sabato 7 luglio 2012

DEMOCRAZIA ! Libertà privata e libertà in rivolta.



Sintesi da Redazione del Fatto Quotidiano del 6 luglio 2012

Ha ancora senso parlare di democrazia? E soprattutto ha ancora senso rivendicarla come bandiera di eguale libertà? Da anni si afferma che è malata, la si accusa, ma le si rimane attaccati come all’ultimo baluardo di libertà e uguaglianza. Da anni si sente parlare di democrazia zoppa, di democrazia finita, di democrazia fallita. Ma a cosa ci riferiamo quando parliamo di democrazia? A una forma utopica e ideale, o a un meccanismo concreto di gestione del potere capace di ridurre le distanze tra i cittadini? L’idea di democrazia ha dovuto adeguarsi a molte sollecitazioni, a cambiamenti sociali così radicali da mettere in crisi non solo le grandi ideologie, ma anche gli ideali che tenevano insieme popoli e nazioni. Cosa rimane al concetto e alla pratica democratica dopo l’improvviso accelerare della storia degli ultimi anni? Cosa dopo decenni di liberismo sfrenato, dopo crisi finanziarie, dopo l’avvento sempre più incontrollabile dei poteri forti? Con questo saggio Paolo Flores D’Arcais riflette sullo stato di salute e sugli spazi di azione ancora propri della democrazia, cercando prima di individuarne nemici e punti deboli, poi di trovare possibili soluzioni per un ritorno vero e condiviso del fare democratico.
Commento di Sergio Ghirardi:

L'esempio della Comune, citato nel libro in questione ma anche, direi, tutti gli altri moderni tentativi storici di democrazia diretta (ogni democrazia che non sia diretta è solo una caricatura carnevalesca dell'oclocrazia capitalista esportata con le armi e la propaganda come macabro ersatz di democrazia) si sono mostrati incompatibili con lo Stato che, bianco, nero o rosso che fosse, si è sempre premurato nei secoli di massacrare sistematicamente tutti i fautori delle organizzazioni consiliari fedeli all'ideale di democrazia sociale.
Anni fa, Lefort parlava già di "democrazia selvaggia" e Abensour ha ipotizzato più di recente una "democrazia insorgente". Tra gli altri, mi sembrano spunti molto utili alla riflessione. Credo si debba ripartire da questo nodo dell'incompatibilità definibile tra una democrazia che tenda ad allargarsi dal locale della Comune ricostituita al planetario dell'internazionale del genere umano, e lo Stato che ha storicamente vampirizzato le nazioni riducendole a categorie etnosociologiche funzionali al modo di produzione capitalistico.

Una tale rivoluzione, communalista e internazionalista al contempo, sarà ancora più ampia di quella che ha permesso alla borghesia di abolire l'Ancièn Régime in nome di un totalitarismo economicista in agguato nel cavallo di Troia dei diritti dell'uomo. Il proletariato planetario, in quanto ultima classe della storia, ha in mano la possibilità di realizzare una società umana pacificata contro e oltre la lotta tra le classi che il feticismo della merce sta finendo di digerire nell'alienazione generalizzata e nella competizione produttivista globalizzata.
Ce n'est qu'un début, continuons le débat...
 
Risposta di Albertoagitescion:
Possiamo teorizzare una presa di coscienza mondiale, ma le differenze culturali sono insormontabili. In Egitto hanno vinto i Fratelli Musulmani che non é precisamente un movimento democratico. In Africa la democrazia non sanno neanche come si traduce nelle lingue locali ed in India esistono ancora e sono radicate le Caste. Queste analisi sovrastrutturali veteromarxiste possono rivelarsi solo elucubrazioni accademiche
…e mio ulteriore commento:

Le differenze culturali sono sormontabili e sistematicamente sormontate dalla storia.
Lei avrebbe potuto vaticinare con la stessa sicurezza nel 1780 contro chi avesse parlato di superamento dell'Ancièn Régime.
Certo io non so se e quando questa rottura di paradigma si farà, ma la sostengo confidando sul fatto che quelli che ieri bruciavano gli eretici oggi non possono più farlo impunemente. Non mi faccia ora passare per un veterocattolico o, a piacere, per un sostenitore dell'ideologia musulmana. Considero tutti i monoteismi delle psicopatologie sociali, ma scommetto, senza enfasi né ottimismi particolari, su un'auspicabile laicizzazione del mondo.
Voglio solo sottolineare che il processo storico è in marcia e che soltanto dei voyeurs depressi possono accettare di subirlo passivamente come un ineluttabile destino. Per quel che mi riguarda, io sono marxista quanto Marx quando diceva di non essere marxista mentre la distinzione tra struttura e sovrastruttura è la più classica delle elucubrazioni accademiche veteromarxiste.