Mondiale Brasile 2014,
messaggio dall’Uruguay: i popoli sono l’oppio del calcio
Perché la Fifa ha tanto (troppo?) severamente punito Luis
Suárez? Se – in linea con quanto i vostri occhi v’hanno raccontato – la
vostra risposta è: “perché nel corso d’una partita ha azzannato
un difensore avversario”, evitate di visitare l’Uruguay almeno fino a quando l’eco di questo Mundial
brasiliano non si sia del tutto spenta. E se, per impellenti ragioni,
proprio non potete rimandare il viaggio, ricordatevi, una volta sbarcati a
Montevideo, d’attenervi rigorosamente a quella che dei fatti è la versione
ufficiale. Anzi: ufficialissima, visto che a presentarla è stato, ieri, lo
stesso presidente della Republica Oriental de l’Uruguay, José ‘Pepe’
Mujica, nel corso d’una breve intervista telefonica con il ben noto Diego
Armando Maradona, in questi giorni impegnato a condurre, per Telesur,
una trasmissione intitolata ‘De Zurda’, di sinistro, e dedicata
proprio ai mondiali (clicca qui per il video
della puntata).
Tale versione ufficiale recita più o meno così: Luis Suárez è stato
punito per vendetta. E molto semplici sono le vere
ragioni di questa impietosa rivalsa. Il ‘pistolero’ ha, senza colpe,
pagato il fatto d’esser nato in povertà in un paese che, oltre ad avere avuto
il molto recente torto d’eliminare dal Mundial due superpotenze come
l’Inghilterra e l’Italia, assai poco incide, per le sue minuscole
dimensioni, sull’enorme giro d’affari dei diritti televisivi calcistici.
‘Sentiamo – ha detto Mujica nel rustico stile che tante simpatie gli ha creato
– che c’è in questa decisione un’aggressione contro tutti i bambini che vivono
in povertà (‘los pibes del pobrerío”), perché a questo ragazzino (“botija”)
non perdonano di non avere frequentato l’università, di non avere educazione (‘no
está formado’), perché cresciuto nei piccoli campi di periferia (‘los
campitos’) e si porta dietro la lo spirito di ribellione (‘la rebeldía’)
ed i dolori di quelli che vengono dal basso (‘de los que vienen de abajo’)…’.
Suárez ha addentato un giocatore rivale? Bazzecole
ha aggiunto Mujica, completando la sua lezione di fair play calcistico tra i
sempre più entusiastici assensi di Diego Armando (che, per l’occasione
indossava una t-shirt con la scritta ‘Luisito estamos con vos’).
In questo Mundial si sono viste cose ben peggiori. E lui, ‘el Pepe’, è vecchio
abbastanza per ricordarsi i tempi nei quali in campo ‘si usavano gli aghi’ per
ferire gli avversari, e si tirava loro terra negli occhi prima dei corner. ‘Los
tanos’, gli italiani – ha tenuto a precisare il presidente uruguayano –
sono sempre stati maestri (‘campeones’) in questo tipo di pratica (‘en
hacer calentar a la gente’). Sicché non vengano adesso a darci lezioni di moralismo
‘barato’, a buon mercato.
Questo disse Mujica a Maradona. E la sua voce arrivava
non da un qualunque ufficio del palazzo presidenziale, o
dalla sua ormai famosa ‘chacra’ del Rincón del Cerro, ma dall’aeroporto di Carrasco,
dove il presidente s’era recato insieme ad una
molto consistente folla imbandierata, per dare degna accoglienza all’eroico
figlio della Patria ingiustamente cacciato dal Mundial. E proprio questo credo
si debba considerare prima di chiedersi che cosa abbia spinto un presidente
universalmente amato per i suoi alati discorsi sulla povertà e sulla necessità
d’un mondo diverso e migliore – un
‘uomo saggio’ lo ha giustamente definito papa Francesco – a dire cose che, a prima vista, parrebbero
appartenere ad una classica disputa tra tifosi un po’ alticci nel furore d’una
tipica disputa da bar sport. Con l’aggiunta – dopo un ultimo ‘bianchino’ –
d’una forte dose di populismo pauperista giustificazionista (“la colpa
non è sua, la colpa è dell’ingiustizia sociale”) in questo caso davvero
“barato”, anzi, “baratisimo”, specie considerato l’oggetto della misericordia.
