Il
neologismo deturnamento, dal francese
détournement, s’impiega per abbreviazione
della formula: deturnamento di elementi estetici artificiali. Integrazione di
produzioni attuali o passate delle arti in una costruzione superiore
dell’ambiente. In questo senso, non ci può essere pittura o musica
situazionista, ma un uso situazionista di questi mezzi. In un senso più
primitivo, il deturnamento all’interno delle sfere culturali classiche è un
metodo di propaganda che testimonia dell’usura e della perdita d’importanza di
queste sfere.
Internazionale situazionista, n°1
Tutto si espone in piena luce, come
per magia e a prima vista sembra facile raccapezzarsi di fronte all’evidenza. Invece
è tutt'altro che facile prendere posizione di fronte allo spettacolo politico
senza cadere in una delle innumerevoli trappole che il sistema di manipolazione
delle coscienze articola e prevede nel tessere la sua tela di mantide più
religiosa che mai.
Nel laboratorio italiano ancora più
che altrove, lo schifoso compromesso preistorico tra mafiosi e burocrati risalta
ormai agli occhi di tutti.
Dovunque, però, nella fase terminale
del capitalismo planetario e nella decomposizione accelerata del meccanismo usuale
della società produttivistica in crisi strutturale, nessun dubbio resta
possibile: esiste un’alleanza obiettiva di tutti gli apparenti antagonisti che
partecipano allo spettacolo della democrazia per spartirsi il bottino offerto
dallo Stato come premio per aver favorito spudoratamente il Mercato contro gli
interessi dei cittadini.
Destra e sinistra di uno stesso
programma produttivistico alternano le loro ideologie per servitori volontari
sempre più scemi, intrappolando popoli e individui in una crisi che non li
riguarda ma che sono costretti a subire come fosse la loro.
Così, in un’oscena batracomiomachia, i
cittadini-spettatori si accapigliano nel derby permanente tra destre sinistre e
sinistre maldestre di un’unica fatiscente polis/prigione capitalista, fingendo
d’ignorare che il risultato della partita è assolutamente preconfezionato a
tavolino.
Il recente abbraccio in Parlamento tra
Bersani e Alfano, foriero di tanto scalpore virtuale, è solo uno spot
occasionale, un lapsus fotografico di quel che tutti sanno.
Ora, visto che la nemesi calcistica è
l’unico linguaggio filosofico che fa ancora fremere la sensibilità ottusa degli
indiani rinchiusi nella riserva dello stivale, diciamo che è imbarazzante
vedere Totti e Chinaglia abbracciarsi fraternamente dopo una partita senza reti
il cui risultato permette di dividersi scudetto e salvezza.
Una tale metafora di cotanta presa in
giro dovrebbe far svegliare anche i tifosi più zombi. Macché, continuano a
sbraitare le loro retoriche fasciste e antifasciste accomunati da una peste
emozionale che restituisce attualità alla vecchia e cinica profezia di Bordiga:
“L’antifascismo è il peggior prodotto del
fascismo”.
Forza Lazio, forza PDL, forza Roma,
forza PD (ma c’è sempre una nuova squadra per ogni alienazione che compare sul
mercatino delle pulci dell’ideologia): tutti questi lavoratori frustrati che
arrancano nella competizione capitalistica, non sono altro che piccolissimi gerarchi
che s’ignorano, padri di famiglia che alimentano spesso la gerarchia sociale
umiliando banalmente e malamente le mogli e i figli al rientro nelle loro
gabbie familiari, con la coda tra le gambe miseramente salariate o disoccupate.
In questa polveriera senza miccia, il
M5s ha rappresentato, sullo squallido palcoscenico italiano, non solo la miccia
ma anche l’accendino.
Il suo unico compito storico possibile
sarebbe quello di traghettare un popolo confuso e reso demente da secoli
d’umiliazione dal daily hospital
della democrazia parlamentare all’agorà
conviviale di una democrazia reale tutta da re-inventare.
Prima di inventare una democrazia,
però, parafrasando un sillogismo storicamente italiano, bisognerebbe inventare
i democratici. Dei soggetti, cioè, che abbiano colto l’essenza sociale
dell’individuo e la necessità di tendere alla felicità dell’emancipazione insieme
con gli altri e non contro di loro.
