Ecco qui, tradotto di getto dal francese per Barravento, un articolo, secondo me interessantissimo, di A. Sinaï che sviluppa e affina una sensibilità molto vicina ad alcuni miei commenti recenti sul nucleare.
Sergio Ghirardi
Fukushima o la fine dell’antropocene
Le Monde del 18-3-2011: articolo di Agnès Sinaï, giornalista specializzata sull’ambiente, maître de conférences a Sciences Po, Parigi, cofondatrice dell'Istituto Momentum.
Lo tsunami che ha colpito il nordest del Giappone e le esplosioni consecutive nella centrale nucleare di Fukushima formano un incastro implacabile di catastrofi umane, geologiche e psichiche.
L’intrecciarsi degli elementi naturali con gli oggetti industriali fa del nostro pianeta un laboratorio a cielo aperto: nessun luogo della terra sfugge più alla sperimentazione. Se esiste un epicentro geologico naturale del terremoto che ha devastato il nordest dell’isola di Honshu, la centrale di Fukushima rappresenta l’epicentro simbolico dell’era dell’antropocene.
Dall’inizio dell’epoca industriale, Homo faber si è eretto in forza geologica centrale e onnipotente. Quest’epoca è cominciata duecento anni fa con l’inizio della rivoluzione industriale. Oggi tutti i cicli della biosfera sono modificati dalle attività umane – ciclo del carbonio, dell’acqua, del fosforo…
I glaciologi misurano sul fondo dei ghiacci polari un dosaggio eccessivo di gas a effetto serra apparsi dopo l’inizio dell’industrializzazione, di un’ampiezza inedita in rapporto agli 800.000 anni precedenti. Le condizioni chimiche attuali, stravolte, non sono più soltanto naturali.
Gli elementi non hanno mai conosciuto una trasformazione così rapida. L’energia ottenuta dal carbone, dal petrolio e dall’uranio ha conferito a Homo faber una capacità accelerata di sfruttamento e di distruzione della natura.
Il lancio di due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki ha segnato il parossismo di quest’epoca dell’antropocene. L’energia elettronucleare ha il suo peccato originale nell’esplosione della bomba atomica.
Uranio e plutonio sono oggi associati nel combustibile MOX, fiore all’occhiello dell’industria nucleare francese. “Ecologiche” perché derivate dal riciclaggio di una parte delle scorie altamente radioattive, “confinate” in barili e piscine oggi sventrate a Fukushima, queste materie – le più pericolose del pianeta – alimentano interruttori, radiatori, refrigeratori, treni ad alta velocità e fabbriche.
Da quando, nel corso della seconda metà del XX° secolo, il consumo e lo stordimento di massa sono diventati uno stato di natura, i fornitori di energia nucleare si sono rivestiti dei costumi sfavillanti di una “movida” mondiale presentata come forza d’emancipazione. La recente pubblicità di Areva non mostra forse una centrale nucleare a ridosso di una spiaggia immaginaria, simile a Copacabana oppure a Sendai prima dello tsunami, dove impazza la festa al suono di una musica techno lobotomizzante?
L’antropocene è anche questo: un’era di esuberanza che abolisce l’angoscia, dove l’automobile e lo schermo piatto sono diventati dei diritti umani fondamentali. Un’era di assuefazione, dove la produzione di mezzi è diventata il fine dell’esistenza. Un’era di accelerazione, dove la crescita che riposa sul ciclo senza fine della produzione e del consumo, deve produrre un numero sempre maggiore di oggetti inutili per coloro che ne hanno già troppi. Questa è la logica stessa del produttivismo.
Il volume degli oggetti elettro-industriali sorpassa la capacità di comprensione della nostra immaginazione e dei nostri sentimenti, ha scritto il filosofo Gunters Anders. Che il Giappone, arcipelago vulnerabile, già colpito da due bombe atomiche, abbia potuto consentire la costruzione di cinquantaquattro reattori nucleari su una faglia sismica, illustra senza dubbio il disarmo dell’umano intendere di fronte alle sue strabilianti costruzioni.
Fino al giorno in cui…il sonno della coscienza produce dei mostri. Le bombe a scoppio ritardato – nucleari, climatiche, chimiche – cominciano a esplodere. Ci siamo.
Di fronte alle rovine delle città distrutte, al sapore del futuro che non è più lo stesso, il terrore non finisce mai. La riparazione dei danni immensi s’annuncia lunga e pesante, ammettendo che sia possibile. La panne e l’esplosione del recinto di contenzione dei reattori atomici sono, invece, dell’ordine dell’irreparabile e dell’irreversibile. Intere zone saranno per sempre vietate come nel film Stalker di Tarkovski.
L’energia nucleare è di un altro ordine temporale rispetto alla forza tellurica delle placche tectoniche o al fuoco dei vulcani. Lo scatenamento degli elementi ha rivelato la dismisura e la fragilità delle macchine termoindustriali.
L’umanità attrice e vittima di questa dismisura, ha creato le condizioni della sua vulnerabilità, diventando un motore di trasformazione geologico più pericoloso delle forze della Terra. Oggi l’esplosione della centrale di Fukushima ci dice che abbiamo appuntamento con l’uscita di scena fracassante dell’antropocene. Questa catastrofe ci intima di sviluppare una sorta di vigilanza non tributaria del ritmo delle macchine della termo-industria.
