venerdì 17 aprile 2020

Popoli del mondo, ancora uno sforzo! Il mondo cambia base di Raoul Vaneigem



Popoli del mondo, ancora uno sforzo !
[Questo testo di Raoul Vaneigem che ho appena finito di tradurre, è già in circolazione in versione francese, nel blog de Au jour d’après di Mediapart.  S. G.]

Il mondo cambia base
Lo choc del coronavirus non ha fatto che mettere in esecuzione il giudizio pronunciato contro se stessa da un’economia totalitaria fondata sullo sfruttamento dell’uomo e della natura.
Il vecchio mondo fa fallimento e crolla. Quello nuovo, costernato per l’ammucchiarsi delle rovine, non osa eliminarle; più impaurito che risoluto, prova pena a ritrovare l’audacia del bambino che impara a camminare. Come se aver lungamente urlato al disastro lasciasse il popolo senza voce.
Eppure quelle e quelli che sono sfuggiti ai tentacoli mortali della merce sono in piedi tra le macerie. Si svegliano alla realtà di un’esistenza che non sarà più la stessa. Desiderano affrancarsi dall’incubo che ha loro inferto lo snaturamento della terra e dei suoi abitanti.
Non è forse la prova che la vita è indistruttibile? Non è su questa evidenza che s’infrangono sulla stessa risacca le menzogne che scendono dall’alto e le denunce che salgono dal basso?
La lotta per il vivente non ha bisogno di giustificazioni. Rivendicare la sovranità della vita è in grado di annientare l’impero della merce, le cui istituzioni sono mondialmente scosse.
Finora ci siamo battuti solo per sopravvivere. Siamo rimasti confinati in una giungla sociale, dove regnava la legge del più forte e del più furbo. Abbandoneremo l’imprigionamento al quale ci obbliga l’epidemia di coronavirus per reintegrare la danza macabra della preda e del predatore? Non è dunque chiaro per tutti che l’insurrezione della vita quotidiana, di cui i Gilet jaunes sono stati in Francia il segno annunciatore, non è altro che il superamento di questa sopravvivenza che una società di predazione non ha smesso d’imporci quotidianamente e militarmente?

Quel che non vogliamo più
è il fermento di quel che vogliamo

La vita è un fenomeno naturale in ebollizione sperimentale permanente. Non è né buona né cattiva. La sua manna ci fa dono della spugnola quanto dell’amanita falloide. Essa agisce in noi e nell’universo come una forza cieca, ma ha dotato la specie umana della capacità di distinguere la spugnola dall’amanita, e qualcosa di più! Ci ha armato di una coscienza, dandoci la capacità di crearci ricreando il mondo.
Per farci dimenticare questa straordinaria facoltà, c’è voluto che pesasse su di noi il peso di una storia cominciata con le prime città-Stato e che termina – tanto più in fretta se le diamo una mano – con il crollo della mondializzazione mercantile.
La vita non è una speculazione: se ne fotte dei segni di rispetto, della venerazione, del culto. Non ha altro senso che la coscienza umana di cui ha dotato la nostra specie per illuminarla.
La vita e il suo senso umano sono la poesia fatta da uno, da tutte e da tutti. Una poesia siffatta ha sempre brillato del suo splendore nei grandi sollevamenti della libertà. Non vogliamo più che sia, come per il passato, un lampo effimero. Vogliamo mettere in atto un’insurrezione permanente, all’immagine del fuoco passionale della vita che si calma, ma non si spegne mai.
Dal mondo intero s’improvvisa una via dei canti[1]. È là che la nostra volontà di vivere si plasma spezzando le catene del potere e della predazione. Delle catene che noi, donne e uomini, abbiamo forgiato per la nostra disgrazia.
Eccoci nel cuore di una mutazione sociale, economica, politica ed esistenziale. È il momento di “Hic Rhodus, hic salta”. Non è un’ingiunzione a riconquistare il mondo da cui siamo stati cacciati. È il soffio di una vita che l’irresistibile slancio dei popoli ristabilirà nei suoi diritti assoluti.

L’alleanza con la natura esige la fine del suo sfruttamento lucrativo
Non abbiamo preso abbastanza coscienza della relazione concomitante tra la violenza esercitata dall’economia nei confronti della natura che essa depreda e la violenza con cui il patriarcato colpisce le donne fin dalla sua istallazione, tre o quattromila anni prima dell’era cosiddetta cristiana.
Con il capitalismo verde-dollaro, il saccheggio brutale delle risorse terrestri tende a cedere il posto alle grandi manovre della corruzione. In nome della protezione della natura, è ancora la natura che è messa in vendita. Lo stesso accade nei simulacri dell’amore quando il violentatore si agghinda da seduttore per meglio accalappiare la sua preda. Da tempi immemorabili, la predazione ricorre alla pratica del guanto di velluto.
Siamo all’ora in cui una nuova alleanza con la natura riveste un’importanza preminente. Non si tratta evidentemente di ritrovare – come si potrebbe? – la simbiosi con l’ambiente naturale nella quale evolvevano le civiltà della raccolta prima che una civiltà fondata sul commercio, l’agricoltura intensiva, la società patriarcale e il potere gerarchico venisse a soppiantarle.
Si sarà capito, però, che si tratta ormai di restaurare un ambiente naturale in cui la vita sia possibile, l’aria respirabile, l’acqua potabile, l’agricoltura sbarazzata dai suoi veleni, le libertà di commercio revocate dalla libertà del vivente, il patriarcato smembrato, le gerarchie abolite.

