Popoli
del mondo, ancora uno sforzo !
[Questo
testo di Raoul Vaneigem che ho appena finito di tradurre, è già in circolazione
in versione francese, nel blog de Au jour d’après di Mediapart. S. G.]
Il
mondo cambia base
Lo
choc del coronavirus non ha fatto che mettere in esecuzione il giudizio
pronunciato contro se stessa da un’economia totalitaria fondata sullo
sfruttamento dell’uomo e della natura.
Il
vecchio mondo fa fallimento e crolla. Quello nuovo, costernato per l’ammucchiarsi
delle rovine, non osa eliminarle; più impaurito che risoluto, prova pena a
ritrovare l’audacia del bambino che impara a camminare. Come se aver lungamente
urlato al disastro lasciasse il popolo senza voce.
Eppure
quelle e quelli che sono sfuggiti ai tentacoli mortali della merce sono in
piedi tra le macerie. Si svegliano alla realtà di un’esistenza che non sarà più
la stessa. Desiderano affrancarsi dall’incubo che ha loro inferto lo
snaturamento della terra e dei suoi abitanti.
Non
è forse la prova che la vita è indistruttibile? Non è su questa evidenza che
s’infrangono sulla stessa risacca le menzogne che scendono dall’alto e le
denunce che salgono dal basso?
La
lotta per il vivente non ha bisogno di giustificazioni. Rivendicare la sovranità
della vita è in grado di annientare l’impero della merce, le cui istituzioni
sono mondialmente scosse.
Finora
ci siamo battuti solo per sopravvivere. Siamo rimasti confinati in una giungla sociale,
dove regnava la legge del più forte e del più furbo. Abbandoneremo
l’imprigionamento al quale ci obbliga l’epidemia di coronavirus per reintegrare
la danza macabra della preda e del predatore? Non è dunque chiaro per tutti che
l’insurrezione della vita quotidiana, di cui i Gilet jaunes sono stati in Francia
il segno annunciatore, non è altro che il superamento di questa sopravvivenza
che una società di predazione non ha smesso d’imporci quotidianamente e
militarmente?
Quel
che non vogliamo più
è
il fermento di quel che vogliamo
La
vita è un fenomeno naturale in ebollizione sperimentale permanente. Non è né buona
né cattiva. La sua manna ci fa dono della spugnola quanto dell’amanita
falloide. Essa agisce in noi e nell’universo come una forza cieca, ma ha dotato
la specie umana della capacità di distinguere la spugnola dall’amanita, e
qualcosa di più! Ci ha armato di una coscienza, dandoci la capacità di crearci
ricreando il mondo.
Per
farci dimenticare questa straordinaria facoltà, c’è voluto che pesasse su di
noi il peso di una storia cominciata con le prime città-Stato e che termina –
tanto più in fretta se le diamo una mano – con il crollo della mondializzazione
mercantile.
La
vita non è una speculazione: se ne fotte dei segni di rispetto, della
venerazione, del culto. Non ha altro senso che la coscienza umana di cui ha
dotato la nostra specie per illuminarla.
La
vita e il suo senso umano sono la poesia fatta da uno, da tutte e da tutti. Una
poesia siffatta ha sempre brillato del suo splendore nei grandi sollevamenti
della libertà. Non vogliamo più che sia, come per il passato, un lampo
effimero. Vogliamo mettere in atto un’insurrezione permanente, all’immagine del
fuoco passionale della vita che si calma, ma non si spegne mai.
Dal
mondo intero s’improvvisa una via dei canti[1]. È là che la nostra
volontà di vivere si plasma spezzando le catene del potere e della predazione.
Delle catene che noi, donne e uomini, abbiamo forgiato per la nostra disgrazia.
Eccoci
nel cuore di una mutazione sociale, economica, politica ed esistenziale. È il
momento di “Hic Rhodus, hic salta”.
Non è un’ingiunzione a riconquistare il mondo da cui siamo stati cacciati. È il
soffio di una vita che l’irresistibile slancio dei popoli ristabilirà nei suoi
diritti assoluti.
L’alleanza con la natura esige la
fine del suo sfruttamento lucrativo
Non
abbiamo preso abbastanza coscienza della relazione concomitante tra la violenza
esercitata dall’economia nei confronti della natura che essa depreda e la
violenza con cui il patriarcato colpisce le donne fin dalla sua istallazione,
tre o quattromila anni prima dell’era cosiddetta cristiana.
Con
il capitalismo verde-dollaro, il saccheggio brutale delle risorse terrestri
tende a cedere il posto alle grandi manovre della corruzione. In nome della
protezione della natura, è ancora la natura che è messa in vendita. Lo stesso
accade nei simulacri dell’amore quando il violentatore si agghinda da seduttore
per meglio accalappiare la sua preda. Da tempi immemorabili, la predazione
ricorre alla pratica del guanto di velluto.
Siamo
all’ora in cui una nuova alleanza con la natura riveste un’importanza preminente.
Non si tratta evidentemente di ritrovare – come si potrebbe? – la simbiosi con
l’ambiente naturale nella quale evolvevano le civiltà della raccolta prima che
una civiltà fondata sul commercio, l’agricoltura intensiva, la società
patriarcale e il potere gerarchico venisse a soppiantarle.
Si
sarà capito, però, che si tratta ormai di restaurare un ambiente naturale in
cui la vita sia possibile, l’aria respirabile, l’acqua potabile, l’agricoltura
sbarazzata dai suoi veleni, le libertà di commercio revocate dalla libertà del
vivente, il patriarcato smembrato, le gerarchie abolite.