Ovvero: un giocatore di calcio che certo viene (come quasi tutti, del resto)
dai “campitos di periferia”, ma che da molti anni appartiene alla più alta
élite finanziaria del football.
Difendendo il “morsicatore seriale” Luis Suárez
di fronte a Maradona – un altro ‘pibe’ salito dal ‘pobrerío’ che oggi naviga
nei petrodollari – Mujica parlava davvero, forse per la prima volta da quando è
presidente, a nome d’un popolo intero, ricchi e poveri, che sta nella sua
globalità vivendo con molto epici accenti gli accadimenti di questi ultimi
giorni. Prima con l’epica della vittoria. Ed ora con l’epica dell’assedio.
Quando, giovedì mattina, s’è diffusa la notizia (fuori dall’Uruguay da tutti
data per scontata) delle sanzioni Fifa contro Suárez, molti dei quartieri di
Montevideo si sono riempiti di ‘cacerolazos’. E – via Twitter –
tutti i dirigenti di tutte le forze politiche, nonché illustri intellettuali
d’ogni tendenza hanno quasi all’unisono gridato: no pasaran. Tutti,
anche il principale quotidiano del paese – il molto paludato “El País” – che
domani offrirà ai suoi lettori un grande de poster del morsicatore, con la
scritta: ‘Somos todos Suárez’…
Che dire? Questi ultimi eventi, lo confesso, m’hanno
un po’ frastornato. Ma più ascolto quel che si dice in giro e – guardando anche
all’Italia ed al processo-linciaggio contro Mario Balotelli, dalle
italiche plebi additato come grande colpevole della disfatta di Natal –
più mi convinco d’aver preso un colossale granchio. Giorni fa, commentando la
vigilia dei mondiali – ancora marcata da proteste e disordini – avevo scritto
che il
calcio non è l’oppio dei popoli. Sarebbe stato molto più giusto capovolgere
completamente l’equazione e riconoscere che, in effetti, sono i popoli ad
essere l’oppio del calcio…
COMMENTO
di Sergio Ghirardi:
Il
calcio è un gioco che ho praticato con successo da giovane divertendomi e
persino approfittandone un pochino senza mai diventarne un mantenuto e ancor
meno un devoto fanatico. Ne parlo dunque brevemente fuori dal coro di credenti e miscredenti.
Ho
sempre saputo che si presta a diventare religione e denaro e a questo è ormai
ridotto da tempo per tutti i caratteri fascisti (DI DESTRA, DI SINISTRA O DI
ALTROVE) che la società dello spettacolo produce industrialmente e
internazionalmente.
I
vecchi Dei sono solo il riflesso patetico dei ridicoli Dei dello stadio. Idioti
in calzoni corti dal mostruoso fascino miliardario. I tifosi sono dei voyeur
frustrati, ignoranti e nevrotici che odiano l'avversario mentre idolatrano i
loro eroi di paccottiglia. Salvo poi fucilarli alla prima sconfitta perché non
amano davvero nessuno e soprattutto se stessi. Sono masse di figli/schiavi di
un mondo senza senso che utilizza le pulsioni incatenate per produrre valore
economico e infelicità caratteriale. Il calcio e gli altri sport connessi sono
i circenses dell’'ultima becera religione materialista prima dell'emancipazione
che rovescerà la prospettiva del mondo. Altrimenti la liturgia sportiva
accompagnerà fin oltre il baratro la vittoria definitiva della barbarie che
incombe.