so che Blondet non è perfetto in tutto, ma ho trovato su fb questo testo che secondo me è straordinario e dice molto bene tutto quel che va detto sul fisco italiano, io sottoscrivo ogni parola e penso che valga la pena di leggerlo e pubblicarlo
credo che questo sia il link originale:
Questo fisco «efficiente»: danno per lo Stato
Maurizio Blondet
02 Settembre 2013
Questo fisco «efficiente»: danno per lo Stato
Maurizio Blondet
2 Settembre 2013
Finalmente una buona notizia: 27 mila imprese italiane hanno creato, dal 2000, qualcosa come 1,5 milioni di posti di lavoro. Cattiva notizia: ALL’ESTERO. Sono le imprese che hanno de-localizzato per andare in Paesi dove il fisco è efficace ma non persecutorio, dove lo Stato paga puntuale e rapido, dove i poteri pubblici non considerano gli imprenditori anzitutto degli evasori fiscali da chiamare in giudizio permanente, ma dei benemeriti attori del successo economico. Non se ne vanno in Romania e Polonia soltanto; vanno in Francia, in Austria, Germania, dove i salari sono alti.
In questo modo, la Lombardia ha perso 9.647 imprese, il Veneto 3.679, l’Emilia 3.554 e il Piemonte 2806. Il Nord-locomotiva è depotenziato, desertificato. Oscar Giannino, in un articolo sul Mattino di Napoli, segnala che le aziende fuggono anche al Sud: a centinaia non a migliaia come al Nord, ma al Sud erano già all’inizio dieci volte meno. (Cgia, imprese in fuga: dal 2000 via in 27 mila)
Pensate solo al mancato introito fiscale. Al gettito che quel milione e mezzo di posti di lavoro poteva al nostro erario, e dà invece agli erari di Francia, Austria e Germania; aggiungeteci la massa di consumi che un milione e mezzo di salari possono alimentare e che invece ci mancano. Qualcuno ha mai fatto il conto?
No. Per i sinistri pagliacci della politica e per le Caste inadempienti e parassite, certamente Befera è il loro eroe, perché estrae dalla società i miliardi per i loro stipendi e privilegi; e per loro, il modello di esazione e persecuzione fiscale messo in piedi da Equitalia, «rende».
Già: ma quanto «costa»? Quanto spende questo sistema fiscale con tutti i suoi strapotenti mezzi d’inquisizione invasivi, d’arbitrio accertativo, di retroattività, di messa a carico dell’accusato dell’onere di provare la sua innocenza? Quante risorse spreca, devasta e incenerisce?
Costi del contenzioso, per esempio. Vedo da un giornale economico che quando un contribuente si oppone ad un accertamento e fa’ ricorso, «il Fisco vince in 4 casi su 10». Già. Però questo vuol dire che il Fisco così efficiente, si vede dare torto nel 60% dei casi. In 6 casi su dieci, la pretesa del Fisco risulta infondata. E perché? Perché i suoi funzionari zelantissimi fanno accertamenti a casaccio, arroganti e sicuri dei loro poteri totali, ma poi non riescono a sostenere le loro tesi in giudizio. Come ha detto la Corte dei Conti pudicamente, le pretese degli zelanti impiegati ai contribuenti sono «non poche volte viziate da procedure accertative approssimative»; esigono esazioni di «eterogenea fondatezza»: bell’eufemismo per dire che sono spesso a vanvera, cervellotiche e indifendibili.
Sono i risultati dell’incompetenza. Questi non hanno studiato, non sanno lavorare né vogliono faticare. Pensate ad una fabbrica di auto che producesse il 60% dei veicoli difettosi, sarebbe fallita. Pensate ad uno studio legale che perdesse 6 cause su 10, o un medico che sbagliasse il 60% delle diagnosi: sarebbero già da tempo chiusi. No: Equitalia permane e non cambia i metodi, non fa un’analisi dei suoi scacchi, non mette in discussione il personale e la sua incapacità. Di essere incompetenti ed incapaci lo sanno benissimo. Tanto bene che si sono fatti regalare dai politici i poteri di retroattività, di arbitrio, e soprattutto di rovesciamento dell’onere della prova. Così la vita è facilissima, per dei fancazzisti: io ti accuso di aver sottratto soldi all’Erario; adesso dimostrami tu che non è vero. Io non voglio fatica. Portami tu i documenti, mettimi qui sul tavolo i tuoi movimenti bancari dal 2009, gli acquisti e le vendite; «noi», poi, giudicheremo se quei documenti sono «validi», quale documentazione non riteniamo «sufficiente» né «congrua» col redditometro, con gli studi di settore, con la nostre paturnie persecutorie.
Quanto costa questa incompetenza arrogante?
Leggo da un sito di fiscalisti: «Una volta che l’agenzia delle entrate muove una contestazione, per quanto fantasiosa sia, il contribuente è costretto per difendersi a due storture giuridiche: 1) pagare in anticipo il 30% della ipotetica sanzione per potersi rivolgere alla commissione tributaria e 2) avere l’onere della prova della propria innocenza».
I contribuenti lo sanno: anche se hanno ragione, ciascuno di loro deve – a sue spese – sborsare migliaia di euro in onorari ad avvocati e commercialisti, spendere per la consultazione di banche-dati e volture catastali, spendere giornate-lavoro, spendere in angoscia e patemi d’animo, perché mai è sicuro di aver provato al Fisco la propria innocenza.
Già solo il dover anticipare il 30% della sanzione che alla fine, nel 60% dei casi, risulterà non dovuta, è rovinosa per un’azienda piccola e (di questi tempi) in difficoltà: sono fondi sottratti agli investimenti produttivi, capitali sviati da scopi utili e dalla crescita economica complessiva, per destinarli a uno scopo del tutto sterile. Tanto più che, spesso, l’azienda colpita deve chiedere in prestito tali fondi, pagandoci gli interessi. E lo Stato poi li restituirà con comodo. O non li restituirà più, perché s’è già dichiarato insolvente verso le imprese private italiane, deve 100 miliardi in arretrati.
Il costo per i contribuenti si calcola a 18 miliardi di euro «per gli adempimenti»: non per pagare le tasse, ma per «adempiere» con le pratiche: la spesa del contenzioso è parte di questa cifra colossale. Questi sono i costi per i privati; costi sottratti all’economia reale e fertile.
