Il 5 maggio 2013, Jacques Attali ha
pubblicato questo scritto che conferma e denuncia l’operazione d’insabbiamento delirante
della sempre attiva trappola nucleare giapponese.
L’importanza di questa testimonianza
sta nel fatto che Attali non è affatto un critico della società dominante e del
suo orripilante progresso. Emerso negli anni 80 come giovane consigliere di Mitterand, ha in
seguito scritto una sorta di biografia politica poco favorevole al Presidente
fiorentino, Attali si è poi dedicato con lena a elaborare un progetto per
Sarkozy nel periodo di regno di Nicolas il breve. Destra sinistra o sinistra
maldestra, tutto fa brodo, Attali è il “progressista tipo” di una sinistra
capitalistica ideologica ben oltre le ideologie, un dottore scientista alla
Kubrick che sostiene totalmente il sistema come ineluttabile, approfitta dei
privilegi annessi al farne parte ma mantiene vivo il fantasma di un utopismo riformistico utile solo a sdoganare
di fatto il modo di produzione dai suoi crimini. L’ultimo dei quali in Giappone
è la rimessa in funzione di centrali nucleari che si era deciso di fermare
definitivamente.
Non so se per Attali si tratti di un
pentimento dovuto all’età. Resta , però, il fatto che il delirio capitalistico
e produttivista continua imperterrito mentre il mondo subisce un macabro conto
alla rovescia.
Per questo una denuncia tanto netta e
preoccupata da parte di uno dei suoi adepti più fedeli ha, secondo me, una
valenza particolare che mi ha spinto a tradurla e diffonderla.
Irradiati
di tutti i paesi unitevi!
Sergio
Ghirardi
Dopo il terribile incidente
dell’undici marzo 2011 (un terremoto di 9 gradi sulla scala Richter e uno
tsunami di 15 metri),
la centrale devastata di Fukushima non sembra aver causato problemi di salute
all’esterno del Giappone.
In Giappone, invece, sono stati
trovati dei livelli di cesio superiori alla norma autorizzata nei prodotti
alimentari.
Inoltre, se si crede a certi dati
giapponesi, alcuni dei quali non ancora tradotti, la situazione di Fukushima
non è più sotto controllo.
Innanzitutto 400 tonnellate d’acqua vi
entrano ogni giorno, inviate dall’operatore, TEPCO, per raffreddare le reazioni
nucleari che si susseguono. Le acque sono dunque contaminate e si aggiungono
alle 280.000 tonnellate di acqua contaminata già presente. Inoltre la centrale
è piena di centinaia di tonnellate di materiale altamente contaminato. Secondo
certe informazioni (ottenute da lavoratori del sito che andranno confermate o,
si spera, destituite di fondamento), il livello di radioattività nei primi tre
reattori (i cui cuori sono entrati in fusione) sarebbe di 800 millisieverts
(unità di valutazione dell’impatto radioattivo sull’uomo) nel reattore 1; di
880 millisieverts nel reattore 2; di 1510 millisieverts nel reattore 3. Ora, un
uono muore rapidamente se esposto a un livello di 1000 millisieverts. Il
reattore 4, fermo al momento dello tsunami, conteneva 1131 unità di
combustibile irradiato, ovvero 14225 barre, in una piscina resa estremamente
fragile dallo tsunami e senza dubbio, anche a causa di un’esplosione d’idrogeno,
ancora non interamente spiegata.
Mentre a Chernobyl una copertura di
protezione è stata costruita in sette mesi, mobilizzando 300.000 persone tra
cui 30.000 soldati, a Fukushima il livello di radioattività è dunque tale che neanche
un commando suicida potrebbe operarvi per più di qualche secondo; neppure si
può utilizzare ovunque dei robot perché la struttura è troppo malridotta.
In un raggio di quindici km, le città
sono vuote; un po’ più lontano si constata un aumento sensibile delle leucemie
e dei tumori al seno; in mare, davanti alla centrale, a 1 km dalla costa, sono stati
trovati nei pesci più di 2000 Bq/per kg (misura del numero di disintegrazioni
radioattive al secondo per un chilo di materia), cioè quattro volte la dose
massima tollerata, mentre in altri pesci più rari sono stati trovati fino a
7400 dosi di cesio oltre il lumite massimo tollerato. Siccome la contaminazione
si propaga attraverso il plancton e i pesci piccoli che mangiano il fango
contenente le sostanze radioattive, ci sono a 120 km da Fukushima dei
pesci contenenti 380 Bq/kg che poi si propagano fino alla baia di Tokio. Al
ritmo attuale, secondo l’AIEA, per la decontaminazione ci vorrebbero almeno 4
decenni.
Intanto, molti fatti possono prodursi;
si comincia in particolare a temere che la centrale crolli prima che la
decontaminazione sia terminata.
Da un lato le strutture di
confinamento si stanno rompendo; dall’altro, secondo diversi esperti, si
moltiplicano i segni di un prossimo terremoto marino al largo di Nagoya-Osaka o
nella regione di Fukushima superiore ai 6 gradi, tale dunque da provocare in
certe condizioni uno tsunami di dieci metri. Molto di recente (13 e 21 aprile)
diversi terremoti o repliche di forza analoga si sono prodotti nella regione di
Fukushima, in terra e mare.
In tal caso, il sistema di
raffreddamento andrebbe in panne; i muri di confinamento crollerebbero; le
280.000 tonnellate d’acqua contaminata si riverserebbero sul suolo e in mare;
l’unità 4 sarebbe distrutta e le sue barre irradiate non sarebbero più
protette: Le conseguenze sarebbero immense per tutto il Giappone e ben oltre.
Si dovrebbero in particolare evacuare i 30 milioni di abitanti della regione di
Tokio.
Ultimo problema: in mare si trovano
delle scorie dello tsunami dal volume equivalente, si dice, a due «monti
Fuji». Siccome la tecnologia permette di recuperare
soltanto i detriti a meno di 30
metri di profondità, solo la zona costiera è stata
ripulita, lasciando la maggior parte dei detriti corrodersi in mare.
Siccome i
giapponesi sembrano minimizzare tutti questi problemi che non sono alla portata
della loro tecnologia, una mobilitazione dell’intero pianeta diventa necessaria
se non si vuole che le conseguenze siano terrificanti per l’umanità. Il
prossimo G8 a Londra, in giugno, deve decidere che Fukushima non è più un
problema giapponese, ma un problema mondiale.
Jacques Attali