giovedì 31 marzo 2011

Irradiati di tutti i paesi unitevi!


Io non firmo mai petizioni, ma stavolta l’ho fatto perché, pur cosciente degli eterni rischi di recupero politico e di un’efficacia tutta da verificare, mi sembrano riunite in peggio e ben oltre i confini della Francia, le condizioni estreme che portarono nel 1960 al “manifesto dei 121” per il diritto alla renitenza durante la guerra in Algeria e al “manifesto delle 343 salopes” in favore della depenalizzazionedell’aborto nel 1971.

Sergio Ghirardi

Per un tribunale Russell contro i crimini del nucleare civile nel 2012

Nel 1966 il tribunale Russell-Sartre ha giudicato i crimini di guerra contro l’umanità commessi in particolare dagli Stati Uniti in Vietnam. Anche il nucleare militare venne condannato.

Nel 2012, un nuovo tribunale d’opinione deve giudicare i crimini del nucleare civile.

Le Chernobyl e le Fukushima passano ma il nucleare non trapassa.

Lo stesso governo giapponese non smette di lamentarsi dell’opacità praticata dalla società (TEPCO) che ha in gestione le centrali, responsabile della catastrofe umana ed ecologica.

Questo nuovo tribunale Russell è indispensabile per far sì che la verità si sostituisca alla menzogna.

Questo nuovo tribunale Russell è indispensabile perché l’azione politica si sostituisca alla paura.

La parola deve ritornare innanzitutto ai cittadini di una democrazia reale e non a esperti mercenari e politicanti corrotti.

Non possiamo restare inerti in attesa di una nuova catastrofe (Stati Uniti 1979, URSS 1986, Giappone 2011) sapendo che la Francia è il principale paese nucleocrate. Vogliamo far sentire la nostra voce fin nel 2012 e ben oltre.

Noi cittadini, eletti, intellettuali chiamiamo l’insieme della popolazione a firmare quest’appello il più massicciamente possibile e a farlo conoscere con tutti i mezzi.

http://www.tribunalrusselnucleaire.org/

E’ nato in Francia il tribunale Russell sui crimini contro l’umanità del nucleare civile.

Per saperne di più vedere barraventopensiero.blogspot.com o direttamente il sito francese del tribunale.

Che gli alienati bolliti della statistica e del calcolo pronucleare senza aria fritta non s’illudano: non è un pesce d’aprile.

Irradiati di tutti i paesi unitevi! Così gli idioti e gli affaristi potranno continuare a vedere fantasmi comunisti dappertutto mentre marciano al passo dell’oca verso il progresso radioso della servitù volontaria.


Agli Antinucleare di Alsazia e di altrove

(in rosso le mie note di traduzione, Sergio Ghirardi)

Bisogna fermare tutti i reattori

Prendiamo l’esempio del gravissimo incidente di Blayas ( chi mai ne ha avuto notizia in Italia, la cui distanza è in linea d’aria dalla Gironda è di poche centinaia di chilometri maggiore rispetto a quella tra Fukushima e Tokio?) durante la tempesta del 27 dicembre 1999.

Effetto congiunto di errori di concezione e di una grossissima tempesta. Al momento della costruzione dell’isolotto nucleare si è ignorato il livello effettivo dell’acqua e l’esistenza di onde possibili nella Gironda (i surfisti sanno invece che c’è una barra di flusso). C’è stata un’inondazione del reattore prossimo della Gironda e tutti i circuiti di soccorso sono stati allagati. L’incidente grave è stato finalmente ben gestito e in seguito sono state rialzate le dighe. Tuttavia i dossier IPSN non citano il coefficiente di marea rimasto al livello basso di 77. Che sarebbe successo con un coefficiente di marea oltre 100, 110? Si sarebbe potuto gestire l’incidente senza che si trasformasse in un accidente? E che cosa succederà in futuro?

…e non soltanto quelli vecchi.

E i reattori “giovani”?

Un esempio di accidente su un reattore giovane: l’accidente di Three Miles Island -TMI2 - s’è prodotto il 28 marzo 1979 e la sua data d’inizio dello sfruttamento commerciale risale al 30 dicembre 1978. Reattore PWR (Babcock e Wilcox) di una potenza netta di 906 Mwe:

Altro esempio di incidente a Civaux, reattore giovane (1450 MW), collegato alla rete nel dicembre 1997, in cui è s’è prodotta una fuga nel circuito RRA (circuito di raffreddamento non in funzione) per corrosione della tubatura, Per errore di concezione s’è ignorato il rischio di corrosione nel punto in cui si mescolano acqua fredda e calda.