Gli effetti della disumanizzazione e degli attacchi sistematici contro l’ambiente non hanno avuto bisogno del coronavirus per dimostrare la tossicità dell’oppressione mercantile. Per contro, la gestione catastrofica del cataclisma ha mostrato l’incapacità dello Stato a far prova della minima efficacia al di fuori della sola funzione che sa esercitare: la repressione, la militarizzazione degli individui e delle società.
La lotta contro lo snaturamento non sa che farsene delle promesse e delle lodevoli intenzioni retoriche, che siano o no prezzolate dal mercato delle energie rinnovabili. Essa riposa su un progetto pratico che scommette sull’inventiva degli individui e delle collettività. La permacultura che restituisce alla natura le terre avvelenate dal mercato dei pesticidi, non è altro che una testimonianza della creatività di un popolo che ha tutto da guadagnare dall’annientamento di quel che ha congiurato la sua perdita. È tempo di bandire quegli allevamenti concentrazionari in cui il maltrattamento degli animali è stato in particolare la causa della peste porcina, dell’influenza aviaria, della mucca resa pazza da quella follia del denaro feticizzato che la ragione economica tenterà ancora una volta di farci ingoiare se non digerire.
Hanno forse un destino molto diverso dal nostro, quelle bestie di batteria che escono dal confinamento per andare al macello? Non siamo forse in una società che distribuisce dividendi al parassitismo dell’impresa e lascia morire uomini, donne e bambini per mancanza di mezzi terapeutici? Un’imparabile logica economica alleggerisce così i carichi di bilancio, imputabili al numero crescente di vecchie e di vecchi. Essa preconizza una soluzione finale che li condanna impunemente a crepare in case di riposo sprovviste di mezzi e di personale curante. C’è stato a Nancy, in Francia, un alto responsabile della sanità che è arrivato a dichiarare che l’epidemia non è una ragione valida per non sopprimere ancora più letti e personale ospedaliero. Nessuno l'ha cacciato a grandi calci nel sedere. Gli assassini economici suscitano meno commozione di un malato mentale che corra in strada brandendo il coltello dell’illuminazione religiosa.
Non invito alla giustizia del popolo, non preconizzo di settembrizzare[2] gli spilorci del fatturato. Domando soltanto che la generosità umana renda impossibile il ritorno della ragione mercantile.
Tutti i modi di governo che abbiamo conosciuto sono falliti, disgregati dalla loro crudele assurdità. Appartiene al popolo mettere in atto un progetto di società che restituisca all’umano, all’animale, al vegetale, al minerale un’unità fondamentale.
La menzogna che qualifica di utopia un tale progetto non ha resistito allo choc della realtà. La storia ha marcato la civiltà mercantile di obsolescenza e d’insania. L’edificazione di una civiltà umana non solo è diventata possibile, essa inaugura il solo cammino che appassionatamente e disperatamente sognato da innumerevoli generazioni, si apre sulla fine dei nostri incubi.
La disperazione ha, infatti, cambiato campo, appartiene al passato. Ci resta la passione di un presente da costruire. Prenderemo il tempo di abolire il time is money che è il tempo della morte programmata.
La rinaturalizzazione è un brodo di nuove culture in cui dovremo avanzare con difficoltà, tra confusione e innovazioni nei settori più diversi. Forse abbiamo dato troppo credito a una medicina meccanicista che tratta spesso il corpo come fa un garagista con la vettura di cui prende cura. Come non diffidare di un esperto che vi ripara per farvi tornare al lavoro?
Così a lungo martellato dagli imperativi produttivisti, il dogma dell’antinatura non ha contribuito, forse, a esasperare le nostre reazioni emotive, a propagare panico e isterica fissazione sull’ordine pubblico, esacerbando di conseguenza il conflitto con un virus che l’immunità del nostro organismo avrebbe avuto qualche probabilità di domare o rendere meno aggressivo, se non fosse stata messa a dura prova da un totalitarismo mercantile al quale nulla di disumano è estraneo?
Ci hanno abbastanza abbacinato con il progresso della tecnologia: per arrivare a che cosa? L’astronave per Marte e l’assenza terrestre di letti e apparecchi respiratori negli ospedali.
Certamente, ci sarà più da meravigliarsi per le scoperte di una vita di cui ignoriamo tutto, o quasi. Tranne gli oligarchi e i loro servitori che la diarrea mercantile svuota della loro sostanza e che noi confineremo nelle loro latrine, chi potrebbe dubitarne?

