martedì 11 giugno 2013

LA RINASCITA DEMOCRATICA DOVRÀ PASSARE PER LA CREAZIONE DI NUOVE FORME DI ORGANIZZAZIONE POLITICA



 
Corto Maltese rêveur
 
Per la serie vecchie novità da non dimenticare, ho tradotto quest’illuminante intervista di un altro secolo che, in realtà, e in un certo senso purtroppo, è più attuale che mai.
Sergio Ghirardi



Intervista di R.Pol Droit a C. Castoriadis pubblicata martedì 10 dicembre 1991 su Le Monde.

P. Nel 1985 Lei considerava la marginalizzazione di tutti i partiti politici “un processo che avrebbe accompagnato e permesso la rinascita dell’autentica passione politica di ciascuno per la vita democratica”. Una tale marginalizzazione sembra oggi in corso ma l’apatia domina sul risveglio. Come lo spiega?

C. Per evitare i malintesi, mi piacerebbe restituire il contesto della frase citata: “Una vera liberazione delle energie… passa per la marginalizzazione di tutti i partiti politici esistenti, per la creazione da parte del popolo di nuove forme di organizzazione politica fondate sulla democrazia, sulla partecipazione di tutti, sulla responsabilità di ciascuno rispetto agli affari comuni - in breve, per la rinascita di un vero pensiero politico e di una passione politica, entrambi lucidi sui risultati della storia dei due ultimi secoli”. (Domaines de l’homme, pag. 116-17).
IL ruolo e il potere dei partiti sono tra i fattori che scavano lo scarto enorme tra le pretese “democratiche” dei nostri regimi e la loro realtà. Questo ruolo conosciuto e analizzato da più di un secolo, resta superbamente ignorato dalla “filosofia politica” contemporanea, come dalle Costituzioni (salvo una menzione verbale nella Costituzione francese) [quella italiana menziona addirittura la forma partito come centro vitale della vita politica, ndt].
Il potere politico effettivo è detenuto dai partiti, organismi burocratici dominati da apparati auto cooptati. I “rappresentanti del popolo” sono dei rappresentanti dei partiti da loro designati e imposti agli elettori. Ne consegue la barzelletta della pretesa separazione dei poteri: il partito maggioritario governa, esegue e legifera, intervenendo anche sul giudiziario negli affari che gli importano.
Non si tratta di vizi francesi [né solo italiani, la cui specificità è la diffusione, la frequente concomitanza mafiosa e l’ignominia, ndt], lo stesso avviene dappertutto (la relativa eccezione degli Usa dipende dal fatto che maggioranza presidenziale e maggioranza al Congresso non sono sempre coincidenti). Questa struttura burocratica dei partiti rinvia al processo generale di burocratizzazione della società capitalista contemporanea. Ogni organizzazione è obbligata dalle disposizioni del sistema a conformarsi se vuole esistere al suo interno (è il caso degli ecologisti). La rinascita di un movimento democratico dovrà passare per la creazione do nuove forme di organizzazione politica. [Così si spiega semplicemente l’attuale ansia burocratica della Finocchiaro a escludere per legge il M5s dal consorzio politico istituzionale, ndt].

P. Non si riescono a distinguere i segnali dell’apparizione di un tale movimento.
[Un ventennio dopo, quest’affermazione dell’intervistatore è chiaramente contraddetta, pur se in modi diversi e fragili, in tutto il bacino mediterraneo e non solo: i segnali d’indignazione laica e di rivolta sono ormai planetari anche se il progetto di emancipazione resta impalpabile e l’apatia diffusa, ndt].

C. No. Quel che domina è l’apatia - quella che da trent’anni io chiamo la privatizzazione. I partiti vi giocano anche loro un ruolo: rinforzano l’apatia, la quale rinforza i partiti. Ognuno si ripiega sulla sua sfera privata, lasciando così il campo ancora più libero agli apparati di partito. Il rischio è che lo scoraggiamento e il disgusto, sempre più manifesti, verso il personale politico suscitino uno slancio nei confronti di qualche salvatore. Rischio reale, poiché la società si percepisce come IN CRISI.

P.Il sentimento di essere in crisi costituisce la crisi stessa”, intende dire, con questo, che la società si crede in crisi mentre non lo è?

