sabato 5 febbraio 2011

La Versailles mediatica e la ripresa della Bastiglia


I Quagliarello che si sono venduti l’anima

Pierfranco Pellizzetti, Il Fatto 5 febbraio 2011


“Si fa presto a dire: prendete le distanze da Berlusconi. Ma qui rischiamo tutti il licenziamento. Frase attribuita da l’Espresso a un deputato del Popolo della Libertà. E trattasi di un personaggio di prima fila, figurati gli altri… Per inciso, vale la pena osservare come – dipendenti per dipendenti – gli operai della Fiat abbiano dimostrato ben altra fibra morale.

Comunque, il significato profondo di tale immortale dichiarazione è che ci troviamo al cospetto di nient’altro che una genia di camerieri, tremebondi (Bondi!) e servili, su cui grava in permanenza la spada di damocle del perdere il posto a insindacabile capriccio del proprio padrone. Tra i vari orrori berlusconiani questo non è certo il minore: aver tratto il peggio dalle persone che gli stanno intorno. Perché c’è il Berlusconi satiro, che scatena i propri istinti lubrichi sui corpi di donne rese malleabili da ricompense varie, c’è il Berlusconi vampiro, che succhia giovinezza a minorenni ingnorantelle assai, quindi indifese, abbagliate da promesse di visibilità televisiva (della durata di qualche minuto) e di carriere politiche fulminanti (qui i casi sono ben noti); ma c’è anche il Berlusconi mefistofelico, che compra l’anima dei meschini alla ricerca di una qualche sicurezza.

Certo, si tratta di gente moralmente miserrima. Ma la grande abilità del Mefistofele di Palazzo Grazioli è stata quella di vedere in controluce l’intima natura di uomini e donne cogliendovi debolezze da strumentalizzare a proprio vantaggio. Con cui realizzare l’immensa opera corruttiva di un personale politico già malato da pluridecennali operazioni di scambio e maneggi sottobanco. Il dramma è stato che i disponibili a subire il richiamo della perdizione si sono rivelati ben più numerosi di quanto si potesse immaginare.

Forse ce lo siamo dimenticati, ma il primo della lista – agli albori di Forza Italia – fu nientemeno che un importante filosofo di estrazione marxista (tra l’altro con un passato persino da troskista) che rispondeva al nome di Lucio Colletti. A chi lo vedeva ingrigire sui banchi del Parlamento e gli chiedeva come mai si fosse ridotto così male, la risposta era sempre la stessa: “Avevo bisogno di una pensione”.

Lo ripensavo l’altra sera guardando con una sorta di umana pietà il volto verdognolo del senatore Gaetano Quagliarello, impegnato nella difesa a comando del proprio signore e padrone a Ottoemezzo de la Sette. Anche perché questo venefico tipetto lunare ha un curriculum che non tutti conoscono: iscritto in giovane età al Partito Radicale, negli anni Ottanta ne fu segretario cittadino a Bari e poi vice-segretario nazionale. Sicché ebbe un ruolo attivo nelle attività promosse dal partito di Marco Pannella, quali le campagne referendarie sull’aborto, il nucleare e la caccia; facendosi persino promotore della biocard, un testamento biologico in cui il sottoscrittore poteva rifiutare anche l’idratazione forzata. Nel suo medagliere brilla l’episodio vagamente sovversivo della marcia antinuclearista contro la centrale nucleare di Avetrana; quando addirittura venne arrestato, assieme a Francesco Rutelli, per essere entrato in una zona off limits. Insomma, un personaggio nato battagliero che ora ritroviamo ridotto a stuoino. Un laico (“laicista”, direbbe oggi) che si è abbassato all’ignominia di inveire contro il povero, dignitosissimo, Peppino Inglaro gridandogli “assassino”.