Farla finita con la militarizzazione dei corpi, dei costumi, delle mentalità

La repressione è l’ultima ragione d’essere dello Stato. Esso stesso la subisce sotto la pressione delle multinazionali che impongono i loro diktat alla terra e alla vita. La prevedibile messa in discussione dei governi, risponderà alla questione: il confinamento sarebbe stato pertinente se le infrastrutture mediche fossero rimaste efficienti, anziché subire lo sfacelo che sappiamo, decretato dal dovere di redditività?
Nell’attesa – è d’obbligo costatarlo – la militarizzazione e la ferocia dell’ordine pubblico non fanno che dare il cambio alla repressione in corso nel mondo intero. L’Ordine democratico non potrebbe auspicare miglior pretesto per premunirsi contro la collera dei popoli. L’imprigionamento a domicilio non era forse lo scopo dei dirigenti, inquieti della lassitudine che minacciava le loro sezioni d’assalto di manganellatori, di accecatori, di assassini salariati? Bella ripetizione generale la tattica della nassa impiegata contro i manifestanti pacifici che reclamavano tra l’altro la riabilitazione degli ospedali.
Per lo meno siamo prevenuti: i governi tenteranno di tutto per farci passare dal confinamento alla cuccia. Tuttavia, chi accetterà di passare docilmente dall’austerità carceraria al comfort del servilismo rabberciato?
È probabile che la rabbia del recluso coglierà l’occasione per denunciare il sistema tirannico e aberrante che tratta il coronavirus come quel terrorismo multicolore da cui il mercato della paura ricava profitto.
La riflessione non si ferma qui. Pensate a quegli studenti che nel paese dei Diritti dell’Uomo sono stati costretti a inginocchiarsi di fronte ai piedipiatti di Stato. Pensate alla stessa educazione in cui l’autoritarismo professorale ostacola da secoli la curiosità spontanea del bambino e impedisce alla generosità del sapere di propagarsi liberamente. Pensate a che punto l’accanimento concorrenziale, la competizione, l’arrivismo del “togliti di là che mi ci metto io” ci hanno confinato in una caserma.
La servitù volontaria è una soldatesca che marcia al passo. Un passo a sinistra, uno a destra? Che importa? Entrambi restano nell’ordine delle cose.
Chiunque accetti che gli si abbai addosso, o sotto, non ha per presente che un avvenire da schiavo.

USCIRE DAL MONDO MORBOSO E CHIUSO
DELLA CIVILTÀ MERCANTILE

La vita è un mondo che si apre ed è l’apertura sul mondo. Certo ha spesso subito quel terribile fenomeno d’inversione in cui l’amore si cambia in odio, in cui la passione di vivere si trasforma in istinto di morte. Per secoli è stata ridotta in schiavitù, colonizzata dalla rozza necessità di lavorare e sopravvivere come bestie.
Certo, non si conoscono esempi di una clausura in cellule d’isolamento di milioni di coppie, di famiglie, d’individui singoli che il fallimento dei servizi sanitari ha convinto ad accettare la loro sorte, se non docilmente, almeno con una rabbia contenuta.
Ognuno si ritrova solo, confrontato a un’esistenza in cui è tentato di sbrogliare la parte di lavoro servile da quella di desideri folli. La noia dei piaceri consumabili è compatibile con l’esaltazione dei sogni che l’infanzia ha lasciato crudelmente incompiuti?
La dittatura del profitto ha deciso di toglierci tutto nello stesso momento in cui la sua impotenza si diffonde mondialmente e la espone a un possibile annientamento.
L’assurda disumanità che ci ulcera da tanto tempo è esplosa come un ascesso nel confinamento al quale ha condotto la politica di assassinio lucrativo praticata cinicamente dalle mafie finanziarie.
La morte è l’ultima indegnità che l’essere umano s’infligge. Non sotto l’effetto di una maledizione, ma come conseguenza dello snaturamento che gli è stato imposto.
Le catene che abbiamo forgiato per paura e sensi di colpa, non saranno spezzate né dalla paura né dai sensi di colpa, ma dalla vita riscoperta e restaurata. Non è forse quanto dimostra, in questi tempi d’oppressione estrema, l’invincibile potenza dell’aiuto reciproco e della solidarietà?
Un’educazione ripetuta da millenni ci ha insegnato a reprimere le nostre emozioni, a spezzare i nostri slanci di vita. Si è voluto a qualunque prezzo che la bestia che sopravvive in noi facesse l’angelo.
Le nostre scuole sono rifugi d’ipocriti, di frustrati, di torturatori raziocinanti. Gli ultimi appassionati di sapere vi guazzano con il coraggio della disperazione. Uscendo dalle nostre celle carcerarie, impareremo finalmente a liberare la scienza dal peso della sua utilità lucrativa? Ci daremo da fare per affinare le nostre emozioni, anziché reprimerle? Per riabilitare la nostra animalità anziché domarla, così come domiamo i nostri fratelli detti inferiori?
Non sto incitando alla sempiterna buona volontà etica e psicologica, punto il dito sul mercato della paura, dove l’ordine pubblico fa intendere il rumore dei suoi stivali. Attiro l’attenzione sulla manipolazione delle emozioni che abbrutisce e istupidisce le folle, metto in guardia contro i sensi di colpa che rodono in cerca di capri espiatori.
Dagli, ai vecchi, ai disoccupati, agli irregolari, ai senza domicilio fisso, agli stranieri, ai gilets jaunes, a quelli di fuori! Ecco il muggito di quegli azionisti del nulla che fanno commercio del coronavirus per propagare la peste emozionale. I mercenari della morte non fanno che ubbidire alle ingiunzioni della logica dominante.

Quel che deve essere sradicato è il sistema di disumanizzazione messo a punto e applicato ferocemente da quelli che lo difendono per gusto del potere e del denaro. È molto tempo che il capitalismo è stato giudicato e condannato. Siamo sommersi dalla pletora di perorazioni a suo carico. Può bastare.
La rappresentazione capitalista identificava la propria agonia con quella del mondo intero. Lo spettro del coronavirus è stato, se non il risultato premeditato, almeno l’illustrazione esatta del suo assurdo maleficio. La causa è intesa. Lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, di cui il capitalismo è una variazione, è un’esperienza finita male. Assicuriamoci che il suo scherzo sinistro di apprendista stregone sia divorato da un passato da cui non sarebbe mai dovuto venire fuori.
Non c’è che l’esuberanza della vita ritrovata che possa spezzare in un colpo solo le manette della barbarie mercantile e la corazza caratteriale che imprime sulla carne viva di ciascuno il marchio dell’economicamente corretto.

