Il programma
dell'Unione Anarchica Italiana è
il programma comunista
anarchico rivoluzionario, che già da cinquant'anni fu sostenuto in Italia
nel seno della I Internazionale sotto il nome di programma socialista, che più
tardi si distinse col nome di socialista anarchico, e che poi, in seguito e per
reazione alla crescente degenerazione autoritaria e parlamentare dei movimento
socialista, si disse semplicemente anarchico.
1. Che
cosa vogliamo
Noi crediamo che
la più gran parte dei mali che affliggono gli uomini dipende dalla cattiva
organizzazione sociale, e che gli uomini volendo e sapendo, possono
distruggerli. La società attuale è il risultato delle lotte secolari che
gli uomini han combattuto tra di loro. Non comprendendo i vantaggi che potevano
venire a tutti dalla cooperazione e dalla solidarietà, vedendo in ogni altro
uomo (salvo al massimo i più vicini per vincoli di sangue) un concorrente ed un
nemico, han cercato di accaparrare, ciascun per sé, la più grande quantità di
godimenti possibili, senza curarsi degli interessi degli altri. Data la lotta,
naturalmente i più forti, o i più fortunati, dovevano vincere ed in vario modo
sottoporre ed opprimere i vinti. Fino a che l'uomo non fu capace di produrre di
più di quello che bastava strettamente al suo mantenimento, i vincitori non
potevano che fugare e massacrare i vinti ed impossessarsi degli alimenti da
essi raccolti. Poi, quando con la scoperta della pastorizia e dell'agricoltura
un uomo potè produrre più di ciò che gli occorreva per vivere, i vincitori
trovarono più conveniente ridurre i vinti in schiavitù e farli lavorare per
loro.
Più tardi, i
vincitori si accorsero che era più comodo, più produttivo e più sicuro sfruttare
il lavoro altrui con un altro sistema: ritenere per sé la proprietà esclusiva
della terra e di tutti ì mezzi di lavoro, e lasciar nominalmente liberi gli
spogliati, i quali poi non avendo mezzi di vivere, erano costretti a ricorrere
ai proprietari ed a lavorare per conto loro, ai patti che essi volevano. Così,
man mano, attraverso tutta una rete complicatissima di lotte di ogni specie,
invasioni, guerre, ribellioni, repressioni, concessioni strappate, associazioni
di vinti unitisi per la difesa, e di vincitori unitisi per l'offesa, si è
giunti allo stato attuale della società in cui alcuni detengono ereditariamente
la terra e tutta la ricchezza sociale, mentre la gran massa degli uomini,
diseredata di tutto, è sfruttata ed oppressa dai pochi proprietari. Da questo
dipendono lo stato di miseria in cui si trovano generalmente i lavoratori, e
tutti i mali che dalla miseria derivano: ignoranza, delitti, prostituzione. Da
questo, la costituzione di una classe speciale (governo), la quale, fornita di
mezzi materiali di repressione, ha missione di legalizzare e difendere i
proprietari contro le rivendicazioni dei proletari; e poi si serve della forza
che ha, per creare a sé stessa dei privilegi e sottomettere, se può, alla sua
supremazia anche la stessa classe proprietaria. Da questo, la costituzione di
un'altra classe speciale (il clero), la quale con una serie di favole sulla
volontà di Dio, sulla vita futura, ecc., cerca d'indurre gli oppressi a
sopportare docilmente l'oppres-sione, ed al pari del Governo oltre di fare gli
interessi dei proprietari, fa anche i suoi propri. Da questo, la formazione di
una scienza ufficiale che è, in tutto ciò che può servire agl'interessi dei
dominatori, la negazione della scienza vera. Da questo, lo spirito patriottico,
gli odi di razza, le guerre, e le paci armate talvolta più disastrose delle
guerre stesse. Da questo, l'amore trasformato in tormento o in turpe mercato.
Da ciò l'odio più o meno larvato, la rivalità, il sospetto fra tutti gli
uomini, l'incertezza e la paura per tutti. Tale stato di cose noi vogliamo
radicalmente cambiare. E poiché tutti questi mali derivano dalla lotta fra gli
uomini, dalla ricerca del benessere fatta da ciascuno per conto suo e contro
tutti, noi vogliamo rimediarvi sostituendo all'odio l'amore, alla concorrenza
la solidarietà, alla ricerca esclusiva del proprio benessere la cooperazione
fraterna per il benessere di tutti, alla oppressione ed all'imposizione la
libertà, alla menzogna religiosa e pseudoscientifica la verità. Dunque:
1. Abolizione della
proprietà privata della terra, delle materie prime e degli strumenti di lavoro,
perché nessuno abbia il mezzo di vivere sfruttando il lavoro altrui, e tutti,
avendo garantiti i mezzi per produrre e vivere, siano veramente indipendenti e
possano associarsi agli altri liberamente; per l'interesse comune e
conformemente alle proprie simpatie.
