Per la serie vecchie novità
da non dimenticare, ho tradotto quest’illuminante intervista di un altro secolo
che, in realtà, e in un certo senso purtroppo, è più attuale che mai.
Sergio Ghirardi
Intervista di R.Pol Droit a C.
Castoriadis pubblicata martedì 10 dicembre 1991 su Le Monde.
P. Nel 1985 Lei
considerava la marginalizzazione di tutti i partiti politici “un processo che avrebbe accompagnato e
permesso la rinascita dell’autentica passione politica di ciascuno per la vita
democratica”. Una tale marginalizzazione sembra oggi in corso ma l’apatia
domina sul risveglio. Come lo spiega?
C. Per evitare i malintesi, mi piacerebbe
restituire il contesto della frase citata: “Una
vera liberazione delle energie… passa per la marginalizzazione di tutti i
partiti politici esistenti, per la creazione da parte del popolo di nuove forme
di organizzazione politica fondate sulla democrazia, sulla partecipazione di
tutti, sulla responsabilità di ciascuno rispetto agli affari comuni - in breve,
per la rinascita di un vero pensiero politico e di una passione politica,
entrambi lucidi sui risultati della storia dei due ultimi secoli”. (Domaines de l’homme, pag. 116-17).
IL
ruolo e il potere dei partiti sono tra i fattori che scavano lo scarto enorme
tra le pretese “democratiche” dei nostri regimi e la loro realtà. Questo ruolo
conosciuto e analizzato da più di un secolo, resta superbamente ignorato dalla
“filosofia politica” contemporanea, come dalle Costituzioni (salvo una menzione
verbale nella Costituzione francese) [quella
italiana menziona addirittura la forma partito come centro vitale della vita
politica, ndt].
Il
potere politico effettivo è detenuto dai partiti, organismi burocratici
dominati da apparati auto cooptati. I “rappresentanti del popolo” sono dei
rappresentanti dei partiti da loro designati e imposti agli elettori. Ne
consegue la barzelletta della pretesa separazione dei poteri: il partito
maggioritario governa, esegue e legifera, intervenendo anche sul giudiziario
negli affari che gli importano.
Non
si tratta di vizi francesi [né solo
italiani, la cui specificità è la diffusione, la frequente concomitanza mafiosa
e l’ignominia, ndt], lo stesso
avviene dappertutto (la relativa eccezione degli Usa dipende dal fatto che
maggioranza presidenziale e maggioranza al Congresso non sono sempre
coincidenti). Questa struttura burocratica dei partiti rinvia al processo
generale di burocratizzazione della società capitalista contemporanea. Ogni
organizzazione è obbligata dalle disposizioni del sistema a conformarsi se
vuole esistere al suo interno (è il caso degli ecologisti). La rinascita di un
movimento democratico dovrà passare per la creazione do nuove forme di organizzazione
politica. [Così si spiega
semplicemente l’attuale ansia burocratica della Finocchiaro a escludere per
legge il M5s dal consorzio politico istituzionale, ndt].
P. Non si
riescono a distinguere i segnali dell’apparizione di un tale movimento.
[Un
ventennio dopo, quest’affermazione dell’intervistatore è chiaramente contraddetta,
pur se in modi diversi e fragili, in tutto il bacino mediterraneo e non solo: i
segnali d’indignazione laica e di rivolta sono ormai planetari anche se il
progetto di emancipazione resta impalpabile e l’apatia diffusa, ndt].
C. No. Quel che domina è l’apatia - quella che
da trent’anni io chiamo la privatizzazione. I partiti vi giocano anche loro un
ruolo: rinforzano l’apatia, la quale rinforza i partiti. Ognuno si ripiega sulla
sua sfera privata, lasciando così il campo ancora più libero agli apparati di
partito. Il rischio è che lo scoraggiamento e il disgusto, sempre più
manifesti, verso il personale politico suscitino uno slancio nei confronti di
qualche salvatore. Rischio reale, poiché la società si percepisce come IN
CRISI.
P. “Il sentimento di essere in crisi costituisce
la crisi stessa”, intende dire, con questo, che la società si crede in
crisi mentre non lo è?
C.
