Quel che sta
avvenendo in Ucraina va oltre la semplice lettura dei fatti. La svolta ucraina è
una piccola ma radicale tragedia annunciata da secoli di dominio uniforme e
variato esercitato dal totalitarismo economico planetario rozzamente travestitosi
di recente in democrazia.
I popoli sottomessi
alla superstizione di una democrazia parlamentare, in quanto tale fittizia e
umiliante per ogni libero cittadino del mondo, si confrontano con la fase
terminale di un capitalismo che ha trovato nella natura quell’avversario
irriducibile che il genere umano non ha saputo essere. Quegli stessi uomini che
hanno inventato il capitalismo come logica conclusione di una società guerriera
e predatrice, fondata sul sopruso e lo stupro, si sono infatti dimostrati
incapaci di superarlo anche quando questo modo di produzione è diventato una
struttura caratteriale (antropomorfosi del capitale e capitalizzazione
dell’uomo), mostrando evidenti i segni di un nichilismo patologico, pronto a
distruggere la vita piuttosto che interrompere lo sfruttamento dell’alienazione
e l’alienazione dello sfruttamento.
Il movimento operaio,
sorto nel secolo scorso per realizzare l’emancipazione dell’uomo dal Leviatano
che l’umanità portava in seno da millenni come una peste, ancor più che dalle
sue contraddizioni è stato sconfitto dal consumismo. Questo surrogato tossico
della felicità, questo paradiso artificiale per schiavi che si credono liberi,
ha corrotto i proletari trasformandoli in aspiranti piccolo borghesi ossessionati
dal debito e dal denaro come un qualunque servitore volontario. È allora che l’uomo
in ginocchio ha visto la natura levarsi e rivendicare la sua sovranità: quella
della vita che include la morte superandola per un’effimera eternità guidata
dalla volontà di vivere e di gioire della vita, quella che si batte contro il
dominio della morte redditizia che riduce la vita a una miserabile sopravvivenza.
I capitalisti si sono
abituati ad allevare schiavi che ne giustificano l’operato chiamandolo
stupidamente progresso, in cambio di una promessa (sempre meno mantenuta) di
salario. Nessun progressista, però, potrà mai convincere la natura a subire il
progresso. La biosfera è rivoluzionaria e ci sbatte in faccia la sua verità
incontrovertibile: se in nome del profitto si distruggono le basi della vita la
vita farà a meno di questi distruttori che si credono umani e prenderà forme
che li elimineranno dalla faccia della terra. Da circa mezzo secolo, tutto
questa corte dei miracoli di sopravvissuti ha trovato nella natura e nella
biosfera la “classe” in senso
marxiano che impone la sua rivoluzione come incorruttibile e ineluttabile, ma
questa classe manca ancora di esseri umani per prendere corpo.
Il capitalismo non
può più giustificare la sua disumanità in nome dell’uomo perché sta
distruggendo ormai le condizioni stesse della vita da cui l’uomo stesso
dipende. I bollettini ripetuti di una guerra mai dichiarata, ma ormai
percettibile dai corpi e dai sensi, indicano sempre più spesso che la soglia
d’allerta è stata superata e che l’uomo è ormai il messaggero della sua stessa
morte. È questa la vera crisi intima del sistema dominante ed è in questo
contesto che la crisi della democrazia parlamentare appare come un momento
cruciale di un’ultima occasione d’emancipazione.
Quando la corruzione
endemica del sistema parlamentare, la cui unica vera qualità è di essere meno grossolanamente
violento di tutte le dittature e dispotismi vari che l’hanno preceduto sulla
scena della storia, si mostra in tutta la sua devastante estensione, quando la
politica si dimostra non l’organizzazione collettiva della vita nella città ma
il corruttore leviatanesco della volontà di vivere, si entra in una transizione
che evoca una soluzione finale di recente nazista memoria.
Il Reich spettacolare,
anonimo e post-ideologico (capace dunque di mescolare tutte le ideologie, mica
di eliminarle!), strumento di manipolazione sistematica delle coscienze e delle
volontà da parte di specialisti prezzolati, fa marciare le pecore che si
credono umane e libere al passo claudicante dell’oca che spinge il carrello
pieno di merci fino alla cassa e paga spontaneamente. Con pecore così non c’è
più bisogno di cani, anche se se ne alleva pur sempre qualcuno per precauzione.
