giovedì 17 marzo 2011

PER UN ROVESCIAMENTO DI PROSPETTIVA




Nucleare, consumi e presa di coscienza

di Debora Billi, sul Fatto del 16 marzo 2011


Sostiene Ferruccio Sansa, in un post uscito ieri nel suo blog e molto discusso, come occorra parlare finalmente di energia senza ipocrisia. Sono sicuramente d’accordo, e in particolare trovo dirompente la domanda che finalmente pone, senza mezzi termini: In Italia noi vogliamo tutto: vogliamo consumare quantità immense di energia, ma non accettiamo il nucleare. Questo è il vero nodo da sciogliere: siamo disposti, come io credo sia possibile, a cercare di ridurre drasticamente i nostri consumi oppure accettiamo fonti di produzione di energia che comportano rischi?

L’età media degli italiani è 44 anni. Questo significa che la maggior parte di noi ricorda perfettamente come si viveva nel 1981, trent’anni fa. Se ci pensiamo bene, la qualità del nostro quotidiano non era molto diversa da quella odierna: stesse case, stesse automobili, stesso stile di vita e stessi comfort. Eppure, il consumo di energia elettrica era circa la metà di quello di oggi. Ciò significa che di spazio per il risparmio energetico ce n’è in abbondanza, e si potrebbe riuscire a “ridurre drasticamente i nostri consumi” quasi senza accorgercene e certo senza finire nella capanna o a dorso di mulo.

Ed è inoltre vero, come sottintende Sansa, che la scelta tocca a noi: rispetto al 1981, si è ridotta la domanda industriale ed è cresciuta quella per gli usi civili, che oggi rappresenta oltre il 50% dei consumi elettrici. Questo ci rende più che mai responsabili delle nostre scelte, individuali prima e politiche poi. Per respingere con forza l’idea delle centrali nucleari non è sufficiente quindi la logica del “not in my backyard”; occorre aver preso davvero coscienza che l’energia elettrica e l’energia in generale non sono inesauribili, non sono prive di costi umani ed economici, e soprattutto non sono un bene a poco prezzo per diritto divino da cui attingere illimitatamente e per ogni sciocchezza ci salti in testa.

Nel momento in cui tutti capiremo questo, la politica seguirà. Le scelte strategiche diventeranno anche scelte logiche, perché lo stesso irrazionale sistema economico in cui ci ritroviamo, che prevede consumi e sprechi deliranti per riuscire a reggersi in piedi, dovrà scontrarsi con la nostra presa di coscienza e la nostra domanda di sicurezza energetica per il futuro. La mamma, nel 1981, ci ricordava di spegnere la luce uscendo dalla stanza. Il suo atteggiamento era quello giusto per potersi permettere di dire no con forza e a testa alta alle centrali nucleari. Quel misero 5% di energia in più che ci fornirebbero tali centrali ce lo produciamo allora da soli, con il semplice impiego di un po’ di buonsenso. Che è, quello sì, un’energia inesauribile, ma talvolta di assai difficile reperimento.

Ghirardi Sergio scrive: il 17 marzo 2011

Penso che non sia affatto tua intenzione ma parli di ridurre drasticamente i propri consumi come se, sotto sotto, fosse una tragedia, un dovere, uno sforzo etico in fondo sopportabile. Così sei già preda della trappola pubblicitaria che inventa da decenni bisogni irrinunciabili che non avevamo mai desiderato prima.

La rivoluzione culturale e sociale auspicabile non è figlia del sadomasochismo cristiano. Non si tratta di rinunciare all’automobile ma di liberarsene, usandola ancora a dosi omeopatiche se e finché è necessaria. Gli esempi in tal senso sono infiniti e ognuno può sperimentarne qualcuno a sua scelta scoprendo un vero piacere attivo affinato e non il gusto frustrante della rinuncia. Lo stesso vale per tutti i consumi: generalizzare il privilegio di sostituire il più possibile la qualità scelta alla quantità subita. Già questo cambierebbe tutto, rovescerebbe la prospettiva trasformando i gourmands in gourmets, i golosi in buongustai.

E’ la cultura fourierista (rimossa ed esorcizzata quanto le teorie di W. Reich sull’orgasmo che vanno nello stesso senso emancipatorio) di un piacere non alienato ma armonico con la natura umana e la natura in generale, il solo superamento auspicabile della società dei consumi e del totalitarismo economicista che ne propaganda la truffa.

Certamente un essere umano libero tende al piacere: si tratta di non abbandonare questa tendenza nelle mani di pubblicitari e apprendisti stregoni che manipolano l’inconscio nell’ottica del redditizio.

L’economia originaria era quella del dono e non dello scambio. Ripartendo dalle radici si può eliminare gioiosamente tutta la parte di progresso alienato senza ritornare alle caverne, ma soprattutto affinando il piacere di vivere. La transizione sarà anche difficile, ma non quanto è doloroso e complicato sopravvivere nella civiltà dello sfruttamento e dell’alienazione.

Molti ci stanno pensando e sperimentano gioiosamente la possibilità di una tale rivoluzione. Si tratta di ampliare il gioco per far finire l’incubo.

Ho già commentato ieri su Barravento l’articolo di Sansa a cui fai riferimento e ribadisco quel che ho già accennato: chissà se c’è ancora tempo ma, per fortuna, come mi piace ripetere, non c’è scelta: solo il meglio potrà scongiurare il peggio che avanza. Non c’è più niente da perdere se non delle nubi radioattive e il corollario di piaceri fittizi di una civiltà moribonda che uccide i suoi figli e prepara l’incubo per i suoi eventuali sopravvissuti.