Ad avere inventato la forma moderna
della democrazia, (la Grecia è sempre un modello molto interessante e utile da
studiare, ma risale a una realtà sociale precapitalistica lontana dal nostro
complicato presente) ci avevano, infatti, già pensato per secoli, dopo la
rivoluzione borghese del 1789, i rivoluzionari pacifici che dalla Comune di
Parigi in poi hanno proposto al mondo intero una patria comune e il concreto
progetto di una democrazia orizzontale dove, abolite le classi e
l’appropriazione privativa, ognuno contasse uno e tutti decidessero insieme
della loro sorte e del buon fine dei loro progetti sociali.
Contrariamente alla propaganda che
incita gli analfabeti coltivati nelle serre virtuali dello spettacolo a credere
l’opposto, questi tentativi hanno sempre funzionato benissimo, tra gioia,
poesia e voglia di continuare a mostrare la loro superiore capacità di fornire
un modus vivendi degno dei valori umani fondamentali: libertà, fratellanza e
uguaglianza, nella diversità rispettata di ognuno e nella comune volontà di
godimento della vita di tutti i propri simili.
Solo la volontà di potenza dei
parassiti del modo di produzione capitalista, erede di tutta la civiltà della
divisione del lavoro e del suo sfruttamento redditizio, ha sempre aggredito fisicamente
e militarmente ogni comunità umana insorgente, imponendo con la forza e la
manipolazione a tutte le tribù di esseri umani reali la pax totalitaria di una
casta becera e avida di potere. La vera forza di questa genia maledetta si fa
da sempre forte di pedagoghi affaristi, polizie, eserciti e magistrature (in
una parola lo Stato formale e informale).
Oggi più che mai lo Stato è il
detentore della violenza legale e dello schiavismo organizzato e mascherato da
diritto sempre più ipotetico al lavoro, schiavismo formalmente abolito per
meglio preservarne l’esistenza reale. Oltre ogni ipocrita liberalismo
predatorio, del resto, la schiavitù resta l’anima del potere, il cuore del business
che distrugge la vita e lo stesso mondo che la ospita.
Un fatto di cronaca recentissimo mi
pare incarnare orribilmente meglio di ogni analisi la condizione umana
presente: le quattro femmine di Cleveland sottrattesi per caso all’ipnosi di un
sequestro decennale nel cuore di una favela
della normalità, si caricano nell’inconscio collettivo di tutta l’umanità umiliata
di una violenza patriarcale di genere e di classe, mentre il loro
sequestratore, maschio dominante, predatore e stupratore, incarna mostruosamente
a pennello la minoranza predatrice che colleziona esseri come averi, impotente
ad amare e carica di odio persecutorio.
L’appropriazione è fittizia perché il
padrone non possiede per amore, non conosce dono e cerca soltanto di apparire a
se stesso, nei suoi specchi deformanti e deformati di una sopravvivenza
vomitevole, come immagine spettacolare di un’inconfessabile riuscita sociale. Anziché
in orgasmi liberatori, il suo godimento reale si riduce dunque a sfoghi miserabili,
vendette misogine consumate nell’imposizione di un’autorità perversa e nella
sofferenza inflitta a qualcuno piegato al dominio crudele del suo torturatore.
Nella perversione delirante di una
tale volontà di potenza predatrice, soltanto la priva(tizza)zione dello
schiavo/a è reale ed è il risultato tragico di una guerra mai ufficialmente dichiarata
ma vinta vergognosamente, di nascosto. Siamo di fronte a un Pinochet del
quotidiano, imbevuto dello stesso liberalismo conseguente e cinico dei Chicago
boys di Friedman, un mostro autodidatta fatto in casa, spontaneamente, nella
succursale di Cleveland.
Choc
economy
al quotidiano: più normale di così c’è solo uno spot pubblicitario.
Dieci anni di qualche vita individuale
torturata e perduta corrispondono a secoli di vite sociali altrettanto cinicamente
mandate in malora dalla perversione della libertà che il liberalismo incarna insieme
al capitalismo che lo genera.
Natica oltraggiosamente liberale di destra
e un po’ meno, ma ormai neanche tanto, di sinistra, sono entrambe prezzolate
per nascondere l’ineluttabile conclusione dello stupro sociale che sta
desertificando il mondo e che qualcuno osa ancora chiamare civiltà.
Le parabole macabre della società
dello spettacolo mostrano sempre più nudo il retro di un potere che logora il
culo di chi non ce l’ha, ma nessuno osa ancora scardinare la porta che
restituirebbe la libertà.