Mescolando concetti e
convinzioni, superstizioni e miti, verità e menzogne, tutto è utile per il
discorso che ipnotizza per convincere che nessun altro mondo è possibile. La
cosmogonia della società produttivistica immagina come unico vero il mondo
impossibile di una crescita senza fine in un mondo drasticamente finito. Non è
più un progetto ma un delirio che il feticismo della merce fa circolare
ossessivamente. Comunque, tutto finisce poi in quell’immenso totem consumistico
che è diventata ormai la spazzatura la cui inquietante quantità tossica
ingombra il pianeta, le terre e i mari.
Per salvarsi, il
sistema le prova tutte, ma il suo obiettivo resta quello di mantenere le sue
pecore nei recinti dove le tosa fino alla nuda pelle e pure oltre, fino alle
lacrime e al sangue. Quando poi il sistema non regge più, si affida ai suoi
nemici più fedeli: fascisti neri programmati per terrorizzare chiunque mostri
di tendere a un’emancipazione soggettiva, fascisti rossi la cui incoscienza di
classe s’impossessa dell’emancipazione stravolgendola in un programma per
burocrati senza cuore e senza cervello, servitori volontari postideologici che
ripetono come un mantra fanatico la loro fede monoteista in un progresso
patriarcale giunto a un ultimo passo dall’abisso che lo inghiottirà per sempre.
Libertà e
liberalismo, nazioni e nazionalismo, edonismo e noia deprimente, fascismo e
antifascismo, destre sadomaso e sinistre idiote, tutto si mescola in un caos
programmato in cui le (post)ideologie inventano i loro manicheismi ridicoli e i
tabù necessari a ridurre le intelligenze sensibili alla mostruosità di una
logica binaria che spacca tutto nel bene e/o nel male di pseudo scelte senza
senso. L’ultimo stadio della democrazia rappresentativa, ormai prossima al
coma, implica come un’arma della sua ultima battaglia demagogica anche la
rivalutazione del referendum come forma decisionale che restituisca a popoli e
individui l’illusione della loro sovranità perduta nello spettacolo
parlamentare. Naturalmente alla fine le vere decisioni sono sempre prese
altrove e altrimenti, come nel caso del referendum francese che ha sancito, nel
2005, il rifiuto netto dell’Unione Europea del business, rifiuto trasformato in
consenso dai rappresentanti parlamentari di un popolo preso in giro. Lo stesso
in Italia, dove la privatizzazione dell’acqua pubblica e il finanziamento ai
partiti sono stati ripristinati contro la volontà di un popolo chiamato a
votare per referendum e che aveva chiaramente espresso il suo parere contrario.
“Questa è la democrazia bellezza e ti riproporremo il referendum sul
nucleare finché non voterai finalmente come vogliamo noi, anzi come vuole lui:
il Leviatano che ci comanda”. Questo cinico avvertimento resterà vero finché
non si deciderà tutti insieme di essere dei liberi individui in una libera
nazione, scevra di quegli stupidi individualismi e di quegli orribili nazionalismi
che i fascisti di ogni colore riconducono sempre a un patriottismo tanto più
patologico perché evoca non a caso il culto del padre, cioè del maschio
dominante che ha castrato entrambi i sessi di una specie in via di estinzione:
l’umanità.
Finche i vari legaioli
continueranno a farsi delle leghe, l’emancipazione si trasformerà in becere
lotte di particolarismi ignoranti. Anche l’Ucraina si trova in questa
situazione: scegliere tra lo Stato russo o lo Stato ucraino, tra la dipendenza
da un autocrate o dalla Troika è comunque abdicare alla propria sovranità di
individui liberi di un popolo libero. Come ho spesso ricordato in altri scritti,
l’autentica nazione ucraina è rappresentata storicamente dalla Machnovcina, non
per un’adesione romantica a un qualche ideale anarchico, rispettabile ai miei
occhi ma ancora prigioniero di nostalgie ideologiche arcaiche; la Machnovcina è
stata, a livello di una nazione, un esperimento rivoluzionario dell’autonomia
possibile dalla struttura statale che assoggetta tutti, individui e popoli,
sotto lo scettro autoritario di una società mercantile di cui lo Stato, di
destra o di sinistra, è sempre garante e padrone.
È a questo punto che
ciò che resta di umano nell’uomo comincia a scorgere nella natura un ultimo,
decisivo argomento concreto di rivolta in nome della vita contro la morte che
avanza. Contro Stato e Mercato, quindi contro liberalismo e collettivismo
produttivistici, si staglia l’ipotesi auspicabile dell’autogestione
generalizzata di una vita quotidiana che metta tutto il potere in mano ai
Consigli di una federazione internazionale di libere nazioni; una federazione che
dal locale risalga fino al planetario di un ONU senza Stati canaglia, cioè
senza Stati. Questo è il referendum al quale finirà dovunque per sottoporsi
tutta l’umanità, non solo l’Ucraina. L’attuale precedente ucraino, ancora ostaggio
della macabra falsa scelta tra lo Stato russo e il super Stato europeo, è un ennesimo
arcaismo (come la macabra scelta tra le dittature laiche o religiose nei paesi
musulmani) che apre tuttavia l’orizzonte a future e imminenti vere scelte di
società. Comunque finisca oggi l’Ucraina, è il destino di tutti e dappertutto
che ormai è in gioco come un referendum di portata planetaria.