Gli
effetti della disumanizzazione e degli attacchi sistematici contro l’ambiente
non hanno avuto bisogno del coronavirus per dimostrare la tossicità
dell’oppressione mercantile. Per contro, la gestione catastrofica del
cataclisma ha mostrato l’incapacità dello Stato a far prova della minima
efficacia al di fuori della sola funzione che sa esercitare: la repressione, la
militarizzazione degli individui e delle società.
La
lotta contro lo snaturamento non sa che farsene delle promesse e delle lodevoli
intenzioni retoriche, che siano o no prezzolate dal mercato delle energie
rinnovabili. Essa riposa su un progetto pratico che scommette sull’inventiva
degli individui e delle collettività. La permacultura che restituisce alla
natura le terre avvelenate dal mercato dei pesticidi, non è altro che una
testimonianza della creatività di un popolo che ha tutto da guadagnare
dall’annientamento di quel che ha congiurato la sua perdita. È tempo di bandire
quegli allevamenti concentrazionari in cui il maltrattamento degli animali è
stato in particolare la causa della peste porcina, dell’influenza aviaria,
della mucca resa pazza da quella follia del denaro feticizzato che la ragione
economica tenterà ancora una volta di farci ingoiare se non digerire.
Hanno
forse un destino molto diverso dal nostro, quelle bestie di batteria che escono
dal confinamento per andare al macello? Non siamo forse in una società che
distribuisce dividendi al parassitismo dell’impresa e lascia morire uomini,
donne e bambini per mancanza di mezzi terapeutici? Un’imparabile logica
economica alleggerisce così i carichi di bilancio, imputabili al numero
crescente di vecchie e di vecchi. Essa preconizza una soluzione finale che li
condanna impunemente a crepare in case di riposo sprovviste di mezzi e di
personale curante. C’è stato a Nancy, in Francia, un alto responsabile della
sanità che è arrivato a dichiarare che l’epidemia non è una ragione valida per
non sopprimere ancora più letti e personale ospedaliero. Nessuno l'ha cacciato
a grandi calci nel sedere. Gli assassini economici suscitano meno commozione di
un malato mentale che corra in strada brandendo il coltello dell’illuminazione
religiosa.
Non
invito alla giustizia del popolo, non preconizzo di settembrizzare[2] gli spilorci del fatturato. Domando soltanto che la generosità
umana renda impossibile il ritorno della ragione mercantile.
Tutti
i modi di governo che abbiamo conosciuto sono falliti, disgregati dalla loro
crudele assurdità. Appartiene al popolo mettere in atto un progetto di società
che restituisca all’umano, all’animale, al vegetale, al minerale un’unità
fondamentale.
La
menzogna che qualifica di utopia un tale progetto non ha resistito allo choc
della realtà. La storia ha marcato la civiltà mercantile di obsolescenza e
d’insania. L’edificazione di una civiltà umana non solo è diventata possibile,
essa inaugura il solo cammino che appassionatamente e disperatamente sognato da
innumerevoli generazioni, si apre sulla fine dei nostri incubi.
La
disperazione ha, infatti, cambiato campo, appartiene al passato. Ci resta la
passione di un presente da costruire. Prenderemo il tempo di abolire il time is money che è il tempo della morte
programmata.
La
rinaturalizzazione è un brodo di nuove culture in cui dovremo avanzare con
difficoltà, tra confusione e innovazioni nei settori più diversi. Forse abbiamo
dato troppo credito a una medicina meccanicista che tratta spesso il corpo come
fa un garagista con la vettura di cui prende cura. Come non diffidare di un
esperto che vi ripara per farvi tornare al lavoro?
Così
a lungo martellato dagli imperativi produttivisti, il dogma dell’antinatura non
ha contribuito, forse, a esasperare le nostre reazioni emotive, a propagare
panico e isterica fissazione sull’ordine pubblico, esacerbando di conseguenza
il conflitto con un virus che l’immunità del nostro organismo avrebbe avuto
qualche probabilità di domare o rendere meno aggressivo, se non fosse stata
messa a dura prova da un totalitarismo mercantile al quale nulla di disumano è
estraneo?
Ci
hanno abbastanza abbacinato con il progresso della tecnologia: per arrivare a
che cosa? L’astronave per Marte e l’assenza terrestre di letti e apparecchi respiratori
negli ospedali.
Certamente,
ci sarà più da meravigliarsi per le scoperte di una vita di cui ignoriamo
tutto, o quasi. Tranne gli oligarchi e i loro servitori che la diarrea
mercantile svuota della loro sostanza e che noi confineremo nelle loro latrine,
chi potrebbe dubitarne?
Farla
finita con la militarizzazione dei corpi, dei costumi, delle mentalità
La
repressione è l’ultima ragione d’essere dello Stato. Esso stesso la subisce
sotto la pressione delle multinazionali che impongono i loro diktat alla terra
e alla vita. La prevedibile messa in discussione dei governi, risponderà alla
questione: il confinamento sarebbe stato pertinente se le infrastrutture
mediche fossero rimaste efficienti, anziché subire lo sfacelo che sappiamo,
decretato dal dovere di redditività?
Nell’attesa
– è d’obbligo costatarlo – la militarizzazione e la ferocia dell’ordine
pubblico non fanno che dare il cambio alla repressione in corso nel mondo
intero. L’Ordine democratico non potrebbe auspicare miglior pretesto per
premunirsi contro la collera dei popoli. L’imprigionamento a domicilio non era
forse lo scopo dei dirigenti, inquieti della lassitudine che minacciava le loro
sezioni d’assalto di manganellatori, di accecatori, di assassini salariati? Bella
ripetizione generale la tattica della nassa impiegata contro i manifestanti
pacifici che reclamavano tra l’altro la riabilitazione degli ospedali.