2. Abolizione
dei Governo e di ogni potere che faccia la legge e la imponga agli altri:
quindi abolizione di monarchie, repubbliche, parlamenti, eserciti, polizie, magistratura,
ed ogni qualsiasi istituzione dotata di mezzi coercitivi.
3.
Organizzazione della vita sociale per opera di libere associazioni e
federazioni di produttori e consumatori, fatte e modificate secondo la volontà
dei componenti, guidati dalla scienza e dall'esperienza e liberi da ogni
imposizione che non derivi dalle necessità naturali, a cui ognuno, vinto dal
sentimento stesso della necessità ineluttabile, volontariamente si sottomette.
4. Garantiti i
mezzi di vita, di sviluppo, di benessere ai fanciulli ed a tutti coloro che
sono impotenti a provvedere a loro stessi.
5. Guerra alle
religioni ed a tutte le menzogne, anche se si nascondono sotto il manto della
scienza. Istruzione scientifica per tutti e fino ai suoi gradi più elevati.
6. Guerra alle
rivalità ed ai pregiudizi patriottici. Abolizione delle frontiere: fratellanza
fra tutti i popoli.
7. Ricostruzione
della famiglia in quel modo che risulterà dalla pratica dell'amore, libero da
ogni vincolo legale, da ogni oppressione economica o fisica, da ogni
pregiudizio religioso
2. Vie e
mezzi
Abbiamo esposto
a sommi capi qual'è lo scopo che vogliamo raggiungere quale l'ideale pel quale
lottiamo.
Ma non basta
desiderare una cosa: se si vuole ottenerla davvero bisogna impiegare i mezzi
adatti al suo conseguimento. E questi mezzi non sono arbitrari, ma derivano,
necessariamente, dal fine cui si mira e dalle circostanze nelle quali si lotta;
giacché ingannandosi sulla scelta dei mezzi, non si raggiungerebbe il fine
propostosi, ma un altro, magari opposto che sarebbe conseguenza naturale,
necessaria, dei mezzi adoperati. Chi si mette in cammino e sbaglia strada, non
va dove vuole, ma dove lo porta la strada percorsa.
Occorre dunque,
dire quali sono i mezzi che, secondo noi, conducono allo scopo prefissoci, e
che noi intendiamo adoperare.
Il nostro ideale
non è di quelli il cui conseguimento dipende dall'individuo considerato
isolatamente. Si tratta di cambiare il modo di vivere in società, di stabilire
tra gli uomini rapporti di amore e solidarietà, di conseguire la pienezza dello
sviluppo materiale, morale e intellettuale, non per un dato partito, ma per
tutti quanti gli esseri umani - e questo non è cosa che si possa imporre colla
forza, ma deve sorgere dalla coscienza illuminata di ciascuno ed attuarsi mediante
il libero consentimento di tutti.
Nostro primo
compito quindi deve essere quello di persuadere la gente. Bisogna che noi
richiamiamo l'attenzione degli uomini sui mali che soffrono e sulla possibilità
di distruggerli. Bisogna che suscitiamo in ciascuno la simpatia pei mali altrui
ed il desiderio vivo del bene di tutti.
A chi ha fame e
freddo noi mostreremo come sarebbe possibile, e facile, assicurare a tutti la
soddisfazione dei bisogni materiali. A chi è oppresso e vilipeso, noi diremo
come si può vivere felicemente in una società di liberi e uguali; a chi è
tormentato dall'odio e dal rancore, noi additeremo la via per raggiungere,
amando i propri simili, la pace e la gioia del cuore.
E quando saremo
riusciti a far nascere nell'animo degli uomini il sentimento di ribellione
contro i mali ingiusti ed inevitabili di cui si soffre nella società presente,
ed a far comprendere quali sono le cause di questi mali e come dipenda dalla
volontà umana l'eliminarli; quando avremo ispirato il desiderio vivo, prepotente,
di trasformare la società per il bene di tutti, di coloro che li han preceduti
nella convinzione, si uniranno e vorranno, e potranno, attuare i comuni ideali.
