domenica 6 marzo 2011

Sul concetto di storia - W. Benjamin XI

Il conformismo, che fin dall'inizio è stato di casa nella socialdemocrazia, non è connesso solo con la sua tattica politica, ma anche con le sue idee economiche. Esso è una causa del suo successivo crollo. Non c'è nulla che abbia corrotto i lavoratori tedeschi quanto la persuasione di nuotare con la corrente. Per loro lo sviluppo tecnico era il favore della corrente con cui pensavano di nuotare. Di qui era breve il passo all'illusione che il lavoro di fabbrica, che si troverebbe nel solco del progresso tecnico, rappresenti un risultato politico. La vecchia morale protestante del lavoro festeggiava, in forma secolarizzata, la sua resurrezione fra gli operai tedeschi. Il programma di Gotha porta già in sè tracce di questa confusione. Esso definisce il lavoro come "la fonte di ogni ricchezza e di ogni cultura". Presagendo il peggio, Marx vi contrapponeva il fatto che l'uomo non ha altra proprietà se non la sua forza-lavoro, "non può non essere lo schiavo degli altri uomini che si sono fatti.... proprietari". A scapito di questo, la confusione si espande ulteriormente, e poco dopo Josef Dietzgen annuncia: "Il salvatore dell'epoca moderna si chiama lavoro. Nel miglioramento.... del lavoro ... sta la ricchezza, che adesso può compiere ciò che nessun redentore ha finora compiuto". Questo concetto volgarmarxistico di ciò che è il lavoro, non si sofferma a lungo sulla questione di come il prodotto del lavoro agisca sui lavoratori stessi finché essi non possono disporne: vuol tenere conto solo dei progressi del dominio della natura, non dei regressi della società. Esso mostra già i tratti tecnocratici che più tardi s'incontreranno nel fascismo. A questi tratti appartiene un concetto di natura che contrasta malauguratamente con quello delle utopie socialiste prequarantottesche. Il lavoro, come ormai viene inteso, ha per sbocco lo sfruttamento della natura, che viene contrapposto, con ingenua soddisfazione, allo sfruttamento del proletariato. Confrontate con questa concezione positivistica, le fantasticherie che tanto hanno contribuito alla derisione di un Fourier, mostrano di avere un loro senso sorprendentemente sano. Secondo Fourier, il lavoro sociale ben organizzato avrebbe avuto come conseguenza che quattro lune illuminassero la notte terrestre, il ghiaccio si ritirasse dai poli, l'acqua di mare non sapesse più di sale, e gli animali feroci entrassero al servizio degli uomini. Tutto ciò illustra un lavoro che, ben lontano dallo sfruttare la natura, è in grado di sgravarla dalle creazioni che, in quanto possibili, sono sopite nel suo grembo. Al concetto corrotto di lavoro appartiene, come suo completamento, quella natura che, come ha detto Dietzgen, "è là gratuitamente".

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Mi piace usare un concetto di Bookchin, trovato in "Ecologia della libertà" e cioè che "l'umanità non è altro che la natura al suo massimo grado di evoluzione" La mia lettura di questa tesi di Benjamin (le sottolineature sono mie) potrebbe sintetizzarsi così:

Dopo aver rigettato e combattuto modelli sempre più sofisticati e perversi (neo-sociologici o new-age) smascherando le reali intenzioni di cordate dirigiste smaniose di instaurare le più o meno velate neo-dittature del proletariato, sempre in cerca di ridefinizione del "soggetto" al fine di poter carpire da ciascuno il misero frutto dello "sforzo sociale" se non della "forza lavoro" per l'inseguimento di una società (non più ingenuamente con piani quinquennali di sviluppo più o meno tecnologico bensì con ecumenici quanto fasulli richiami alla natura, al benessere, alla democrazia, alla giustizia, alla pace che con un unico blitz intendono tenere in ostaggio gli esseri umani e la natura) il "lavoro" più importante, l'unico che valga la pena di fare è quello di "riprendere il comando di noi stessi" in quanto per ri-crearci, in un gioco di "armonie" foureriane e di "affinamento" come lo intende Vaneigem, come esseri umani e non prodotti o produttori della merce.

gilda