Lo Stato, le istituzioni governate da rappresentanti
democraticamente eletti, sembrano astrazioni per ingenui.
Quello che conta è il Sistema.
Prendete il caso di Giuseppe Orsi, 67 anni, manager di
lungo corso, arrivato al vertice del colosso pubblico Finmeccanica dopo aver
guidato per anni la controllata degli elicotteri Agusta Westland. È indagato
dalla procura di Napoli per corruzione internazionale, lui si dichiara innocente,
ma la poltrona è in pericolo. Chiede conforto al vecchio amico, coetaneo e
concittadino di Piacenza, Ettore Gotti Tedeschi. Uno che,
direbbe un altro piacentino illustre come Pier Luigi Bersani,
guarda il Potere all’altezza degli occhi. Finanziere influentissimo, il Papa
gli ha affidato nel 2009 lo Ior, la banca vaticana. Gotti Tedeschi, a cena, a
quattr’occhi, ma intercettato dai magistrati napoletani, dice la sera del 23
maggio a Orsi: “Il Sistema è a tuo favore e ti difenderà”.
Mentre regole e meccanismi si sfaldano, gli uomini di potere
si avvinghiano a un riferimento astratto, impalpabile, che è però quanto
di più concreto vedono all’orizzonte: il Sistema, gli Equilibri.
Ecco Nicola Mancino, ex tutto. È stato ministro
dell’Interno, presidente del Senato, vice presidente del Consiglio Superiore
della Magistratura. Oggi è un pensionato, ma il vestito gli sta stretto nel
momento in cui si sente minacciato dall’inchiesta palermitana sulla trattativa
tra Stato e mafia.
Allora telefona al
consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio, e dice: “Io debbo avere tutte
le garanzie, anche per quanto riguarda la rilevanza statuale delle cose
che sto facendo”. Il pensionato Mancino che rivendica azioni “di rilevanza
statuale” è la versione nobile dei profittatori di regime che sfrecciano per le
strade della Capitale con il lampeggiante blu sul tetto dell’auto, tanto per
darsi un contegno. Gente che non segue le regole, ma sa aderire alle pieghe del
Sistema.
E quindi Orsi non si fa aiutare dall’amico saggio e informato a valutare se
con quel po’ po’ di inchiesta sul groppone ha senso restare abbarbicati alla
poltrona, ma si fa spiegare che cosa sta accadendo nelle pieghe del Sistema,
nel frullatore del potere in cui cordate, correnti, combriccole, logge
massoniche (P3 e P4 comprese) o fraternità religiose giocano
la loro partita, che fatalmente sfocerà in esiti arbitrari e incontrollabili. E
dunque che fa il direttore del Corriere della Sera? Boh. Gotti
Tedeschi allarga le braccia: “Ma de Bortoli è così, purtroppo lui è uno che dà
un colpo al cerchio e uno alla botte”.
Ma soprattutto, che cosa sta frullando nella testa di Ignazio
Moncada? Che non è deputato, ministro o alto burocrate, ma molto
di più. Apparentemente è solo il presidente senza poteri della Fata, una
controllata scassata di Finmeccanica. Ma Gotti Tedeschi mette in guardia
l’amico Orsi, che, regolamento alla mano, potrebbe (forse addirittura dovrebbe)
cacciare Moncada senza preavviso: “Non semplificarlo come agente segreto della
Cia, o un massoncello qualsiasi, è veramente un grandissimo burattinaio”.
Burattinaio, ecco. Linguaggio di riporto, perché i due sodali parlano per citazioni.
Burattinaio era Licio Gelli, negli anni ‘70. Al terzo
millennio è toccato Moncada, che è in tono con lo spirito dei tempi. L’ex
agente segreto, allievo del generale Gianadelio Maletti, ama
presentarsi come l’anti-Bisignani. Lui Bisignani, proveniente dal
vivaio andreottiano, maturato nella P2, esploso durante Tangentopoli, è il
Burattinaio che mette insieme Stato e Chiesa, finanzieri e cardinali, e
raggiunge il suo massimo fulgore nell’Italia berlusconiana. Si va da lui a
chiedere appoggio per questa o quella nomina, a propiziare il sostegno del
Sistema alla propria carriera o all’assunzione di un proprio caro. Lui
chiama o convoca ministri o direttori generali, e dà ordini con il tono soave,
amichevole del dispensatore di consigli acuti e disinteressati.