Bisogna ben comprendere che solo un reattore in funzione permette non solo di convalidare i materiali utilizzati ma anche di mettere in evidenza dei fenomeni fisico-chimici in gioco. È così, per esempio che si mettono in servizio delle nuove leghe per le guaine, che si aumenta il tasso di combustione ecc. Ogni modifica interagisce sull’insieme dell’installazione.

Non si tiene conto dei disfunzionamenti aggravati dalla congiunzione possibile di avvenimenti naturali (canicola, gelo della Loira, sismi, tempeste, inondazioni).

Il direttore dell’Autorità della Sicurezza Nucleare, André-Claude Lacoste, riconosce su Le Monde del 31 marzo 2011 a pagina 6: “Non possiamo garantire che non ci sarà mai un accidente grave in Francia”. Ammette dunque che emergono “dei problemi nuovi”mentre il benpensante Midi Libre del 1 aprile, , non fa un pesce dell’omonimo mese quando a titoli cubitali proclama in prima pagina: la Francia non è al riparo da una Fukushima francese.

Non era forse prevedibile? Cè voluta la tragedia giapponese perché le “élites“ e i geniali concettori transalpini se ne accorgessero?

Con un sistema così complesso, quando un accidente arriva si sarà sempre in ritardo di un accidente perché, come lo ammette Perre Tanguy (Ispettore Generale per la Sicurezza e la Protezione, Direzione Generale EDF: “L’insieme degli accidenti possibili è comunque limitato, cosicché noi pensiamo di poter coprire con il tempo la totalità dei casi possibili. Riconosco, però, che non siamo sicuri di essere completamente esaustivi e che se un accidente si produrrà sara quello che non avremo previsto”.

Le autorità si preparano all’accidente con la “dottrina” CODIRPA (COmitato DIRettore per la gestione della fase Post Accidentale).

Bella Belbéoch, 30 marzo 2011

Eros e Thanatos: la vita contro la morte


L’articolo che segue a questo commento è oggettivamente reazionario ma mette in luce sul piano quantitativo un aspetto soggettivamente vero del problema energetico. Bisognerà effettivamente risolvere il problema concreto di come realizzare il superamento del nucleare. Prima però di lasciarvi alla lettura del nemico, qualche puntino sulle i di radioattività.

Non ho dubbi sul fatto che oggi i giapponesi sperino - tardivamente, purtroppo - che i Dr. Stranamore straparlino solo su Saturno senza mai scendere sulla terra. Purtroppo sono gia scesi abbastanza spesso e se ne vedono i risultati. Quando questi psicopatici parlano di cultura, viene subito voglia di tirar fuori il contatore Geiger.

Il sacro consumo calcolato a 125 KWh/d intorno al quale l’articolista scientificamente danza, è un dato prodotto da una cultura alienata con cui il capitalismo ha bombardato la potenza orgastica e la volontà di vivere e di godere a vantaggio di un consumismo che in nome di un piacere di vivere pubblicitario è arrivato a mettere in scena dopo Hiroshima anche Fukushima mon amour.

I suoi calcoli sono viziati da un'intenzione dolosa soggiacente: continuare a produrre valore economico in nome di un progresso della servitù volontaria che si è trasmutato in un'apocalisse in progress.

Certo ci vuole energia, mica siamo primitivisti, ma per godere della vita e non per perderla nel tentare di guadagnarsela dal punto di vista economico.

Il loro economicismo, ancor peggio se inconscio e in buona fede, è comunque una fede e come tale partecipa oggettivamente all'irradiazione di oppio dei popoli che ha trasformato la civiltà del lavoro in una trappola mortale.

Opporsi a questo processo viene prima dei numeri. Sostenere oggi in qualunque modo l'energia nucleare rileva di un negazionismo scientifico dell'intelligenza sensibile, la sola che persegue l'umanità dell'uomo e della donna. E' un crimine contro l'umanità di cui si finirà per rendere conto di fronte agli uomini se sopravviveremo al nucleare o di fronte alla natura se deciderà senza interpellarci che il troppo stroppia e spazzerà via una specie snaturata e il suo 125 KWh/d di energia pro capite.