No, lo è davvero, ma non si deve cercare la crisi con criteri tradizionali, in
“fatti obiettivi”. Certo la situazione di molti settori è intollerabile, ma la
situazione “obiettiva” della Francia, come degli altri paesi ricchi, non è
catastrofica. Le persone, tuttavia, hanno il sentimento che tutto sia bloccato
e più profondamente che tutto sia vano. Questo conta. Il sentimento di essere
in crisi costituisce la crisi stessa. [Un
ventennio dopo, la crisi e il sentimento in questione sono al parossismo, ndt].
P. Da che
dipende questo sentimento?
C.
Da una miriade di fattori, situati a profondità diverse. In Francia, c’è
l’enorme disillusione di fronte alla politica socialista, di cui si scopre che
essa è una gestione ortodossa del capitalismo liberale. Si è votato per i
socialisti nel 1981, poi nel 1988 affinché qualcosa cambiasse nella società Che
cosa è cambiato? Nulla. Il fatto è ufficialmente riconosciuto. I dirigenti
socialisti si battono il petto (vedi i libri di Fabius, Jospin ecc.) gridando:
se non ci amano più, è colpa nostra. Dobbiamo inventare qualcos’altro. E come
nelle opere italiane, si canta senza fine: partiam, partiam, restando sempre in
scena. [il ventennio
berlusconiano ha solo complicato e reso grottesco, in Italia, un processo analogo
che ha mescolato l’Opera con un’arte canagliesca della commedia, ndt].
Si
tratta di mettere in discussione tutto un modo di vita e di concepirne un
altro. I socialisti ripetono in coro: inventiamo, inventiamo - e non inventano
niente. In Inghilterra, negli USA, reaganismo e thatcherismo hanno arricchito i
ricchi, mantenuto i poveri nella povertà, accelerato la decomposizione della
società. Il capitalismo postbellico aveva, bene o male, funzionato come un
capitalismo intervenzionista (keynesiano). Con la sua svolta liberale si è
rituffato nei disequilibri che rendono di nuovo una grande depressione
possibile [al giorno
d’oggi, di fatto in atto, ndt].
A
un livello più profondo, però, altri fattori ben più pesanti agiscono. Secondo
la sua ideologia esplicita, questa società non ha alcun progetto collettivo e
non deve averne. Gli individui sono pregati di dare un senso alla loro vita
indipendentemente da ogni quadro e da ogni progetto collettivo - il che è una
totale assurdità. Ogni nascituro dovrebbe dunque inventarsi la propria lingua? La
lingua è dunque un semplice modo di comunicazione, un codice informatico,
oppure porta in sé tutti i significati attraverso i quali un mondo esiste per
la società e la società in se stessa?
Con
tutta evidenza, infatti, nella società contemporanea gli individui non forgiano
proprio nulla, sono completamente imbevuti dai significati immaginari che li
socializzano. Dedicarsi al gioco del “narcisismo individualista” vuol
semplicemente dire scimmiottare quel che altri 50 o 100 milioni di persone
fanno nello stesso momento. Il contenuto concreto dell’“individualismo”
contemporaneo è strettamente sociale. È la faccia individuale del progetto
capitalista: aumentare senza limiti la produzione e il consumo. C’è dunque
preconfezionato, nonostante le fanfaluche del discorso dominante, un progetto
sociale che non risulta semplicemente dai progetti individuali né è liberamente
scelto dagli individui mentre predetermina le scelte e i progetti individuali
con altrettanta forza, pur se in diversa maniera, di qualunque società eteronima.
Ora,
questo progetto è insieme assurdo e indegno ed io credo che la sua capacità di
presa cominci a dare segni d’usura. La gente si accorge che l’obiettivo
centrale della vita umana non può essere quello di cambiare auto ogni tre anni
anziché sei. Tuttavia, non possono trovare in se stessi, finora, la risorsa per
andare oltre. I significati immaginari del capitalismo si svuotano senza che la
società riesca a farne emergere altri. In un certo senso non c’è troppo da
meravigliarsi, poiché non si tratta solo di creare una nuova concezione
politica, ma di mettere in discussione tutto un modo di vita per concepirne un
altro, visto che nella società dei consumi, regno dei partiti burocratici, il
potere del denaro, la potenza dei media e la “superficializzazione” della cultura sono intimamente legati e
solidali.
[A che punto siamo, un ventennio dopo,
con il progetto immutato e con l’usura cresciuta? ndt].
P. La politica
dei socialisti francesi non è certo la sola in causa: Non pensa che il crollo
del comunismo contribuisca anche, in misura importante, a creare questo
sentimento di assenza di progetto?