Moncada ha come riferimento la massoneria laica di palazzo Giustiniani. Le
sue amicizie forti vengono dall’antica militanza socialista: Giuliano Amato,
Giulio Tre-monti, Franco Frattini, Gianni De Michelis, il diplomatico Gianni
Castellaneta.
È un grande tessitore di accordi e amicizie, latore di
messaggi e avvertimenti. Gotti Tedeschi lo considera fonte di verità
importanti. Dice a Orsi, che detesta Moncada perché lo conosce come sponsor di
Alessandro Pansa, il direttore generale di Finmeccanica che vuole fargli le
scarpe: “Lui ha enorme stima di te, m’ha persino detto con quali persone ieri
sera ha discusso il caso Orsi, e tutti, anche persone importantissime, hanno
detto che Orsi è una persona che va difesa e va supportata”.
Il Sistema è questo, un sinedrio di volti coperti (almeno per ora, dagli
omissis degli atti giudiziari), che discutono i destini del Paese
perché i vertici dello Stato hanno dovuto delegare, in outsourcing,
le decisioni pesanti. E dunque il vice ministro dell’Economia Vittorio
Grilli, che dovrebbe decidere se silurare Orsi ed eventualmente con
chi sostituirlo, appare come il terminale non completamente passivo, ma
certamente debole, al quale il Sistema troverà il modo di far sapere che
decisione è stata presa. E Orsi non sa che pesci prendere: “Pansa dice che lui
c’ha tutto il supporto di Moncada”, ammette con tono un po’ disperato l’uomo
che pure rivendica di avere i meriti professionali per guidare un gruppo
industriale da 70 mila dipendenti. Ma a che servono i meriti senza l’appoggio
di Moncada, cioè del Sistema? A niente, e Orsi lo sa benissimo, lui che al
vertice di Fin-meccanica c’è arrivato per caso, visto che il capo di allora
Guarguaglini lo aveva descritto al ministro della primavera 2011, Giulio
Tremonti, come “non trasparente”. Ma all’ultimo momento, nella spartizione
delle aziende pubbliche, non era rimasto niente per la Lega, e il Sistema
decise di accontentarla premiando il padano Orsi e mettendoglielo in quota.
Commento di Sergio Ghirardi:
Il suo spaccato flash del "Sistema" alla salsa
italiana è veridico e raccapricciante ma non sorprendente.
I soli sorpresi (e sono davvero troppi) sono tutti gli
educati alla cultura dominante (di destra, di sinistra o di altrove) che è,
come sempre, la cultura della classe dominante. Con un bemolle contemporaneo:
che la classe dominante non è più una classe nel senso marxiano del termine
(l'unico senso non bassamente sociologico del concetto di classe che lo stesso
Marx ha molto utilizzato senza però avere il tempo di approfondire un concetto
che, dopo il filosofo rivoluzionario di Treviri, è stato tirato in tutti i
sensi dalla sottocultura piccolo borghese dei cittadini spettatori) ma un
coacervo di caste mafiose che gestiscono il potere in nome di un popolo reso
bue attraverso la liturgia pseudodemocratica del voto nel vuoto.
Il "sistema" è l'organizzazione politica
mafiosa della società capitalista a dominazione reale (vedi Sesto capitolo inedito del Capitale,
Nuova Italia 1973), quella che è stata felicemente definita dagli ultimi
rivoluzionari del XX° secolo "società dello spettacolo", intendendo
con ciò non il becerismo dei programmi televisivi ma la vita fittizia di coloro
che una volta spenta la televisione continuano a subire la loro sopravvivenza
miserabile da consumatori salariati o disoccupati come una puntata dell'eterna,
immutabile telenovela del quotidiano confiscato.
La fine del “sistema dello spettacolo” coinciderà con
l'inizio di un'autogestione generalizzata della vita quotidiana da parte di
soggetti umani risorti. Altrimenti l'ultimo che scenderà dal palco potrà solo
spegnere la luce e continuare a guardare nel buio il nulla che ci sopravviverà.