Sarebbe - lo
abbiam già detto - assurdo ed in contraddizione col nostro scopo di voler imporre
la libertà, l'amore fra gli uomini, lo sviluppo integrale di tutte le facoltà
umane, per mezzo della forza. Bisogna dunque contare sulla libera volontà degli
altri, e la sola cosa che possiamo fare è quella di provocare il formarsi ed il
manifestarsi di detta volontà. Ma sarebbe però egualmente assurdo e contrario
al nostro scopo l'ammettere che coloro i quali non la pensano come noi
c'impediscano di attuare la nostra volontà, sempre che essa non leda il loro
diritto ad una libertà uguale alla nostra.
Libertà dunque
per tutti di propagare ed esperimentare le proprie idee, senza altro limite che
quello che risulta naturalmente dall'eguale libertà di tutti.
Ma a questo si
oppongono - e si oppongono colla forza brutale - coloro che sono i beneficiari
degli attuali privilegi e dominano e regolano tutta la vita sociale presente.
Essi hanno in
mano tutti i mezzi di produzione; e quindi sopprimono non solo la possibilità
di esperimentare nuovi modi dì convivenza sociale, non solo il diritto dei
lavoratori di vivere liberamente col proprio lavoro, ma anche lo stesso diritto
all'esi-stenza; ed obbligano chi non è proprietario a lasciarsi sfruttare ed
opprimere se non vuole morire di fame.
Essi hanno
polizie, magistrature, eserciti creati appositamente per difendere i loro
privilegi; e perseguitano, incarcerano, massacrano coloro che vogliono abolire
quei privilegi e reclamano i mezzi di vita e la libertà per tutti.
Gelosi dei loro
interessi presenti ed immediati, corrosi dallo spirito di dominazione paurosi
dell'avvenire. essi, i privilegiati, sono, generalmente parlando, incapaci di
uno slancio generoso, sono incapaci benanco di una più larga concezione dei
loro interessi. E sarebbe follia sperare ch'essi rinunzino volontariamente alla
proprietà ed al potere, e si adattino ad essere gli eguali dì coloro che oggi
tengono sottoposti.
Lasciando da
parte l'esperienza storica (la quale dimostra che mai una classe privilegiata
si è spogliata, in tutto o in parte dei suoi privilegi, e mai un governo ha abbandonato
il potere se non vi è stato obbligato dalla forza o dalla paura della forza),
bastano i fatti contemporanei per convincere chiunque che la borghesia ed i
governi intendono impiegare la forza materiale per difendersi, non solo contro
l'espropriazione totale, ma anche contro le più piccole pretese popolari, e son
pronti sempre alle più atroci persecuzioni, ai più sanguinosi massacri. Al
popolo che vuole emanciparsi non resta altra via che quella di opporre la forza
alla forza.
Risulta da
quanto abbiamo detto che noi dobbiamo lavorare, per risvegliare negli oppressi
il desiderio vivo di una radicale trasformazione sociale, e persuaderli che
unendosi, essi hanno la forza di vincere; dobbiamo propagare il nostro ideale e
preparare le forze morali e materiali necessari a vincere le forze nemiche, e
ad organizzare la nuova società. E quando avremo la forza sufficiente dobbiamo,
profittando delle circostanze favorevoli che si producono o creandole noi
stessi, fare la rivoluzione sociale, abbattendo, colla forza, il governo,
espropriando, colla forza, i proprietari; mettendo in comune i mezzi di vita e
di produzione, ed impedendo che nuovi governi vengano ad imporre la loro
volontà e ad ostacolare la riorganizzazione sociale fatta direttamente dagli
interessati.
Tutto questo
però è meno semplice di quello che potrebbe a prima giunta parere. Noi abbiamo
da fare cogli uomini quali sono nell'attuale società, in condizioni morali e
materiali disgraziatissime; e c'inganneremo pensando che basta la propaganda
per elevarli a quel grado di sviluppo intellettuale e morale che è necessario
all'attua-zione dei nostri ideali.
Tra l'uomo e
l'ambiente sociale vi è un'azione reciproca. Gli uomini fanno la società come
essa è e la società fa gli uomini come essi sono, e da ciò risulta una specie
di circolo vizioso. Per trasformare la società bisogna trasformare gli uomini e
per trasformare gli uomini bisogna trasformare la società.