Sergio Ghirardi

Energia sostenibile senza aria fritta Di Dario Bressanini, Il Fatto del 29-3-201l

È immaginabile un futuro prossimo senza combustibili fossili? Può una nazione avanzata utilizzare solo energie rinnovabili? Molti scienziati predicano la necessità di ridurre l’uso dei combustibili fossili per ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera. E se questo non bastasse c’è chi pensa che il picco del petrolio sia ormai dietro l’angolo. E se anche non lo fosse condizioni economiche e geopolitiche potrebbero rendere questo combustibile molto costoso. Insomma, è il caso di porsi seriamente queste domande.

Prima o poi il petrolio finirà, ma sole e vento ci saranno ancora, per cui è opportuno investire in questa direzione. Spesso però ci si focalizza troppo sulla fattibilità economica dei vari metodi di produzione di energia mancando completamente il quadro generale. Si discute se l’eolico sia più o meno costoso del nucleare, ma ci si dimentica di chiedersi quanto vento c’è per far girare le pale e quanto uranio è rimasto sulla terra. Lasciamo quindi da parte per un attimo le considerazioni economiche: il costo di produzione di un kWh (kilowattora) varia a seconda del luogo, della legislazione, del mercato, della maturità di una tecnologia e così via. Dobbiamo invece porci una domanda più fondamentale: le limitazioni intrinseche (le leggi fisiche ad esempio, o la superficie disponibile in un paese) quali restrizioni impongono ai vari modi di produrre energia? In altre parole, anche ammettendo che produrre un kWh di energia eolica o solare sia gratis, quanta energia al massimo posso sperare di produrre?

Il progresso tecnologico e le diverse condizioni di mercato possono rendere competitiva una fonte energetica, ma non possono cambiare le leggi di natura: anche aumentando l’efficienza odierna dei pannelli solari non si può aumentare la quantità di energia solare che cade su un metro quadro. La turbina eolica più efficiente dipende comunque dalla velocità e dalla disponibilità del vento, e così via.

David MacKay è un fisico dell’Università di Cambridge. Irritato dalla vaghezza numerica e dalla mancanza di punti fermi che spesso contraddistingue le discussioni pubbliche sull’energia, MacKay si è seduto al tavolino e, armato delle leggi della fisica, ha stimato il potenziale teorico di tutte le principali fonti energetiche rinnovabili. Raramente discorsi scientifici quantitativi e ricchi di numeri arrivano sui media, che spesso invece danno più risalto a intellettuali e filosofi come Serge Latouche, il teorico della decrescita. Discutendo di energia e di consumi è invece obbligatorio partire dai numeri e dai dati accertati. Considerazioni politiche, economiche, sociali etc. sono benvenute e necessarie, ma non possono prescindere dai fatti e dalle leggi fisiche che, volenti o nolenti, regolano questo universo.

Il Kilowatt (kW) è una misura di potenza, cioè di energia prodotta (o consumata) in un certo intervallo di tempo. Se moltiplichiamo (non dividiamo) una potenza per un intervallo di tempo, ad esempio un’ora, otteniamo l’energia totale prodotta (o consumata, lasciamo perdere la questione che in realtà l’energia si trasforma): in questo caso un kilowattora (kWh = kW moltiplicato per 1 h). Vi confesso che quando leggo articoli, anche su questo sito, che parlano di energia, non appena trovo un errore così grossolano mi viene la voglia di smettere di leggere, e mi chiedo comunque che affidabilità possa avere un articolo scritto da chi mostra di non conoscere l’ABC dell’argomento. Come sosteneva Antonio Pascale nel suo articolo per Saturno di qualche settimana fa, dareste credito ad un articolo letterario che esordisce dicendo che Dante ha scritto il Decameron? No di certo. Ecco, per gli argomenti scientifici è la stessa cosa.

Conscio di questi problemi di comunicazione, MacKay per parlare di produzione o consumi energetici sceglie di usare un’unica unità di potenza “a misura d’uomo”: il kilowattora per giorno per persona (kWh/d per persona). Il cittadino europeo medio consuma 125 kWh/d. Possiamo visualizzare questo consumo “personale” in termini di lampadine: è come se ognuno di noi tenesse accese 125 lampadine da 40W per 24 ore al giorno. L’americano medio consuma il doppio: 250 kWh/d mentre il consumo energetico medio di un essere umano sulla terra è di 56 kWh/d.