C. No, lo è davvero, ma non si deve cercare la crisi con criteri tradizionali, in “fatti obiettivi”. Certo la situazione di molti settori è intollerabile, ma la situazione “obiettiva” della Francia, come degli altri paesi ricchi, non è catastrofica. Le persone, tuttavia, hanno il sentimento che tutto sia bloccato e più profondamente che tutto sia vano. Questo conta. Il sentimento di essere in crisi costituisce la crisi stessa. [Un ventennio dopo, la crisi e il sentimento in questione sono al parossismo, ndt].

P. Da che dipende questo sentimento?

C. Da una miriade di fattori, situati a profondità diverse. In Francia, c’è l’enorme disillusione di fronte alla politica socialista, di cui si scopre che essa è una gestione ortodossa del capitalismo liberale. Si è votato per i socialisti nel 1981, poi nel 1988 affinché qualcosa cambiasse nella società Che cosa è cambiato? Nulla. Il fatto è ufficialmente riconosciuto. I dirigenti socialisti si battono il petto (vedi i libri di Fabius, Jospin ecc.) gridando: se non ci amano più, è colpa nostra. Dobbiamo inventare qualcos’altro. E come nelle opere italiane, si canta senza fine: partiam, partiam, restando sempre in scena. [il ventennio berlusconiano ha solo complicato e reso grottesco, in Italia, un processo analogo che ha mescolato l’Opera con un’arte canagliesca della commedia, ndt].
Si tratta di mettere in discussione tutto un modo di vita e di concepirne un altro. I socialisti ripetono in coro: inventiamo, inventiamo - e non inventano niente. In Inghilterra, negli USA, reaganismo e thatcherismo hanno arricchito i ricchi, mantenuto i poveri nella povertà, accelerato la decomposizione della società. Il capitalismo postbellico aveva, bene o male, funzionato come un capitalismo intervenzionista (keynesiano). Con la sua svolta liberale si è rituffato nei disequilibri che rendono di nuovo una grande depressione possibile [al giorno d’oggi, di fatto in atto, ndt].
A un livello più profondo, però, altri fattori ben più pesanti agiscono. Secondo la sua ideologia esplicita, questa società non ha alcun progetto collettivo e non deve averne. Gli individui sono pregati di dare un senso alla loro vita indipendentemente da ogni quadro e da ogni progetto collettivo - il che è una totale assurdità. Ogni nascituro dovrebbe dunque inventarsi la propria lingua? La lingua è dunque un semplice modo di comunicazione, un codice informatico, oppure porta in sé tutti i significati attraverso i quali un mondo esiste per la società e la società in se stessa?
Con tutta evidenza, infatti, nella società contemporanea gli individui non forgiano proprio nulla, sono completamente imbevuti dai significati immaginari che li socializzano. Dedicarsi al gioco del “narcisismo individualista” vuol semplicemente dire scimmiottare quel che altri 50 o 100 milioni di persone fanno nello stesso momento. Il contenuto concreto dell’“individualismo” contemporaneo è strettamente sociale. È la faccia individuale del progetto capitalista: aumentare senza limiti la produzione e il consumo. C’è dunque preconfezionato, nonostante le fanfaluche del discorso dominante, un progetto sociale che non risulta semplicemente dai progetti individuali né è liberamente scelto dagli individui mentre predetermina le scelte e i progetti individuali con altrettanta forza, pur se in diversa maniera, di qualunque società eteronima.
Ora, questo progetto è insieme assurdo e indegno ed io credo che la sua capacità di presa cominci a dare segni d’usura. La gente si accorge che l’obiettivo centrale della vita umana non può essere quello di cambiare auto ogni tre anni anziché sei. Tuttavia, non possono trovare in se stessi, finora, la risorsa per andare oltre. I significati immaginari del capitalismo si svuotano senza che la società riesca a farne emergere altri. In un certo senso non c’è troppo da meravigliarsi, poiché non si tratta solo di creare una nuova concezione politica, ma di mettere in discussione tutto un modo di vita per concepirne un altro, visto che nella società dei consumi, regno dei partiti burocratici, il potere del denaro, la potenza dei media e la “superficializzazione” della cultura sono intimamente legati e solidali. [A che punto siamo, un ventennio dopo, con il progetto immutato e con l’usura cresciuta? ndt].