La miseria
abbruttisce l'uomo e per distruggere la miseria bisogna che gli uomini abbiano
coscienza e volontà. La schiavitù educa gli uomini ad essere schiavi e per
liberarsi dalla schiavitù v'è bisogno di uomini aspiranti alla libertà.
L'ignoranza fa sì che gli uomini non conoscano le cause dei loro mali e non
sappiano rimediarvi, e per distruggere l'ignoranza bisogna che gli uomini
abbiano il tempo ed il modo d'istruirsi.
Il governo
abitua la gente a subire la legge ed a credere che la legge sia necessaria alla
società; e per abolire il governo bisogna che gli uomini siano persuasi della
sua inutilità e del suo danno.
Come uscire da
questo circolo vizioso?
Fortunatamente
la società attuale non è stata formata dalla volontà illuminata di una classe
dominante, che abbia potuto ridurre tutti i dominati a strumenti passivi ed
incoscienti dei suoi interessi. Essa è il risultato di mille lotte intestine,
di mille fattori naturali ed umani agenti casualmente senza criteri direttivi;
e quindi non vi sono divisioni nette né tra gli individui né tra le classi.
Infinite sono le
varietà dì condizioni materiali; infiniti i gradi di sviluppo morale ed
intellettuale; e non sempre - diremmo quasi molto raramente - il posto che uno
occupa in società corrisponde alle sue facoltà ed alle sue aspirazioni.
Spessissimo alcuni individui cadono in condizioni inferiori a quelle a cui sono
abituati, ed altri, per circostanze eccezionalmente favorevoli, riescono ad
elevarsi a condizioni superiori a quelle in cui sono nati. Una parte notevole
del proletariato è già arrivata ad uscire dallo stato di miseria assoluta,
abbrutente, o non ha mai potuto esservi ridotta; nessun lavoratore, o quasi
nessuno si trova nello stato di incoscienza completa, di completa acquiescenza
alle condizioni che gli fanno i padroni. E le stesse istituzioni, quali sono
state prodotte dalla storia, contengono delle contraddizioni organiche che sono
come dei germi di morte, i quali sviluppandosi producono la dissoluzione
dell'istituzione e la necessità della trasformazione.
Da ciò la
possibilità dei progresso; ma non la possibilità di portare, per mezzo della
propaganda, tutti gli uomini al livello necessario perché vogliano e facciano
l'anarchia, senza un'anteriore graduale trasformazione dell'ambiente.
Il progresso
deve camminare contemporaneamente, parallelamente negli individui e
nell'ambiente; dobbiamo profittare di tutti i mezzi di tutte le possibilità, dì
tutte le occasioni che ci lascia l'ambiente attuale, per agire sugli uomini e
sviluppare la loro coscienza ed i loro desideri; dobbiamo utilizzare tutti i
progressi avvenuti nella coscienza degli uomini per indurli a reclamare ed
imporre quelle maggiori trasformazioni sociali che sono possibili e che meglio
servono ad aprire la via a progressi ulteriori.
Noi non dobbiamo
aspettare dì poter fare l'anarchia ed intanto limitarci alla semplice
propaganda. Se facessimo così, presto avremmo esaurito il campo; avremmo
convertiti cioè, tutti quelli che nell'ambiente sono suscettibili di
comprendere ed accettare le nostre idee e la nostra ulteriore propaganda
resterebbe sterile; o se delle trasformazioni d'ambiente elevassero nuovi
strati popolari alla possibilità di ricevere idee nuove, ciò avverrebbe senza
l'opera nostra, forse contro l'opera nostra e quindi con pregiudizio delle
nostre idee.
Noi dobbiamo
cercare che il popolo, nella sua totalità o nelle sue frazioni, pretenda,
imponga, prenda da sé tutti i miglioramenti, tutte le libertà che desidera, man
mano che giunge a desiderarle ed ha la forza di imporle; e propagandando sempre
tutto intero il nostro programma e lottando sempre per la sua attuazione integrale,
dobbiamo spingere il popolo a pretendere ed imporre sempre di più fino a che
non ha raggiunto l'eman-cipazione completa.