C.
Viviamo un’epoca che subisce in modo accumulato e condensato i risultati del
crollo, progressivo o subitaneo, delle due forme di cui si è rivestito, nei
tempi moderni, il progetto d’emancipazione, il progetto d’autonomia sociale e
individuale: il grande liberalismo, incarnato finalmente dalla Repubblica
capitalista e il socialismo, mostruosamente sfigurato dal totalitarismo
comunista o reso sciapo e vuoto della sua sostanza dalla socialdemocrazia.
Il
primo “disincanto del mondo”, risultante dal ritiro della religione, era stato
condizionato ma anche compensato da questi progetti che preservavano un lato
“religioso” nel senso che invocavano esplicitamente un senso globale, immanente
alla storia umana e indipendente dall’azione degli uomini (o risultato
automatico di essa): il progresso. La società attraversa, ora, un secondo
disincanto, costatando che il “progresso” liberale (capitalista) è vuoto di
senso e che il “progresso” comunista rappresentava una caduta in inferno.
La
lunga serie di choc - processi di Mosca, patto germano-sovietico, asservimento
dell’Europa dell’Est, nuovi processi, repressione delle rivolte in Ungheria, in
Polonia e in Cecoslovacchia, ecc. - percepiti sordamente perfino dai militanti
comunisti (individui da tempo psichicamente sfaldati e ventriloqui), culmina
ora nella polverizzazione dei regimi comunisti e nelle rivelazioni irrefutabili
della loro mostruosità. Il che è ovviamente sfruttato dai porta parola della società
dominante. Si bombardano le persone da mattina a sera con il mantra che la
prova dell’eccellenza del capitalismo è data, che non devono più immaginare
altro che quello che esiste: capitalismo e consumo, l’umanità ha raggiunto il
suo ultimo destino. Se proponete qualcosa d'altro, nel migliore dei casi siete
un dolce utopista inoffensivo, nel peggiore un Pol Pot in erba [mutatis mutandis,
oggi la panoplia del servitorame
volontario si serve di altre icone terroriste e nichiliste per coltivare nei
media un amalgama perverso tra estremismo e radicalismo che produce consenso
terrorizzato ndt].
Nessun
vero avvenire possibile, circuito chiuso storico. Obbligo che paralizza
l’immaginazione e le attività politiche; rinforzarsi dell’apatia e del ripiego
sulla sfera privata che consolidano a loro volta il blocco. Condizioni che
rendono di nuovo possibili sbocchi regressivi, come il ripiego sul
nazionalismo.
P. L’ecologia
potrebbe permettere di ritrovare un progetto?
C.
Soltanto se il movimento ecologista si liberasse della sua cecità politica. Un
cambio di atteggiamento verso la natura è indispensabile. Dobbiamo disfarci dei
fantasmi del controllo e dell’espansione illimitati, smettere lo sfruttamento
senza limiti del pianeta, coabitare con lui amorevolmente, come un giardiniere
con un giardino inglese. Ciò esige, però, e implica pure un altro atteggiamento
nell’orientamento globale della vita sociale riguardo agli esseri umani nella
società; la responsabilità di tutti rispetto all’ambiente è inseparabile da quella
di tutti di fronte agli affari pubblici. Ecologia e radicalizzazione della
democrazia sono condizioni contemporanee indissociabili. Questo gli ecologisti
non lo vedono perché non vogliono “fare politica” – il che non impedisce loro
di fare della micro politica politicante del tipo più tradizionale.
P. Come si
manifesta nella cultura questa perdita di orizzonte della società
contemporanea?
C.
Vi trova la sua esatta traduzione in un mucchio di fenomeni. Un pubblico che
s’interessa sempre di più soltanto al consumo istantaneo dei “prodotti
culturali”: l’emissione di una sera è dimenticata l’indomani, espulsa dalla successiva.
Nulla si traccia, si scava, si costruisce. Memoria estremamente friabile e
regressione ideologica senza precedenti: gli economisti contemporanei hanno
“dimenticato” sia i classici sia i grandi economisti degli anni 30, così come i
pensatori della democrazia hanno “dimenticato” le critiche della
rappresentazione o la dimensione socio-economica e antropologica di ogni regime
politico. I “creatori” sono diventati degli ingranaggi di quell’enorme
meccanismo in cui le opere sono diffuse senza critica, vendute a un pubblico
sempre più sprovvisto di selezione e discernimento. Competizione spesso
disonesta tra scienziati (“affare Gallo”) [relativo alle scoperte
sull’Aids, ndt]. Deteriorarsi
generale dei criteri.
