede o predatori. Personalmente diffido delle nozioni di
tattica e di strategia: esse provengono da una concezione militare
incompatibile con l’umanità che noi vogliamo opporre alla barbarie. Si può
invece superarle sviandole. Nel riprendere un principio celebre, “la miglior
difesa è l’attacco” aggiungerei una precisazione importante: bisogna attaccare
il nemico, non sul suo terreno, ma là dove non ci aspetta. Bisogna attaccarlo
sul terreno della vita che esso ignora perché solo la morte lo guida. Un amico
di Rosa Nera (a Chania, Creta, ndt)
mi ha fatto notare che così dicendo ricorrevo anch’io alle idee di tattica e
strategia. Certo, ma sottoscrivere a uno spirito militaresco che ha dato prova
di efficacia nel peggio, è forse la stessa cosa che ispirarsi alla vita molto spesso
capace di sottrarsi ai pericoli scartando quel che la minaccia e favorendo quel
che la conforta?
La vita non entra nella dialettica
della vittoria e della sconfitta, essa è un’esperienza chiamata a rinnovarsi
incessantemente. La miglior maniera di distruggere un sistema oppressivo, è
creare delle condizioni che migliorino la vita quotidiana degli individui e
delle collettività che essi compongono. La solidarietà non è un sentimento cristiano
e non invita a sacrificarsi. Essa crea un legame sociale nel quale ciascuno
capisce di non essere solo e indifeso. Essa permette a ciascuno di scoprire la
forza della creatività che ha in sé. In questo risiede la sua capacità di
affermare la propria libertà, autonomia ed emancipazione da tutti quelli che
gli impongono un potere. Per questo, al momento delle discussioni al Circolo degli immigrati di Chania,
l’accento è stato portato sull’importanza di una comunità di esseri umani
nell’esercizio della democrazia diretta. Si è insistito anche sul pericolo
rappresentato dal comunitarismo. Il collettivo o la comunità è un
raggruppamento d’individui coscienti della loro lotta per l’emancipazione e
contro lo sfruttamento. Il comunitarismo è ben diverso, è il recupero
ideologico del sentimento di comunità. Il comunitarismo offre una tribuna a
tutti i manipolatori, siano essi fascisti, nazionalisti o islamisti, a tutti i
capi di partito, a tutti gli arringatori in cerca di potere.
Quel che resterà sempre primordiale, è
la difesa del progresso sociale e umano contro il sistema mafioso. Il quale non
può tollerare una tale difesa perché non riconosce altro terreno che quello del
profitto immediato di una redditività rapidamente assicurata prima del crollo
del sistema. Le compagnie interessate al petrolio, al gas di scisto, alla sabbia,
al palladio, all’alluminio, ai giacimenti auriferi non hanno alcuno scrupolo
nel distruggere la vita e l’ambiente pur di incassare il denaro che il crac
finanziario finirà per rovinare.
Puntare sulla gratuità e sulla qualità
dei beni e dei servizi è una pratica che presenta un doppio vantaggio, se
arriviamo a promuoverla. Essa è capace di suscitare il consenso di tutti quelli
che sono minacciati d’impoverimento e permette di creare delle zone franche
dall’oppressione mercantile.
Considerazioni
sulla lotta contro il fascismo.
Non bisogna sbagliare lotta. Fare
della lotta contro il fascismo un terreno specializzato, vuol dire dimenticare che
noi lottiamo per una nuova società e che la nostra autodifesa si applica
all’insieme del sistema oppressivo. È evidente che il fascismo costituisce una
minaccia non indifferente contro il nostro progetto di emancipazione. Tuttavia,
come per l’islamismo nei paesi arabi, il fascismo è incapace di migliorare la
situazione sociale o di risolvere i problemi di qualità di vita e d’ambiente
alla quale il più gran numero aspira. Fascismo e populismo non portano che il
caos, l’autodistruzione, la barbarie: Noi siamo i porta parola di una società
umana e solidale.
Non è vero che le condizioni che noi
conosciamo oggi siano comparabili a quelle della Germania del 1932. La causa
della formidabile e sinistra adesione delle masse tedesche al nazismo non
risiede nella corruzione e nella vigliaccheria del partito comunista e della
socialdemocrazia e neppure nel terrore militarmente organizzato dalle sezioni
d’assalto del nazionalsocialismo. Quel che ha fortemente giocato è la promessa
di un progresso sociale, una promessa che Hitler mantenne prendendo misure
capaci di sedurre le masse laboriose: aumento dei salari, auto per tutti (Volkswagen),
aiuto alle giovani coppie, ferie pagate e vacanze per gli operai, diminuzione
della disoccupazione grazie alle grandi opere, come le autostrade, per non
parlare dell’industria bellica… Ditemi, oggi, quale partito fascista, neonazista,
nazionalista, populista o religioso dispone dei minimi mezzi per migliorare una
situazione sociale che si degrada di giorno in giorno?