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LA DEMOCRAZIA AUTOGESTIONARIA
ANNULLA QUELLA PARLAMENTARE

Non è questione di tollerare che, appollaiati su tutti i pulpiti delle loro commissioni nazionali, europee, atlantiche e mondiali, i responsabili vengano a mettere in scena il ruolo del colpevole e del non colpevole. La bolla dell’economia, gonfiata di debiti virtuali e di denaro fittizio, implode e si sgonfia sotto i nostri occhi. L’economia è paralizzata.
Prima ancora che il coronavirus rivelasse l’ampiezza del disastro, le “alte istanze” hanno grippato e fermato la macchina meglio degli scioperi e dei movimenti sociali che sono rimasti decisamente inefficaci per quanto contestatari fossero.

Basta con le farse elettorali e le diatribe di paccottiglia. Che gli eletti ammanicati con la finanza, siano spazzati via come l’immondizia e spariscano dal nostro orizzonte com’è scomparsa in loro la parcella di vita che ne faceva delle figure umane.
Non vogliamo giudicare e condannare il sistema oppressivo che ci ha condannato a morte. Vogliamo annientarlo.

Come non ricadere in questo mondo che crolla, in noi e davanti a noi, senza edificare una società con l’umano che resta a portata delle nostre mani, con la solidarietà individuale e collettiva? La coscienza di un’economia gestita dal popolo e per il popolo, implica la liquidazione dei meccanismi dell’economia mercantile.
Nella sua ultima sbruffonata, lo Stato non si è accontentato di prendere i cittadini in ostaggio e imprigionarli. La sua mancata assistenza a persone in pericolo le uccide a migliaia.
Lo Stato e i suoi agenti hanno demolito i servizi pubblici. Più niente funziona. Lo sappiamo con certezza: la sola cosa che riesce a far funzionare, è l’organizzazione criminale del profitto.
Hanno condotto gli affari loro nel disprezzo del popolo, il risultato è deplorevole. Tocca al popolo occuparsi dei suoi, finendo di rovinare i loro. A noi far ripartire tutto su basi nuove.

Più il valore di scambio predomina sul valore d’uso, più s’impone il regno della merce. Più accorderemo la preminenza all’uso che noi desideriamo fare della nostra vita e del nostro ambiente, più la merce perderà il mordente. La gratuità le porterà la stoccata.

L’autogestione segna la fine dello Stato di cui la pandemia ha messo in luce il fallimento e la nocività. I protagonisti della democrazia parlamentare sono i becchini di una società disumanizzata a causa della redditività.
Si è visto, invece, il popolo, messo di fronte alle carenze dei governi, dare prova di una solidarietà indefettibile e mettere in atto una vera e propria autodifesa sanitaria. Non è questa un’esperienza che lascia augurare un’estensione delle pratiche autogestionarie?
Niente è più importante che prepararci a farci carico dei settori pubblici, un tempo a carico dallo Stato, prima che la dittatura del profitto li mandasse in demolizione.
Lo Stato e la rapacità dei suoi agenti hanno bloccato e paralizzato tutto, tranne l’arricchimento dei ricchi. Ironia della storia, l’impoverimento è ormai la base di una ricostruzione generale della società. Come potrebbe, chi ha affrontato la morte, avere paura dello Stato e dei suoi sgherri?
La nostra ricchezza è la nostra volontà di vivere.

Il rifiuto di pagare tasse e imposte ha smesso di appartenere al repertorio delle incitazioni sovversive. Come sarebbero in grado di pagarle i milioni di persone a cui stanno per mancare i mezzi di sussistenza quando il denaro, a miliardi, continua a essere inghiottito nell’abisso delle malversazioni finanziarie e del debito che queste scavano? Non dimentichiamolo, è dalla predominanza accordata al profitto che nascono le pandemie e l’incapacità di trattarle. Resteremo, dunque, all’insegna della mucca pazza, senza trarne lezione? Ammetteremo, infine, che il Mercato e i suoi gestori sono il virus da sradicare?
Non è più il momento dell’indignazione, dei lamenti, delle constatazioni dello smarrimento intellettuale. Insisto sull’importanza delle decisioni che le assemblee locali e federate prenderanno “tramite il popolo e per il popolo” in materia d’alimentazione, di alloggio, di trasporto, di salute, d’insegnamento, di cooperative monetarie, di miglioramento dell’ambiente umano, animale, vegetale.
Andiamo avanti pur se arrancando. Meglio sbagliare sperimentando piuttosto che regredire e reiterare gli errori del passato. L’autogestione è in germe nell’insurrezione della vita quotidiana. Ricordiamoci che quel che ha distrutto e interrotto l’esperienza delle collettività libertarie della rivoluzione spagnola, è stata l’impostura comunista.

Non chiedo a nessuno di approvarmi e ancora meno di seguirmi. Vado per la mia strada. Libertà per ognuna e ognuno di fare altrettanto. Il desiderio di vita è senza limiti. La nostra vera patria è in ogni luogo dove la libertà di vivere sia minacciata. La nostra terra è una patria senza frontiere.


