Ho
seguito, per una volta, la diretta con il senatore a 5 Stelle, Orellana,intervistato da un branco di giornalisti del Fatto Quotidiano.
Da
eterno studente del dogma economico, lo sguardo del dottor Feltri (esimio
volgarizzatore della teologia economicista) sulla questione sociale è da
droghiere della politica. E il peggio è che, credo, sia addirittura in buona
fede (ma soprattutto fede).
Nei
suoi interventi chiama ripetutamente il M5s “partito”, cancellando
semplicemente il dato oggettivo che il M5s si presenta come nemico acerrimo
della partitocrazia (un po’ come se avesse definito la democrazia cristiana
degli anni ’50, un raggruppamento di agnostici).
In
effetti, Feltri è l’alberello ubbidiente di una foresta che ha bisogno per la
sua sopravvvivenza che il M5s diventi alla svelta un banale partito di più. Non
basta per rassicurar lorsignori che in parte, com'era del resto prevedibile,
anche molti eletti/elettori del M5s si adoperino già per renderlo tale. Sia gli
idioti incapaci di immaginare un’autonomia di pensiero e d’azione sia gli
opportunisti che colgono l’occasione irripetibile per riempirsi le tasche di
denaro e lo specchio di notorietà, lavorano già affinché tutto rientri
nell’ordine delle cose.
Intanto,
novello Salomone, Feltri si siede sulla poltrona imbottita di euri
dell’obiettività, mentre dovrebbe leggersi (ma soprattutto capirne il senso
evidente, il che è più difficile per un qualunque specialista salariato) Pierre
Bourdieu e Chomsky a proposito della manipolazione mediatica. Guarda caso,
preferisce indossare l’ipocrita maschera spettacolare del benpensante che vede
nei media un mezzo neutro d’informazione al quale sottomettersi quasi per
dovere di cittadinanza.
Va
da sé (ma rischia di non andare da nessuna parte) che oltre quest’orribile
spettacolo di blocco programmato delle intenzioni di un gruppo spontaneo - il
M5s - sospinto da tutte le parti affinché si riduca a mandria elettorale, comincerà
(o no) la storia di una democrazia reale.
Questo
e non altro è in gioco. Che farsene di un governo parlamentare a 5 stelle
anziché 3, 6 o nessuna, querce, ulivi o baobab, se c’è sempre qualche burocrate
professionista a decidere per me e contro di me, secondo i voleri del
capitalismo dominante? Un TAV qui, un inceneritore là, mentre i topi ballano e
il gatto incassa le mazzette.
Tuttavia,
la necessità di una rivoluzione culturale presuppone l'esistenza di una cultura
soggettiva sia individuale che collettiva.
Ora
l'Italia storica, frankenstein nato in fretta e furia tra monarchia e clero,
poi fascismo e clero e infine clero e basta, ha inventato gli italiani a
partire dall'adesione a dei dogmi successivi e similari.
Il
clericalismo strutturale di destra e di sinistra ha fatto dell'Italia un paese
incapace di rivoluzione, bigotto e sempre pronto a salire sul carro del
vincitore per quanto miserabile e relativo (vedi recenti elezioni comunali).
C'è qualcosa di patetico...in Danimarca. Tutt’intorno, il mediterraneo si
solleva contro gli oscurantismi e i soprusi con diversa fortuna ma unico
coraggio, mentre gli italiani restano a Letta a dormire da Prodi sulla loro via
crucis millenaria.
Non
so come finirà questa primavera pentastellata accerchiata da iene mafiose e rosicchiata
come un formaggio dai topi dello spettacolo, ma non è poi così importante
sapere se Grillo continuerà o no, se il M5s diventerà un ennesimo partito
burocratico di cui comincia a portare diverse stigmate, o se saprà continuare a
battersi per la transizione verso una democrazia diretta.
Importante
è che un nuovo soggetto, finalmente laico e cosciente del proprio tempo, esca
dai confini dell’umiliazione atavica per diffondere le basi per una rivoluzione
culturale continentale capace di abolire tutti gli anciens régimes spettacolari. L’Italia, che non ha mai esportato
rivoluzioni ma solo dominio, come sempre seguirà.
Un
altro continente che faccia dell’Europa una Comune, Italia inclusa, è possibile
se si esce dal manicheismo mostruoso che propone l’oscena alternativa fittizia
tra l’Europa delle multinazionali e la regressione nazionalista di tutti i
fascismi vecchi e nuovi, di tutte le leghe razziste e xenofobe.
Non
c’è dubbio che il processo in atto di decomposizione della società dello
spettacolo porterà, più prima che poi, al superamento delle condizioni
presenti, tuttavia, a seconda della forza della coscienza degli individui
sociali coinvolti in un tale sconvolgimento ineluttabile, questo superamento
sarà una tragedia o una festa.
Il
tempo non è quello di vincere le elezioni (ma lo è mai stato?), quanto di
appoggiarsi sulla rivolta della natura di fronte all’effimero dominio dell’homo oeconomicus,
schiavo ottuso della redditività.
Urge
che si renda consistente anche in Italia la coscienza della minoranza internazionale
che oserà opporre la sua volontà di vivere alla distruzione in stato avanzato del tessuto sociale umano e
del godimento spontaneo dell’essere al mondo. Urge, prima che sia troppo tardi,
sapendo che il sistema globale non potrà reggere neanche a un 20% di
secessionisti convinti, evitare che sia definitivamente sconvolto anche
l’equilibrio intimo e fragile dell’ecosistema nel quale il vivente, di cui
siamo parte, si esprime.
Sergio Ghirardi