Riempiendo la scodella del
proletariato, Hitler non ebbe alcuna difficoltà a dissimulare a quale
devastazione, a quale asservimento la sua politica avrebbe necessariamente
portato. Per arrogarsi un potere di manipolazione ridicolo, i suoi adepti e
imitatori non hanno altro da proporre che una situazione ancora più caotica e
disperata. Tutto quel che propongono, sono delle nuove forme di pogrom, la
caccia agli stranieri, lo sfogo vigliacco dei deboli su gente più debole di
loro. Traendo il loro potere dall’odio e dall’esclusione, non fanno che
proseguire una politica di distruzione della vita a fine di profitto che è già
il programma delle multinazionali e degli Stati servilmente piegati ai loro
diktat.
Il nostro terreno è quello della vita
affrancata dall’oppressione mercantile. Questo è il territorio che siamo
risoluti a difendere contro le multinazionali, contro gli attacchi delle loro
polizie e delle loro mafie. È pericoloso allontanarsi dai nostri veri obiettivi
per focalizzarsi sulla lotta contro il fascismo e, più generalmente, per
ricadere nelle vecchie diatribe ideologiche che sono il concime dei settarismi.
Non abbiamo tempo da perdere con le
speculazioni vuote tanto frequenti negli ambienti anarchici, sulla questione di
sapere chi è con noi o contro di noi. Il solo criterio è la pratica sul
terreno, laddove tutte le discussioni hanno un senso: quello della nostra
comune salvezza. E c’è da fare, dalla Calcide al Chiapas, passando per la Tanzania (dove i Masai
sono espulsi per stabilire una riserva di caccia all’uso dei ricchi
sfruttatori), per Notre-Dame des Landes, per la Val di Susa e per la lotta contro l’inquinamento
petrolifero e del gas di scisto.
È là che il nostro presente abbozza il
futuro che vogliamo costruire.
Quando Bordiga dichiara che
l’antifascismo è il peggior prodotto del fascismo, mette in guardia - George
Bataille l’aveva già fatto verso il 1935 - contro il pericolo che la lotta sia
una lotta a circuito chiuso, una lotta di specialisti, una guerra dove si
tratti, prima di tutto, di schiacciare un avversario. Battersi contro la
pauperizzazione, sia che colpisca dei cittadini greci o pakistani, vuol dire
battersi per l’essere umano. L’essere umano oppresso se ne fotte delle
etichette nazionali, politiche o religiose; gli basta essere umano e sapere che
niente di umano gli è estraneo. Il terreno dove si svolge la lotta della vita
contro il totalitarismo mercantile, ecco quel che mobilita la nostra creatività
e le nostre determinazioni. È tempo che la coscienza della vita, dell’essere
umano e del suo ambiente affermi la supremazia sull’ideologia e sulle sue
diatribe da intellettuali.
In un gran numero di paesi regna un
populismo che include una frangia neonazista. La Grecia è confrontata a un
neonazismo che si avvolge dei fronzoli del populismo. Questi punta su un
clientelismo, un mercato della carità che sa di disprezzo del genere umano. La
politica caritativa non è una soluzione. Dobbiamo essere capaci di creare delle
zone di sussistenza non mercantili dove le persone scoprano che hanno i mezzi
per creare delle migliori condizioni di vita. Ciò non significa che la
stupidità nazionalista sia sul punto di trasformare la “Grecia uber alles” in un campo di sterminio. Resta che è necessario
essere pronti ad affrontare tutte le minacce che pesano sulla nostra volontà di
creare delle zone libere, affrancate dal totalitarismo dell’economia
mercantile.
Non possiamo ingaggiare una lotta con
il fascismo che beneficia della simpatia di buona parte della polizia e
dell’esercito. Possiamo, però, manifestare con forza il nostro rifiuto di un
ritorno al regime dei colonnelli e proclamare come un leitmotiv: “no alla
dittatura”, slogan il cui carattere internazionale nutre dappertutto le
rivolte. Mai più i colonnelli, mai più il nazismo, mai più la dittatura.
