domenica 5 dicembre 2010

Sulla scuola



(Commento a un articolo del Fatto di Michele Boldrin: Cari studenti cosa volete davvero?)





La retorica dell’andare a studiare è tipica degli ignoranti. Magari diplomati.

Qualunque cervello sottosviluppato può arrivare a laurearsi se ne ha voglia e se la famiglia o qualche mecenate sborsano i quattrini necessari. Per i più limitati si tratta di mettere eventualmente in conto anche un soggiorno calabrese, mentre i più perversi trovano più semplice lasciar perdere gli studi e passare per i nipoti di qualche vecchio bavoso.

La cultura vera resta un privilegio di pochi. Sono i fortunati che accedono per gusto alla passione di conoscere – la divina mania del sapere.

Il problema è che ormai la società non riconosce altra passione che quella redditizia del consumo. Anche se non c’è più una vera e propria classe dominante, la cultura resta quella del dominio e il dominio è essenzialmente economico. Perché qualcuno vinca ci vogliono dei perdenti e la scuola ne organizza le schiere.

Chiedere agli studenti cosa vogliono davvero è un paternalismo odioso e gli autori della domanda dimostrano di non saperlo più di loro.

La scuola è al meglio un luogo di affinamento identitario e sociale, di presa di coscienza ludica e di divertimento istruttivo; al peggio un luogo di addomesticamento e di arruolamento nell’esercito di occupati e disoccupati salariati.

Quando gli studenti, gli operai, i padri, le madri, i figli e tutti gli altri ruoli di una società ridotta all’apparire riscopriranno il gusto autentico dell’essere liberi per godere della vita, solo allora potremo riprendere tutti insieme la questione del cosa vogliamo. L’urgenza è di stabilire l’abrogazione di quello che non vogliamo mai più: un mondo dove altri decidono tutto per noi, un mondo dove ci si annoia in una scuola che insegna solo la barbarie economicista.


Sergio Ghirardi