Raoul Vaneigem, 10 aprile 2020


[1] Riferimento alle Songlines di Bruce Chatwin, NdT.

[2] Riferimento alle stragi di settembre 1792 a Parigi, NdT.



Dal tempo del sogno | arte e natura

PEUPLES DU MONDE,
ENCORE UN EFFORT !

Le monde change de base

          Le choc du coronavirus n’a fait qu’exécuter le jugement que prononçait contre elle-même une économie totalitaire fondée sur l’exploitation de l’homme et de la nature.
          Le vieux monde défaille et s’effondre. Le nouveau, consterné par l’amoncellement des ruines, n’ose les déblayer ; plus apeuré que résolu, il peine à retrouver l’audace de l’enfant qui apprend à marcher. Comme si avoir longtemps crié au désastre laissait le peuple sans voix.
          Pourtant, celles et ceux qui ont échappé aux mortels tentacules de la marchandise sont debout parmi les décombres. Ils s’éveillent à la réalité d’une existence qui ne sera plus la même. Ils désirent s’affranchir du cauchemar que leur a asséné la dénaturation de la terre et de ses habitants.

          N’est ce pas la preuve que la vie est indestructible ? N’est-ce pas sur cette évidence que se brisent dans le même ressac les mensonges d’en haut et les dénonciations d’en bas ?
          La lutte pour le vivant n’a que faire de justifications. Revendiquer la souveraineté de la vie est en mesure d’anéantir l’empire de la marchandise, dont les institutions sont mondialement  ébranlées.
          Jusqu’à ce jour, nous ne nous sommes battus que pour survivre. Nous sommes restés confinés dans une jungle sociale où régnait la loi du plus fort et du plus rusé. Allons-nous quitter l’emprisonnement auquel nous contraint l’épidémie de coronavirus pour réintégrer la danse macabre de la proie et du prédateur ? N’est-il pas manifeste pour toutes et tous que l’insurrection de la vie quotidienne, dont les gilets jaunes ont été en France le signe annonciateur, n’est rien d’autre que le dépassement de cette survie qu’une société de prédation n’a cessé de nous imposer quotidiennement et militairement ?

Ce dont nous ne voulons plus
est le ferment de ce que nous voulons

          La vie est un phénomène naturel en ébullition expérimentale permanente. Elle n’est ni bonne ni mauvaise. Sa manne nous fait cadeau de la morille tout autant que de l’amanite phalloïde. Elle est en nous et dans l’univers comme une force aveugle. Mais elle a doté l’espèce humaine de la capacité de distinguer la morille de l’amanite, et un peu plus ! Elle nous a armés d’une conscience, elle nous a donné la capacité de nous créer en recréant le monde.
          Pour nous faire oublier cette extraordinaire faculté, il a fallu que pèse sur nous le poids d’une histoire qui débute avec les premières Cités-Etats et se termine – d’autant plus hâtivement que nous y mettrons la main – avec l’effritement de la mondialisation marchande.
          La vie n’est pas une spéculation. Elle n’a que foutre des marques de respect, de vénération, de culte. Elle n’a d’autre sens que la conscience humaine, dont elle a doté notre espèce pour l’éclairer.
          La vie et son sens humain sont la poésie faite par un et par toutes et tous. Cette poésie-là a toujours brillé de son éclat dans les grands soulèvements de la liberté. Nous ne voulons plus qu’elle soit, comme par le passé, un éclair éphémère. Nous voulons mettre en œuvre une insurrection permanente, à l’image du feu passionnel de la vie, qui s’apaise mais jamais ne s’éteint.
          C’est du monde entier que s’improvise un chant des pistes. C’est là que notre volonté de vivre se forge en brisant les chaînes du pouvoir et de la prédation. Des chaînes que nous, femmes et hommes, nous avons forgées pour notre malheur.
          Nous voici au cœur d’une mutation sociale, économique, politique et existentielle. C’est le moment du «Hic Rhodus, hic salta, Ici est Rhodes, ici tu sautes». Ce n’est pas une injonction à reconquérir le monde dont nous avons été chassés. C’est le souffle d’une vie que l’irrésistible élan des peuples va rétablir dans ses droits absolus.

L’alliance avec la nature exige la fin de son exploitation lucrative

          Nous n’avons pas assez pris conscience de la relation concomitante entre la violence exercée par l’économie à l’encontre de la nature qu’elle razzie, et la violence dont le patriarcat frappe les femmes depuis son instauration, il y a trois ou quatre mille ans avant  l’ère dite chrétienne.
          Avec le capitalisme vert-dollar, le pillage brutal des ressources terrestres tend à céder la place aux grandes manœuvres de la subornation. Au nom de la protection de la nature, c’est encore la nature qui est mise à prix. Ainsi en va-t-il dans les simulacres de l’amour lorsque le violeur se pomponne en séducteur pour mieux agripper sa proie. La prédation recourt de longue date à la pratique du gant de velours.
          Nous sommes à l’heure où une nouvelle alliance avec la nature revêt une importance prioritaire. Il ne s’agit pas évidemment de retrouver – comment le pourrait-on ? - la symbiose avec le milieu naturel dans laquelle évoluaient les civilisations de la cueillette avant que vienne les supplanter une civilisation fondée sur le commerce, l’agriculture intensive, la société patriarcale et le pouvoir hiérarchisé.
          Mais, on l’aura compris, il s’agit désormais de restaurer un milieu naturel où la vie soit possible, l’air respirable, l’eau potable, l’agriculture débarrassée de ses poisons, les libertés du commerce révoquées par la liberté du vivant, le patriarcat démembré, les hiérarchies abolies.
         