Ma qualcuno si chiede quanto costa allo Stato l’incompetenza arrogante dei suoi uffici fiscali? La necessità di impiegare avvocature pubbliche per difendere in giudizio gli accertamenti assurdi sparati a casaccio da costoro? Il costo di stuoli di addetti che devono arrampicarsi sugli specchi per perorare su accertamenti «approssimativi» e di eterogenea fondatezza? Non si sa, anche queste finiscono nel pizzo nero delle spese pubbliche oscure e mai sottoposte a seria analisi, lo spreco «normale». Ma dato che poi perdono 6 cause su 10, la cifra non può essere troppo lontana dai miliardi spesi dai privati che vincono 4 cause su 10 per difendersi dalla persecuzione – persecuzione degli ignoranti, incompetenti.
E questi costosissimi ignoranti, che aprono contenziosi arbitrati e temerari, vengono forse puniti? Multati? Forse la loro carriera ne soffre? Macché. Mica pagano loro le spese inutili che impongono allo Stato (1). Come la casta dei magistrati, quelli sono impunibili ed irresponsabili: ragion per cui continuano a sparare accertamenti a casaccio, ad aprire contenziosi a vanvera, a mettere a carico dei privati innocenti spese enormi, che sottraggono all’economia reale, agli investimenti ed ai consumi. Tanto, mica pagano di tasca loro i soldi degli avvocati.
E perché non pensiate che si tratta di discorsi generici, vi do due episodi riportati da UnionLiberi, associazione di professionisti ed imprenditori di Treviso: zona tartassata dal fisco, perennemente sospettata e perseguitata da «indagini tributarie» a catene e ferocissime proprio perché è – o era – una delle più sgobbone e produttive del Paese. Ecco:
Ad una signora di Treviso, sulla cinquantina, l’Agenzia delle entrate ha contestato il possesso di una casa vacanze a Jesolo a 100 metri dal bagnasciuga. La donna quella villetta pare non l’abbia mai vista nemmeno in cartolina. Ciononostante, per ricorrere a norma di legge contro il provvedimento, dovrà pagare anche solo per accedere all’udienza alla commissione tributaria, e non poco: 40mila dei 160mila euro di reddito che avrebbe evaso.
Non so quanti di voi sono in grado, senza batter ciglio e senza angoscia, di anticipare 40 mila euro sull’unghia, tranquillo che questo Stato, riconosciuto il suo torto, sollecitamente ve li restituirà. Io credo che la signora di Treviso, imputata di essere proprietaria di villetta evasora, sia precipitata nell’angoscia e nella paura.
Vediamo l’altro caso:
A una donna di Bassano, l’agenzia delle entrate contesta 40mila euro di entrate straordinarie sul conto corrente ed altri 80mila euro di «dubbia provenienza» con cui ha acquistato casa. «Peccato che si tratti nel primo caso dell’assegno con cui la donna ha chiuso il proprio rapporto patrimoniale con l’ex marito al momento del divorzio – spiegano ad Unionliberi – e nel secondo caso di un prestito ricevuto dal padre per acquistare un appartamento dove ricostruirsi una vita. Eppure, pur di fronte ai documenti che attestano la veridicità delle due situazioni, l’agenzia delle entrate contesta una evasione di 100mila euro».
Fatti intimi, privati, delicati e dolorosi vengono dagli ignoranti rozzi disumani dell’Agenzia.
«Ah, appaiono di colpo 40 mila euro sul suo conto corrente! Chi glieli ha dati? Dove li ha presi? Reddito occultato su cui non ha pagato le tasse!». La signora deve spiegare: sapete, ho divorziato, e quella è la cifra del patrimonio che avevo in comune col marito, e di cui abbiamo fatto a metà quando è fallita la nostra convivenza? «E questi 80 mila? Si giustifichi! Da dove vengono? Come li ha guadagnati? Perché li sottrae al Fisco?». «Ma non li sottraggo affatto, e non sono un reddito», balbetta la signora: «me li ha prestati mio padre perché, avendo divorziato ed essendo rimasta la casa al mio ex-marito, potessi comprare un appartamentino, quello dove vivo...». E lo dimostra, la signora: esibisce l’atto di divorzio, gli atti notarili della spartizione patrimoniale, i movimenti bancari di suo padre... tutto inutile. O forse: troppo complicato per i cervelloni dell’Agenzia, gonfi di impunità e di ignoranza. Accettano soltanto come «prove» passaggi di denaro lineari, la cui causa deve avere sempre un solo motivo: se compaiono 40 mila euro sul tuo conto corrente, vuol dire che li hai guadagnati (di nascosto). Gli 80 mila di papà, un prestito, restano «di dubbia provenienza»: frase poliziesca e in sé calunniosa. Come si permettono?
Si permettono. Si permettono tutto. Si permettono di frugarvi nella vita privata, di chiedervi ragione di tutto ciò che nella vostra vita accade d’imprevisto, di appena diverso dalla «norma» – la norma scritta nel Redditometro, che vi conta persino quanto spendete in detersivi, in pentole e in lenzuola, ma che si mantiene cieco, sordo e insensibile alla varietà infinita dei casi della vita reale. Dovete spiegar loro che averte divorziato, che papà vi ha fatto un prestito; che la zia vi ha lasciato un’eredità; che avete comprato una casa e la dovete svendere perché le banche non fanno i mutui e voi dovete realizzare un bene ormai illiquido... Dovete spiegargli i fatti vostri, e a quelli nemmeno bastano. Non gliene frega niente. «Soldi di dubbia provenienza». Centomila euro di evasione, comminano senza esitare. E comincia il contenzioso: anni di vita e di salute spesi in giudici, avvocati e documenti e bolli, patemi d’animo, angosce e notti insonni che solo le persone oneste conoscono (i pregiudicati, loro, sono tranquilli)...
Vi ho già raccontato il caso del giovanotto che ha ricevuto da uno zio una insperata eredità e, per una volta nella vita, ha deciso si togliersi uno sfizio: una bella auto nuova, dei suoi sogni proibiti. Subito chiamato dall’Agenzia e accusato: «Lei ha uno stipendio annuo di 30 mila euro lordi, non può comprare un’auto da 60 mila. Ha un reddito occulto! Le accertiamo 100 mila euro annui! Paghi l’Irpef, gli arretrati, le multe!». Il giovanotto ha creduto di poter provare facilmente il caso: ha esibito il testamento dello zio defunto, i movimenti fra i due conti correnti bancari... No. Niente. I cervelloni, nella loro impunità arbitraria, non considerano un testamento una prova. Vogliono degli altri documenti, ma quali? Non si sa: sei tu, evasore, che devi sforzarti, usare il cervello! Intanto, paga!
Il giovanotto ha detto: per fortuna ho ancora qualcosa dall’eredità di mio zio, la dedico tutta a combattere contro questo fisco: ho ragione, sono onesto, non ho mai evaso, e possono provare la provenienza di quel denaro. Fa bene. Ma sono soldi che sottrarrà ai consumi e alla vita.