Un kWh/d è anche grossolanamente la potenza che potremmo avere da uno “schiavo umano personale”, quindi se usiamo 125 kWh/d è come se avessimo 125 servitori alle nostre dipendenze.

Rinnovabili

Le fonti rinnovabili hanno solitamente una bassa densità per area. Hanno cioè bisogno di grandi superfici per poter ricavare grandi quantità di energia. MacKay analizza il fotovoltaico, i biocarburanti, le maree, il solare termodinamico, l’eolico, il geotermico e così via, e per ognuno stima la potenza prodotta in watt per metro quadro di superficie utilizzata. MacKay analizza anche, sempre dallo stesso punto di vista, la produzione da energia nucleare. E questo perché è difficile, per non dire impossibile, parlare di “sostenibilità” e di “autosufficienza” energetica se non si mettono sul tavolo contemporaneamente tutti numeri in gioco.

Consideriamo ad esempio l’energia eolica. I parchi eolici in zone ventose ad esempio producono 2 watt per metro quadro. MacKay calcola che se, realisticamente, si coprisse anche il 10% della superficie britannica, l’eolico non fornirebbe più di 20 kWh/d: un sesto del consumo energetico medio attuale. Le coltivazioni per biocarburanti forniscono 0,5 watt per metro quadro. Se tutta la superficie britannica ora dedita ad agricoltura (il 75% del totale) venisse sfruttata per produrre biomassa combustibile, otterremmo 24 kWh/d. Ben lontani dai 125 kWh/d. E non dimentichiamoci che dobbiamo pure produrre mele e zucchine! Con il fotovoltaico non siamo messi meglio, e MacKay mostra come riempire i tetti delle abitazioni di pannelli può certo fornire una percentuale importante del proprio consumo personale di energia elettrica, ma per incidere sul consumo energetico totale è necessario un utilizzo su larga scala di campi solari.

Implacabili i numeri mostrano come al livello attuale dei consumi britannici (e probabilmente di altri paesi densamente popolati come l’Italia) anche sommando eolico, solare, biocarburanti, idroelettrico e altre fonti rinnovabili non è possibile purtroppo sostituire i combustibili fossili. E che in ogni tipo di opzione le rinnovabili debbano occupare una frazione significativa della superficie di un paese come la gran Bretagna. E questo senza neppure considerare i costi economici e le svariate opposizioni alle diverse forme di produzione energetica. MacKay stima che in Gran Bretagna tenendo conto dell’opposizione sociale attualmente le rinnovabili non possano fornire più di 18 kWh/d per persona. Siamo quindi molto lontani da 125. Le alternative puramente numeriche sono quella di ridurre notevolmente i consumi oppure di utilizzare fonti energetiche con una alta densità di energia per metro quadro, come le centrali nucleari. Una opzione per i paesi ricchi potrebbe essere quella comperare energia prodotta all’estero, magari in un deserto dove si possono produrre fino a 20 watt per metro quadro.

“Ogni piccolo risparmio aiuta” MacKay non è tenero verso la retorica del “ogni piccolo risparmio aiuta”.

“Non illudetevi. Per raggiungere il nostro obiettivo di eliminare i combustibili fossili le riduzioni nella domanda e l’aumento dell’offerta devono essere grandi. Non fatevi distrarre dal mito che “ogni piccolo accorgimento aiuta”. Se ognuno fa una piccola parte otterremo solo una piccola cosa. Dobbiamo fare molto. Ciò che è richiesto sono grandi cambiamenti nella domanda e nell’offerta. “Ma sicuramente se 60 milioni di persone fanno un piccolo gesto, sommati tutti insieme non otterremmo qualche cosa di grosso?” No. Questo “se tutti facessero” è solo un trucco moltiplicativo per far sembrare grande qualche cosa di piccolo.”Certo, moltiplicando un piccolo risparmio per 60 milioni otteniamo un numero che sembra molto grande. Dopo tutto l’abbiamo ottenuto moltiplicando per 60 milioni! Purtroppo questi numeri, fuori dalla portata “umana”, li dobbiamo confrontare con numeri enormemente più grandi.