Per
lo meno siamo prevenuti: i governi tenteranno di tutto per farci passare dal
confinamento alla cuccia. Tuttavia, chi accetterà di passare docilmente
dall’austerità carceraria al comfort del servilismo rabberciato?
È
probabile che la rabbia del recluso coglierà l’occasione per denunciare il
sistema tirannico e aberrante che tratta il coronavirus come quel terrorismo
multicolore da cui il mercato della paura ricava profitto.
La
riflessione non si ferma qui. Pensate a quegli studenti che nel paese dei
Diritti dell’Uomo sono stati costretti a inginocchiarsi di fronte ai
piedipiatti di Stato. Pensate alla stessa educazione in cui l’autoritarismo
professorale ostacola da secoli la curiosità spontanea del bambino e impedisce
alla generosità del sapere di propagarsi liberamente. Pensate a che punto
l’accanimento concorrenziale, la competizione, l’arrivismo del “togliti di là
che mi ci metto io” ci hanno confinato in una caserma.
La
servitù volontaria è una soldatesca che marcia al passo. Un passo a sinistra,
uno a destra? Che importa? Entrambi restano nell’ordine delle cose.
Chiunque
accetti che gli si abbai addosso, o sotto, non ha per presente che un avvenire
da schiavo.
USCIRE
DAL MONDO MORBOSO E CHIUSO
DELLA
CIVILTÀ MERCANTILE
La
vita è un mondo che si apre ed è l’apertura sul mondo. Certo ha spesso subito
quel terribile fenomeno d’inversione in cui l’amore si cambia in odio, in cui
la passione di vivere si trasforma in istinto di morte. Per secoli è stata
ridotta in schiavitù, colonizzata dalla rozza necessità di lavorare e
sopravvivere come bestie.
Certo,
non si conoscono esempi di una clausura in cellule d’isolamento di milioni di
coppie, di famiglie, d’individui singoli che il fallimento dei servizi sanitari
ha convinto ad accettare la loro sorte, se non docilmente, almeno con una
rabbia contenuta.
Ognuno
si ritrova solo, confrontato a un’esistenza in cui è tentato di sbrogliare la
parte di lavoro servile da quella di desideri folli. La noia dei piaceri
consumabili è compatibile con l’esaltazione dei sogni che l’infanzia ha
lasciato crudelmente incompiuti?
La
dittatura del profitto ha deciso di toglierci tutto nello stesso momento in cui
la sua impotenza si diffonde mondialmente e la espone a un possibile
annientamento.
L’assurda
disumanità che ci ulcera da tanto tempo è esplosa come un ascesso nel
confinamento al quale ha condotto la politica di assassinio lucrativo praticata
cinicamente dalle mafie finanziarie.
La
morte è l’ultima indegnità che l’essere umano s’infligge. Non sotto l’effetto
di una maledizione, ma come conseguenza dello snaturamento che gli è stato
imposto.
Le
catene che abbiamo forgiato per paura e sensi di colpa, non saranno spezzate né
dalla paura né dai sensi di colpa, ma dalla vita riscoperta e restaurata. Non è
forse quanto dimostra, in questi tempi d’oppressione estrema, l’invincibile
potenza dell’aiuto reciproco e della solidarietà?
Un’educazione
ripetuta da millenni ci ha insegnato a reprimere le nostre emozioni, a spezzare
i nostri slanci di vita. Si è voluto a
qualunque prezzo che la bestia che sopravvive in noi facesse l’angelo.
Le
nostre scuole sono rifugi d’ipocriti, di frustrati, di torturatori raziocinanti.
Gli ultimi appassionati di sapere vi guazzano con il coraggio della
disperazione. Uscendo dalle nostre celle carcerarie, impareremo finalmente a
liberare la scienza dal peso della sua utilità lucrativa? Ci daremo da fare per
affinare le nostre emozioni, anziché reprimerle? Per riabilitare la nostra
animalità anziché domarla, così come domiamo i nostri fratelli detti inferiori?
Non
sto incitando alla sempiterna buona volontà etica e psicologica, punto il dito
sul mercato della paura, dove l’ordine pubblico fa intendere il rumore dei suoi
stivali. Attiro l’attenzione sulla manipolazione delle emozioni che abbrutisce
e istupidisce le folle, metto in guardia contro i sensi di colpa che rodono in
cerca di capri espiatori.
Dagli,
ai vecchi, ai disoccupati, agli irregolari, ai senza domicilio fisso, agli
stranieri, ai gilets jaunes, a quelli di fuori! Ecco il muggito di quegli
azionisti del nulla che fanno commercio del coronavirus per propagare la peste
emozionale. I mercenari della morte non fanno che ubbidire alle ingiunzioni
della logica dominante.
Quel
che deve essere sradicato è il sistema di disumanizzazione messo a punto e
applicato ferocemente da quelli che lo difendono per gusto del potere e del
denaro. È molto tempo che il capitalismo è stato giudicato e condannato. Siamo
sommersi dalla pletora di perorazioni a suo carico. Può bastare.
La
rappresentazione capitalista identificava la propria agonia con quella del
mondo intero. Lo spettro del coronavirus è stato, se non il risultato
premeditato, almeno l’illustrazione esatta del suo assurdo maleficio. La causa
è intesa. Lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, di cui il capitalismo è
una variazione, è un’esperienza finita male. Assicuriamoci che il suo
scherzo sinistro di apprendista stregone sia divorato da un passato da cui non sarebbe
mai dovuto venire fuori.