Ciascuno di noi ascolta questo genere di storie ogni giorno, anzi sempre più frequenti: la crisi morde, i giovani leoni di Equitalia e delle Entrate appena vinto «o’ concuorso» fanno a gara – mi dice un commercialista – a perseguitare, ad intimidire, a far paura ai contribuenti.
Uno acquista una casa ad Albaro, quartiere-bene di Genova. Subito chiamato dal Fisco: lei guadagna tot di stipendio! Come può permettersi una casa che costa 12 volte più del suo stipendio annuo? Reddito occulto! Paghi le tasse! Inutilmente il contribuente mostra – sono scritti nel suo modello 730, mica li ha nascosti – il buon numero di appartamenti di cui è proprietario, beni di famiglia, da cui ricava affitti... Quelli, se ne fregano. Persino della dichiarazione dei redditi, se ne infischiano: non ci credono per principio. È cominciata un’altra causa, del tutto idiota, che costerà migliaia di euro al contribuente ad anche allo Stato.
I politicanti, il governume in corso, ci incitano a «consumare di più», per agevolare la «ripresa». Forse qualcuno dovrebbe avvertirli che questo comportamento, sistematicamente applicato da Equitalia, scoraggia a consumare, a spendere senza preoccupazioni. In un popolo impoverito, anche chi ha mezzi ha imparato a stare attento, a restringersi: compra un’auto inferiore a quel che può permettersi, evita le vacanze in luoghi sotto l’occhio della Finanza, mette la barca in Croazia; e niente più seconde case, e nemmeno prime case: anche se non hai bisogno di chiedere il mutuo perché hai un sacco di soldi in banca, ti astieni comunque – perché qualsiasi movimento appena rilevante sul tuo conto corrente suscita il sospetto del Fisco, dell’occhiuto mostro che vede tutto e che ti fa i conti in tasca, e che ti chiede perché hai speso quello e con quali soldi... È la paralisi del consumo, anche di quello che ci si potrebbe permettere.
Sarebbe interessante calcolare il costo che il sospetto totale del Grande Fratello impone sull’economia, e la devastazione che produce alla già disastrata situazione.
Da un forum di tributaristi: «È da qualche giorno che girando sempre tra commercianti ed artigiani mi viene detto che i commercialisti o i consulenti che siano, consigliano ad alcuni di CHIUDERE! Perché col fatturato che hanno, per di più probabilmente in perdita nel 2013, non saranno sicuramente congrui e si aspettano solo delle grane dall'Agenzia delle Entrate!».
Già, è così. Se sei un artigiano e hai guadagnato meno dell’anno scorso, l’Agenzia non contempla che – esistendo la crisi mondiale, sovrapposta a quella europea e alla recessione italiana – è normale che paghi meno imposte. No: per l’Agenzia, non sei «congruo». E devi pagare come l’anno passato; devi pagare con soldi che non hai percepito, con profitti inesistenti. Sicché , si chiude. Ancora quest’anno, gli arroganti incompetenti riescono ad arraffarti la libbra di carne, a fotterti un pezzo di patrimonio e di riserva, ed esultano; l’anno prossimo, non potranno più. Sei scomparso, nullatenente. Ti hanno fatto passare dalla categoria dei contribuenti magari marginali, a quella degli assistiti. Sono dei geni.
Lo stesso dicasi per la miriade di partite Iva marginali, quelle che mascherano disoccupazione, precarietà. Un cinquantenne licenziato mi dice: ci ho provato, ho aperto partita Iva come mi hanno consigliato. Siccome a fine anno da precario (professionista, artigiano, «in proprio») ho totalizzato 6 mila euro in tutto, non mi conviene tenerla: le spese sono più del guadagno. E sai la cosa? Per chiudere la partita Iva, ho dovuto sborsare ancora 4 mila euro. E va bene, mi sono detto: tanto è l’ultima volta.
Un altro contribuente che scompare. Dal forum: «Ho visto di persona esercizi commerciali rimuovere le INSEGNE per risparmiare almeno i 200/300 euro di tassa su quelle». È tutto uno smantellare, un rinunciare – sotto la doppia tenaglia della crisi e del fisco più «efficiente» del mondo, quello che cava sangue dalle rape – per l’ultima volta.
A dire il vero, ci sono buone notizie. «Negli ultimi 5 anni le compravendite di case in Italia sono calate di un quarto mentre quelle all’estero sono aumentate di oltre il 20%. È quanto emerge da uno studio di Scenari Immobiliari che prevede per quest’anno 42 mila acquisti di case all’estero da parte di famiglie italiane: un aumento del 5,5% rispetto al 2012. La spesa media è attorno ai 130 mila euro l’anno...».
Chi può fugge. Restano gli altri, che non possono. Come quella gelateria di Olbia: «Non ha battuto uno scontrino da 1,5; le chiudono l’attività per tre giorni», strilla un titolo. Siamo giusti però, la gelataia di Olbia è recidiva di evasione fiscale. Infatti «negli ultimi 5 anni ha collezionato quattro verbali per evasione fiscale. In tutto questo periodo non ha emesso due scontrini da 1 euro, uno da 6,50 e uno da 1 euro e cinquanta. Per una evasione totale della faraonica cifra di € 1,50 di Iva (10%). “Io ho protestato presso la Guardia di Finanza di Olbia, che mi ha comminato le multe sugli scontrini, mi hanno risposto che loro non possono farci niente e che è troppo tardi. Avrei dovuto fare tutto tramite il tribunale di Milano”».
Se hai un contenzioso per 1 euro e 50 centesimi di evasione dell’Iva, devi «fare ricorso al tribunale di Milano» – anche se lavori ad Olbia. Tutto ciò è logico, è giusto ed è umano. Non è consentito nemmeno pagare brevi manu, con ravvedimento operoso come dicono loro, quell’euro e 50, nemmeno 10 volte tanto, 15 euro. No, devi chiudere l’attività per tre giorni: colpirne uno per educarne cento. Tre giorni di inattività, la vergogna sulla saracinesca: «Chiuso per evasione», distruzione di una piccola fonte di guadagno, una zappata a povere vite che se la cavano appena in lavori stagionali.