P. La politica dei socialisti francesi non è certo la sola in causa: Non pensa che il crollo del comunismo contribuisca anche, in misura importante, a creare questo sentimento di assenza di progetto?

C. Viviamo un’epoca che subisce in modo accumulato e condensato i risultati del crollo, progressivo o subitaneo, delle due forme di cui si è rivestito, nei tempi moderni, il progetto d’emancipazione, il progetto d’autonomia sociale e individuale: il grande liberalismo, incarnato finalmente dalla Repubblica capitalista e il socialismo, mostruosamente sfigurato dal totalitarismo comunista o reso sciapo e vuoto della sua sostanza dalla socialdemocrazia.
Il primo “disincanto del mondo”, risultante dal ritiro della religione, era stato condizionato ma anche compensato da questi progetti che preservavano un lato “religioso” nel senso che invocavano esplicitamente un senso globale, immanente alla storia umana e indipendente dall’azione degli uomini (o risultato automatico di essa): il progresso. La società attraversa, ora, un secondo disincanto, costatando che il “progresso” liberale (capitalista) è vuoto di senso e che il “progresso” comunista rappresentava una caduta in inferno.
La lunga serie di choc - processi di Mosca, patto germano-sovietico, asservimento dell’Europa dell’Est, nuovi processi, repressione delle rivolte in Ungheria, in Polonia e in Cecoslovacchia, ecc. - percepiti sordamente perfino dai militanti comunisti (individui da tempo psichicamente sfaldati e ventriloqui), culmina ora nella polverizzazione dei regimi comunisti e nelle rivelazioni irrefutabili della loro mostruosità. Il che è ovviamente sfruttato dai porta parola della società dominante. Si bombardano le persone da mattina a sera con il mantra che la prova dell’eccellenza del capitalismo è data, che non devono più immaginare altro che quello che esiste: capitalismo e consumo, l’umanità ha raggiunto il suo ultimo destino. Se proponete qualcosa d'altro, nel migliore dei casi siete un dolce utopista inoffensivo, nel peggiore un Pol Pot in erba [mutatis mutandis, oggi la panoplia del servitorame volontario si serve di altre icone terroriste e nichiliste per coltivare nei media un amalgama perverso tra estremismo e radicalismo che produce consenso terrorizzato ndt].
Nessun vero avvenire possibile, circuito chiuso storico. Obbligo che paralizza l’immaginazione e le attività politiche; rinforzarsi dell’apatia e del ripiego sulla sfera privata che consolidano a loro volta il blocco. Condizioni che rendono di nuovo possibili sbocchi regressivi, come il ripiego sul nazionalismo.

P. L’ecologia potrebbe permettere di ritrovare un progetto?

C. Soltanto se il movimento ecologista si liberasse della sua cecità politica. Un cambio di atteggiamento verso la natura è indispensabile. Dobbiamo disfarci dei fantasmi del controllo e dell’espansione illimitati, smettere lo sfruttamento senza limiti del pianeta, coabitare con lui amorevolmente, come un giardiniere con un giardino inglese. Ciò esige, però, e implica pure un altro atteggiamento nell’orientamento globale della vita sociale riguardo agli esseri umani nella società; la responsabilità di tutti rispetto all’ambiente è inseparabile da quella di tutti di fronte agli affari pubblici. Ecologia e radicalizzazione della democrazia sono condizioni contemporanee indissociabili. Questo gli ecologisti non lo vedono perché non vogliono “fare politica” – il che non impedisce loro di fare della micro politica politicante del tipo più tradizionale.

P. Come si manifesta nella cultura questa perdita di orizzonte della società contemporanea?

C. Vi trova la sua esatta traduzione in un mucchio di fenomeni. Un pubblico che s’interessa sempre di più soltanto al consumo istantaneo dei “prodotti culturali”: l’emissione di una sera è dimenticata l’indomani, espulsa dalla successiva. Nulla si traccia, si scava, si costruisce. Memoria estremamente friabile e regressione ideologica senza precedenti: gli economisti contemporanei hanno “dimenticato” sia i classici sia i grandi economisti degli anni 30, così come i pensatori della democrazia hanno “dimenticato” le critiche della rappresentazione o la dimensione socio-economica e antropologica di ogni regime politico. I “creatori” sono diventati degli ingranaggi di quell’enorme meccanismo in cui le opere sono diffuse senza critica, vendute a un pubblico sempre più sprovvisto di selezione e discernimento. Competizione spesso disonesta tra scienziati (“affare Gallo”) [relativo alle scoperte sull’Aids, ndt]. Deteriorarsi generale dei criteri.

