C’è un solo aggettivo per definire il momento attuale: osceno.
Mentre in Libia un popolo si fa sterminare dal dittatore che ha in mano lo Stato e tutt’intorno si disquisisce come al solito su intervento sì, intervento no, su fly zone o non fly zone, come se i libici potessero aspettare le brigate internazionali che non esistono per salvare la pelle da un Gheddafi che intende sterminarli con l’acquiescenza di governi democratici, di eroici intellettuali coraggiosamente schierati ideologicamente nei loro salotti, strateghi di equilibri internazionali o Clausewitz di una rivoluzione mitica che condividono uno stesso voyeurismo mentre i mafiosi politici di ogni risma si fregano le mani di fronte a tanta idiozia.
Quel che nessuno degli uomini del potere planetario vuole in Libia, è che continui il fragile esperimento di democrazia diretta che quasi inconsciamente hanno messo in piedi i rivoltosi della Cirenaica.
Magari un così nobile e ingenuo tentativo sarebbe fallito da solo, recuperato da burocrati o terroristi, socialdemocratici o democristiani, islamisti o tifosi di calcio, CIA, Mossad o KGB, magari la loro assenza di capi anziché nella democrazia consigliare sarebbe finita tra le mani di qualche Cetto la qualunque. Lo stesso Gheddafi ne è uno, con le stigmate arcaiche e grottesche del dittatore da operetta ma in grado di fare immensi danni prima di essere sostituito - come un Saddam Hussein qualunque - da una comunità internazionale sempre opportunisticamente severa, a posteriori, con gli amici di merenda di un tempo.
Il fatto è che la comunità mafiosa internazionale, fatta di Stati che prosperano sul business, non può accettare nemmeno per un giorno che una tale autonomia da parte di soggetti che si ribellano alla storia autoritaria del capitalismo e dei suoi critici vigliacchi e cinici faccia dei proseliti, faccia venire delle idee a tutti i diversi dannati della terra.
I civilissimi detentori di qualunque potere presente o a venire sui cittadini spettatori temono la pandemia di libertà che finirebbe per appendere l’ultimo burocrate con le trippe dell’ultimo professionista della politica, l’ultimo capitalista con quelle dell’ultimo cultore di una società teocratica, l’ultimo soldato con il filo spinato dell’ultimo campo di concentramento, l’ultimo razzista con le catene dell’ultimo stakanovista.
Dal punto di vista umano, quando qualcuno è in pericolo, lo si aiuta prima ancora di valutare gli effetti di quest’aiuto, senza tuttavia impedirsi di essere lucidi sulla situazione e sui suoi evidenti sviluppi possibili. Si aiuta l’altro consapevolmente, per solidarietà con lui e con noi stessi, perché non si può davvero godere della vita senza allargare il proprio io egoista a un egoismo collettivo che fonda l’essere sociale dell’uomo. Non si può combattere l’alienazione restando gli schiavi opportunisti di una visione alienata del mondo e del potere che confisca le qualità migliori di esseri umani incompiuti.
Gheddafi era altrettanto pazzo, cinico e fanatico ieri che oggi. E pure l’altro ieri, ma la sua pazzia è sempre stata valutata col metro dell’interesse e della strategia economicista. Amico o nemico, dittatore o patriota a seconda delle fluttuazioni del prezzo del petrolio e del mercato delle armi. Quelle stesse armi, italiane francesi o americane che siano, che stanno facendo a pezzi i rivoltosi. Sull’import-export non si discute né si fanno sentimentalismi.
Dopo Parigi, anche Tripoli val bene una mussa.
Per questo, ancora una volta, io che sono decisamente antiamericano, nel senso che so bene l’uso cinico e imperialista che gli Stati Uniti (mica per caso si chiamano Stati, uniti non è che un aggettivo di complemento così come i nomi delle cosche ornano di un folclore particolare la loro oggettiva partecipazione al fenomeno mafioso) hanno sempre fatto dei loro storici interventi, ebbene, io sono per le “utopiche” brigate internazionali, poi, come seconda scelta, per l’interposizione miserevole dell’ONU e, come ultima tragica necessità, pure per l’intervento di chiunque spezzi sul momento il predominio fascista di un esercito reazionario che avanza e distrugge ogni resistenza.
Certo, sta ai libici di decidere del loro destino, ma nessun calcolo strategico deve impedire di stare concretamente dalla parte della volontà fragile e spontanea di un popolo d’individui in pericolo non solo di libertà, ma di sopravvivenza. Come negli anni quaranta, come sempre e comunque.
Per quel che riguarda noi, nel tempo presente e in quello a venire, pensiamo piuttosto a uscire dai salotti, a rivoltarci e scioperare nelle nostre vite quotidiane fino a impedire, con tutti i mezzi, la pax americana, se di americana si tratta.
Antiamerikani di tutti i paesi smettete di lavorare e l’Amerika ( e non solo) è fottuta.
Lo Stato - ogni Stato - ha storicamente trasformato tutte le nazioni psicogeografiche in territori mafiosi gestiti da uomini di malaffare (politici, propagandisti, tecnici e soldati) dediti al business al punto da ridurre la politica alla gestione - mafiosa, evidentemente, o democratico-spettacolare, se preferite - degli affari a ogni costo.