Indubbiamente, nel caso Quagliarello, può aver pesato la scuola del cinismo pannelliano troppo a lungo frequentata. Ma i Quagliarello, come le torme di yes-man/woman che Berlusconi ha immesso nel sistema politico italiano, rivelano un aspetto comune: quello di aver venduto l’anima. Con un di più a fare buon peso: la mutazione genetica verso il tipo “promoter Publitalia”, indotta dall’esposizione ai flussi “culturali” dell’ambiente in cui sono andati di buon grado a cacciarsi; traendone vantaggi materiali al prezzo dell’indecenza. Un’umanità zombizzata, la cui frequentazione nelle sedi politiche come nei talk-show ha pure infettato consistenti settori della cosiddetta opposizione: il loro morso venefico è nient’altro che l’uso corrotto e corrompente della parola (sia quando ripetono le assurdità che gli hanno fatto imparare a memoria, sia quando interrompono ad arte l’interlocutore; in base a precisi insegnamenti forniti loro dai sovrastanti berlusconiani).

È per questo che viene spontanea una domanda: ha senso fare finta che i camerieri-zombi del premier siano qualcosa di diverso da quanto effettivamente sono? Per cui ci si perde in disquisizioni, magari d’alta politica, quasi si avesse di fronte interlocutori disponibili a farsi convincere. Ha senso perseguire problematiche operazioni per recuperare pezzi di questa maggioranza al guinzaglio (quando – semmai – è Berlusconi a fare incetta di simil oppositori, zombizzabili per trenta denari)? Non sarebbe molto meglio uscire dalla finzione e chiamare con il vero nome tale genia? Ossia, gente che ha fatto mercato di se stessa.

Le malattie, specie se mentali, possono essere curate solo se riconosciute come tali.

Ghirardi Sergio scrive: 5 febbraio 2011 alle 10:30

Lo spaccato da Lei descritto della politica nella società dello spettacolo (se non la si definisce tale non si capisce né il perché né il percome di una tale miserabile evoluzione dell’antica democrazia borghese) è effettivamente pregnante.

L’aggettivo che più di tutti definisce globalmente berlusconi silvio è corruttore. Lo è su tutti i piani dei rapporti sociali perché si è banalmente costruito una fortuna con il metodo di una corruzione senza limiti della parte scema di un popolo. I soli limiti ad essa sono quelli dei mezzi per corrompere, i quali non gli mancano di certo.

Oltre il cesaretto italiano c’è, però, da notare che la danza tra corruttori e incorruttibili è sempre in voga. Se non è vero che ogni uomo ha un prezzo, è vero che agire da umani è un privilegio poetico che si conquista opponendosi nella propria vita a tutte le umiliazioni e i soprusi. Denunciandoli e non cauzionandoli quando se ne subisce il ricatto; agendo da donne e uomini liberi, non come cavalli istintivamente selvaggi che finiscono, poi, per subire la monta, abbassando tristemente la testa (lil tasso di decadenza di una società si misura dal fatto che chi si fa montare è gia addomesticato e non ha più niente di selvaggio; si tratta di servili cortigiani/e, quelli/e di cui Lei parla, appunto.).

Un esercito di lavoratori che subendo il ricatto del salario anziché lottare contro il lavoro alienato ne fa l’obiettivo sacralizzato di una vita da schiavi, produce una massa di corruttibili e gli sfruttatori mafiosi cinicamente lo sanno e ne approffittano. Tuttavia, quando la piazza torna a parlare il linguaggio della rivolta come in paesi evidentemente più civili dell’Italietta post-ma non troppo-fascista, i conti non tornano più. Non basta mostrare il nero drappo spettacolare di qualche Black Blok di passaggio. Ci vuole lo spauracchio islamista per cercare di far rientrare i puledri nella stalla.

Nell’immediato potrebbe funzionare, ma nei tempi lunghi sarà fatica vana: chi non ha più nulla da perdere e una vita da guadagnare non ha le preoccupazioni dei servitori volontari, indaffarati a salvare lo statu quo che li nutre di cibo avariato e di illusioni.

La vita comincia dopo la pseudoscelta tra un cinico dittatore laicista e degli invasati dittatori integralisti e la volontà di vivere, non potendo accontentarsi di meno della vita, finisce dunque sempre per correre il rischio che nulla cambi se non in peggio pur di provare a cambiare davvero. E prima o poi c’è sempre riuscita.

Per far tacere le mandrie di spettatori attoniti, In Italia, per ora, basta l’ipocrisia ecumenica e donabbondiana di un qualunque cardinal Bagnasco che si aggiunge al latrare ululante di Lupi subdoli , di Jene vampiresche e di Avvoltoi sgarbati.