Bene, al Fisco non sfuggono nemmeno gli scontrini. Però poi leggi: «in Italia esistono 1.146.560 immobili fantasma, molti dei quali di proprietà di poveri possidenti o ricchi nullatenenti che non versano le imposte al fisco. Sono magazzini, autorimesse, uffici e stabilimenti. Il danno erariale stimato si aggira intorno a 2 miliardi di euro all’anno». Hanno persino le foto satellitari, hanno spedito aerei-spia su ogni metro quadrato del Paese per fotografare dal cielo ogni tetto, ogni rudere ed ogni spazio coperto – da tassare e tartassare, e poi non riescono a colpire un milione e 146 mila immobili? La mente si perde in tanta efficienza. Quanto saranno costate le foto aeree? Presto Equitalia esigerà dallo Stato di essere fornita di droni. Droni a centinaia, magari droni armati. Lo Stato l’accontenterà, perché l’apparato esattoriale è l’efficiente strumento che estrae i soldoni per i loro stipendioni e le loro voraci clientele di mantenuti.
Un commercialista mi dice: qui, finirà che le categorie si rifiutano in massa di pagare le tasse. Io sono scettico: davanti al Fisco e alle sue pretese, siamo vittime individuali, ognuno colpito a parte, da solo e senz’altra difesa che i propri modestissimi mezzi. E nessuno, individualmente, ha il coraggio: si tratta di violare la legge, di andare incontro a guai a non finire...
Devo ricredermi. C’è chi si rifiuta di pagar le tasse, in Italia.
Ricordo il fatto: una parte dei quattrini per coprire l’abolizione dell’Imu prima casa, il governo Letta-Alfano conta di ottenerlo dalle concessionarie delle slot machines. Per avere quei soldi maledetti e subito, il governazzo fatto un condono a questi signori: dovevano pagare penali per 2,7 miliardi di euro, ma basta che paghino 600 milioni. Anzi, in realtà, secondo la Corte dei Conti, dovevano pagare 100 miliardi, per la più gigantesca frode fiscale mai vista: avevano «dimenticato» di collegare le slot machines al Monopolio di Stato, per il prelievo fiscale sulle giocate, attraverso la Sogei, l’efficientissima società informatica del ministero dell’Economia. Di fatto, si sono incamerate miliardi di entrate fiscali e se le sono tenute. Per questa «svista» sono stati condannati due alti dirigenti del Monopoli, e le dieci società miliardarie del gioco d’azzardo. Sono, per la futura memoria, la Cogetech, Snai, Lottomatica, Hbg, Cirsa, Codere, Sisal, Gmatica e Gamenet ed anche – ciliegina su questa torta di feci – della Atlantis/B-plus che fa capo all’ex latitante Francesco Corallo, figlio di Gateano Corallo, sospettato di essere stato anni fa in affari con il clan Santapaola. (L'Imu e quel "premio" alle lobby delle slot)
E qui si capisce tutto: il nostro potere pubblico, ferocissimo con la gelataia di Olbia per recuperare 1,5 di Iva evasa, è dolce, materno e comprensivo con la malavita organizzata: forse perché sono la stessa cosa, e gli stessi elementi che siedono in Parlamento e al governo sono cointeressati al gioco d’azzardo? Perché colpirle sarebbe facile, in teoria: basta togliere a loro le concessioni, o almeno minacciar di toglierle – non fanno lo stesso con Berlusconi? A sinistra, non c’è il continuo mal di pancia per le concessioni televisive del Cav? L’attività del gioco d’azzardo non merita una migliore considerazione da parte dello Stato, non porta alcun bene al Paese, anzi distrugge ricchezza e famiglie...
Ma i malavitosi delle slot hanno i loro amici in Parlamento e li mobilitano. Con quanto zelo costoro, disinteressatamente, si sono mossi a loro difesa! Quante risorse mentali hanno impiegato! E con successo. Fatto sta che la multa da 98 miliardi è passata, per sentenza della Corte dei Conti, prima a 2, 5 miliardi, e alla fine a 600 milioni. Per la fretta del ministero dell’Economia: dai, dateci quella briciola subito, abbiamo bisogno di coprire d’urgenza il mancato introito Imu.
Vi ricordate quanto ci hanno rotto le sinistre per i «condoni» voluti da Tremonti? Tonnellate di sdegno, di moralità offesa: ecco, le destre fanno favori agli evasori! Ma qui, davanti al condono per 97,4 miliardi al clan Santapaola ed altri clan del nuovo business, il loro sdegno morale tace.
Nessuna minaccia di togliergli le concessioni (eppure sarebbe facile), nessuna altissima protesta contro gli evasori fiscali (eppure sono peggio, sono truffatori fiscali).
Va bene, c’è la fretta: dateci quei 600 milioni, voi Santapaola, perché dobbiamo coprire la mancata Imu.
Ma no: sento ad una radio che il governo Letta-Alfano, «nel caso non riesca a riscuotere quei 600 milioni delle concessionarie, ha previsto di compensare con un aumento delle accise» più altri balzelli. Non credo alle mie orecchie. La radio ha appena detto che lorsignori, i Santapaola e Lottomatica, «rifiutano di pagare»; hanno presentato l’ennesimo ricorso, e il governo è quasi rassegnato a non vedere più quei soldi.
Equitalia è disarmata, in certi casi. Lo Stato fiscale cessa la sua persecuzione, se ricavi miliardi da 200 mila slot machines. Se invece sei un’aziendina di Treviso è senza pietà.
Scappa all’estero con la ditta, è meglio.
1) Qui occorre fare un’importante distinzione, come mi scrive l’amico fiscalista: «L’Agenzia delle Entrate è composta da dirigenti e funzionari : i primi stipulano con l’Agenzia un contratto di natura privatistica; i secondi sono dei normali funzionari dello Stato. Ogni anno i dirigenti unitamente al direttore generale Attilio Befera stabiliscono gli obiettivi che l’Agenzia nell’anno successivo dovrà raggiungere(accertamenti, contenzioso, verifiche etc.). Naturalmente in base agli obiettivi raggiunti i dirigenti avranno una percentuale. Nel caso un dirigente non raggiungesse gli obiettivi assegnati per due anni consecutivi gli viene tolto l’incarico e viene degradato. Di qui iniziano i problemi: 1) È stato abolito il «solve et repete» l’accertamento dopo 60 giorni diventa automaticamente esecutivo. 2) L’inversione dell’onere della prova. Quanto ai funzionari, dovendo raggiungere l’obiettivo numerico, sono «costretti» ad accertare ciascun contribuente selezionato: ad esempio viene selezionato un contribuente che ha in affitto un capannone, in base alla legge Bersani che permetteva di accertare il canone di locazione in base al valore normale, l’Agenzia ha accertato induttivamente il canone di locazione ai fini Irpef e nella stessa motivazione l’ha utilizzato anche ai fini Iva,ciò dimostra come la legislazione fiscale venga illegittimamente utilizzata. I funzionari che non si adeguano rischiano la censura e il contratto di lavoro». E’ esattamente l’ordinamento del Kgb negli anni staliniani: persecutori volonterosi e zelanti del popolo, ricchi di privilegi, però se non raggiungevano le «quote» da infornare nel Gulag potevano finirci loro ad ogni momento, erano soggetti a «purghe» ideologiche, eccetera.