Nella società dello spettacolo trionfante, quelli stessi che si alzano nei salotti come dei Bakunin redivivi contro il capitalismo liberale, si trasformano subito in Thiers senza scrupoli, pieni di remore e di distinguo quando è il culo altrui a rischiare lo sterminio. C’è sempre tempo per la retorica e il cordoglio, sempre negli stessi salotti e magari qualcuno pure in qualche chiesa ornata di croci e di tricolori, con Benigni che sacralizza l’inno di Mameli. Osceno!
Ogni posizione attuale sulla situazione libica è in realtà oscena perché svela il segreto di Pulcinella che nella società spettacolare i cittadini sono solo dei quaquaraqua portati periodicamente a votare come si porta un novantenne rincoglionito a fare pipì. L’osceno, però, è planetario: lo sterminio dei libici è favorito dallo tsunami giapponese e dalla sindrome nucleare che si è reinnestata nel sol levante.
Oltre ai morti asiatici della catastrofe giapponese, i sopravvissuti dovranno includere nel bilancio complessivo delle vittime anche quelli fatti a pezzi sul bordo del mediterraneo nel silenzio assordante e ipocrita di tutte le istituzioni internazionali.
Intanto, l’oscenità globale avanza proprio come uno tsunami travolgendo tutto: l’obsolescenza dell’uomo intrinseca al nucleare è un velo di Maya comodo per tutte le alienazioni perché il grado di apocalisse evocato da quest’energia mortifera è senza comune misura. La fine della specie diventa concretamente (e si potrebbe aggiungere finalmente, considerato il livello di alienazione raggiunto) immaginabile in un istante.
Il ballo intorno al nucleare è l’osceno che li comprende tutti. Mentre ogni peggio è possibile e il panico e l’impotenza arrivano al parossismo, la lobby nucleare e gli stessi Stati che ne gestiscono l’operatività redditizia attuano una comunicazione pubblicitaria a tappeto sul business del secolo. La manipolazione è talmente grossolana che finisce col suo folle cinismo per produrre una trasparenza involontaria. Proprio il modo con cui nascondono e falsificano volgarmente le informazioni, il paternalismo suadente e lo sguardo vuoto di chi sa di mentire perché si sente anch’egli intimamente in pericolo, i giudizi dissennati e deliranti con cui si condiscono degli spot pubblicitari insensati travestiti da analisi, tutto ciò rende trasparente il disprezzo per l’umanità (compresa la loro) di tutti gli apprendisti stregoni mercenari di un benessere a pagamento il cui prezzo è la vita stessa.
Diventa in un sol colpo evidente come un naso in mezzo agli occhi che l’umanità uscirà molto presto inevitabilmente dal nucleare: quel che non si sa è se ne uscirà viva.
L’energia è per una società industrializzata la fonte primaria d’interessi economici devastanti. La devastazione fisiologica e morale che ne segue non è che una conseguenza ambientale e sociale dell’alienazione che è alla radice del funzionamento di una società capitalistica.
Fatta pipi ed evacuata la paura istintiva di fronte all’evidenza apocalittica dei fatti, il cittadino torna alla sua demenza senile coltivata e le sue sadiche badanti possono dunque riprendere a tessere impunemente le lodi del nucleare con chiari interessi mafiosi, senza rischiare - almeno per ora - di essere linciati come untori. Non aspettano neanche che il rischio in corso sia definito, anzi, si affrettano a sparlare con pseudoscientificità paranoica proprio nel momento stesso in cui i reattori di un paese all’avanguardia tecnologica stanno esplodendo come i fuochi d’artificio di un capodanno impazzito, accendendo gaiamente i motori di un possibile olocausto planetario.
Non sanno quello che dicono ma non c’è proprio nessuna ragione per perdonarli.
Lo hanno detto e ripetuto: “È improbabile che si tratti di un’altra Chernobyl”.
IMPROBABILE!
Quelli che pretendono di avere sotto controllo tutte le variabili essenziali di un’energia apocalittica confessano come Eichmann a Gerusalemme di avere solo ubbidito agli ordini e di non avere nessuna conoscenza di quel che può succedere. Siamo alla versione democratico-spettacolare della banalità del male. Osceno!
Inutile affinare oltre le analisi, informarsi sullo stato reale delle cose. Un dato è ormai certo: sono pazzi per il denaro e sono irrevocabilmente malati.
Quando un essere umano di fronte al fuoco che avanza bruciando la prateria disquisisce sul tipo di carne da cuocere alla brace sul barbecue e sugli effetti benefici del fuoco quando fa freddo, non ci si può accontentare di dubitare delle sue capacità di pompiere, non si può più dire solo che è un cattivo politico, né che esprime molto probabilmente dei pareri interessati e mercenari.
Si è ben oltre. Quel che è certamente in fusione è il nocciolo sensibile dell’intelligenza, si tocca il patologico e a questo bisogna confrontarsi: il potere è impazzito.
Siamo di nuovo in mano a pazzi osceni e stavolta pure particolarmente stupidi. Nessun voto ci salverà dal loro delirio. Bisogna internarli politicamente, impedire loro di nuocere per sempre.
Tra i crimini contro l’umanità bisogna certamente inserire esplicitamente quello di “non assistenza a specie in pericolo”, ma nell’immediato non urgono i tribunali. Urge, piuttosto, una rivolta che tolga il potere dalle mani della “ubris” feticista dell’economia politica, una rivoluzione che abroghi il sistema dominato da quelli che adorano il denaro impazzito.
Per loro, dopo Parigi e Tripoli, persino l’olocausto nucleare, da Hiroshima a Fukushima, val bene una mussa. Magari anche due.
Io ve l’avevo ben detto che sono pazzi!
Sergio Ghirardi