P. Quale
dovrebbe essere oggi il compito della filosofia?
C.
Altro sintomo della decomposizione contemporanea: si proclamano la fine della
filosofia, la chiusura della metafisica, le virtù di un “pensiero debole” quando
i compiti della filosofia sono più importanti e difficili che mai per questa semplice
ragione: il “materiale” - quel che va pensato - si moltiplica e si fa sempre
più complesso, proprio quando le strutture ereditate del pensiero sono a terra.
La
filosofia deve pensare tutto il pensabile - cioè, tutto quello che è dato nella
nostra esperienza; non solo il fatto che si dà ma come si dà. Quattro ambiti di
questa esperienza: l’universo logico matematico, il mondo fisico, la vita e il
dominio umano, psichico e socio storico, costituito dall’emergere
dell’immaginario sociale e dell’immaginazione psichica. Esiste una molteplicità
di livelli dell’essere e una molteplicità di senso del termine essere: uno
spazio di Hilbert, una particella quantica, un sistema immunitario, una
struttura nevrotica e una religione non esistono nello stesso modo e non
possono essere pensati secondo le stesse categorie. Ciò mostra già nell’essere
una potenza di formazione di livelli altri, auto sviluppo che si opera come
deiscenza, separazione, spezzettamento attraverso il quale sussiste, tuttavia,
un’enigmatica unità. In ognuno di questi ambiti, vediamo l’essere come caos,
abisso senza fondo – creazione interminabile, inesauribile, insondabile; e
nello stesso tempo come cosmo, ordine relativo e molteplicità bene o male
organizzata, senza la quale non potremmo né parlare né esistere.
Inoltre,
la relazione tra il caos e il cosmo fisico non è visibilmente la stessa di
quella tra il caos e il cosmo socio storico. Delucidare tutto ciò esige la
creazione di nuovi significati (non “concetti”) filosofici – cosa evidentemente
impossibile se si riduce la filosofia a un’ermeneutica o a una “decostruzione”
dei filosofi del passato, accompagnata da un’ignoranza crassa dello stato
dell’esperienza e del sapere contemporanei.
P. Lei pratica
la psicanalisi. Come la situa in rapporto alle scienze?
C.
La psicanalisi non è “scienza positiva”, perché quantificazione,
sperimentazione e osservazione riproducibile a volontà non vi hanno senso. Ciò
non toglie nulla alla sua importanza maggiore. Siamo degli esseri psichici, la
nostra socializzazione implica rimozione, il nostro psichismo è dunque, per
l’essenziale, inconscio. Il senso (e il a-senso) inconscio condiziona pesantemente
i nostri atti e i nostri pensieri. Attraverso la sua delucidazione, la
psicanalisi mira ad aiutare il soggetto a realizzare la sua autonomia, a
diventare una soggettività contemporaneamente aperta sul suo inconscio e capace
di riflessione e di deliberazione.
P. Qual è per
Lei il legame tra questa autonomia individuale e l’autonomia sociale, o, più
esattamente, tra psicanalisi e democrazia?
C.
Non esiste legame diretto, ancor meno operativo, ma esiste una relazione
stretta nello spirito e negli obiettivi. Entrambe mirano alla liberazione
dell’immaginario creatore dell’essere umano, immaginario sociale o immaginario dell'essere
singolo. L’immaginario è la fonte della creazione umana, ma le sue opere non
hanno necessariamente in sé un valore positivo: poemi e deliri, cattedrali e
campi di concentramento ne derivano ugualmente. L’autonomia - la libertà - non
è solo l’abolizione degli obblighi esterni o delle compulsioni psichiche; è
anche lo stabilirsi di un altro tipo di rapporto tra le nostre spinte profonde,
individuali o collettive, e le istanze capaci di farne la cernita, di dar loro
forma o di impedir loro di manifestarsi nella realtà. È il ruolo della
soggettività che riflette e delibera sul piano individuale, delle istituzioni
democratiche sul piano collettivo. La democrazia è infatti il regime della
riflessività collettiva e della libertà autolimitata. Su questo piano, progetto
psicanalitico e progetto politico democratico si congiungono.