Probabilmente senza misurarne davvero
la portata, Grillo si è presentato come il portiere imprevisto e imprevedibile
del campo di concentramento italico.
La sua indignazione e il privilegio senza
vergogna di una sopravvivenza agiata (che aiuta a non sottostare ai ricatti
economici sui quali si fonda il mondo del business planetario), si sono probabilmente
mescolati nel fargli scegliere di indicare col suo grosso dito scandaloso di
star mediatica la luna di una società umana non spettacolare.
Tanto meglio e onore alla sua passione
se, come sembra, non nasconde zone oscure, ma qui comincia il problema e non
finisce affatto lo spettacolo.
Democrazia spettacolare e parlamentare
o democrazia diretta?
Abbastanza liberamente da sposare
l’esigenza comune e generica di cambiare davvero un mondo di cui un numero
sempre crescente d’individui sociali non ne può davvero più, questa questione
dirimente è stata finalmente posta da qualche coscienza individuale,
inevitabilmente carica - come tutte - di primitivismi e contraddizioni.
Un tale slancio di umanità, un tale
risorgimento della passione politica da troppo tempo ridotta a calcolo
opportunista e redditizio, non genera, infatti, purtroppo, (e come potrebbe?) né
assoluta lucidità né garanzia di riuscita. Per questo, del resto, è lodevole
l’invito rivolto da Grillo a votanti e devoti a investirsi in prima persona nel
cambiamento senza atteggiamenti da voyeur, sudditi incapaci di agire ma facili
alla disillusione repentina.
Eppure non basta: vecchi primitivismi
cattolici (moralismo e francescanesimo) si mescolano con magie moderniste ipertecnicistiche
creando illusioni. Il mito di S Francesco e quello del Web sono due miti di
troppo, ma risulta difficile, nell’ignoranza globalizzata che domina il mondo,
fare a meno dei miti.
AVER PRATICAMENTE VINTO LE ELEZIONI
PARLAMENTARIE È RISULTATO UN GRAVE HANDICAP PER DEI VOLONTARI SPONTANEISTI DELLA
DEMOCRAZIA DIRETTA.
http://www.beppegrillo.it/2013/05/montecitorio_abbiamo_un_problema.html#commenti |
Poco avvezzi a gestire liturgie e non
necessariamente pronti a tanto improvviso spazio sociale, gli eletti a 5 stelle
hanno lasciato emergere i limiti di individui che oltre lo sforzo sincero di
una critica alla società dominante non avevano pronto per magia, in un cassetto
ideologico, anche un progetto preciso del superamento individuale e collettivo
di un modo di governo ipocrita e spettacolare. Nessuna colpa in questo, ANZI,
ma un enorme boulevard per il recupero propagandistico esercitato dai servi
politici e mediatici della società dello spettacolo.
Di fronte alla potenza di fuoco dei loro
innumerevoli nemici, i cittadini del M5S si sono trovati di fronte a un compito
forse più grande di loro e hanno singhiozzato qualche delirio, parecchi veniali
narcisismi e confusionismi inevitabili mentre cominciano a emergere degli
inevitabili egoismi carrieristi da parte di qualche eletto scilipoteggiante.
Al momento di affondare la sua sincera
critica di Versailles, il M5s non immaginava che Versailles gli avrebbe aperto
tutte le porte per meglio intrappolarlo al suo interno e si sono trovati incravattati
al passaggio del re, per quanto ormai nudo, senza troppo sapere che fare né a
che popolo voltarsi. Troppa grazia S. Francesco!
Puristi rigidi della prima ora
(nessuna fiducia a Bersani) e strateghi tardivi ma coerenti dell’ultima (votate
Rodotà e faremo il governo insieme), quando ormai il Pd si era ritrovato nella
sua profonda anima masochista, succube di Berlusconi e dell’inciucio di
giornata, Grillo e i cosiddetti grillini (in realtà cittadini ancora in cerca
di soggettività) hanno visto riformarsi davanti a loro lo spettro di un governo
di corrotti dal denaro e dall’ideologia, fantasma degno del peggior passato,
riformatosi come un’Idra di Lerna dalle amputazioni subite.
Le affermazioni ideologiche della
campagna elettorale sono state volgarmente disattese come non mai da Letta e
Letta, detectives demenziali di un nuovo episodio del Tintin spettacolare: PD e PDL al paese dei soviet anticomunisti e
mafiosi. Mai la sindrome corruttiva del potere era andata così lontano.