Maurizio Blondet
2 Settembre 2013
Finalmente una buona notizia: 27 mila imprese italiane hanno creato, dal 2000, qualcosa come 1,5 milioni di posti di lavoro. Cattiva notizia: ALL’ESTERO. Sono le imprese che hanno de-localizzato per andare in Paesi dove il fisco è efficace ma non persecutorio, dove lo Stato paga puntuale e rapido, dove i poteri pubblici non considerano gli imprenditori anzitutto degli evasori fiscali da chiamare in giudizio permanente, ma dei benemeriti attori del successo economico. Non se ne vanno in Romania e Polonia soltanto; vanno in Francia, in Austria, Germania, dove i salari sono alti.
In questo modo, la Lombardia ha perso 9.647 imprese, il Veneto 3.679, l’Emilia 3.554 e il Piemonte 2806. Il Nord-locomotiva è depotenziato, desertificato. Oscar Giannino, in un articolo sul Mattino di Napoli, segnala che le aziende fuggono anche al Sud: a centinaia non a migliaia come al Nord, ma al Sud erano già all’inizio dieci volte meno. (Cgia, imprese in fuga: dal 2000 via in 27 mila)
Pensate solo al mancato introito fiscale. Al gettito che quel milione e mezzo di posti di lavoro poteva al nostro erario, e dà invece agli erari di Francia, Austria e Germania; aggiungeteci la massa di consumi che un milione e mezzo di salari possono alimentare e che invece ci mancano. Qualcuno ha mai fatto il conto?
No. Per i sinistri pagliacci della politica e per le Caste inadempienti e parassite, certamente Befera è il loro eroe, perché estrae dalla società i miliardi per i loro stipendi e privilegi; e per loro, il modello di esazione e persecuzione fiscale messo in piedi da Equitalia, «rende».
Già: ma quanto «costa»? Quanto spende questo sistema fiscale con tutti i suoi strapotenti mezzi d’inquisizione invasivi, d’arbitrio accertativo, di retroattività, di messa a carico dell’accusato dell’onere di provare la sua innocenza? Quante risorse spreca, devasta e incenerisce?
Costi del contenzioso, per esempio. Vedo da un giornale economico che quando un contribuente si oppone ad un accertamento e fa’ ricorso, «il Fisco vince in 4 casi su 10». Già. Però questo vuol dire che il Fisco così efficiente, si vede dare torto nel 60% dei casi. In 6 casi su dieci, la pretesa del Fisco risulta infondata. E perché? Perché i suoi funzionari zelantissimi fanno accertamenti a casaccio, arroganti e sicuri dei loro poteri totali, ma poi non riescono a sostenere le loro tesi in giudizio. Come ha detto la Corte dei Conti pudicamente, le pretese degli zelanti impiegati ai contribuenti sono «non poche volte viziate da procedure accertative approssimative»; esigono esazioni di «eterogenea fondatezza»: bell’eufemismo per dire che sono spesso a vanvera, cervellotiche e indifendibili.
Sono i risultati dell’incompetenza. Questi non hanno studiato, non sanno lavorare né vogliono faticare. Pensate ad una fabbrica di auto che producesse il 60% dei veicoli difettosi, sarebbe fallita. Pensate ad uno studio legale che perdesse 6 cause su 10, o un medico che sbagliasse il 60% delle diagnosi: sarebbero già da tempo chiusi. No: Equitalia permane e non cambia i metodi, non fa un’analisi dei suoi scacchi, non mette in discussione il personale e la sua incapacità. Di essere incompetenti ed incapaci lo sanno benissimo. Tanto bene che si sono fatti regalare dai politici i poteri di retroattività, di arbitrio, e soprattutto di rovesciamento dell’onere della prova. Così la vita è facilissima, per dei fancazzisti: io ti accuso di aver sottratto soldi all’Erario; adesso dimostrami tu che non è vero. Io non voglio fatica. Portami tu i documenti, mettimi qui sul tavolo i tuoi movimenti bancari dal 2009, gli acquisti e le vendite; «noi», poi, giudicheremo se quei documenti sono «validi», quale documentazione non riteniamo «sufficiente» né «congrua» col redditometro, con gli studi di settore, con la nostre paturnie persecutorie.
Quanto costa questa incompetenza arrogante?
Leggo da un sito di fiscalisti: «Una volta che l’agenzia delle entrate muove una contestazione, per quanto fantasiosa sia, il contribuente è costretto per difendersi a due storture giuridiche: 1) pagare in anticipo il 30% della ipotetica sanzione per potersi rivolgere alla commissione tributaria e 2) avere l’onere della prova della propria innocenza».
I contribuenti lo sanno: anche se hanno ragione, ciascuno di loro deve – a sue spese – sborsare migliaia di euro in onorari ad avvocati e commercialisti, spendere per la consultazione di banche-dati e volture catastali, spendere giornate-lavoro, spendere in angoscia e patemi d’animo, perché mai è sicuro di aver provato al Fisco la propria innocenza.
Già solo il dover anticipare il 30% della sanzione che alla fine, nel 60% dei casi, risulterà non dovuta, è rovinosa per un’azienda piccola e (di questi tempi) in difficoltà: sono fondi sottratti agli investimenti produttivi, capitali sviati da scopi utili e dalla crescita economica complessiva, per destinarli a uno scopo del tutto sterile. Tanto più che, spesso, l’azienda colpita deve chiedere in prestito tali fondi, pagandoci gli interessi. E lo Stato poi li restituirà con comodo. O non li restituirà più, perché s’è già dichiarato insolvente verso le imprese private italiane, deve 100 miliardi in arretrati.
Il costo per i contribuenti si calcola a 18 miliardi di euro «per gli adempimenti»: non per pagare le tasse, ma per «adempiere» con le pratiche: la spesa del contenzioso è parte di questa cifra colossale. Questi sono i costi per i privati; costi sottratti all’economia reale e fertile.
Ma qualcuno si chiede quanto costa allo Stato l’incompetenza arrogante dei suoi uffici fiscali? La necessità di impiegare avvocature pubbliche per difendere in giudizio gli accertamenti assurdi sparati a casaccio da costoro? Il costo di stuoli di addetti che devono arrampicarsi sugli specchi per perorare su accertamenti «approssimativi» e di eterogenea fondatezza? Non si sa, anche queste finiscono nel pizzo nero delle spese pubbliche oscure e mai sottoposte a seria analisi, lo spreco «normale». Ma dato che poi perdono 6 cause su 10, la cifra non può essere troppo lontana dai miliardi spesi dai privati che vincono 4 cause su 10 per difendersi dalla persecuzione – persecuzione degli ignoranti, incompetenti.