          Les effets de la déshumanisation et des attaques menées systématiquement contre l’environnement n’ont pas eu besoin du coronavirus pour démontrer la toxicité de l’oppression marchande. En revanche, la gestion catastrophique du cataclysme a montré l’incapacité de l’État à faire preuve de la moindre efficacité en dehors de la seule fonction qu’il soit à même d’exercer : la répression, la militarisation des individus et des sociétés.

          La lutte contre la dénaturation n’a que faire des promesses et des louables intentions rhétoriques, qu’elles soient soudoyées ou non par le marché des énergies renouvelables. Elle repose sur un projet pratique qui mise sur l’inventivité des individus et des collectivités. La permaculture renaturant les terres empoisonnées par le marché des pesticides n’est qu’un témoignage de la créativité d’un peuple qui a tout à gagner d’anéantir ce qui a conjuré sa perte. Il est temps de bannir ces élevages concentrationnaires où la maltraitance des animaux fut notamment cause de la peste porcine, de la grippe aviaire, de la vache rendue folle par cette folie de l’argent fétichisé que la raison économique va une fois de plus tenter de nous faire ingurgiter sinon digérer.
          Ont-elles un sort si différent du nôtre ces  bêtes de batteries qui sortent du confinement pour entrer dans l’abattoir ? Ne sommes-nous pas dans une société qui distribue des dividendes au parasitisme d’entreprise et laisse mourir hommes, femmes et enfants faute de moyens thérapeutiques ? Une imparable logique économique allège ainsi les charges budgétaires, imputables au nombre croissant de vieilles et de vieux. Elle préconise une solution finale qui les condamne impunément à crever dans des maisons de retraites dénuées de moyens et d’aides soignants. Il s’est trouvé à Nancy, en France, un haut responsable de la santé pour déclarer que l’épidémie n’est pas une raison valable pour ne pas supprimer plus de les lits et de personnel hospitalier. Personne ne l’a chassé à grands coups de pieds aux fesses. Les assassins économiques suscitent moins d’émoi qu’un malade mental courant les rues en brandissant le couteau de l’illumination religieuse.   
          Je n’en appelle pas à la justice du peuple, je ne préconise pas de septembriser les pouacres du chiffre d’affaire. Je demande seulement que la générosité humaine rende impossible le retour de la raison marchande.
          Tous les modes de gouvernement que nous avons connus ont fait faillite, délités par leur cruelle absurdité. C’est au peuple qu’il appartient de mettre en œuvre un projet de société qui restitue à l’humain, à l’animal, au végétal, au minéral une unité fondamentale.
          Le mensonge qualifiant d’utopie un tel projet n’a pas résisté au choc de la réalité. L’histoire a frappé la civilisation marchande d’obsolescence et d’insanité. L’édification d’une civilisation humaine n’est pas seulement devenue possible, elle fraie l’unique voie qui, passionnément et désespérément rêvée par d’innombrables générations, s’ouvre sur la fin de nos cauchemars.
          Car le désespoir a changé de camp, il appartient au passé. Il nous reste la passion d’un présent à construire. Nous allons prendre le temps d’abolir le time is money qui est le temps de la mort programmée.

          La renaturation est un bouillon de cultures nouvelles où nous aurons à tâtonner entre confusion et innovations dans les domaines les plus divers. N’avons-nous pas accordé trop de crédit à une médecine mécaniste qui  souvent traite le corps comme un garagiste la voiture confiée à son entretien ? Comment ne pas se défier d’un expert qui vous répare pour vous renvoyer au travail ?
           Si longtemps martelé par les impératifs productivistes, le dogme de l’antinature n’a-t-il pas contribué à exaspérer nos réactions émotionnelles, à propager panique et hystérie sécuritaire, en exacerbant en conséquence le conflit avec un virus que l’immunité de notre organisme aurait eu quelques chance d’amadouer ou de rendre moins agressif, si toutefois elle n’avait été mise à mal par un totalitarisme marchand, auquel rien d’inhumain n’est étranger ?
          On nous a bassinés à satiété avec les progrès de la technologie. Pour aboutir à quoi ? Les navettes célestes vers Mars et l’absence terrestre de lits et de respirateurs dans les hôpitaux.
          Assurément, il y aura plus à s’émerveiller des découvertes d’une vie dont nous ignorons tout, ou presque. Qui en douterait ? Hormis les oligarques et leurs larbins, que la diarrhée mercantile vide de leur substance, et que nous allons confiner dans leurs latrines.

En finir avec la militarisation des corps, des mœurs, des mentalités

          La répression est la dernière raison d’être de l’État. Lui-même la subit sous la pression des multinationales imposant leurs diktats à la terre et à la vie. La prévisible mise en cause des gouvernements répondra à la question : le confinement eût-il été pertinent si les infrastructures médicales étaient demeurées performantes, au lieu de subir le délabrement que l’on sait, décrété par le devoir de rentabilité ?
          En attendant – force est de le constater – la militarisation et la férocité sécuritaire n’ont fait que prendre le relais de la répression en cours dans le monde entier. L’Ordre démocratique ne pouvait souhaiter meilleur prétexte pour se prémunir contre la colère des peuples. L’emprisonnement chez soi, n’était-ce pas le but des dirigeants, inquiets de la lassitude qui menaçait leurs sections d’assaut de matraqueurs, d’éborgneurs, de tueurs salariés ? Belle répétition générale que cette tactique de la nasse employée contre des manifestants pacifiques, réclamant entre autres la réhabilitation des hôpitaux.
          Au moins sommes-nous prévenus : les gouvernements vont tout tenter pour nous faire transiter du confinement à la niche. Mais qui acceptera de passer docilement de l’austérité carcérale au confort de la servilité rafistolée ?