Non
c’è che l’esuberanza della vita ritrovata che possa spezzare in un colpo solo
le manette della barbarie mercantile e la corazza caratteriale che imprime
sulla carne viva di ciascuno il marchio dell’economicamente corretto.
LA
DEMOCRAZIA AUTOGESTIONARIA
ANNULLA
QUELLA PARLAMENTARE
Non
è questione di tollerare che, appollaiati su tutti i pulpiti delle loro
commissioni nazionali, europee, atlantiche e mondiali, i responsabili vengano a
mettere in scena il ruolo del colpevole e del non colpevole. La bolla
dell’economia, gonfiata di debiti virtuali e di denaro fittizio, implode e si
sgonfia sotto i nostri occhi. L’economia è paralizzata.
Prima
ancora che il coronavirus rivelasse l’ampiezza del disastro, le “alte istanze”
hanno grippato e fermato la macchina meglio degli scioperi e dei movimenti
sociali che sono rimasti decisamente inefficaci per quanto contestatari fossero.
Basta
con le farse elettorali e le diatribe di paccottiglia. Che gli eletti ammanicati con la finanza, siano spazzati via come l’immondizia e spariscano
dal nostro orizzonte com’è scomparsa in loro la parcella di vita che ne faceva
delle figure umane.
Non
vogliamo giudicare e condannare il sistema oppressivo che ci ha condannato a
morte. Vogliamo annientarlo.
Come
non ricadere in questo mondo che crolla, in noi e davanti a noi, senza
edificare una società con l’umano che resta a portata delle nostre mani, con la
solidarietà individuale e collettiva? La coscienza di un’economia gestita dal
popolo e per il popolo, implica la liquidazione dei meccanismi dell’economia
mercantile.
Nella
sua ultima sbruffonata, lo Stato non si è accontentato di prendere i cittadini
in ostaggio e imprigionarli. La sua mancata assistenza a persone in pericolo le
uccide a migliaia.
Lo
Stato e i suoi agenti hanno demolito i servizi pubblici. Più niente funziona.
Lo sappiamo con certezza: la sola cosa che riesce a far funzionare, è
l’organizzazione criminale del profitto.
Hanno
condotto gli affari loro nel disprezzo del popolo, il risultato è deplorevole.
Tocca al popolo occuparsi dei suoi, finendo di rovinare i loro. A noi far
ripartire tutto su basi nuove.
Più
il valore di scambio predomina sul valore d’uso, più s’impone il regno della
merce. Più accorderemo la preminenza all’uso che noi desideriamo fare della
nostra vita e del nostro ambiente, più la merce perderà il mordente. La
gratuità le porterà la stoccata.
L’autogestione
segna la fine dello Stato di cui la pandemia ha messo in luce il fallimento e
la nocività. I protagonisti della democrazia parlamentare sono i becchini di
una società disumanizzata a causa della redditività.
Si
è visto, invece, il popolo, messo di fronte alle carenze dei governi, dare prova di
una solidarietà indefettibile e mettere in atto una vera e propria autodifesa sanitaria. Non è questa un’esperienza
che lascia augurare un’estensione delle pratiche autogestionarie?
Niente
è più importante che prepararci a farci carico dei settori pubblici, un
tempo a carico dallo Stato, prima che la dittatura del profitto li mandasse in
demolizione.
Lo
Stato e la rapacità dei suoi agenti hanno bloccato e paralizzato tutto, tranne
l’arricchimento dei ricchi. Ironia della storia, l’impoverimento è ormai la
base di una ricostruzione generale della società. Come potrebbe, chi ha
affrontato la morte, avere paura dello Stato e dei suoi sgherri?
La
nostra ricchezza è la nostra volontà di vivere.
Il
rifiuto di pagare tasse e imposte ha smesso di appartenere al repertorio delle
incitazioni sovversive. Come sarebbero in grado di pagarle i milioni di
persone a cui stanno per mancare i mezzi di sussistenza quando il denaro, a miliardi, continua a essere inghiottito nell’abisso delle
malversazioni finanziarie e del debito che queste scavano? Non dimentichiamolo,
è dalla predominanza accordata al profitto che nascono le pandemie e
l’incapacità di trattarle. Resteremo, dunque, all’insegna della mucca pazza,
senza trarne lezione? Ammetteremo, infine, che il Mercato e i suoi gestori sono
il virus da sradicare?
Non
è più il momento dell’indignazione, dei lamenti, delle constatazioni dello
smarrimento intellettuale. Insisto sull’importanza delle decisioni che le
assemblee locali e federate prenderanno “tramite il popolo e per il popolo” in
materia d’alimentazione, di alloggio, di trasporto, di salute, d’insegnamento,
di cooperative monetarie, di miglioramento dell’ambiente umano, animale,
vegetale.
Andiamo
avanti pur se arrancando. Meglio sbagliare sperimentando piuttosto che
regredire e reiterare gli errori del passato. L’autogestione è in germe
nell’insurrezione della vita quotidiana. Ricordiamoci che quel che ha distrutto
e interrotto l’esperienza delle collettività libertarie della rivoluzione
spagnola, è stata l’impostura comunista.
Non
chiedo a nessuno di approvarmi e ancora meno di seguirmi. Vado per la mia
strada. Libertà per ognuna e ognuno di fare altrettanto. Il desiderio di vita è
senza limiti. La nostra vera patria è in ogni luogo dove la libertà di vivere
sia minacciata. La nostra terra è una patria senza frontiere.