3. La
lotta economica
L'oppressione
che, oggi, più direttamente preme sui lavoratori, e che è la causa principale
dì tutte le soggezioni morali e materiali cui i lavoratori sottostanno, è
l'oppres-sione economica, vale a dire lo sfruttamento che i padroni e i
commercianti esercitano su di loro, grazie all'accaparramento di tutti i grandi
mezzi di produzione e di scambi.
Per sopprimere
radicalmente e senza pericolo di ritorno questa oppressione, occorre che il
popolo tutto sia convinto del diritto che esso ha all'uso dei mezzi di
produzione, e che attui questo suo diritto primordiale espropriando i detentori
dei suolo e di tutte le ricchezze sociali e mettendo quello e queste a
disposizione di tutti.
Ma si può ora
stesso metter mano a questa espropriazione? Si può oggi passare direttamente,
senza gradi intermedi, dall'inferno in cui si trova ora il proletariato, al
paradiso della proprietà comune?
I fatti
dimostreranno di che cosa i lavoratori sono oggi capaci. Compito nostro è
quello di preparare il popolo, moralmente e materialmente, a questa necessaria
espropriazione; e di tentarla e ritentarla, ogni volta che una scossa
rivoluzionaria ce ne presenta l'occasione fino al trionfo definitivo Ma in che
modo possiamo preparare il popolo? In che modo preparare le condizioni che
rendano possibile, non solo il fatto materiale dell'espropriazione, ma
l'utilizzazione, a vantaggio di tutti, della ricchezza comune?
Abbiamo detto
antecedentemente che la sola propaganda, parlata o scritta, è impotente a
conquistare alle nostre idee tutta quanta la grande massa popolare. Occorre una
educazione pratica, la quale sia a volta a volta causa ed effetto di una
graduale trasformazione dell'ambiente Occorre che a mano a mano che si
sviluppati nei lavoratori il senso di ribellione contro le ingiuste e inutili
sofferenze di cui son vittime, ed il desiderio di migliorare le loro
condizioni, essi, uniti e solidali tra loro, lottino per il conseguimento di
quel che desiderano. E noi, e come anarchici e come lavoratori, dobbiamo
provocarli ed incoraggiarli alla lotta e lottare con loro.
Ma sono
possibili, in regime capitalistico, questi miglioramenti? Sono essi utili, dal
punto di vista della futura emancipazione integrale dei lavoratori?
Qualunque siano
i risultati pratici della lotta per i miglioramenti immediati, l'utilità
principale sta nella lotta stessa. Con essa gli operai imparano ad occuparsi
dei loro interessi di classe, imparano che il padrone ha interessi opposti al
loro e che essi non possono migliorare le loro condizioni ed anche meno
emanciparsi, se non unendosi e diventando più forti dei padroni. Se riescono ad
ottenere quello che vogliono, staranno meglio: guadagneranno di più,
lavoreranno meno, avranno più tempo e più forza per riflettere alle cose che
loro interessano, e sentiranno subito desideri maggiori, bisogni maggiori. Se
non riescono, saran condotti a studiare le cause dell'insuccesso ed a riconoscere
la necessità di maggiore unione, di maggiore energia; e comprenderanno infine
che a vincere sicuramente e definitiva niente occorre distruggere il
capitalismo. La causa della rivoluzione, la causa dell'elevamento morale del
lavoratore e della sua emancipazione non possono che guadagnare dal fatto che i
lavoratori si uniscono e lottano per ì loro interessi.
Ma, ancora una
volta, è possibile che i lavoratori riescano, nell'attuale stato di cose, a
migliorare realmente le loro condizioni?
Ciò dipende dal
concorso di una infinità di circostanze. Malgrado ciò che dicono alcuni, non
esiste una legge naturale (legge dei salari), la quale determina la parte che
va al lavoratore sul prodotto del suo lavoro: o, se legge si vuol formulare,
essa non potrebbe essere che questa: il salario non può scendere normalmente ai
disotto di quel tanto che è necessario alla vita, né può normalmente salire
tanto da non lasciare nessun profitto al padrone.
È chiaro che nel
primo caso gli operai morrebbero e quindi non riscuoterebbero più salario, e
nel secondo i padroni cesserebbero di far lavorare e quindi non pagherebbero
più salari. Ma tra questi i due estremi impossibili vi sono una infinità di
gradi, che vanno dalle condizioni miserabili di molti lavoratori agricoli fino a
quelle quasi decenti degli operai dei buoni mestieri nelle grandi città.