E questi costosissimi ignoranti, che aprono contenziosi arbitrati e temerari, vengono forse puniti? Multati? Forse la loro carriera ne soffre? Macché. Mica pagano loro le spese inutili che impongono allo Stato (1). Come la casta dei magistrati, quelli sono impunibili ed irresponsabili: ragion per cui continuano a sparare accertamenti a casaccio, ad aprire contenziosi a vanvera, a mettere a carico dei privati innocenti spese enormi, che sottraggono all’economia reale, agli investimenti ed ai consumi. Tanto, mica pagano di tasca loro i soldi degli avvocati.
E perché non pensiate che si tratta di discorsi generici, vi do due episodi riportati da UnionLiberi, associazione di professionisti ed imprenditori di Treviso: zona tartassata dal fisco, perennemente sospettata e perseguitata da «indagini tributarie» a catene e ferocissime proprio perché è – o era – una delle più sgobbone e produttive del Paese. Ecco:
Ad una signora di Treviso, sulla cinquantina, l’Agenzia delle entrate ha contestato il possesso di una casa vacanze a Jesolo a 100 metri dal bagnasciuga. La donna quella villetta pare non l’abbia mai vista nemmeno in cartolina. Ciononostante, per ricorrere a norma di legge contro il provvedimento, dovrà pagare anche solo per accedere all’udienza alla commissione tributaria, e non poco: 40mila dei 160mila euro di reddito che avrebbe evaso.
Non so quanti di voi sono in grado, senza batter ciglio e senza angoscia, di anticipare 40 mila euro sull’unghia, tranquillo che questo Stato, riconosciuto il suo torto, sollecitamente ve li restituirà. Io credo che la signora di Treviso, imputata di essere proprietaria di villetta evasora, sia precipitata nell’angoscia e nella paura.
Vediamo l’altro caso:
A una donna di Bassano, l’agenzia delle entrate contesta 40mila euro di entrate straordinarie sul conto corrente ed altri 80mila euro di «dubbia provenienza» con cui ha acquistato casa. «Peccato che si tratti nel primo caso dell’assegno con cui la donna ha chiuso il proprio rapporto patrimoniale con l’ex marito al momento del divorzio – spiegano ad Unionliberi – e nel secondo caso di un prestito ricevuto dal padre per acquistare un appartamento dove ricostruirsi una vita. Eppure, pur di fronte ai documenti che attestano la veridicità delle due situazioni, l’agenzia delle entrate contesta una evasione di 100mila euro».
Fatti intimi, privati, delicati e dolorosi vengono dagli ignoranti rozzi disumani dell’Agenzia.
«Ah, appaiono di colpo 40 mila euro sul suo conto corrente! Chi glieli ha dati? Dove li ha presi? Reddito occultato su cui non ha pagato le tasse!». La signora deve spiegare: sapete, ho divorziato, e quella è la cifra del patrimonio che avevo in comune col marito, e di cui abbiamo fatto a metà quando è fallita la nostra convivenza? «E questi 80 mila? Si giustifichi! Da dove vengono? Come li ha guadagnati? Perché li sottrae al Fisco?». «Ma non li sottraggo affatto, e non sono un reddito», balbetta la signora: «me li ha prestati mio padre perché, avendo divorziato ed essendo rimasta la casa al mio ex-marito, potessi comprare un appartamentino, quello dove vivo...». E lo dimostra, la signora: esibisce l’atto di divorzio, gli atti notarili della spartizione patrimoniale, i movimenti bancari di suo padre... tutto inutile. O forse: troppo complicato per i cervelloni dell’Agenzia, gonfi di impunità e di ignoranza. Accettano soltanto come «prove» passaggi di denaro lineari, la cui causa deve avere sempre un solo motivo: se compaiono 40 mila euro sul tuo conto corrente, vuol dire che li hai guadagnati (di nascosto). Gli 80 mila di papà, un prestito, restano «di dubbia provenienza»: frase poliziesca e in sé calunniosa. Come si permettono?
Si permettono. Si permettono tutto. Si permettono di frugarvi nella vita privata, di chiedervi ragione di tutto ciò che nella vostra vita accade d’imprevisto, di appena diverso dalla «norma» – la norma scritta nel Redditometro, che vi conta persino quanto spendete in detersivi, in pentole e in lenzuola, ma che si mantiene cieco, sordo e insensibile alla varietà infinita dei casi della vita reale. Dovete spiegar loro che averte divorziato, che papà vi ha fatto un prestito; che la zia vi ha lasciato un’eredità; che avete comprato una casa e la dovete svendere perché le banche non fanno i mutui e voi dovete realizzare un bene ormai illiquido... Dovete spiegargli i fatti vostri, e a quelli nemmeno bastano. Non gliene frega niente. «Soldi di dubbia provenienza». Centomila euro di evasione, comminano senza esitare. E comincia il contenzioso: anni di vita e di salute spesi in giudici, avvocati e documenti e bolli, patemi d’animo, angosce e notti insonni che solo le persone oneste conoscono (i pregiudicati, loro, sono tranquilli)...
Vi ho già raccontato il caso del giovanotto che ha ricevuto da uno zio una insperata eredità e, per una volta nella vita, ha deciso si togliersi uno sfizio: una bella auto nuova, dei suoi sogni proibiti. Subito chiamato dall’Agenzia e accusato: «Lei ha uno stipendio annuo di 30 mila euro lordi, non può comprare un’auto da 60 mila. Ha un reddito occulto! Le accertiamo 100 mila euro annui! Paghi l’Irpef, gli arretrati, le multe!». Il giovanotto ha creduto di poter provare facilmente il caso: ha esibito il testamento dello zio defunto, i movimenti fra i due conti correnti bancari... No. Niente. I cervelloni, nella loro impunità arbitraria, non considerano un testamento una prova. Vogliono degli altri documenti, ma quali? Non si sa: sei tu, evasore, che devi sforzarti, usare il cervello! Intanto, paga!
Il giovanotto ha detto: per fortuna ho ancora qualcosa dall’eredità di mio zio, la dedico tutta a combattere contro questo fisco: ho ragione, sono onesto, non ho mai evaso, e possono provare la provenienza di quel denaro. Fa bene. Ma sono soldi che sottrarrà ai consumi e alla vita.
Ciascuno di noi ascolta questo genere di storie ogni giorno, anzi sempre più frequenti: la crisi morde, i giovani leoni di Equitalia e delle Entrate appena vinto «o’ concuorso» fanno a gara – mi dice un commercialista – a perseguitare, ad intimidire, a far paura ai contribuenti.