Raoul Vaneigem, 10 aprile 2020
[1]
Riferimento
alle Songlines di Bruce Chatwin, NdT.
[2] Riferimento alle stragi di
settembre 1792 a Parigi, NdT.
PEUPLES DU MONDE,
ENCORE UN EFFORT !
Le monde change de base
Le choc du coronavirus n’a fait qu’exécuter le jugement que prononçait
contre elle-même une économie totalitaire fondée sur l’exploitation de l’homme
et de la nature.
Le vieux monde défaille et
s’effondre. Le nouveau, consterné par l’amoncellement des ruines, n’ose les
déblayer ; plus apeuré que résolu, il peine à retrouver l’audace de l’enfant
qui apprend à marcher. Comme si avoir longtemps crié au désastre laissait le
peuple sans voix.
Pourtant, celles et ceux
qui ont échappé aux mortels tentacules de la marchandise sont debout parmi les
décombres. Ils s’éveillent à la réalité d’une existence qui ne sera plus la
même. Ils désirent s’affranchir du cauchemar que leur a asséné la dénaturation
de la terre et de ses habitants.
N’est ce pas la preuve que
la vie est indestructible ? N’est-ce pas sur cette évidence que se brisent dans
le même ressac les mensonges d’en haut et les dénonciations d’en bas ?
La lutte pour le vivant
n’a que faire de justifications. Revendiquer la souveraineté de la vie est en
mesure d’anéantir l’empire de la marchandise, dont les institutions sont
mondialement ébranlées.
Jusqu’à ce jour, nous ne
nous sommes battus que pour survivre. Nous sommes restés confinés dans une
jungle sociale où régnait la loi du plus fort et du plus rusé. Allons-nous
quitter l’emprisonnement auquel nous contraint l’épidémie de coronavirus pour
réintégrer la danse macabre de la proie et du prédateur ? N’est-il pas
manifeste pour toutes et tous que l’insurrection de la vie quotidienne, dont
les gilets jaunes ont été en France le signe annonciateur, n’est rien d’autre
que le dépassement de cette survie qu’une société de prédation n’a cessé de
nous imposer quotidiennement et militairement ?
Ce dont nous ne
voulons plus
est le ferment de
ce que nous voulons
La vie est un phénomène
naturel en ébullition expérimentale permanente. Elle n’est ni bonne ni
mauvaise. Sa manne nous fait cadeau de la morille tout autant que de l’amanite
phalloïde. Elle est en nous et dans l’univers comme une force aveugle. Mais elle
a doté l’espèce humaine de la capacité de distinguer la morille de l’amanite,
et un peu plus ! Elle nous a armés d’une conscience, elle nous a donné la
capacité de nous créer en recréant le monde.
Pour nous faire oublier
cette extraordinaire faculté, il a fallu que pèse sur nous le poids d’une
histoire qui débute avec les premières Cités-Etats et se termine – d’autant
plus hâtivement que nous y mettrons la main – avec l’effritement de la
mondialisation marchande.
La vie n’est pas une
spéculation. Elle n’a que foutre des marques de respect, de vénération, de
culte. Elle n’a d’autre sens que la conscience humaine, dont elle a doté notre
espèce pour l’éclairer.
La vie et son sens humain
sont la poésie faite par un et par toutes et tous. Cette poésie-là a toujours
brillé de son éclat dans les grands soulèvements de la liberté. Nous ne voulons
plus qu’elle soit, comme par le passé, un éclair éphémère. Nous voulons mettre
en œuvre une insurrection permanente, à l’image du feu passionnel de la vie,
qui s’apaise mais jamais ne s’éteint.
C’est du monde entier que
s’improvise un chant des pistes. C’est là que notre volonté de vivre se forge
en brisant les chaînes du pouvoir et de la prédation. Des chaînes que nous,
femmes et hommes, nous avons forgées pour notre malheur.
Nous voici au cœur d’une
mutation sociale, économique, politique et existentielle. C’est le moment du
«Hic Rhodus, hic salta, Ici est Rhodes, ici tu sautes». Ce n’est pas une
injonction à reconquérir le monde dont nous avons été chassés. C’est le souffle
d’une vie que l’irrésistible élan des peuples va rétablir dans ses droits
absolus.
L’alliance avec la
nature exige la fin de son exploitation lucrative
Nous n’avons pas assez
pris conscience de la relation concomitante entre la violence exercée par
l’économie à l’encontre de la nature qu’elle razzie, et la violence dont le
patriarcat frappe les femmes depuis son instauration, il y a trois ou quatre
mille ans avant l’ère dite chrétienne.
Avec le capitalisme
vert-dollar, le pillage brutal des ressources terrestres tend à céder la place
aux grandes manœuvres de la subornation. Au nom de la protection de la nature,
c’est encore la nature qui est mise à prix. Ainsi en va-t-il dans les
simulacres de l’amour lorsque le violeur se pomponne en séducteur pour mieux
agripper sa proie. La prédation recourt de longue date à la pratique du gant de
velours.
Nous sommes à l’heure où
une nouvelle alliance avec la nature revêt une importance prioritaire. Il ne
s’agit pas évidemment de retrouver – comment le pourrait-on ? - la
symbiose avec le milieu naturel dans laquelle évoluaient les civilisations de
la cueillette avant que vienne les supplanter une civilisation fondée sur le
commerce, l’agriculture intensive, la société patriarcale et le pouvoir hiérarchisé.