Tuttavia, se la lotta per il progresso sociale non diventa prioritaria, nessuno
slogan impedirà la lotta di tutti contro tutti e i suoi orrori.
La mobilitazione pacifica e massiccia
contro le forze repressive ha un potere di dissuasione. Bisogna, però tener
conto:
a) dell’utilità e dei limiti delle
manifestazioni di massa: Esse dimostrano il rifiuto di rassegnarsi, ma si tratta
di una forma di resistenza che finisce nella rassegnazione se non sfocia sulla
messa in atto di nuove relazioni sociali. Il potere statale e sindacale punta
sull’affievolirsi di una collera ripetuta che non sfoci su cambiamenti
sostanziali.
b) dell’importanza del terreno sociale
dove possiamo lottare sviluppando la solidarietà; una solidarietà che si fonda
sull’essere umano e non sull’appartenenza a un partito, a una nazionalità, a un
gruppo religioso. I collettivi di solidarietà sono la risposta migliora a
quanti mettono in funzione un mercato della carità dove l’elemosina rende
schiavi.
c) della questione dell’urgenza.
Chiunque è aggredito ha il diritto di beneficiare immediatamente di un intervento
collettivo. Chi ha fame o si trova nella miseria, merita di essere
immediatamente soccorso. Per contro, ci sono urgenze nate da una reazione
emotiva che incita a prendere decisioni imponderate e spesso inadeguate.
Diffidiamo anche del ricatto dell’urgenza usato senza scrupoli da uomini
politici e uomini d’affari (tipo “per salvare l’impiego bisogna diminuire i
salari”, “per salvare il paese bisogna applicare un piano d’austerità”; ma
anche argomenti del genere: “per sradicare il fascismo bisogna prendere le
armi” ecc.).
d) In effetti dobbiamo imparare a preparare
i tempi lunghi e trarne lezione per i tempi brevi; così come bisogna sempre
agire globalmente e localmente. Imparare insomma ad affrettarsi lentamente.
Mai sbagliarsi di violenza. C’è molta
disperazione nei conflitti di strada e la disperazione è sempre un’arma in mano
alla tirannide. Non si tratta di opporle delle vane speranze quanto di dare un’eco
novella a ogni forma di organizzazione sociale spontanea, in rottura con
l’universo della merce, del totalitarismo finanziario e del potere. È su questo
terreno, su questa base che è giudizioso situarsi per agire, nella misura dei
nostri mezzi, in favore delle forze di vita che operano in Grecia e dovunque.
Eppure, la storia delle guerriglie ci
ha insegnato a sufficienza che quelli che s’intestardiscono a combattere i
poliziotti e i militari si comportano assai presto da poliziotti e da militari
nel loro stesso campo. Ragione di più per evitare le scivolate e precisare
sempre meglio quale presente vogliamo e quale passato non vogliamo più.
Quel che è stato più desolante
nell’azione delle Brigate Rosse, non è il fatto di essersi sovente lasciate
manipolare dalla polizia, è il partito preso di autodistruzione che esse
coltivavano. Perché anche nella disperazione della loro lotta, questo disprezzo
della vita lo condividevano con le forze della repressione e dello sfruttamento
e questo “gemellaggio d’intenzioni” le avvicinava pericolosamente al nemico che
pretendevano affrontare.
Diffidiamo della violenza dello sfogo.
La rivolta che si compiace spaccando i simboli dell’ordine mercantile è per
molti aspetti una versione consumistica della rivoluzione. Non è auspicabile
che la lotta contro il populismo e contro il neonazismo sia oggetto di una
preoccupazione specializzata. Si tratta di una lotta che non deve essere
condotta in funzione del nemico ma nel quadro globale del nostro progetto di
autogestione, di democrazia diretta, di territori liberati dall’oppressione
mercantile.
Il miglior modo di combattere il
nemico e di distruggere un sistema oppressivo non è quello di distruggersi
distruggendolo né di sacrificarsi per annientarlo, è quello di creare delle
condizioni che migliorino la vita quotidiana delle collettività e degli
individui che le compongono, è quella di favorire in ogni luogo le passioni e
la gratuità del vivente che non è pagato né paga. Abbiamo vissuto in una logica
della violenza distruttrice. Sviluppando le nostre capacità umane, impareremo
che esiste una violenza della creazione, un’irresistibile pulsione del vivente
che ha la capacità di spezzare le catene con cui lo si vuole ostacolare.