P. Quale dovrebbe essere oggi il compito della filosofia?

C. Altro sintomo della decomposizione contemporanea: si proclamano la fine della filosofia, la chiusura della metafisica, le virtù di un “pensiero debole” quando i compiti della filosofia sono più importanti e difficili che mai per questa semplice ragione: il “materiale” - quel che va pensato - si moltiplica e si fa sempre più complesso, proprio quando le strutture ereditate del pensiero sono a terra.
La filosofia deve pensare tutto il pensabile - cioè, tutto quello che è dato nella nostra esperienza; non solo il fatto che si dà ma come si dà. Quattro ambiti di questa esperienza: l’universo logico matematico, il mondo fisico, la vita e il dominio umano, psichico e socio storico, costituito dall’emergere dell’immaginario sociale e dell’immaginazione psichica. Esiste una molteplicità di livelli dell’essere e una molteplicità di senso del termine essere: uno spazio di Hilbert, una particella quantica, un sistema immunitario, una struttura nevrotica e una religione non esistono nello stesso modo e non possono essere pensati secondo le stesse categorie. Ciò mostra già nell’essere una potenza di formazione di livelli altri, auto sviluppo che si opera come deiscenza, separazione, spezzettamento attraverso il quale sussiste, tuttavia, un’enigmatica unità. In ognuno di questi ambiti, vediamo l’essere come caos, abisso senza fondo – creazione interminabile, inesauribile, insondabile; e nello stesso tempo come cosmo, ordine relativo e molteplicità bene o male organizzata, senza la quale non potremmo né parlare né esistere.
Inoltre, la relazione tra il caos e il cosmo fisico non è visibilmente la stessa di quella tra il caos e il cosmo socio storico. Delucidare tutto ciò esige la creazione di nuovi significati (non “concetti”) filosofici – cosa evidentemente impossibile se si riduce la filosofia a un’ermeneutica o a una “decostruzione” dei filosofi del passato, accompagnata da un’ignoranza crassa dello stato dell’esperienza e del sapere contemporanei.

P. Lei pratica la psicanalisi. Come la situa in rapporto alle scienze?

C. La psicanalisi non è “scienza positiva”, perché quantificazione, sperimentazione e osservazione riproducibile a volontà non vi hanno senso. Ciò non toglie nulla alla sua importanza maggiore. Siamo degli esseri psichici, la nostra socializzazione implica rimozione, il nostro psichismo è dunque, per l’essenziale, inconscio. Il senso (e il a-senso) inconscio condiziona pesantemente i nostri atti e i nostri pensieri. Attraverso la sua delucidazione, la psicanalisi mira ad aiutare il soggetto a realizzare la sua autonomia, a diventare una soggettività contemporaneamente aperta sul suo inconscio e capace di riflessione e di deliberazione.

P. Qual è per Lei il legame tra questa autonomia individuale e l’autonomia sociale, o, più esattamente, tra psicanalisi e democrazia?

C. Non esiste legame diretto, ancor meno operativo, ma esiste una relazione stretta nello spirito e negli obiettivi. Entrambe mirano alla liberazione dell’immaginario creatore dell’essere umano, immaginario sociale o immaginario dell'essere singolo. L’immaginario è la fonte della creazione umana, ma le sue opere non hanno necessariamente in sé un valore positivo: poemi e deliri, cattedrali e campi di concentramento ne derivano ugualmente. L’autonomia - la libertà - non è solo l’abolizione degli obblighi esterni o delle compulsioni psichiche; è anche lo stabilirsi di un altro tipo di rapporto tra le nostre spinte profonde, individuali o collettive, e le istanze capaci di farne la cernita, di dar loro forma o di impedir loro di manifestarsi nella realtà. È il ruolo della soggettività che riflette e delibera sul piano individuale, delle istituzioni democratiche sul piano collettivo. La democrazia è infatti il regime della riflessività collettiva e della libertà autolimitata. Su questo piano, progetto psicanalitico e progetto politico democratico si congiungono.