AVAMPOSTO SAHARA: IL CAPITAN LETTA
DELLA LEGIONE STRANIERA
Ormai la realtà supera ogni metafora
che provi a raccontarla. Al giovane vecchio Enrico hanno imposto, o si è scelto,
i peggiori ceffi in circolazione. È circondato da ladri, mafiosi,
intrallazzatori e varia disumanità. Tutti arruolati senza domande. Come si suol
dire, il più pulito ha la rogna, ma lui, dritto in piedi nel suo stivale delle
sette leghe (del nord, del centro, del sud, di destra, sinistra e centro +
mafie varie), parla forbito di riforme necessarie, di uscita dal tunnel e di
superamento della crisi. Sembra un disco rotto che non smette di gracchiare.
Nessuno lo ascolta ma tutti - per ora - lo applaudono (i giornalisti) e sono
d’accordo (i politici). Sanno che è lì per volere del capo di cui sono tutti
dipendenti e che farà fino in fondo i suoi interessi. Con Ghedini in tribunale
e Letta al governo chi ha più bisogno di Scilipoti? Persino Andreotti cede il
campo agli eredi.
Ma torniamo al dunque. Il M5s è a un
bivio cruciale e si ritrova nella bufera spettacolare dove rischia di dimenticare
la sua sola ragione di essere: la transizione dalla democrazia spettacolare a
una reale. Per mantenere la rotta della sua lotta esemplare non può
accontentarsi di una moralizzazione del parlamentarismo ma dirigersi verso il
suo superamento. Altrimenti rischia seriamente d’impantanarsi e “i pezzi di merda” di moltiplicarsi e galleggiare
nel gruppo misto del recupero ideologico.
Il passaggio del vice presidente della regione Sicilia a Servizio Pubblico, (servizietto privato di un Santoro sempre più bigotto al sistema che lo
applaude e lo compra come critico di regime) è stato esemplare del nodo
gordiano che il M5s deve sciogliere.
Per giustificare il suo evidente
opportunismo da sindacalista di se stesso e la voglia di trattenere una parte
più grande degli emolumenti in gioco, il poco avventuroso Venturino ha ripreso
a suo carico (forse prevedendo un trasbordo scilipottiano) tutta la demagogia
piddina. Ha soprattutto dimostrato il già avvenuto trapasso, nella sua piccola
testa, da movimento a partito del M5s.
Riguardatevi il suo intervento: chiama
il movimento “partito” più di una
volta, parla di “emolumenti che gli
spettano”, parla di operare all’interno del parlamentarismo per ottenere “più
grandi risultati di efficienza politica”.
Pochi mesi di addomesticamento e già si sente un politico di lungo corso. O
forse è solo un vigliacco opportunista tra i tanti?
Scemo o in malafede non so, ma
l’orrido burocrate ha gettato la maschera. Per lui il M5s è stato il cavallo di
Troia per penetrare in Parlamento (Regionale o nazionale poco importa) e
diventare un eletto del popolo come tutti gli altri, ma con un preteso primato
morale (come la sinistra in tempi altrimenti sospetti); primato poco rivendicabile,
effettivamente, da mafiosi, affaristi e intrallazzatori quali sono i sempiterni
politici mercenari porcellumdipendenti di destra e sinistra.
Movimento o partito mascherato? Realtà
virtuale o virtualità (ir)reale?
Se lo spettacolo è una cosa seria, forse
bisognerà smettere di essere seri e cominciare a giocare.
La democrazia diretta potrà affermarsi
davvero soltanto con una rivoluzione internazionale, a partire dalla Comune
d’Europa che nessuno, o quasi, osa immaginare ma che tutti i potenti temono in
quanto risveglio dei popoli di fronte a tutti i loro oppressori dal pensiero
unico.
Nessun movimento che finisca in
partito parlamentare nazionale cambierà nulla. I singoli finiranno per farsi
risucchiare dagli interessi privati perché non la moralizzazione della politica
ma una nuova organizzazione della società svilupperà la capacità di ampliare
gli spazi e le forme della felicità inventando una società nuova.
Allora vedremo le stelle senza neppure
contarle. Più nessuno potrà fermarci quando smetteremo di accettare la morale
ipocrita e colpevolizzante del vecchio mondo in nome di Consigli che
sostituiscano lo Stato e riducano l’economia alla sua dimensione reale: quella
dell’economia domestica, né più né meno.
Sergio Ghirardi