Mais, on l’aura compris,
il s’agit désormais de restaurer un milieu naturel où la vie soit possible,
l’air respirable, l’eau potable, l’agriculture débarrassée de ses poisons, les
libertés du commerce révoquées par la liberté du vivant, le patriarcat
démembré, les hiérarchies abolies.
Les effets de la
déshumanisation et des attaques menées systématiquement contre l’environnement
n’ont pas eu besoin du coronavirus pour démontrer la toxicité de l’oppression
marchande. En revanche, la gestion catastrophique du cataclysme a montré
l’incapacité de l’État à faire preuve de la moindre efficacité en dehors de la
seule fonction qu’il soit à même d’exercer : la répression, la
militarisation des individus et des sociétés.
La lutte contre la
dénaturation n’a que faire des promesses et des louables intentions
rhétoriques, qu’elles soient soudoyées ou non par le marché des énergies
renouvelables. Elle repose sur un projet pratique qui mise sur l’inventivité
des individus et des collectivités. La permaculture renaturant les terres
empoisonnées par le marché des pesticides n’est qu’un témoignage de la
créativité d’un peuple qui a tout à gagner d’anéantir ce qui a conjuré sa
perte. Il est temps de bannir ces élevages concentrationnaires où la
maltraitance des animaux fut notamment cause de la peste porcine, de la grippe
aviaire, de la vache rendue folle par cette folie de l’argent fétichisé que la
raison économique va une fois de plus tenter de nous faire ingurgiter sinon
digérer.
Ont-elles un sort si
différent du nôtre ces bêtes de
batteries qui sortent du confinement pour entrer dans l’abattoir ? Ne
sommes-nous pas dans une société qui distribue des dividendes au parasitisme
d’entreprise et laisse mourir hommes, femmes et enfants faute de moyens
thérapeutiques ? Une imparable logique économique allège ainsi les charges
budgétaires, imputables au nombre croissant de vieilles et de vieux. Elle
préconise une solution finale qui les condamne impunément à crever dans des
maisons de retraites dénuées de moyens et d’aides soignants. Il s’est trouvé à
Nancy, en France, un haut responsable de la santé pour déclarer que l’épidémie
n’est pas une raison valable pour ne pas supprimer plus de les lits et de
personnel hospitalier. Personne ne l’a chassé à grands coups de pieds aux
fesses. Les assassins économiques suscitent moins d’émoi qu’un malade mental
courant les rues en brandissant le couteau de l’illumination religieuse.
Je n’en appelle pas à la
justice du peuple, je ne préconise pas de septembriser les pouacres du chiffre
d’affaire. Je demande seulement que la générosité humaine rende impossible le
retour de la raison marchande.
Tous les modes de
gouvernement que nous avons connus ont fait faillite, délités par leur cruelle
absurdité. C’est au peuple qu’il appartient de mettre en œuvre un projet de
société qui restitue à l’humain, à l’animal, au végétal, au minéral une unité
fondamentale.
Le mensonge qualifiant
d’utopie un tel projet n’a pas résisté au choc de la réalité. L’histoire a
frappé la civilisation marchande d’obsolescence et d’insanité. L’édification
d’une civilisation humaine n’est pas seulement devenue possible, elle fraie
l’unique voie qui, passionnément et désespérément rêvée par d’innombrables
générations, s’ouvre sur la fin de nos cauchemars.
Car le désespoir a changé
de camp, il appartient au passé. Il nous reste la passion d’un présent à construire.
Nous allons prendre le temps d’abolir le time is money qui est le temps
de la mort programmée.
La renaturation est un
bouillon de cultures nouvelles où nous aurons à tâtonner entre confusion et
innovations dans les domaines les plus divers. N’avons-nous pas accordé trop de
crédit à une médecine mécaniste qui
souvent traite le corps comme un garagiste la voiture confiée à son
entretien ? Comment ne pas se défier d’un expert qui vous répare pour vous
renvoyer au travail ?
Si longtemps martelé par les impératifs
productivistes, le dogme de l’antinature n’a-t-il pas contribué à exaspérer nos
réactions émotionnelles, à propager panique et hystérie sécuritaire, en exacerbant
en conséquence le conflit avec un virus que l’immunité de notre
organisme aurait eu quelques chance d’amadouer ou de rendre moins agressif, si toutefois
elle n’avait été mise à mal par un totalitarisme marchand, auquel rien
d’inhumain n’est étranger ?
On nous a bassinés à
satiété avec les progrès de la technologie. Pour aboutir à quoi ? Les navettes
célestes vers Mars et l’absence terrestre de lits et de respirateurs dans les
hôpitaux.
Assurément, il y aura plus
à s’émerveiller des découvertes d’une vie dont nous ignorons tout, ou presque.
Qui en douterait ? Hormis les oligarques et leurs larbins, que la diarrhée
mercantile vide de leur substance, et que nous allons confiner dans leurs
latrines.
En finir avec la militarisation des corps, des mœurs, des
mentalités
La répression est la
dernière raison d’être de l’État. Lui-même la subit sous la pression des
multinationales imposant leurs diktats à la terre et à la vie. La prévisible
mise en cause des gouvernements répondra à la question : le confinement eût-il
été pertinent si les infrastructures médicales étaient demeurées performantes,
au lieu de subir le délabrement que l’on sait, décrété par le devoir de rentabilité ?
