lunedì 21 febbraio 2011

Il bunga bunga di Gheddafi

Di fronte a quel che accade in Libia trovo osceno il cicaleccio dei blog, le menzogne dei disinformatori di destra e di sinistra e la realpolitik dei cettolaqualunque dello spettacolo politico planetario.
Ben venga l’osceno se spinge lo scandalo alla rivolta. Un tempo si sarebbero formate delle brigate internazionali in sostegno alla resistenza libica obbligando stalinisti e fascisti a compromettersi visibilmente, oltre le apparenze, come allora dalla parte di Franco, oggi da quella di Gheddafi. Destre e sinistre capitalistiche si siedono da tempo sulla pelle dei popoli come su un loro sinistro e maldestro trofeo e masse di imbecilli addomesticati si gargarizzano di una democrazia che vale per la circolazione delle merci ma non certo per gli esseri umani.
Di fronte alla sollevazione libica un breve segno della croce o una pugnetta alzata (i saluti romani e le camicie verdi almeno manco se ne fottono e si risparmiano un’ipocrisia tutta impiegata altrove a sbavare riflessi di morte) guardando la televisione, poi ci si preoccupa, in un ecumenismo sveltamente ritrovato, del gas, degli equilibri strategici e del destino di unicredit.
Guardare bene con gli occhi della coscienza il bungabunga libico e il rischio che comporta il liberarsene dovrebbe far vergognare chi non osa neppure rivoltarsi nell’ambito di una democrazia spettacolare obbligata alla messa in scena di essere una pertinente e giusta emanazione del popolo e che può, quindi, sparare ad altezza d’uomo, uccidere in prigione, sfruttare, affamare, avvelenare l’aria ei i cibi per profitto ma sempre e soltanto con l’avvallo dei criteri omeopatici dello spettacolo: il famoso Frankenstein dello sviluppo sostenibile. Dunque, misuriamo pure, seduti in salotto, l'indice di vigliaccheria di un popolo di capre che o vanno alla messa o sognano un nuovo pastore che regga la democrazia spettacolare del capitalismo.
Libertà e fraternità generalizzate nella critica di una sopravvivenza quotidiana squallida oppure la banalità della barbarie democratizzata sono ormai un out-out inaggirabile, ma per uscire dall'impasse storico bisogna dire basta almeno una volta nella propria vita quotidiana.
Come aspettarselo da individui ridotti a masse idiotizzate di consumatori che si sono lasciati trasformare da lavoratori a disoccupati senza nemmeno sollevarsi un giorno soltanto della loro vita assente contro un lavoro salariato di cui hanno accettato in ginoccho la sacralizzazione in nome di un inesistente progresso?
Il coraggio di dire basta con tutti i mezzi all’innaccettabile - utopia, scioperi generali, forche e indignazione - e non le fantomatiche brioches di Maria Antonietta, hanno fatto cadere l'Ancien Régime.
Qui nemmeno l’ennesima oscenità spontanea del più grande statista italico di tutti i tempi farebbe smuovere le masse. Nemmeno se in uno dei suoi frequenti accessi di banalità del male mimasse il gesto della pistola che spara per sottolineare faceziosamente il suo sostegno al manovratore libico (che non intende evidentemente disturbare durante il suo allegro bunga bunga sociale), succederebbe nient'altro che qualche parola di più nello stagno dell'impotenza collettiva.
Anche i cani di Pavlov, tuttavia, dopo aver subito l'inondazione del laboratorio di cui erano le cavie, hanno finito per dimenticare tutti i condizionamenti subiti da destra e da sinistra, entrambe concordi nel far di loro degli schiavi salariati flessibili.
Non resta dunque che la pedagogia della catastrofe per far cambiare il destino di un popolo di ottosettembristi cronici?
Sergio Ghirardi