Consumi e soluzioni

MacKay non si limita a sfatare alcuni miti e a riportare sulla terra le discussioni a ruota libera sul futuro energetico, ma offre anche dei suggerimenti e delle possibili soluzioni. Uno ovvio è quello di ridurre i consumi poiché è più facile risparmiare un kWh che generarne uno. Prendendo però di mira i settori che più contribuiscono e non perdendosi in mille rivoli inconcludenti. Riscaldamento e trasporti consumano la maggior parte dell’energia. Preoccuparsi di tutti gli apparecchi in standby della casa può portare ad una rispettabile riduzione dell’8% del consumo elettrico casalingo (fonte IEA) ma non certo un contributo significativo rispetto al totale. È come pretendere di svuotare il Titanic con un cucchiaino.

In Gran Bretagna ben 40 kWh/d di quei 125 kWh/d sono attribuibili al trasporto su auto e altri 40 kWh/d al riscaldamento. È qui che ha senso cercare di aggredire i consumi energetici, non certo con l’autoproduzione del burro o del sapone, per dire ;-) , che possono essere attività gratificanti a livello personale (io ogni tanto faccio il burro) ma nulla più.

L’elettrificazione di tutti i trasporti ridurrebbe le emissioni di CO2 aumentando l’efficienza. Le auto elettriche moderne consumano 15 kWh per 100 km, mentre le auto a benzina dai 70 ai 90 kWh. Un treno ad alta velocità invece è efficientissimo: consuma solo 3 kWh per passeggero per 100 km se a pieno carico, “solo” il triplo di una bicicletta con il suo singolo kilowattora.

Per il riscaldamento degli edifici, a supplemento del solare termico, MacKay suggerisce un uso massiccio delle pompe di calore, anche queste funzionanti a elettricità, oltre alle misure per ridurre la dispersione termica.

MacKay non propende per nessuna tecnologia in particolare, ma sostiene che, con i numeri sul tavolo, ogni paese deve disegnare un piano energetico che copra totalmente i bisogni. A chi lo accusa di essere pro-nucleare lui risponde che è solo pro-aritmetica, e che i numeri parlano da soli.

Le sue stime possono essere rese più precise, ma il vero valore di questo approccio è nel mostrare un metodo per le discussioni pubbliche sulle scelte energetiche. “Numeri, non aggettivi” dice MacKay. “Qualsiasi discussione sensata sull’energia richiede dei numeri”. Lo scopo dichiarato di MacKay è quello di mettere in grado il pubblico di avere delle discussioni sensate sull’energia e di prendere decisioni informate. In Italia avremmo un gran bisogno di un approccio così. C’è qualche fisico che voglia adattare il libro di MacKay alla situazione italiana?

sabato 26 marzo 2011

Obsolescenza o emancipazione

La prima pagina di Liberation del 25 marzo 2011 porta un titolo cubitale: NUCLEARE: e se ci fermassimo?

Riprendendo il titolo di un giornale della resistenza e sotto l’ala di un Sartre maoistizzato, Liberation nasce dopo il ’68, nei primi anni settanta, come l’interprete ideologico di una sinistra oscillante tra ricomposizione e decomposizione. Molto postcomunista, poco postgauchista e decisamente postrivoluzionario, il giornale della Paris qui s’eveille toujours trop tard incarna il superamento fittizio di un vecchio mondo che la novlingua alternativa ha congelato, garantendone la conservazione.

Io non sono un devoto di questo foglio ( né di nessun altro, del resto) che leggo al mattino, mescolato alla rinfusa con tutti gli altri, dall’Humanité al Midi Libre e persino L’Equipe, la cui sensibilità politica, affiorante sotto i calci a un pallone o a una corsa in bicicletta, spesso anticipa le dubbie scelte peresonali del petit peuple della democrazia spettacolare.

Prendendo il caffè nel bar del mio buen retiro campagnolo, mi faccio un’idea, mobile per quanto possibile, del rapporto tra realtà e interpretazione nell’universo spietato e assurdo della società dello spettacolo, prima di leggermi Il Fatto su Internet in modo da non rimpiangere affatto di non stare più con il culo in Italia.