Il salario, la
lunghezza della giornata e tutte le altre condizioni del lavoro sono il
risultato della lotta tra padroni e lavoranti. Quelli cercano di dare ai
lavoranti il meno che possono e di farli lavorare fino a esaurimento completo;
questi cercano, o dovrebbero cercare, di lavorare il meno e guadagnare il più
che possono. Dove i lavoratori si contentano di tutto, o, anche essendo
scontenti. non sanno opporre valida resistenza ai padroni, sorto presto ridotti
a condizioni animalesche di vita: dove invece essi hanno un concetto alquanto
elevato del modo come dovrebbero vivere degli esseri umani, e sanno unirsi e,
mediante il rifiuto di lavoro e la minaccia latente o esplicita di rivolta,
imporsi rispetto ai padroni, essi sono trattati in modo relativamente
sopportabile. In modo che può dirsi che il salario dentro certi limiti, è
quello che l'operaio (non come individuo, s'intende, ma come classe) pretende.
Lottando dunque,
resistendo contro i padroni, i lavoratori possono impedire, fino ad un certo
punto. che le loro condizioni peggiorino ed anche ottenere dei miglioramenti
reali. E la storia del movimento operaio ha già dimostrato questa verità.
Bisogna però non
esagerare la portata di questa lotta combattuta tra operai e padroni sul
terreno esclusivamente economico. I padroni possono cedere, e spesso cedono,
innanzi alle esigenze operaie energicamente espresse, fino a quando non si
tratti di pretese troppo grosse, ma quando gli operai incominciassero (ed è
urgente elle incomincino) a pretendere un tale trattamento che assorbirebbe
tutto il profitto dei padroni e riuscirebbe così ad una espropriazione
indiretta, è certo che i padroni farebbero appello si governo e cercherebbero
di costringere gli operai a restare nella loro posizione di schiavi salariati.
Ed anche prima,
ben prima che gli operai possano pretendere di ricevere in compenso del loro
lavoro l'equivalente di tutto ciò che han prodotto, la lotta economica diventa
impotente a continuare a produrre il miglioramento delle condizioni dei
lavoratori.
Gli operai
producono tutto e senza di loro non si può, vivere: quindi sembrerebbe che
rifiutando il lavoro essi potessero imporre tutto ciò che vogliono. Ma l'unione
di tutti i lavoratori anche di un sol mestiere, anche di un sol paese, è
difficile ad ottenere, ed all'unione degli operai si oppone l'unione dei
padroni. Gli operai vivono alla giornata e, se non lavorano, presto mancano di
pane; mentre i padroni dispongono, mediante il denaro, di tutti i prodotti già
accumulati, e quindi possono tranquillamente aspettare che la fame abbia
ridotti a discrezione i loro salariati. L'invenzione o l'introduzione di nuove
macchine rende inutile l'opera di un gran numero di operai ed accresce il
grande esercito dei disoccupati, che la fame costringe a vendersi a qualunque
condizione. L'immigrazio-ne apporta subito nei paesi dove gli operai riescono a
star meglio, delle folle di lavoratori famelici che, volendo o no, offrono ai
padroni il modo di ribassare i salari. E tutti questi fatti, derivanti
necessariamente dal sistema capitalistico, riescono a controbilanciare il
progresso della coscienza e della solidarietà operaia: spesso camminano più
rapidamente di questo progresso e lo arrestano e lo distruggono. Ed in tutti i
casi resta sempre il fatto primordiale che la produzione, in sistema
capitalistico, è organizzata da ciascun capitalista per il suo profitto
individuale e non già per soddisfare come sarebbe naturale, nel miglior modo
possibile, i bisogni dei lavoratori. Quindi il disordine, lo sciupio di forze
umane, la scarsezza voluta dei prodotti, i lavori inutili e dannosi, la
disoccupazione, le terre incolte, il poco uso delle macchine ecc. - tutti mali
che non si possono evitare se non levando ai capitalisti il possesso dei mezzi
di lavoro e quindi la direzione della produzione.
Presto dunque si
presenta per gli operai, che intendono emanciparsi o anche solo di migliorare
seriamente le loro condizioni, la necessità di attaccare il governo, il quale,
legittimando il diritto di proprietà e sostenendola colla forza brutale,
costituisce una barriera innanzi al progresso, che bisogna abbattere colla
forza se non si vuole restare indefinitamente nello stato attuale e peggio.
