giovedì 3 febbraio 2011

Scegliersi con cura i compagni di strada




L’egiziano che tifa per Mubarak Riccardo Chiaberge 3-2.11 Il Fatto.

Il mio benzinaio di fiducia, alla periferia di Milano, è egiziano e oggi gli ho chiesto: “Allora, quando vi liberate di Mubarak?“. E’ scoppiato a ridere: “Mubarak bravo, bene! Deve restare!“. “Ma come, e quei due milioni di persone in piazza che chiedono le sue dimissioni? Quei ragazzi massacrati dalla polizia?“. “Sono tutti pagati!” è stata la sorprendente risposta. Pagati da chi, poi? Dalla Cia, dagli israeliani che temono la caduta del Rais?

Negare l’evidenza è l’espediente autoconsolatorio di tutti i sudditi soddisfatti. L’emigrato egiziano che ha fatto i soldi all’estero e quando torna in patria viene invidiato e trattato da signore è grato al dittatore, un po’ come il commerciante o il costruttore edile italiano che si è arricchito coi condoni o evadendo le tasse continua a votare Berlusconi anche se lo sorprende mentre gli tromba la figlia minorenne. Con una piccola, trascurabile differenza: che in Egitto la maggioranza della popolazione è povera e analfabeta. Ma forse questa è anche la ragione per cui loro si ribellano e noi no. Noi siamo analfabeti, ma con la pancia piena, la barca e il fuoristrada.

Ghirardi Sergio scrive: 3 febbraio 2011 alle 13:05

Per la denuncia di un recuperatore confusionista:

Lei ha una fastidiosa tendenza all’amalgama e a identificare il mondo con le sue miserie preferite. Fare il moralista liberale con la vita “presunta” degli altri porta per esempio a inventare nel titolo di un articolo ridicolo e odioso legami “autoritaristici” tra Marx e Berlusconi, salvo poi non poterne dire evidentemente niente dentro all’articolo in questione (sul Fatto di qualche domenica fa) dove si ciancia della democrazia in america manipolando in quattro e quattr’otto anche le tesi di Montesquieu. Oppure a definire con menzognera facilità maoisti tutti quelli che nel ’68 non si rassegnarono per esempio a costruirsi una miserabile carriera da giornalaio liberale al soldo dell’economia politica (di destra o di sinistra, poco importa: è come scegliere tra la tortura e la sedia elettrica quando c’è la possibilità di abolire la pena di morte).

Come me, ovunque, a Parigi, Londra o Berlino, in Tunisia, in Egitto, in Islanda e persino in Italia sono certo che esistano esempi concreti di individui che non sono miserabili, amano l’ottimo cibo, le bevande squisite, i viaggi e i piaceri della carne con affetto e rispetto per l’altro sesso, qualunque esso sia. E che si rifiutano di lavorare supinamente per ingrassare il mostro, di avere auto stupidamente inquinanti e di far carriera all’interno di una società capitalista che genera il mostro che i critici-critici denunciano ipocritamente mentre lo sostengono con il loro confusionismo.

Che ci riesca o no, questo nuovo mondo in sospeso ha il compito storico di spazzare via il vecchio mondo fatto di detriti fascisti, maoisti, liberali, berlusco e antiberlusco di destra e di sinistra, di schiavi e signori miserabili. Sto blaterando (come Lei è obbligato a pensare e magari dire) di una democrazia non americana né spettacolare, quella che ci dobbiamo ancora inventare tutti insieme prendendo nella storia gli esempi incompiuti di ieri e di oggi di un’umanità che privilegia la volontà di vivere e non è disposta a vendersi per un piatto di lenticchie.