Questo livello di
coscienza è ancora minoritario, ma comincia a emergere in tutti quegli
individui e in quei movimenti che non si lasciano recuperare alla politica
parlamentare. Da almeno un secolo, sulle tracce della Comune di Parigi del
1871, i movimenti di occupazione della vita si susseguono come mosche cocchiere
che anticipano la storia: movimento spartachista e movimento di occupazione
delle fabbriche (1919/22), movimento libertario delle comunità spagnole
(1936/38), movimento per il mantenimento delle occupazioni nel maggio ’68, più
di recente Occupy Wall Street e i
vari movimenti di rioccupazione del proprio territorio di vita usurpato dallo
Stato e dal Mercato, come in Val di Susa, a Notre Dame de Landes, nella
penisola Calcidica o in Chiapas, in Brasile, in Tunisia, in Egitto e ora in
Ucraina.
Chi s’accontenta di
cercare i diritti e le colpe, le qualità e le macchie dei rivoltosi è ancora uno
squallido servitore della figura Stato (nemico principale di tutti i movimenti
d’emancipazione) alla cui dipendenza operano tutti i manipolatori e gli
ideologi che cercano di frenare o recuperare questi movimenti storici liberatisi,
finalmente, della forma partito e dalle sue burocrazie intollerabili. La strada
resta ancora lunga e il compito che aspetta chi è cosciente di questo dato cruciale
è informare le coscienze degli schiavi consumatori affinché, guidati dal loro
insopprimibile desiderio di libertà e di volontà di vivere, attingano al più
presto (prima che sia troppo tardi e che la natura chiuda la partita) la forza
e l’intelligenza per fare ovunque l’unica scelta umana possibile. La Storia e
la nostra sopravvivenza come specie ci chiamano senza esitazioni all’abrogazione
possibilmente pacifica, referendaria prima e storica poi, dello Stato e del
Mercato e alla loro sostituzione con l’organizzazione consiliare di una società
umana rifondata ovunque sull’economia del dono e sulla festa del vivente. Dal
locale, alle regioni/nazioni fino ai continenti e alla terra intera, una sola
umanità con tutte le sue differenze di genere, di storia e di cultura, per un
unico obiettivo comune: la felicità per tutti.
Saremo pronti? Niente
è meno sicuro, ma su questo referendum finale che si farà comunque di fatto, più
o meno pacificamente, con o senza il voto, si giocano tutte le possibilità di
una specie il cui progresso passa ormai per la ricongiunzione dei propri ideali
con quelli pratici e incontrovertibili della natura.
Sergio
Ghirardi, Le Idi di Marzo del 2014
un commento di Paolo Ranieri:
Francamente,
gli insorti di Kiev non mi ispirano la minima simpatia.
Non fino al
punto d’aver parteggiato per gli sbirri antisommossa (straordinariamente
tolleranti e comprensivi, va osservato), naturalmente.
Ma sommosse passate e recenti, soprattutto recenti, hanno dimostrato che sovente gli insorti mirano semplicemente a cambiare d’oppressore, e da questo nuovo oppressore (o dai suoi mandanti transnazionali) sono organizzati e prezzolati. Insieme con interessi di gruppi politici ed economici si compongono ideologie nefande di stampo religioso e nazionale: l’abbiamo riscontrato in Libia, in Siria, in Egitto, in Tunisia.
Insorgere in sé e per sé, non solo non conduce ma nemmeno necessariamente allude a una liberazione: spesso si tratta di violenze perpetrate da famigli di una gerarchia in attesa d’installarsi.
I criteri per distinguere chi eventualmente sostenere ( e qui gioverebbe anche interrogarci sul valore e l’utilità che avrebbe questo parteggiare da lontano in faccia gli schermi interpassivi della TV e del computer) non possono fondarsi semplicemente sulla qualità dell’avversario, che in questi casi non può che essere lo Stato e in particolare il governo in carica
Ora, è pacifico che lo Stato è il male sociale assoluto: negazione del fluire storico, imposizione prepotente del passato sul presente, espropriatore di ogni libero giudizio, lo Stato è sempre un nemico per chi ama la libertà.