Dalla lotta
economica bisogna passare alla lotta politica, cioè alla lotta contro il
governo; ed invece di opporre ai milioni dei capitalisti gli scarsi centesimi a
stento accumulati dagli operai, bisogna opporre ai fucili ed ai cannoni che
difendono la proprietà, quei mezzi migliori che il popolo potrà trovare per
vincere la forza con la forza.
4. La
lotta politica
Per la lotta
politica intendiamo la lotta contro il governo. Governo è l'insieme di
quegl'individui che detengono il potere, comunque acquistato, di far la legge
ed imporla ai governanti, cioè al pubblico.
Conseguenza
dello spirito di dominio e della violenza con cui alcuni uomini si sono imposti
agli altri, esso è, nello stesso tempo, creatore e creatura del privilegio e
suo difensore naturale.
Erroneamente si
dice che il governo compie oggi la funzione di difensore del capitalismo, ma
che abolito il capitalismo esso diventerebbe rappresentante e gerente degli
interessi generali. Prima di tutto il capitalismo non si potrà distruggere se
non quando i lavoratori, cacciato il governo, prendano possesso della ricchezza
sociale ed organizzino la produzione ed il consumo nell'interesse di tutti, da
loro stessi, senza aspettare l'opera di un governo il quale, anche a volerlo,
non sarebbe capace di farlo.
Ma v'è di più:
se il capitalismo fosse distrutto e si lasciasse sussistere un governo, questo,
mediante la concessione di ogni sorta di privilegi lo creerebbe di nuovo poiché
non potendo accontentar tutti avrebbe bisogno di una classe economicamente potente
che lo appoggi in cambio della protezione legale e materiale che ne riceve.
Per conseguenza,
non si può abolire il privilegio e stabilire solidamente e definitivamente la
libertà e l'uguaglianza sociale se non abolendo il governo, non questo o quel governo,
ma l'istituzione stessa del governo.
Però, in questo,
come in tutti i fatti d'interesse generale, più che in qualunque altro occorre
il consenso della generalità: e perciò dobbiamo sforzarci di persuadere la
gente che il governo è inutile e dannoso, e che si può vivere meglio senza
governo.
Ma, come abbiamo
già ripetuto, la sola propaganda è impotente a convincere tutti - e se noi
volessimo limitarci a predicare contro il governo, aspettando altrimenti
inerti, il giorno in cui il pubblico sarà convinto della possibilità ed utilità
di abolire completamente ogni specie di governo, quel giorno non verrebbe mai.
Sempre
predicando contro ogni specie di governo, sempre reclamando la libertà
integrale, noi dobbiamo favorire tutte le lotte per le libertà parziali,
convinti che nella lotta s'impara a lottare e che incominciando a gustare un
po' di libertà si finisce col volerla tutta. Noi dobbiamo sempre essere col
popolo, e quando non riusciamo a fargli pretender molto, cercare che almeno
cominci a pretender qualche cosa: e dobbiamo sforzarci perché apprenda, poco o
molto che voglia, a volerlo conquistare da sé, e tenga in odio ed in disprezzo
chiunque sta o vuole andare al governo.
Poiché il
governo tiene oggi il potere di regolare, mediante le leggi, la vita sociale ed
allargare o restringere la libertà dei cittadini, noi non potendo ancora
strappargli questo potere, dobbiamo cercare di diminuirglielo e dì obbligarlo a
farne l'uso meno dannoso possibile Ma questo lo dobbiamo fare stando sempre
fuori e contro il governo, premendo su di lui mediante l'agitazione della
piazza minacciando di prendere per forza quello che si reclama. Mai dobbiamo
accettare una qualsiasi funzione legislativa, sia essa generale o locale,
poiché facendo così diminuiremmo l'efficacia della nostra azione e tradiremmo
l'avvenire della nostra causa.
La lotta contro
il governo si risolve, in ultima analisi, in lotta fisica, materiale.
Il governo fa la
legge. Esso dunque deve avere una forza materiale (esercito e polizia) per
imporre la legge, poiché altrimenti non vi ubbidirebbe che chi vuole ed essa
non sarebbe più legge, ma una semplice proposta che ciascuno è libero di
accettare e di respingere. Ed i governi questa forza l'hanno, e se ne servono
per potere con leggi fortificare il loro dominio e fare gl'interessi delle
classi privilegiate, opprimendo e sfruttando i lavoratori.