Uno acquista una casa ad Albaro, quartiere-bene di Genova. Subito chiamato dal Fisco: lei guadagna tot di stipendio! Come può permettersi una casa che costa 12 volte più del suo stipendio annuo? Reddito occulto! Paghi le tasse! Inutilmente il contribuente mostra – sono scritti nel suo modello 730, mica li ha nascosti – il buon numero di appartamenti di cui è proprietario, beni di famiglia, da cui ricava affitti... Quelli, se ne fregano. Persino della dichiarazione dei redditi, se ne infischiano: non ci credono per principio. È cominciata un’altra causa, del tutto idiota, che costerà migliaia di euro al contribuente ad anche allo Stato.
I politicanti, il governume in corso, ci incitano a «consumare di più», per agevolare la «ripresa». Forse qualcuno dovrebbe avvertirli che questo comportamento, sistematicamente applicato da Equitalia, scoraggia a consumare, a spendere senza preoccupazioni. In un popolo impoverito, anche chi ha mezzi ha imparato a stare attento, a restringersi: compra un’auto inferiore a quel che può permettersi, evita le vacanze in luoghi sotto l’occhio della Finanza, mette la barca in Croazia; e niente più seconde case, e nemmeno prime case: anche se non hai bisogno di chiedere il mutuo perché hai un sacco di soldi in banca, ti astieni comunque – perché qualsiasi movimento appena rilevante sul tuo conto corrente suscita il sospetto del Fisco, dell’occhiuto mostro che vede tutto e che ti fa i conti in tasca, e che ti chiede perché hai speso quello e con quali soldi... È la paralisi del consumo, anche di quello che ci si potrebbe permettere.
Sarebbe interessante calcolare il costo che il sospetto totale del Grande Fratello impone sull’economia, e la devastazione che produce alla già disastrata situazione.
Da un forum di tributaristi: «È da qualche giorno che girando sempre tra commercianti ed artigiani mi viene detto che i commercialisti o i consulenti che siano, consigliano ad alcuni di CHIUDERE! Perché col fatturato che hanno, per di più probabilmente in perdita nel 2013, non saranno sicuramente congrui e si aspettano solo delle grane dall'Agenzia delle Entrate!».
Già, è così. Se sei un artigiano e hai guadagnato meno dell’anno scorso, l’Agenzia non contempla che – esistendo la crisi mondiale, sovrapposta a quella europea e alla recessione italiana – è normale che paghi meno imposte. No: per l’Agenzia, non sei «congruo». E devi pagare come l’anno passato; devi pagare con soldi che non hai percepito, con profitti inesistenti. Sicché , si chiude. Ancora quest’anno, gli arroganti incompetenti riescono ad arraffarti la libbra di carne, a fotterti un pezzo di patrimonio e di riserva, ed esultano; l’anno prossimo, non potranno più. Sei scomparso, nullatenente. Ti hanno fatto passare dalla categoria dei contribuenti magari marginali, a quella degli assistiti. Sono dei geni.
Lo stesso dicasi per la miriade di partite Iva marginali, quelle che mascherano disoccupazione, precarietà. Un cinquantenne licenziato mi dice: ci ho provato, ho aperto partita Iva come mi hanno consigliato. Siccome a fine anno da precario (professionista, artigiano, «in proprio») ho totalizzato 6 mila euro in tutto, non mi conviene tenerla: le spese sono più del guadagno. E sai la cosa? Per chiudere la partita Iva, ho dovuto sborsare ancora 4 mila euro. E va bene, mi sono detto: tanto è l’ultima volta.
Un altro contribuente che scompare. Dal forum: «Ho visto di persona esercizi commerciali rimuovere le INSEGNE per risparmiare almeno i 200/300 euro di tassa su quelle». È tutto uno smantellare, un rinunciare – sotto la doppia tenaglia della crisi e del fisco più «efficiente» del mondo, quello che cava sangue dalle rape – per l’ultima volta.
A dire il vero, ci sono buone notizie. «Negli ultimi 5 anni le compravendite di case in Italia sono calate di un quarto mentre quelle all’estero sono aumentate di oltre il 20%. È quanto emerge da uno studio di Scenari Immobiliari che prevede per quest’anno 42 mila acquisti di case all’estero da parte di famiglie italiane: un aumento del 5,5% rispetto al 2012. La spesa media è attorno ai 130 mila euro l’anno...».
Chi può fugge. Restano gli altri, che non possono. Come quella gelateria di Olbia: «Non ha battuto uno scontrino da 1,5; le chiudono l’attività per tre giorni», strilla un titolo. Siamo giusti però, la gelataia di Olbia è recidiva di evasione fiscale. Infatti «negli ultimi 5 anni ha collezionato quattro verbali per evasione fiscale. In tutto questo periodo non ha emesso due scontrini da 1 euro, uno da 6,50 e uno da 1 euro e cinquanta. Per una evasione totale della faraonica cifra di € 1,50 di Iva (10%). “Io ho protestato presso la Guardia di Finanza di Olbia, che mi ha comminato le multe sugli scontrini, mi hanno risposto che loro non possono farci niente e che è troppo tardi. Avrei dovuto fare tutto tramite il tribunale di Milano”».
Se hai un contenzioso per 1 euro e 50 centesimi di evasione dell’Iva, devi «fare ricorso al tribunale di Milano» – anche se lavori ad Olbia. Tutto ciò è logico, è giusto ed è umano. Non è consentito nemmeno pagare brevi manu, con ravvedimento operoso come dicono loro, quell’euro e 50, nemmeno 10 volte tanto, 15 euro. No, devi chiudere l’attività per tre giorni: colpirne uno per educarne cento. Tre giorni di inattività, la vergogna sulla saracinesca: «Chiuso per evasione», distruzione di una piccola fonte di guadagno, una zappata a povere vite che se la cavano appena in lavori stagionali.
Bene, al Fisco non sfuggono nemmeno gli scontrini. Però poi leggi: «in Italia esistono 1.146.560 immobili fantasma, molti dei quali di proprietà di poveri possidenti o ricchi nullatenenti che non versano le imposte al fisco. Sono magazzini, autorimesse, uffici e stabilimenti. Il danno erariale stimato si aggira intorno a 2 miliardi di euro all’anno». Hanno persino le foto satellitari, hanno spedito aerei-spia su ogni metro quadrato del Paese per fotografare dal cielo ogni tetto, ogni rudere ed ogni spazio coperto – da tassare e tartassare, e poi non riescono a colpire un milione e 146 mila immobili? La mente si perde in tanta efficienza. Quanto saranno costate le foto aeree? Presto Equitalia esigerà dallo Stato di essere fornita di droni. Droni a centinaia, magari droni armati. Lo Stato l’accontenterà, perché l’apparato esattoriale è l’efficiente strumento che estrae i soldoni per i loro stipendioni e le loro voraci clientele di mantenuti.