Oggi, però, il nucleare unifica il mondo aldilà di ogni distanza e oltre tutte le ideologie e non è più possibile sottrarsi a una scelta di campo da cui dipende l’avvenire anche fisico dell’umanità.

Poche balle, nuclearisti allucinati o antinuclearisti terrorizzati, la questione che unifica il pianeta sotto la sua radiosa ecumenicità è una sola: nucleare sì o nucleare no?

Se persino la Francia, paese più nuclearizzato del mondo (secondo in numero di reattori agli Stati Uniti, ma primo per percentuale di produzione di elettricità attraverso il nucleare) si pone la questione, solo un’Italia definitivamente in mano alla logica mafiosa più spinta potrebbe fare a meno di titubare prima di reintegrare il clan degli irradianti e non solo quello, ormai planetario, degli irradiati.

Lo so, nel bel paese della libera spazzatura, si farà finta di riflettere per un anno prima di ricominciare a fondo con la pubblicità in favore del nucleare, dopo aver eventualmente archiviato un ennesimo referendum imbarazzante. Che sfiga: primo referendum sul nucleare perso subito dopo Chernobyl e ora che si stava per risolvere - fondendolo nel nocciolo - il problema della spazzatura di Napoli, ecco che arrivano i giapponesi con i loro sushi al plutonio e un secondo referendum previsto per giugno..

Per un paese intimamente cattolico, dovrebbe essere imbarazzante decidere di fare agli altri quel che non si vorrebbe fosse fatto a sé, ma si sa che, “purché se magna”, c’è un rimedio a tutto e che la confessione del peccatore e le indulgenze del clero hanno sempre fatto miracoli, a Lourdes come al Quirinale. Quindi acqua in bocca, e tra un anno si ricomincia come niente fosse.

Bisogna riconoscere che la Francia, pur se marcata dalla nomea di figlia maggiore della Chiesa cattolica e romana, ha saputo essere - e va tutto a suo onore - una figlia degenere. Tagliata qualche testa al clero più privilegiato in nome dei diritti dell’uomo, non ha saputo, però, in tempi moderni davvero degni di Charlot, resistere alla tentazione di integrare laicamente e imperialmente lo sfruttamento dell’atomo nello sfruttamento del lavoro astratto degli esseri umani, attività diffusa su tutto il pianeta come cinica base della civiltà produttivistica.

Così, ora che da Hiroshima a Fukushima (con una piccola deviazione per Three Miles Island e Chernobyl) il ciclo dell’apocalisse nucleare annuncia in giapponese i suoi titoli di coda, non resta ai francesi che farsi piccoli piccoli dietro la loro grandeur e porsi, persino loro, la dannata questione: e se ci fermassimo?

Se si fermano loro, il nucleare è finito, e se già osano anche solo ipotizzare in astratto una simile ipotesi, vuol dire che il nucleare ha altrettanto piombo nelle ali che mox nei reattori. Quel che ancora non si sa, è invece se l’umanità potrà sopravvivere alla fine di questa energia mortifera o se la scomparsa della specie umana sarà il danno collaterale finale.

La prima novità dopo Fukushima, è che il discorso costantemente reimbobinato dei nuclearisti viaggia ormai nell’etere come un mantra demenziale per chiunque non sia malato della sindrome del dottor Stranamore.

Chi li ascolta più per davvero, ‘sti pazzi furiosi? Blaterano di discorso razionale, pretendono di non farsi mai prendere dall’emozione - facile per loro, la cui sola emozione sopravvissuta alla lobotomia economicista è il fruscio delle banconote nelle loro tasche.

Sottolineano spudoratamente il “fatto” che in fondo dopo cinquanta anni di nucleare i danni sono minimi. Obliterano, nel loro razionalismo morboso e demenziale, i fatti che li contraddicono: la spazzatura ineliminabile delle scorie pestilenziali e il fatto che quei “danni minimi” sono già milioni di morti accertati e la garanzia che l’orrore delle nascite e delle morti orribili durerà per innumerevoli generazioni.