Questo però non deve condurre a ritenere non nemico o addirittura amico chi a quel governo si oppone, specialmente se non pone in alcun modo in discussione l’esistenza e sovente nemmeno le istituzioni dello Stato. Specialmente se la sua battaglia la conduce avanzando motivazioni nazionali oppure religiose. Specialmente se non rifiuta ma giunge al punto di sollecitare l’appoggio di potenze che fanno dell’oppressione del mondo intero il senso della propria esistenza.
Chi chiede il supporto della nato, dell’Unione Europea, degli Stati Uniti (guarda caso, i NOSTRI oppressori) non è amico della libertà e non è amico mio
certamente, non è possibile escludere che, come ad esempio è accaduto in Egitto o in Tunisia (ma non in Libia o in Siria), all’interno della compagine degli insorti operi una volontà di liberazione di qualità e di radicalità differenti. Ma, a parte che per ora io non ne ho avuto il minimo sentore, va considerato che l’elemento libertario e liberatorio di un’insurrezione si riconosce non tanto in base alle ideologie proclamate (che sono regolarmente qualche passo indietro rispetto alle passioni reali che agitano gli insorti) ma in base ai metodi d’azione e più ancora di deliberazione politica.
Un’insurrezione che mira alla libertà non può non rpevedere insieme con il ripudio delle istituzioni oppressive di ogni colore, una strumentazione positivamente libertaria, antigerarchica, incentrata sulla discussione aperta e radicale di tutte le questioni
Io non ho veduto la minima traccia in Ucraina di quella costruzione del dibattito e della riflessione collettiva che ha ad esempio caratterizzato le recenti sollevazioni in Turchia. Voi sì?
Ma sommosse passate e recenti, soprattutto recenti, hanno dimostrato che sovente gli insorti mirano semplicemente a cambiare d’oppressore, e da questo nuovo oppressore (o dai suoi mandanti transnazionali) sono organizzati e prezzolati. Insieme con interessi di gruppi politici ed economici si compongono ideologie nefande di stampo religioso e nazionale: l’abbiamo riscontrato in Libia, in Siria, in Egitto, in Tunisia.
Insorgere in sé e per sé, non solo non conduce ma nemmeno necessariamente allude a una liberazione: spesso si tratta di violenze perpetrate da famigli di una gerarchia in attesa d’installarsi.
I criteri per distinguere chi eventualmente sostenere ( e qui gioverebbe anche interrogarci sul valore e l’utilità che avrebbe questo parteggiare da lontano in faccia gli schermi interpassivi della TV e del computer) non possono fondarsi semplicemente sulla qualità dell’avversario, che in questi casi non può che essere lo Stato e in particolare il governo in carica
Ora, è pacifico che lo Stato è il male sociale assoluto: negazione del fluire storico, imposizione prepotente del passato sul presente, espropriatore di ogni libero giudizio, lo Stato è sempre un nemico per chi ama la libertà.
Questo però non deve condurre a ritenere non nemico o addirittura amico chi a quel governo si oppone, specialmente se non pone in alcun modo in discussione l’esistenza e sovente nemmeno le istituzioni dello Stato. Specialmente se la sua battaglia la conduce avanzando motivazioni nazionali oppure religiose. Specialmente se non rifiuta ma giunge al punto di sollecitare l’appoggio di potenze che fanno dell’oppressione del mondo intero il senso della propria esistenza.
Chi chiede il supporto della nato, dell’Unione Europea, degli Stati Uniti (guarda caso, i NOSTRI oppressori) non è amico della libertà e non è amico mio
certamente, non è possibile escludere che, come ad esempio è accaduto in Egitto o in Tunisia (ma non in Libia o in Siria), all’interno della compagine degli insorti operi una volontà di liberazione di qualità e di radicalità differenti. Ma, a parte che per ora io non ne ho avuto il minimo sentore, va considerato che l’elemento libertario e liberatorio di un’insurrezione si riconosce non tanto in base alle ideologie proclamate (che sono regolarmente qualche passo indietro rispetto alle passioni reali che agitano gli insorti) ma in base ai metodi d’azione e più ancora di deliberazione politica.
Un’insurrezione che mira alla libertà non può non rpevedere insieme con il ripudio delle istituzioni oppressive di ogni colore, una strumentazione positivamente libertaria, antigerarchica, incentrata sulla discussione aperta e radicale di tutte le questioni
Io non ho veduto la minima traccia in Ucraina di quella costruzione del dibattito e della riflessione collettiva che ha ad esempio caratterizzato le recenti sollevazioni in Turchia. Voi sì?