Oscar: la grande vuotezza
Dopo gli Oscar
per i migliori film, ci vorrebbe un Oscaretto per i migliori commenti italiani
agli Oscar. Provinciali, retorici, cialtroni, pizzaemandolineschi. Un po’ come
dopo le partite dei Mondiali quando vince l’Italia: il patriottismo ritrovato,
l’orgoglio tricolore, il riscatto nazionale, l’ottimismo della volontà, la
metafora del Paese che rinasce, il sole sui colli fatali di Roma. Questa volta
però, con l’Oscar a La grande bellezza, c’è un di più: l’esultanza di chi s’è fermato al titolo, senza capire che
è paradossale come tutto il film. Ecco: quello di Sorrentino è il
miglior film straniero anche e soprattutto in Italia. Il Corriere fa
dire al regista che “con me vince l’Italia”, ma è altamente improbabile che
l’abbia solo pensato: infatti ha dedicato l’Oscar alla famiglia
reale e artistica, al Cinema e agli idoli adolescenziali (compreso – che Dio lo perdoni – Maradona, inteso però come il fantasista
del calcio, non del fisco).
Eppure Johnny
Riotta, sulla Stampa, vede nel film addirittura “un monito” e spera “che
la vittoria riporti un po’ di ottimismo in giro da noi”. E perché mai? Pier
Silvio B., poveretto, compra pagine di giornali per salutare l’’”avventura
meravigliosa” sotto il marchio Mediaset. Sallusti vede nell’Oscar a un
film coprodotto e distribuito da Medusa la rivincita giudiziaria del
padrone pregiudicato (per una storia di creste su film stranieri): “Ci son
voluti gli americani, direi il mondo intero, per riconoscere che Mediaset non è
l’associazione a delinquere immaginata dai magistrati”. Ora magari Ghedini e
Coppi allegheranno l’Oscar all’istanza di revisione del processo al Cainano.
“Oggi – scrive
su Repubblica Daniela D’Antonio, moglie giornalista di Sorrentino – ho
scoperto di avere tantissimi amici”. Infatti Renzi invita “Paolo per una
chiacchierata a tutto campo”. Napolitano sente “l’orgoglio di un certo patriottismo”
per un “film che intriga per la rappresentazione dell’oggi”. Contento lui.
Alemanno, erede diretto dei Vandali, Visigoti e Lanzichenecchi, vaneggia di
“investire nella bellezza di Roma e nel suo immenso patrimonio
artistico”. Franceschini, ex ministro del governo Letta che diede
un’altra sforbiciata al tax credit del cinema, sproloquia di un “Paese che
vince quando crede nei suoi talenti” e di “iniezione di fiducia nell’Italia”.
Fazio, reduce da un Sanremo di rara bruttezza dedicato alla bellezza, con
raccapricciante scenografia color caco marcio, vuole “restituire” e “riparare
la grande bellezza”. Il sindaco Marino rende noto di aver “detto a Paolo
che lo aspetto a Roma a braccia aperte per festeggiare lui e il film, per il
prestigio che ha donato alla nostra città e al nostro Paese”. Ma che film ha
visto? È così difficile distinguere un film da una guida turistica della
proloco?
In realtà, come
scrive Stenio Solinas sul Giornale, quello di Sorrentino “è il film più
malinconico, decadente e reazionario degli ultimi anni, epitaffio a ciglio
asciutto sulla modernità e i suoi disastri”. Il referto medico-legale in forma
artistica di un Paese morto di futilità e inutilità, con una classe
dirigente di scrittori che non scrivono, intellettuali che non pensano, poeti
muti, giornalisti nani, imprenditori da buoncostume, chirurghi da botox, donne
di professione “ricche”, cardinali debolucci sulla fede ma fortissimi in
culinaria, mafiosi 2.0 che sembrano brave persone, politici inesistenti
(infatti non si vedono proprio). Una fauna umanoide disperata e disperante che
non crede e non serve a nulla, nessuno fa il suo mestiere, tutti parlano da
soli anche in compagnia e passano da una festa all’altra per nascondersi il
proprio funerale. Si salva solo chi muore, o fugge in campagna. È un mondo
pieno di vuoto che non può permettersi neppure il registro del tragico: infatti
rimane nel grottesco. Scambiare il film per un inno al rinascimento di Roma
(peraltro sfuggito ai più) o dell’Italia significa non averlo visto o, peggio,
non averci capito una mazza. Come se la Romania promuovesse Dracula a eroe
nazionale e i film su Nosferatu a spot della rinascita transilvanica.
Commento di Sergio
Ghirardi:
Non ho visto il film
in questione e non ne sento la minima urgenza, ma l'uso propagandistico dello
stesso emerge da tutti i commenti adulatori e narcisisti dei personaggi da film
di Totò che sono l'italiano medio e i media italiani. Quando stavo più spesso in
Italia, di quei film ne ho visti parecchi divertendomi. Quelli sì che mettevano
gli italiani al loro posto grazie a quella che è la qualità migliore del popolo
vaticanizzato da piccolo: l'autoironia addirittura tragica nella commedia
all'italiana dei Sordi, dei Gassman e dei Monicelli. Oggi, come quasi tutto il
resto, questa autoironia è scivolata nel ridicolo e nel sordido. Così, mentre
l'italietta fascista pre-spettacolare cambiava i restaurant in ristoratori, nello spettacolo sociale della crisi
planetaria che imperversa si hollywoodizza il nostro provincialismo odioso come
un folklore poetico che non fa neppure ridere.
O invece fa almeno
ridere? Aspetto che il film mi capiti a portata degli occhi per saperlo.