Non si sa neppure se il magma radioattivo che circola sul pianeta sia totalmente inoffensivo oppure no, né si sa ancora come andrà a finire nella centrale di Fukushima che la Tepco ha cercato di salvare per cinico calcolo economico (è venuto alla luce che avrebbero potuto inondare subito i reattori provocando una immediata e definitiva chiusura della centrale, ma hanno preferito, mettendo in pericolo la vita umana e l’ambiente, aspettare nella speranza di riuscire a salvare i loro mezzi di produzione di valore aggiunto e accessoriamente di energia). Intanto, un intero battaglione multinazionale di untori mercenari va all’assalto, manipolando le già false coscienze di una popolazione di consumatori asserviti la cui idiozia è ricattata dallo spauracchio di un ritorno all’età della pietra.

Non si accorgono, en passant, che è proprio il disatro nucleare che avanza che sta per riportare l’umanità all’età della pietra. Il ritorno alla candela è già un’ipotesi concreta per molti giapponesi orfani di un’elettricità nucleare la cui luce è oscuramente crepuscolare.

E se ci fermassimo?

A pagina due di Liberation si parla di scelta: la catastrofe obbliga a pensare e, si spera, ad agire.

Ci si chiede se il nucleare è un destino ineluttabile per la Francia (e dunque a maggior ragione per il mondo, Italia inclusa) e per la prima volta la risposta non è più perentoria. Tutt’altro.

A pagina 3 si passa poi, chiaramente all’azione (virtuale, ovviamente): il nucleare come se ne esce.

Liberarsi dell’atomo, nonostante la Francia produca con le centrali nucleari più del 75% della sua elettricità, è possibile a condizione di scommettere sulla sobrietà e sull’investimento nelle energie rinnovabili. Certo non in un giorno, privilegio che hanno invece quei paesi che per fortuna il nucleare lo hanno finora evitato per la saggezza della popolazione e non certo dei loro politici avidi di commissioni e mazzette.

Laddove l’ipotesi di decrescita economica è considerata un oscurantismo da salotto o da marginali da parte dei servitori volontari e suicidi dei paesi industriali e produttivisti, s’ipotizza, qui, chiaramente, una rivoluzione antiproduttivistica, poiché, per una volta, si osa analizzare la sensibilità in forte crescita della decrescita senza farne una caricatura ridicola.

Del resto a farne una caricatura ci pensano già abbastanza gli stessi militanti spiritualisti di una decrescita spesso miseramente ridotta a una nuova morale di sacrificio, esaltata talvolta persino come una asfittica visione del mondo. “Decrescita o barbarie” pigolano i nuovi intellettuali nel vecchio salotto della mondanità politica, sognando di essere eletti dal popolo. Obiettori di crescita ancora uno sforzo per diventare rivoluzionari!

È inevitabile, tuttavia, che popolazioni e individui educati da millenni alla voluttà perversa del sacrificio e della sofferenza, approffittino facilmente dell’occasione per fare della sobrietà una nuova cintura di castità. E gli edonisti da supermercato che riducono il piacere al consumo di cose inutili e spesso dannose, sono pronti a dar loro il cambio denunciando quest’orribile cintura in nome di un desiderio alienato. Travestono così della loro verità ideologica la menzogna che li presenta come i difensori di un piacere di vivere rappresentato in maniera oscena dalle pitture naives che ornano le ciminiere delle centrali al plutonio.

Perché, oltre ogni morale, è sul piano biologico che l’osceno si mostra.

Un po’ come riempire di film porno la casa di qualcuno che non ha mai fatto l’amore. Al massimo, se un giorno diventa ricco si pagherà il bunga bunga, guardando amorevolmente nello specchio delle sue brame narcisiste, il “tombeur des femmes” a tassametro le cui piccole eiaculazioni nevrotiche non hanno niente a che spartire con l’amore sensuale.

Gli edonisti da supermercato confondono l’orgasmo genitale con il possesso a cui si abbandonano fallicamente, ignorando la gratuità e il dono su cui si fondano i desideri naturali che forgiano il sano egoismo degli individui sociali giunti alla poesia generosa di esseri umani. Ma lasciamo stare la digressione sull’energia vitale dell’amore per tornare alla crisi di quella mortifera del nucleare.

Sobrietà si diceva, da applicare con intelligenza sensibile, laddove l’eccesso anziché piacere produce disastri. La sobrietà non impedisce l’eccesso ma lo regola, ne limita i danni e ne prolunga gli effetti positivi. La sobrietà significa rinuncia solo per chi ha la cultura del sacrificio.