Un commercialista mi dice: qui, finirà che le categorie si rifiutano in massa di pagare le tasse. Io sono scettico: davanti al Fisco e alle sue pretese, siamo vittime individuali, ognuno colpito a parte, da solo e senz’altra difesa che i propri modestissimi mezzi. E nessuno, individualmente, ha il coraggio: si tratta di violare la legge, di andare incontro a guai a non finire...
Devo ricredermi. C’è chi si rifiuta di pagar le tasse, in Italia.
Ricordo il fatto: una parte dei quattrini per coprire l’abolizione dell’Imu prima casa, il governo Letta-Alfano conta di ottenerlo dalle concessionarie delle slot machines. Per avere quei soldi maledetti e subito, il governazzo fatto un condono a questi signori: dovevano pagare penali per 2,7 miliardi di euro, ma basta che paghino 600 milioni. Anzi, in realtà, secondo la Corte dei Conti, dovevano pagare 100 miliardi, per la più gigantesca frode fiscale mai vista: avevano «dimenticato» di collegare le slot machines al Monopolio di Stato, per il prelievo fiscale sulle giocate, attraverso la Sogei, l’efficientissima società informatica del ministero dell’Economia. Di fatto, si sono incamerate miliardi di entrate fiscali e se le sono tenute. Per questa «svista» sono stati condannati due alti dirigenti del Monopoli, e le dieci società miliardarie del gioco d’azzardo. Sono, per la futura memoria, la Cogetech, Snai, Lottomatica, Hbg, Cirsa, Codere, Sisal, Gmatica e Gamenet ed anche – ciliegina su questa torta di feci – della Atlantis/B-plus che fa capo all’ex latitante Francesco Corallo, figlio di Gateano Corallo, sospettato di essere stato anni fa in affari con il clan Santapaola. (L'Imu e quel "premio" alle lobby delle slot)
E qui si capisce tutto: il nostro potere pubblico, ferocissimo con la gelataia di Olbia per recuperare 1,5 di Iva evasa, è dolce, materno e comprensivo con la malavita organizzata: forse perché sono la stessa cosa, e gli stessi elementi che siedono in Parlamento e al governo sono cointeressati al gioco d’azzardo? Perché colpirle sarebbe facile, in teoria: basta togliere a loro le concessioni, o almeno minacciar di toglierle – non fanno lo stesso con Berlusconi? A sinistra, non c’è il continuo mal di pancia per le concessioni televisive del Cav? L’attività del gioco d’azzardo non merita una migliore considerazione da parte dello Stato, non porta alcun bene al Paese, anzi distrugge ricchezza e famiglie...
Ma i malavitosi delle slot hanno i loro amici in Parlamento e li mobilitano. Con quanto zelo costoro, disinteressatamente, si sono mossi a loro difesa! Quante risorse mentali hanno impiegato! E con successo. Fatto sta che la multa da 98 miliardi è passata, per sentenza della Corte dei Conti, prima a 2, 5 miliardi, e alla fine a 600 milioni. Per la fretta del ministero dell’Economia: dai, dateci quella briciola subito, abbiamo bisogno di coprire d’urgenza il mancato introito Imu.
Vi ricordate quanto ci hanno rotto le sinistre per i «condoni» voluti da Tremonti? Tonnellate di sdegno, di moralità offesa: ecco, le destre fanno favori agli evasori! Ma qui, davanti al condono per 97,4 miliardi al clan Santapaola ed altri clan del nuovo business, il loro sdegno morale tace.
Nessuna minaccia di togliergli le concessioni (eppure sarebbe facile), nessuna altissima protesta contro gli evasori fiscali (eppure sono peggio, sono truffatori fiscali).
Va bene, c’è la fretta: dateci quei 600 milioni, voi Santapaola, perché dobbiamo coprire la mancata Imu.
Ma no: sento ad una radio che il governo Letta-Alfano, «nel caso non riesca a riscuotere quei 600 milioni delle concessionarie, ha previsto di compensare con un aumento delle accise» più altri balzelli. Non credo alle mie orecchie. La radio ha appena detto che lorsignori, i Santapaola e Lottomatica, «rifiutano di pagare»; hanno presentato l’ennesimo ricorso, e il governo è quasi rassegnato a non vedere più quei soldi.
Equitalia è disarmata, in certi casi. Lo Stato fiscale cessa la sua persecuzione, se ricavi miliardi da 200 mila slot machines. Se invece sei un’aziendina di Treviso è senza pietà.
Scappa all’estero con la ditta, è meglio.
1) Qui occorre fare un’importante distinzione, come mi scrive l’amico fiscalista: «L’Agenzia delle Entrate è composta da dirigenti e funzionari : i primi stipulano con l’Agenzia un contratto di natura privatistica; i secondi sono dei normali funzionari dello Stato. Ogni anno i dirigenti unitamente al direttore generale Attilio Befera stabiliscono gli obiettivi che l’Agenzia nell’anno successivo dovrà raggiungere(accertamenti, contenzioso, verifiche etc.). Naturalmente in base agli obiettivi raggiunti i dirigenti avranno una percentuale. Nel caso un dirigente non raggiungesse gli obiettivi assegnati per due anni consecutivi gli viene tolto l’incarico e viene degradato. Di qui iniziano i problemi: 1) È stato abolito il «solve et repete» l’accertamento dopo 60 giorni diventa automaticamente esecutivo. 2) L’inversione dell’onere della prova. Quanto ai funzionari, dovendo raggiungere l’obiettivo numerico, sono «costretti» ad accertare ciascun contribuente selezionato: ad esempio viene selezionato un contribuente che ha in affitto un capannone, in base alla legge Bersani che permetteva di accertare il canone di locazione in base al valore normale, l’Agenzia ha accertato induttivamente il canone di locazione ai fini Irpef e nella stessa motivazione l’ha utilizzato anche ai fini Iva,ciò dimostra come la legislazione fiscale venga illegittimamente utilizzata. I funzionari che non si adeguano rischiano la censura e il contratto di lavoro». E’ esattamente l’ordinamento del Kgb negli anni staliniani: persecutori volonterosi e zelanti del popolo, ricchi di privilegi, però se non raggiungevano le «quote» da infornare nel Gulag potevano finirci loro ad ogni momento, erano soggetti a «purghe» ideologiche, eccetera.