La fine dei tempi che si svolge nel nordest del Giappone sollecita un sussulto, una presa di coscienza dell’inanità delle forme della crescita attuale, fondate su una sete terrificante d’energia, per il più gran profitto momentaneo di qualche azienda planetaria. Le società devono ritrovare il senso perduto per inventare dei sistemi a misura umana, robusti e cooperativi.
Il testo originale in francese :
Le tsunami qui a frappé le nord-est du Japon et les explosions consécutives dans la centrale nucléaire de Fukushima forment un emboîtement implacable de catastrophes humaines, géologiques et psychiques.
L'imbrication des éléments naturels avec les objets industriels fait de notre planète un laboratoire à ciel ouvert : aucun lieu de la Terre n'échappe plus à l'expérimentation. S'il y a bien un épicentre géologique naturel du tremblement de terre qui a dévasté le nord-est de l'île d'Honshu, la centrale de Fukushima, elle, représente l'épicentre symbolique de l'ère de l'anthropocène.
Depuis les débuts de l'époque industrielle, Homo faber s'est érigé en force géologique centrale et toute-puissante. Cette époque a commencé, il y a deux cents ans, avec les débuts de la révolution industrielle. Aujourd'hui, tous les cycles de la biosphère sont modifiés par les activités humaines - cycle du carbone, de l'eau, du phosphore...
Les glaciologues mesurent au fond des glaces polaires un surdosage de gaz à effet de serre apparu depuis les débuts de l'industrialisation, d'une ampleur inédite par rapport aux 800 000 années précédentes. Les conditions climatiques actuelles, bouleversées, ne sont plus seulement naturelles.
Jamais les éléments n'ont connu de transformation si rapide. L'énergie tirée du charbon, du pétrole et de l'uranium a conféré à Homo faber une capacité accélérée d'exploitation et de destruction de la nature.
Le largage de deux bombes atomiques sur Hiroshima et Nagasaki a marqué le paroxysme de cette ère de l'anthropocène. L'énergie électronucléaire trouve son péché originel dans l'explosion de la bombe atomique.
Uranium et plutonium sont aujourd'hui associés dans le combustible Mox, qui fait la fierté de l'industrie nucléaire française. "Ecologiques", car issues du recyclage d'une partie des déchets hautement radioactifs, "confinées" dans des fûts et des piscines aujourd'hui éventrées à Fukushima, ces matières - les plus dangereuses de la planète - alimentent des interrupteurs, des radiateurs, des réfrigérateurs, des trains à grande vitesse et des usines.
La consommation et l'étourdissement de masse étant devenus un état de nature au cours de la deuxième moitié du XXe siècle, les fournisseurs d'électricité nucléaire ont revêtu les paillettes d'une "movida" mondiale présentée comme force d'émancipation. La récente publicité -d'Areva ne montre-t-elle pas une centrale nucléaire à proximité d'une plage imaginaire, semblable à Copacabana ou à Sendai avant le tsunami, où bat son plein une fête au son d'une techno lobotomique ?
L'anthropocène, c'est aussi cela : une ère d'exubérance qui abolit l'angoisse, où l'automobile et l'écran plat sont devenus des droits humains fondamentaux. Une ère d'addiction, où la production de moyens est devenue la fin de l'existence. Une ère d'accélération, où la croissance, qui repose sur le cycle sans fin de la production et de la consommation, doit produire toujours plus d'objets inutiles pour ceux qui en ont déjà trop. C'est la logique même du productivisme.
Le volume des objets électro-industriels excède la capacité de compréhension de notre imagination et de nos sentiments, écrit le philosophe Günther Anders. Que le Japon, archipel vulnérable, déjà frappé par deux bombes atomiques, ait pu consentir à ériger cinquante-quatre réacteurs nucléaires sur une faille sismique illustre sans doute le désarmement de l'entendement humain face à ses créations sidérantes.
Jusqu'au jour où... le sommeil de la conscience engendre des monstres. Les bombes à retardement - nucléaires, climatiques, chimiques - commencent à exploser. Nous y sommes.
Face aux vestiges des villes détruites, face à la texture du futur, qui n'est plus la même, l'effroi n'en finit pas. La réparation des dégâts immenses s'annonce lourde et longue, si tant est qu'elle soit possible. Mais la panne et l'explosion de l'enceinte de confinement des réacteurs atomiques relèvent de l'irréparable et de l'irréversible. Des zones entières vont être interdites à jamais, comme dans le Stalker, de Tarkovski.
L'énergie nucléaire est d'un autre ordre temporel que la force tellurique des plaques tectoniques ou que le feu des volcans. Le déchaînement des éléments a révélé la démesure autant que la fragilité des machines thermo-industrielles.
L'humanité, actrice et victime de cette démesure, a créé les conditions de sa vulnérabilité en devenant un moteur de transformation géologique plus dangereux que les forces de la Terre. Aujourd'hui, l'explosion de la centrale de Fukushima nous dit que nous avons rendez-vous avec la sortie fracassante de l'anthropocène. Cette catastrophe nous intime de déployer une forme d'éveil non tributaire du rythme des machines de la thermo-industrie.
La fin des temps qui se déroule dans le nord-est du Japon sollicite un sursaut, une prise de conscience de l'inanité des formes de la croissance actuelle, fondées sur une soif terrifiante d'énergie, pour le plus grand profit momentané de quelques firmes planétaires. Les sociétés doivent se ressaisir afin d'inventer des systèmes à taille humaine, résilients et coopératifs.