Io non voglio rinunciare a niente, neppure all’automobile, voglio liberarmene. Non si tratta di rinunciare all’elettricità necessaria ma di liberarsi del nucleare prima che sia troppo tardi.

Se siete così ingenui da chiedere un parere sul senso della vita a un mercante d’armi non stupitevi che faccia l’elogio della guerra .

Non si tratta di guardare agli orrori e ai crimini contro l’umanità da pacifisti contemplativi quanto di agire per la pace in radicale alternativa alla guerra. In alcuni casi ci si può ritrovare con i fucili in mano. Bisogna allora assumere una tale tragedia, chiedendosi dove si è sbagliato per non ripetere mai più l’errore.

Lo Stato nucleocrate è la prima lobby dell’atomo, denuncia Liberation, sempre in terza pagina. Per questo si assiste a un tale colpevole ritardo nel settore delle energie rinnovabili.

La scelta dell’atomo civile discende dalla scelta militare di dissuasione nucleare voluta da DeGaulle e rafforzatasi nel 1973 come risposta al primo choc petrolifero. Ne è risultata una tecnostruttura monopolistica composta dal Commissariato all’energia atomica (CEA) e EDF (Elettricità Di Francia). Il tutto nelle mani del Corps des Mines, una élite di ingegneri fondata nel 1810 in pieno impero napoleonico, uscita principalmente dall’Ecole Polytechnique. Questi specialisti della tecnica e del business guidano da più di un secolo gli affari dell’industria francese sia sul piano politico che per quel che concerne la direzione dei grandi gruppi. Una tale endogamia ha oscurato quasi completamente la maggior parte delle questioni riguardanti l’atomo (vedi in proposito il comunicato della CRIIRAD del 23 marzo).

Fino all’arrivo degli ecologisti, tutta l’assemblea nazionale francese era quasi unanimemente per il “tutto nucleare”, dal Partito Comunista all’UMP, passando per i socialisti.

L’effetto di una tale situazione è l’attuale fortissima dipendenza dall’atomo con quasi 80% di elettricità di origine nucleare.

La pagina quattro di Liberation conclude questo rapido ma fondamentale giro di pista che socchiude la porta di una possibile rottura del tabù nucleare francese. Si osa addirittura ipotizzare un dopo a cui tendere: bisogna lavorare sulla sobrietà energetica.

Appunto, sobrietà in relazione alla precauzione che dovrebbe spingere chiunque a rifiutare il rischio apocalittico implicito, e ormai tristemente verificato empiricamente più volte, nel nucleare.

Nella stessa pagina, un ultimo articolo denuncia le incongruenze e il mito delle centrali di terza generazione (la quarta è soltanto virtuale): “Un responsabile di EDF - racconta lo scienziato Jacques Foss - mi ha detto che i motori diesel delle pompe dell’EPR (reattore di terza generazione alla cui installazione è implicata anche l’Italia denuclearizzata, fino a prova contraria) sarebbero stati anche loro inondati da un’onda delle dimensioni di quella di Fukushima”. Con i risultati, o quasi, che sono sotto gli occhi di tutti e in presenza, per di più, di una carica energetica ben superiore.

Niente panico, fifoni: tutto ciò è altamente improbabile. Ancor di più di quanto già lo fosse a Fukushima.

A proposito di Fukushima, un’ultima notiziola, nel caso fosse sfuggita alla stampa italiana in tut’altre faccende affaccendata : Masataka Shimizu, padrone della Tepco è sparito nel nulla dal 13 marzo, secondo giorno seguente lo tsunami, dopo essersi banalmente scusato “per avere causato dell’ansia e delle nocività agli abitanti vicini alla centrale, alla Prefettura di Fukushima e al paese intero”. Questo vicepresidente della Keidanren, equivalente della Confindustria italiana, è ancora a capo (harakiri permettendo) di una società valutata in 40 miliardi di cifra d’affari in euro nel 2010, e ha nel suo comitato direttivo quasi tutti i grandi nomi del produttivismo giapponese (Mizuho, Toyota, Canon, Ajinomoto, ANA, Mitsui, Sumitomo…).

Forse, sempre con sobrietà e misura, per affrontare la questione del superamento del nucleare bisognerà ricominciare dalla critica dell’economia politica.

E se ci fermassimo? Finché c’è tempo.

Sergio Ghirardi