lunedì 14 febbraio 2011

piccolo commento come un segno d'affetto sincero e di partecipazione alla lotta delle donne


Il sorriso minaccioso delle donne articolo di Lidia Ravera del 14-2-11
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/02/13/il-sorriso-minaccioso-della-donne/91872/
Passerà alla storia questo 13 febbraio, giorno dell’orgoglio di genere. Ero in Piazza del Popolo a Roma. Le donne erano una maggioranza così schiacciante che sembrava di stare a un evento culturale (sì, perché lì , alle presentazioni di libri, riviste, poemi siamo sempre 85 a 15, su 100 persone). E poi: la piazza gremita e silenziosa. Stipate di folla anche le strade limitrofe.
Il palco gestito con precisione tecnica e sobrietà. L’attenzione. Il sorriso minaccioso delle donne. Il sorriso mesto degli uomini. Quelli che erano lì, a smarcarsi dalle barzellette di regime. Stavo davanti-davanti, appoggiata alle transenne che dividevano la zona palco dal catino della piazza. Immancabili, in zona palco, le donne della politica, accerchiate come sempre dai giornalisti. Livia Turco, la Melandri. Chissà perché non possono mai stare in mezzo agli altri, in mezzo alle altre, le professioniste della politica…. Anche Michele Mirabella era in zona palco, con tre ragazzine che se lo ridacchiavano, con i microfoni che si protendevano verso di lui. Chissà a che titolo era lì. Chissà che cosa aveva da dire. Ho pensato: a chi basta esserci e basta, fra i famosi? A chi basta esserci, ascoltare. Battere le mani. Eppure è questo il bello della partecipazione. Essere numero. Essere in mezzo a tutti. Fondersi. Sentirsi contemporaneamente forti perché migliaia e ininfluenti perché unità. Eravamo tante, davvero.
A dire la nostra differenza (bellissimo il discorso della Bocchetti: gli uomini non sanno fare a meno del potere, sono seduti sulla loro fortuna, sono seduti sulla loro poltrona). A dire la nostra volontà di ripulire questo paese dalla feccia. A dire che feccia sono Berlusconi e i suoi cinici sostenitori ( che cosa non si fa per uno stipendio, un privilegio, una poltrona!), non la ragazzetta che usa l’unico potere concesso alle donne, quello di far godere un uomo. Anche se non ti piace, anche se non lo ami, anche se ti fa schifo. Perché, porca miseria, è lì il problema: il potere, noi, non l’abbiamo mai perseguito. Le più fragili si accontentano del potere di suscitare desiderio. Esercitare il potere non ci piace. Preferiamo altre emozioni. Forse, se le cose continuano a precipitare, toccherà darcelo come obbiettivo. Conquistare il potere, proprio noi che non lo amiamo. Conquistarlo per tutte. Gestirlo in modo opposto. Come uno strumento per fare, non come un gigantesco fallo che fa godere solo chi lo possiede.
Ghirardi Sergio scrive: 14 febbraio 2011
La lotta delle donne è sacrosanta come quella di tutti i proletari di fronte allo sfruttamento e all’alienazione, ma anche per le donne, come per tutti i dannati della terra, l’obiettivo è abolirsi in quanto sottomessi e reietti non prendere il potere. Il potere rende tutti maschi fallici, con o senza fallo, perché il fallicismo è una struttura caratteriale che anche le donne (poche) possono avere e anche i maschi (molti) mancarne nella barbarie della sopravvivenza.
Il limite del femminismo, come di ogni ideologia, sta nel favorire una carenza di DIALETTICA, accontentandosi di un improbabile potere delle donne come se fosse meglio.
Ciò che è particolarmente bello e umano del femminile è il suo spontaneo andare oltre il potere in una dimensione orgastica. Per questo una donna radicalmente incazzata non può essere moralista; e infatti non lo è perché sposta il piano della sensibilità dal gerarchico maschilista all’orizzontale egualitario del piacere condiviso. Una donna non potrà mai assomigliare alla Russa o alla Santanché nemmeno col più complicato intervento chirurgico. L’impotenza orgastica non può essere curata che dall’amore sensuale intriso di tenerezza.
Le vere donne in quanto genere femminile (quindi anche la parte minima di maschi che hanno accesso alla potenza genitale e non s’intossicano della priapica impotenza fallica dominante) insegnano a godere ed è per questo che gli impotenti, in casa o in parrocchia, devono trattarle e umiliarle da puttane. La puttana è un ruolo sociale inventato da puttanieri, bigotti con o senza mutande, ipocriti e mal baisés di ambo i sessi; gli stessi che chiudono i bordelli e li frequentano di nascosto. Qualche donna disposta a calarsi nel ruolo si trova sempre, ma è l’eccezione che conferma la regola di amanti, amiche e madri meravigliose di affetto e di sensualità.
W le donne e i loro amanti sanculotti, dal loro incontro gioioso scaturirà la rivoluzione che abrogherà il patriarcato e il modo di produzione capitalistico da lui prodotto.
mau340 scrive: 14 febbraio 2011
CHE ALLE DONNE NON PIACCIA ESERCITARE IL POTERE E LA BALLA PIU GRANDE CHE SI POSSA RACCONTARE, MA SCHERZIAMO?
Ghirardi Sergio scrive: 14 febbraio 2011
Evidentemente a tutti gli impotenti di entrambi i generi piace esercitare il potere come un’alternativa miserabile ma rassicurante, un surrogato alla potenza perduta e al godimento spontaneo in essa insito e anch’esso andato alla malora.
Per non amare il potere, non si tratta di essere necessariamente cristianamente castrati né masochisti, ma di avere accesso a un livello qualitativo di godimento affettivo e sessuale che né i fallici mediocremente prodotti in massa né le schiave volontarie o involontarie del fallicismo patriarcale concepiscono. Una tale ottusità biologica e affettiva si chiama impotenza orgastica. Non impedisce di scopare ma di abbandonare totalmente al piacere tutta la propria muscolatura involontaria (orgasmo).
La rivoluzione sessuale è una parte fondamentale della rivoluzione culturale e della rivoluzione sociale tout court che resta per ora in gran parte tutta da fare, figuriamoci nella succursale del Vaticano a forma di stivale.
Non ci siamo ancora, la sex-pol di Reich sembra, al massimo, un ricordo lontano, la miseria sociale ha ridotto la sensibilità degli individui escludendoli da ogni rivendicazione radicale al piacere. Il superamento del lavoro salariato che caratterizzava da sempre le lotte dei lavoratori rivoluzionari ha lasciato il posto a umili servi che si inginocchiano implorando un po’ di sfruttamento durevole.
In un tale inferno anche il godimento concepibile dai più si è ridotto al possesso di feticci e di cose: auto, denaro, donne e prestigio narcisista anziché la felicità di praticare senza fine i propri desideri all’ascolto degli altri, così da soddisfarne una parte qualitativa alla larga da squallide liturgie mercantili.
Nel regno spettacolare-mercantile l’impotenza regna sovrana in nome del consumo. Così i conformisti bolsi di entrambi i sessi possono continuare irosi e ridicoli a esprimere la sessuofobia di una nazione di servi bigotti, sbavando come lumache sull’umano e sul femminile che li disturba nei loro incubi di zombi insensibili.
Fino a quando?