En attendant – force est
de le constater – la militarisation et la férocité sécuritaire n’ont fait que
prendre le relais de la répression en cours dans le monde entier. L’Ordre
démocratique ne pouvait souhaiter meilleur prétexte pour se prémunir contre la
colère des peuples. L’emprisonnement chez soi, n’était-ce pas le but des
dirigeants, inquiets de la lassitude qui menaçait leurs sections d’assaut de
matraqueurs, d’éborgneurs, de tueurs salariés ? Belle répétition générale que
cette tactique de la nasse employée contre des manifestants pacifiques,
réclamant entre autres la réhabilitation des hôpitaux.
Au moins sommes-nous
prévenus : les gouvernements vont tout tenter pour nous faire transiter du
confinement à la niche. Mais qui acceptera de passer docilement de l’austérité
carcérale au confort de la servilité rafistolée ?
Il est probable que la
rage de l’enfermé aura saisi l’occasion de dénoncer le système tyrannique et
aberrant qui traite le coronavirus à la façon de ce terrorisme multicolore dont
le marché de la peur fait ses choux gras.
La réflexion ne s’arrête
pas là. Pensez à ces écoliers qui, dans le pays des Droits de l’Homme, ont été
contraints de s’agenouiller devant la flicaille de l’État. Pensez à l’éducation
même où l’autoritarisme professoral entrave depuis des siècles la curiosité
spontanée de l’enfant et empêche la générosité du savoir de se propager
librement. Pensez à quel point l’acharnement concurrentiel, la compétition,
l’arrivisme du « pousse toi de là que je m’y mette » nous ont
confinés dans une caserne.
La servitude volontaire
est une soldatesque qui marche au pas. Un pas à gauche, un pas à droite ?
Quelle importance ?L’un et l’autre restent dans l’Ordre des choses.
Quiconque accepte qu’on
lui aboie dessus, ou par en-dessous, n’a dès à présent qu’un avenir d’esclave.
SORTIR DU MONDE
MORBIDE ET CLOS
DE LA CIVILISATION
MARCHANDE
La vie est un monde qui
s’ouvre et elle est ouverture sur le monde. Certes, elle a souvent subi ce
terrible phénomène d’inversion où l’amour se change en haine, où la passion de
vivre se transforme en instinct de mort. Pendant des siècles, elle a été réduite
en esclavage, colonisée par la fruste nécessité de travailler et de survivre à
la façon d’une bête.
Cependant, on ne connaît pas
d’exemple d’un enfermement, en cellules d’isolation, de millions de couples, de
familles, de solitaires que la faillite des services sanitaires a convaincus
d’accepter leur sort sinon docilement du moins avec une rage contenue.
Chacun se retrouve seul,
confronté à une existence où il est tenté de démêler la part de travail servile
et la part de désirs fous. L’ennui des plaisirs consommables est-il compatible
avec l’exaltation des rêves que l’enfance a laissé cruellement
inaccomplis ?
La dictature du profit a
résolu de tout nous ôter à l’heure même où son impuissance s’étale mondialement
et l’expose à un anéantissement possible.
L’absurde inhumanité qui
nous ulcère depuis si longtemps a éclaté comme un abcès dans le confinement
auquel a mené la politique d’assassinat lucratif, que pratiquent cyniquement
les mafias financières.
La mort est la dernière
indignité que l’être humain s’inflige. Non sous l’effet d’une malédiction, mais
en raison de la dénaturation qui lui fut assignée.
Les chaînes que nous avons
forgées dans la peur et la culpabilité, ce n’est ni par la peur ni par la
culpabilité que nous les briserons. C’est par la vie redécouverte et restaurée.
N’est-ce pas ce que démontre, en ces temps d’oppression extrême, l’invincible
puissance de l’entraide et de la solidarité ?
Une éducation serinée
pendant des millénaires nous a enseigné à
réprimer nos émotions, à briser nos élans de vie. On a voulu à tous prix
que la bête qui demeure en nous fasse l’ange.
Nos écoles sont des
repaires d’hypocrites, de refoulés, de tortionnaires ratiocinants. Les derniers
passionnés de savoir y pataugent avec le courage du désespoir. Allons-nous, en
sortant de nos cellules carcérales, apprendre enfin à libérer la science du
carcan de son utilité lucrative ? Allons-nous nous employer à affiner nos
émotions, non à les réprimer ? A réhabiliter notre animalité, non à la
dompter, comme nous domptons nos frères dits inférieurs ?
Je n’incite pas ici à la
sempiternelle bonne volonté éthique et psychologique, je pointe du doigt le
marché de la peur où le sécuritaire fait entendre son bruit de bottes. J’attire
l’attention sur cette manipulation des émotions qui abrutit et crétinise les foules,
je mets en garde contre la culpabilisation qui rôde en quête de boucs
émissaires.
Haro sur les vieux, les
chômeurs, les sans papiers, les SDF, les étrangers, les gilets jaunes, les
en-dehors ! C’est le mugissement de ces actionnaires du néant qui font
boutique du coronavirus pour propager la peste émotionnelle. Les
mercenaires de la mort ne font qu’obéir
aux injonctions de la logique dominante.
Ce qui doit être éradiqué,
c’est le système de déshumanisation mis en place et appliqué férocement par
ceux qui le défendent par goût du pouvoir et de l’argent. Il y a longtemps que
le capitalisme a été jugé et condamné. Nous croulons sous la pléthore de
plaidoiries à charge. Cela suffit.
L’imagerie capitaliste
identifiait son agonie à l’agonie du monde entier. Le spectre du coronavirus a
été, sinon le résultat prémédité, du moins l’illustration exacte de son absurde
maléfice. La cause est entendue. L’exploitation de l’homme par l’homme, dont le
capitalisme est un avatar, est une expérience qui a mal tourné. Faisons en
sorte que sa sinistre plaisanterie d’apprenti sorcier soit dévorée par un passé
dont elle n’aurait jamais dû surgir.
