Sesso a 14 anni, a proposito
di un’inchiesta
Il Fatto sta pubblicando un’inchiesta a puntate
di Beatrice Borromeo sul sesso
dei ragazzi e delle ragazze
minorenni che sta
suscitando molto interesse, molti consensi e anche – com’è inevitabile – molti
dissensi. La discussione che s’è aperta sul web fra genitori e figli
giovanissimi è la migliore testimonianza dell’urgenza dell’argomento.
Purtroppo, come spesso avviene di fronte a una
malattia sociale, c’è sempre qualche idiota che non trova di meglio che
prendersela con il termometro che ha rilevato la febbre, o con il radiologo che
ha rivelato il bubbone. Per cui la nostra Beatrice viene subissata di insulti,
insinuazioni, offese gratuite e ributtanti sul piano professionale e anche
personale: chi se n’è reso responsabile ne risponderà in Tribunale non solo a
lei, ma anche al Fatto, e spero che alla fine la merda che ha sparso in
questi giorni gli verrà ricacciata in gola.
C’è poi chi – munito di robusti paraocchi – spacca il
capello in quattro per mettere in dubbio la veridicità delle storie che abbiamo
raccontato, oppure pensa di poter demolire la solidità della nostra inchiesta
con l’argomentazione che “non tutti i ragazzi e le ragazze sono così” come
quelli che Beatrice ha descritto, o ancora sostiene che certe storie non
andrebbero raccontate perché ledono la dignità umana, o femminile, e
scemenze simili. Sono argomentazioni che mi ricordano quelle dei politici o dei
loro tifosi, che appena parli di un ladro ti dicono che non tutti sono ladri.
Sappiamo benissimo che raccontare fenomeni anche molto
diffusi non significa generalizzare: la storia di Tizio e Caio è la
storia di Tizio e Caio, e quando diventa un fenomeno sociale va raccontata
anche se fa male, anche se qualcuno preferirebbe non leggerla. Il Fatto
è un giornale, non un’opera pia: descriviamo la realtà così com’è, non come
vorremmo che fosse. Perciò sono orgoglioso di aver pensato, insieme a Peter
Gomez, questa inchiesta e di averla affidata a Beatrice Borromeo, che la sta
realizzando con ottima professionalità e con un linguaggio per molti versi
nuovo e sorprendente. Non vedo l’ora di leggere le prossime puntate del suo
lavoro.
Al Fatto siamo tutti orgogliosi di lei e felici
di averla nella nostra squadra.
Commento di Sergio
Ghirardi:
Non ho seguito
l'inchiesta e non ho dunque un giudizio specifico in merito, ma quando si tocca la sessualità e ancor di più quella dei giovani, la sessuofobia di una
società sessualmente malata emerge sempre in tutta la sua peste.
Trovo esemplare che
il tema sia in sé scandaloso perché il vero scandalo è la cultura del corpo e
del suo funzionamento genitale ridotta a ignoranza fobica e a luoghi comuni
bigotti. I giovani sono il prodotto di questo crollo psicoemotivo.
Il fascismo caratteriale
che ne consegue, adattissimo a fabbricare dei consumatori di cose e di
ideologie, imperversa a 360 gradi perché c'è un bigottismo di destra e di
sinistra che rimonta fino al Vaticano e al Dio Patria e Famiglia dei destri ma
anche al bolscevismo e alla dittatura del proletariato dei sinistri. Non mi
addentro, ma leggersi Psicologia di massa del fascismo di Reich e gli scritti
della Kollontai per verificare il tutto.
Già negli anni '30,
W. Reich aveva capito che per cambiare società e non soltanto il colore della
maschera e dell'umiliazione, ci sarebbe voluta un'emancipazione del desiderio e
delle sue soddisfazioni. Ha lavorato con passione alla sexpol dei giovani
proletari prima di essere espulso dal KPD per "psicologismo piccolo
borghese". Voilà il bigottismo rosso. Per quello bianco che imperversa in
Italia scegliete voi: da un prete qualunque alla Boldrini e alla Mussolini e
consorti vari uniti nel sacro vincolo del matrimonio. Maschi e femmine
coatte/i, sottomesse/i da generazioni al Leviatano che ha nel blocco orgastico
il suo motore principale.