Limite
all'oppressione del governo è la forza che il popolo si mostra capace di
opporgli. Vi può essere conflitto aperto o latente, ma conflitto v'è sempre;
poiché il governo non si arresta innanzi il malcontento ed alla resistenza
popolare se non quando sente il pericolo dell'insurrezione.
Quando il popolo
sottostà docilmente alla legge, o la protesta è debole e platonica, il governo
fa i comodi suoi senza curarsi dei bisogni popolari; quando la protesta diventa
viva, insistente, minacciosa, il governo, secondo che è più o meno illuminato,
cede o reprime. Ma sempre si arriva all'insurrezione, perché se il governo non
cede, il popolo acquista fiducia in sé e pretende sempre di più, fino a che
l'incompatibilità tra la libertà e l'autorità diventa evidente e scoppia il
conflitto violento.
È necessario
dunque prepararsi moralmente e materialmente perché allo scoppio della lotta
violenta la vittoria resti al popolo.
L'insurrezione
vittoriosa è il fatto più efficace per l'emancipazione popolare, poiché il
popolo, scosso il giogo, diventi libero di darsi a quelle istituzioni che egli
crede migliori, e la distanza che passa tra la legge, sempre in ritardo, ed il
grado di civiltà a cui è arrivata la massa della popolazione, è varcata d'un
salto. L'insurrezione determina la rivoluzione, cioè il rapido attuarsi delle
forze latenti accumulate durante la precedente evoluzione.
Tutto sta in ciò
che il popolo è capace di volere. Nelle insurrezioni passate il popolo,
inconscio delle ragioni vere dei suoi mali, ha voluto sempre molto poco, e
molto poco ha conseguito.
Che cosa vorrà
nella prossima insurrezione? Ciò dipende in parte dalla nostra propaganda e
dall'energia che sapremo spiegare.
Noi dovremmo
spingere il popolo ad espropriare i proprietari e mettere in comune la roba, ed
organizzare la vita sociale da sé stesso, mediante associazioni liberamente
costituite, senza aspettare gli ordini di nessuno e rifiutando di nominare o
riconoscere qualsiasi governo, qualsiasi corpo costituito, che sotto un nome
qualunque (costituente, dittatura, ecc.) si attribuisca, sia pure a titolo
provvisorio, il diritto di far la legge ed imporre agli altri con la forza la
propria volontà.
E se la massa dei
popolo non risponderà all'appello nostro, noi dovremo - in nome del diritto che
abbiamo di esser liberi anche se gli altri vogliono restare schiavi e per
l'efficacia dell'esempio - attuare da noi quanto più potremo delle nostre idee,
e non riconoscere il nuovo governo, e mantenere viva la resistenza, e far si
che le località dove le nostre idee saranno simpaticamente accolte si
costituiscano in comunanze anarchiche, respingano ogni ingerenza governativa,
stabiliscano libere relazioni con le altre località e pretendano di vivere a
modo loro.
Noi dovremo,
soprattutto, opporci con tutti i mezzi alla ricostituzione della polizia e
dell'esercito, e profittare dell'occasione propizia per eccitare i lavoratori
delle località non anarchiche a profittare della mancanza di forza repressiva
per imporre quelle maggiori pretese che a noi riesca indurli ad avere.
E comunque
vadano le cose continuare sempre a lottare, senza un istante di interruzione,
contro i proprietari e contro i governanti avendo sempre in vista la emancipazione
completa, economica, politica e morale di tutta quanta l'umanità.
5.
Conclusione
Noi vogliamo
dunque abolire radicalmente la dominazione e lo sfruttamento dell'uomo
sull'uomo, noi vogliamo che gli uomini affratellati da una solidarietà cosciente
e voluta cooperino tutti volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo
che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i
mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile
sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore,
scienza.
E per
raggiungere questo scopo supremo noi crediamo necessario che i mezzi di
produzione siano a disposizione di tutti, e che nessun uomo, o gruppo di uomini
possa obbligare gli altri a sottostare alla sua volontà né esercitare la sua
influenza altrimenti che con la forza della ragione e dell'esempio.
Dunque,
espropriazione dei detentori dei suolo e del capitale a vantaggio di tutti,
abolizione del governo. Ed aspettando che questo si possa fare: propaganda
dell'ideale; organizzazione delle forze popolari; lotta continua, pacifica o
violenta secondo le circostanze, contro il governo e contro i proprietari per
conquistare quanto più si può di libertà e di benessere per tutti.