Il n’y a que l’exubérance
de la vie retrouvée qui puisse briser du même coup les menottes de la barbarie
marchande et la carapace caractérielle qui estampille dans la chair vive de
chacun la marque de économiquement correct.
LA DEMOCRATIE
AUTOGESTIONNAIRE
ANNULE LA
DÉMOCRATIE PARLEMENTAIRE
Il n’est plus question de
tolérer que, juchés à tous les étages de leurs commissions nationales, européennes,
atlantiques et mondiales, les responsables viennent nous jouer le rôle du
coupable et du non-coupable. La bulle de l’économie, qu’ils ont enflée de dettes
virtuelles et d’argent fictif, implose et crève sous nos yeux. L’économie est
paralysée.
Avant même que le
coronavirus révèle l’étendue du désastre, les «hautes instances» ont grippé et arrêté la machine,
plus sûrement que les grèves et les mouvements sociaux qui, si utilement
contestataires qu’ils fussent, n’en demeurèrent pas moins peu efficaces.
Assez de ces farces
électorales et de ces diatribes de pacotille. Que ces élus, emmanchés par la
finance, soient balayés tels des immondices et disparaissent de notre horizon
comme a disparu en eux la parcelle de vie qui leur prêtait figure humaine.
Nous ne voulons pas juger
et condamner le système oppressif qui nous a condamnés à mort. Nous voulons
l’anéantir.
Comment ne pas retomber
dans ce monde qui s’effondre, en nous et devant nous, sans édifier une société avec
l’humain qui demeure à la portée de nos mains, avec la solidarité individuelle
et collective ? La conscience d’une économie gérée par le peuple et pour
le peuple implique la liquidation des mécanismes de l’économie marchande.
Dans son dernier coup d’éclat, l’État ne s’est
pas contenté de prendre les citoyens en otages et de les emprisonner. Sa
non-assistance à personne en danger les tue par milliers.
L’État et ses
commanditaires ont bousillé les services publics. Plus rien ne marche. Nous le
savons en toute certitude : la seule chose qu’il réussit à faire
fonctionner, c’est l’organisation criminelle du profit.
Ils ont mené leurs affaires au mépris du
peuple, le résultat est déplorable. Au peuple de faire les siennes en achevant
de ruiner les leurs. A nous de tout faire repartir sur des voies nouvelles.
Plus la valeur d’échange
l’emporte sur la valeur d’usage, plus s’impose le règne la marchandise. Plus
nous accorderons la priorité à l’usage que nous souhaitons faire de notre vie
et de notre environnement, plus la marchandise perdra de son mordant. La gratuité
lui portera l’estocade.
L’autogestion marque la
fin de l’État dont la pandémie a mis en lumière et la faillite, et la nocivité.
Les protagonistes de la démocratie parlementaire sont les croque-morts d’une
société déshumanisée pour cause de rentabilité.
On a vu, en revanche, le peuple,
confronté aux carences des gouvernements, faire preuve d’une solidarité indéfectible
et mettre en œuvre une véritable autodéfense sanitaire. N’est-ce pas là
une expérience qui laisse augurer une extension des pratiques autogestionnaires ?
Rien n’est plus important
que de nous préparer à prendre en charge les secteurs publics, jadis assumés
par l’État, avant que la dictature du profit les envoie à la casse.
L’État et la rapacité de
ses commanditaires ont tout mis à l’arrêt, tout paralysé, sauf l’enrichissement
des riches. Ironie de l’histoire, la paupérisation est désormais la base d’une
reconstruction générale de la société. Celui qui a affronté la mort, comment
aurait-il peur de l’État et de sa flicaille ?
Notre richesse, c’est
notre volonté de vivre.
Refuser de payer taxes et impôts
a cessé d’appartenir au répertoire des incitations subversives. Comment
seraient-elles en mesure de s’en acquitter, ces millions de personnes qui vont
manquer de moyens de subsistance alors que l’argent, chiffré en milliards,
continue d’être engloutis dans l’abîme des malversations financières et de la
dette creusée par elles ? Ne l’oublions pas, c’est de la priorité accordée
au profit que naissent et les pandémies et l’incapacité de les traiter. Allons-nous
en rester à l’enseigne de la vache folle sans en tirer de leçon ? Allons-nous
admettre enfin que le marché et ses gestionnaires sont le virus à
éradiquer ?
Le temps n’est plus à
l’indignation, aux lamentations, aux constats du désarroi intellectuel.
J’insiste sur l’importance des décisions que les assemblées locales et fédérées
prendront « par le peuple et pour le peuple » en matière
d’alimentation, de logement, de transport, de santé, d’enseignement, de
coopérative monétaire, d’amélioration de l’environnement humain, animal,
végétal.
Allons de l’avant, même en
tâtonnant. Mieux vaut errer en expérimentant que régresser et réitérer les erreurs
du passé. L’autogestion est en germe dans l’insurrection de la vie quotidienne.
Souvenons-nous que ce qui a détruit et interrompu l’expérience des
collectivités libertaires de la révolution espagnole, c’est l’imposture
communiste.
Je ne demande à personne
de m’approuver, et moins encore de me suivre. Je vais mon chemin. Libre à
chacune et à chacun d’en faire autant. Le désir de vie est sans limite. Notre
vraie patrie est partout où la liberté de vivre est menacée. Notre terre est
une patrie sans frontière.
Raoul Vaneigem, 10 avril 2020