La vera identità, la sola identità, è
la parte di umanità, di vita creatrice che abbiamo in noi e che appartiene alla
nostra presa di coscienza di confortare, sviluppare, affinare.
Bisogna essere molto chiari su questo
punto: vogliamo attaccare un sistema, non gli uomini. Finché il sistema non sarà
frantumato, ci saranno dei profittatori per cercare di salvarlo. La difesa
delle nostre conquiste non può evidentemente ignorare la loro capacità di
nuocere. Tuttavia, mancheranno il loro obiettivo e i loro mezzi se riusciremo a
precipitare la rovina del loro mercato. Decretare la gratuità della terra,
dell’acqua, dell’aria, delle piante, delle energie rinnovabili, dei trasporti
pubblici ha moltissime probabilità di suscitare un movimento di simpatia da
parte del più gran numero di persone. Del resto, escludere la violenza contro
gli esseri umani non esclude quella contro le macchine. Siamo in grado di
mettere fuori uso le macchine che fanno pagare (come i pedaggi di autostrada, i
parcheggi, i trasporti pubblici). Oppure quelle con cui gli sfruttatori
organizzano il saccheggio e la distruzione di un paesaggio, di una regione.
In ogni rivolta si manifesta la
violenza dello sfogo. Essa dà sollievo al risentimento e all’odio accumulati,
ma non crea nulla, non fa che riaccendere il ciclo della rimozione e dello
sfogo che il potere ha l’abitudine di manipolare puntando sulla soddisfazione
di un’aggressività (che prevede e del resto coltiva) destinata a esaurirsi se
non sfocia su un cambiamento di società. Quando la folla “si fa piacere”
attaccando non l’ordine mercantile ma i suoi simboli (come bruciare una banca),
non siamo forse di fronte a una versione consumistica della rivoluzione?
Ai combattenti: non vincerete finché sarete
simili al nemico che combattete. La volontà di riuscire e d’imporre il proprio
potere non può condurre che alla sconfitta dell’essere a spese dell’avere.
Bisogna perdere l’abitudine di accendere del fuoco in una dimora che brucia
dappertutto. Vogliamo uscire e costruire nuove case dove sia eliminato il
timore di perire. Sappiamo anche, però, che molti disperano talmente della vita
da preferire di morire tra le rovine, divorati dal fuoco della distruzione per
non riconoscere in se stessi quella via scintillante che si ricrea
incessantemente e lascia che si consumi la morte che le si leva di fronte.
Prevedere, articolandoli, due tipi
d’intervento in materia di autodifesa: in azione urgente e in azione differita.
Il caso degli edifici occupati da anarchici che sono attaccati dalle forze
congiunte della polizia e dei neonazisti: operazione di distacco e di
rioccupazione delle zone franche.
La vita non entra nella dialettica
della vittoria e della sconfitta, è un’esperienza chiamata a rinnovarsi
costantemente.
Tolleranza e intolleranza.
La linea di demarcazione deve essere
chiara. Ho sempre diffuso il principio: “Tolleranza per le opinioni, anche le
più stupide e le più odiose. Intolleranza per ogni atto disumano.”. Non c’è
libertà di uccidere, di torturare, di sfruttare. Difendendo ovunque la libera
determinazione di vivere, sbarreremo la strada a tutto quello che vuole
ostacolarla.
Dovrebbe essere superfluo precisare
che tollerare l’espressione di tutte le idee non significa affatto che la
propaganda del partito della morte non vada combattuta o che si giustifichi un
qualunque dialogo. Persone di tal fatta non hanno alcun progetto di società
mentre noi ne abbiamo uno che sta a noi far conoscere attraverso i movimenti
autogestionari che cominciano a propagarsi.
A proposito della solidarietà con gli
emigrati e i clandestini.
La solidarietà non consiste nel dare
direttive. Non si può difendere la democrazia diretta intervenendo al posto dei
compagni che si vogliono difendere. Un intervento può impedire una di quelle
“spedizioni punitive” che permettono ai neonazisti di sfogare la loro
mediocrità. Essa può esigere il rispetto degli emigrati e dei clandestini ma
non può lottare al loro posto - gli emigrati di Chania l’hanno espresso
chiaramente -.
Noi possiamo soltanto ricordare che la
loro lotta è inseparabile da quella che noi conduciamo per l’emancipazione
dell’uomo e per il suo riconoscimento in quanto essere umano, qualunque sia la
sua carta d’identità, la sua origine, il suo colore della pelle.
Raoul Vaneigem