          Il est probable que la rage de l’enfermé aura saisi l’occasion de dénoncer le système tyrannique et aberrant qui traite le coronavirus à la façon de ce terrorisme multicolore dont le marché de la peur fait ses choux gras.
          La réflexion ne s’arrête pas là. Pensez à ces écoliers qui, dans le pays des Droits de l’Homme, ont été contraints de s’agenouiller devant la flicaille de l’État. Pensez à l’éducation même où l’autoritarisme professoral entrave depuis des siècles la curiosité spontanée de l’enfant et empêche la générosité du savoir de se propager librement. Pensez à quel point l’acharnement concurrentiel, la compétition, l’arrivisme du « pousse toi de là que je m’y mette » nous ont confinés dans une caserne.
          La servitude volontaire est une soldatesque qui marche au pas. Un pas à gauche, un pas à droite ? Quelle importance ?L’un et l’autre restent dans l’Ordre des choses.
          Quiconque accepte qu’on lui aboie dessus, ou par en-dessous, n’a dès à présent qu’un avenir d’esclave.


SORTIR DU MONDE MORBIDE ET CLOS
DE LA CIVILISATION MARCHANDE

          La vie est un monde qui s’ouvre et elle est ouverture sur le monde. Certes, elle a souvent subi ce terrible phénomène d’inversion où l’amour se change en haine, où la passion de vivre se transforme en instinct de mort. Pendant des siècles, elle a été réduite en esclavage, colonisée par la fruste nécessité de travailler et de survivre à la façon d’une bête.
          Cependant, on ne connaît pas d’exemple d’un enfermement, en cellules d’isolation, de millions de couples, de familles, de solitaires que la faillite des services sanitaires a convaincus d’accepter leur sort sinon docilement du moins avec une rage contenue.
          Chacun se retrouve seul, confronté à une existence où il est tenté de démêler la part de travail servile et la part de désirs fous. L’ennui des plaisirs consommables est-il compatible avec l’exaltation des rêves que l’enfance a laissé cruellement inaccomplis ?

          La dictature du profit a résolu de tout nous ôter à l’heure même où son impuissance s’étale mondialement et l’expose à un anéantissement possible.
          L’absurde inhumanité qui nous ulcère depuis si longtemps a éclaté comme un abcès dans le confinement auquel a mené la politique d’assassinat lucratif, que pratiquent cyniquement les mafias financières.

          La mort est la dernière indignité que l’être humain s’inflige. Non sous l’effet d’une malédiction, mais en raison de la dénaturation qui lui fut assignée.
          Les chaînes que nous avons forgées dans la peur et la culpabilité, ce n’est ni par la peur ni par la culpabilité que nous les briserons. C’est par la vie redécouverte et restaurée. N’est-ce pas ce que démontre, en ces temps d’oppression extrême, l’invincible puissance de l’entraide et de la solidarité ?
          Une éducation serinée pendant des millénaires nous a enseigné à réprimer nos émotions, à briser nos élans de vie. On a voulu à tous prix que la bête qui demeure en nous fasse l’ange.
          Nos écoles sont des repaires d’hypocrites, de refoulés, de tortionnaires ratiocinants. Les derniers passionnés de savoir y pataugent avec le courage du désespoir. Allons-nous, en sortant de nos cellules carcérales, apprendre enfin à libérer la science du carcan de son utilité lucrative ? Allons-nous nous employer à affiner nos émotions, non à les réprimer ? A réhabiliter notre animalité, non à la dompter, comme nous domptons nos frères dits inférieurs ?
          Je n’incite pas ici à la sempiternelle bonne volonté éthique et psychologique, je pointe du doigt le marché de la peur où le sécuritaire fait entendre son bruit de bottes. J’attire l’attention sur cette manipulation des émotions qui abrutit et crétinise les foules, je mets en garde contre la culpabilisation qui rôde en quête de boucs émissaires.
          Haro sur les vieux, les chômeurs, les sans papiers, les SDF, les étrangers, les gilets jaunes, les en-dehors ! C’est le mugissement de ces actionnaires du néant qui font boutique du coronavirus pour propager la peste émotionnelle. Les mercenaires  de la mort ne font qu’obéir aux injonctions de la logique dominante.

          Ce qui doit être éradiqué, c’est le système de déshumanisation mis en place et appliqué férocement par ceux qui le défendent par goût du pouvoir et de l’argent. Il y a longtemps que le capitalisme a été jugé et condamné. Nous croulons sous la pléthore de plaidoiries à charge. Cela suffit.
          L’imagerie capitaliste identifiait son agonie à l’agonie du monde entier. Le spectre du coronavirus a été, sinon le résultat prémédité, du moins l’illustration exacte de son absurde maléfice. La cause est entendue. L’exploitation de l’homme par l’homme, dont le capitalisme est un avatar, est une expérience qui a mal tourné. Faisons en sorte que sa sinistre plaisanterie d’apprenti sorcier soit dévorée par un passé dont elle n’aurait jamais dû surgir.

