sabato 5 febbraio 2011

Lezioni tunisine






Articolo sul Fatto del 3-2-11 di Fabio Marcelli

Sono stato in Tunisia una decina di giorni fa, come rappresentante dei giuristi democratici in una delegazione della Rete euro mediterranea dei diritti umani. Ho visto un intero popolo che si riprendeva la democrazia. Una delle battute che circolavano era: “Fino a ieri i tunisini passavano metà della loro giornata a discutere di calcio tunisino e metà a discutere di calcio italiano. Ora la passano tutta a discutere di politica”. E in effetti, ovunque si potevano notare capannelli intenti a discutere, formati da giovani e vecchi, militari e civili, donne e uomini. Un fenomeno analogo sta accadendo ora in Egitto e potrebbe ben presto accadere altrove, sulle sponde del Mediterraneo.

Gli slogan più gridati durante la rivoluzione erano due: “Lavoro, dignità, libertà” e “Lavoro per tutti, via i criminali dal potere”. E’ noto come il regime di Ben Alì, come del resto quello di Mubarak in Egitto ed altri, siano stati fra i più fedeli esecutivi dei diktat neoliberisti di Fondo monetario internazionale e Banca mondiale, in virtù dei quali sono stati smantellati tutti i sistemi d protezione sociale, la sanità e l’istruzione, e privatizzate le ricchezze pubbliche a beneficio di un pugno di corrotti.

Fra i vari incontri che abbiamo avuto durante il nostro soggiorno a Tunisi, anche quello con i diplomatici dell’Unione europea. Ci hanno detto che l’immagine dell’Europa è ancora positiva in Tunisia, nonostante governi come quello italiano e quello francese abbiano fatto di tutto per deturparla, appoggiando fino all’ultimo il dittatore Ben Alì. “Mancanza di professionalità”, hanno detto, a proposito di queste posizioni. Io ritengo piuttosto si tratti di direttive politiche sbagliate e di collusioni fra la cricca di Ben Alì e quelle nostrane.

I diplomatici europei ci hanno anche detto che, dopo la rivoluzione, gli obiettivi dei programmi europei sullo Stato di diritto, la governance democratica, lo sviluppo sostenibile e i diritti umani, potrebbero essere realizzati con molta maggiore facilità. E’ vero. Il diritto internazionale pone determinati obiettivi, fra i quali appunto quelli appena menzionati, ma la realizzazione di essi può avvenire solo in base a trasformazioni sociali, politiche e culturali. Solo se un popolo si risveglia, come ha fatto quello tunisino. Occorre augurarsi, anche nell’interesse del diritto internazionale, che questa rivoluzione si estenda e si sviluppi. Anche al di fuori della Tunisia. Anche al di fuori del mondo arabo.

Ghirardi Sergio scrive: 4 febbraio 2011 alle 20:10

Quel che accade nel nord Africa ha una portata storica ma è prematuro prevederne la piega nei tempi brevi. Nel corso di questa rivoluzione il ruolo del totalitarismo economico resta centrale (FMI, multinazionali, mafie locali e Stati).

La voglia di libertà che sgorga come una rivoluzione culturale profonda e inattesa è sottoposta alle manipolazioni recuperatrici che la prendono di mira. Quegli stessi che fomentano la paura dell’islamismo sono i primi a favorirne la crescita piuttosto che permettere una riappropriazione diretta da parte degli individui di una democrazia fatta laicamente di libertà, di uguaglianza e di fraternità. Le mafie religiose o politiche operano machiavellicamente oltre le ideologie con uno stesso intento. Gli integralismi, islamico, cristiano, israeliano, ecc., sono complici coi loro cieli fittizi dell’addomesticamento moderno del potere ben terrestre dell’economia politica. Le democrazie spettacolari occidentali non vogliono l’emancipazione degli individui ma la continuità della loro umiliazione redditizia. Preferiscono, da coccodrilli golosi, il potere talibano all’autogestone della vita di uomini liberi.

A meno di una presa di coscienza generale dell’esigenza di una rottura storica con tutto l’ancien régime del capitalismo planetario, la rivolta di Tunisi, del Cairo o di altrove finirà per ora come le jacqueries che hanno preceduto la rivoluzione francese.

Riappare tuttavia - ed è importante per l’unico avvenire possibile dell’umanità -, il sentimento concreto di un internazionalismo laico oltre tutte le ideologie. Questo è il punto di partenza di una rivoluzione epocale di cui il mondo intero ha bisogno.

Il momento è delicato e gli sgherri del potere economico non lesineranno per far crescere col ricatto la nostra titubanza. Tuttavia, la storia si sta muovendo e l’alleanza che si profila tra l’uomo e la natura contro il produttivismo, spinge l’umanità verso la democrazia diretta e il superamento del vecchio mondo, suonando la campana di un nuovo internazionalismo.