          Il n’y a que l’exubérance de la vie retrouvée qui puisse briser du même coup les menottes de la barbarie marchande et la carapace caractérielle qui estampille dans la chair vive de chacun la marque de économiquement correct.
         
LA DEMOCRATIE AUTOGESTIONNAIRE
ANNULE LA DÉMOCRATIE PARLEMENTAIRE

          Il n’est plus question de tolérer que, juchés à tous les étages de leurs commissions nationales, européennes, atlantiques et mondiales, les responsables viennent nous jouer le rôle du coupable et du non-coupable. La bulle de l’économie, qu’ils ont enflée de dettes virtuelles et d’argent fictif, implose et crève sous nos yeux. L’économie est paralysée.
          Avant même que le coronavirus révèle l’étendue du désastre, les «hautes  instances» ont grippé et arrêté la machine, plus sûrement que les grèves et les mouvements sociaux qui, si utilement contestataires qu’ils fussent, n’en demeurèrent pas moins peu efficaces.

          Assez de ces farces électorales et de ces diatribes de pacotille. Que ces élus, emmanchés par la finance, soient balayés tels des immondices et disparaissent de notre horizon comme a disparu en eux la parcelle de vie qui leur prêtait figure humaine.
          Nous ne voulons pas juger et condamner le système oppressif qui nous a condamnés à mort. Nous voulons l’anéantir.

          Comment ne pas retomber dans ce monde qui s’effondre, en nous et devant nous, sans édifier une société avec l’humain qui demeure à la portée de nos mains, avec la solidarité individuelle et collective ? La conscience d’une économie gérée par le peuple et pour le peuple implique la liquidation des mécanismes de l’économie marchande.
           Dans son dernier coup d’éclat, l’État ne s’est pas contenté de prendre les citoyens en otages et de les emprisonner. Sa non-assistance à personne en danger les tue par milliers.
          L’État et ses commanditaires ont bousillé les services publics. Plus rien ne marche. Nous le savons en toute certitude : la seule chose qu’il réussit à faire fonctionner, c’est l’organisation criminelle du profit.
           Ils ont mené leurs affaires au mépris du peuple, le résultat est déplorable. Au peuple de faire les siennes en achevant de ruiner les leurs. A nous de tout faire repartir sur des voies nouvelles.

          Plus la valeur d’échange l’emporte sur la valeur d’usage, plus s’impose le règne la marchandise. Plus nous accorderons la priorité à l’usage que nous souhaitons faire de notre vie et de notre environnement, plus la marchandise perdra de son mordant. La gratuité lui portera l’estocade.

          L’autogestion marque la fin de l’État dont la pandémie a mis en lumière et la faillite, et la nocivité. Les protagonistes de la démocratie parlementaire sont les croque-morts d’une société déshumanisée pour cause de rentabilité.
          On a vu, en revanche, le peuple, confronté aux carences des gouvernements, faire preuve d’une solidarité indéfectible et mettre en œuvre une véritable autodéfense sanitaire. N’est-ce pas là une expérience qui laisse augurer une extension des pratiques autogestionnaires ?
          Rien n’est plus important que de nous préparer à prendre en charge les secteurs publics, jadis assumés par l’État, avant que la dictature du profit les envoie à la casse.

          L’État et la rapacité de ses commanditaires ont tout mis à l’arrêt, tout paralysé, sauf l’enrichissement des riches. Ironie de l’histoire, la paupérisation est désormais la base d’une reconstruction générale de la société. Celui qui a affronté la mort, comment aurait-il peur de l’État et de sa flicaille ?
          Notre richesse, c’est notre volonté de vivre.

          Refuser de payer taxes et impôts a cessé d’appartenir au répertoire des incitations subversives. Comment seraient-elles en mesure de s’en acquitter, ces millions de personnes qui vont manquer de moyens de subsistance alors que l’argent, chiffré en milliards, continue d’être engloutis dans l’abîme des malversations financières et de la dette creusée par elles ? Ne l’oublions pas, c’est de la priorité accordée au profit que naissent et les pandémies et l’incapacité de les traiter. Allons-nous en rester à l’enseigne de la vache folle sans en tirer de leçon ? Allons-nous admettre enfin que le marché et ses gestionnaires sont le virus à éradiquer ?
          Le temps n’est plus à l’indignation, aux lamentations, aux constats du désarroi intellectuel. J’insiste sur l’importance des décisions que les assemblées locales et fédérées prendront « par le peuple et pour le peuple » en matière d’alimentation, de logement, de transport, de santé, d’enseignement, de coopérative monétaire, d’amélioration de l’environnement humain, animal, végétal.
          Allons de l’avant, même en tâtonnant. Mieux vaut errer en expérimentant que régresser et réitérer les erreurs du passé. L’autogestion est en germe dans l’insurrection de la vie quotidienne. Souvenons-nous que ce qui a détruit et interrompu l’expérience des collectivités libertaires de la révolution espagnole, c’est l’imposture communiste.

          Je ne demande à personne de m’approuver, et moins encore de me suivre. Je vais mon chemin. Libre à chacune et à chacun d’en faire autant. Le désir de vie est sans limite. Notre vraie patrie est partout où la liberté de vivre est menacée. Notre terre est une patrie sans frontière.

Raoul Vaneigem, 10 avril 2020

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