Medicina: sì alla scienza, no allo scientismo
“Scientismo”, “scientisti”… parole che
nel mio ultimo post, ad alcuni sono suonate sgradevoli. Forse è quel
suffisso “ismo” che suona male. Ha un sapore un po
dispregiativo che evoca cose come nazismo, economicismo, meccanicismo,
marxismo, ma che nella nostra lingua è semplicemente la derivazione di
una categoria da nomi comuni (alcolismo, turismo,
metabolismo, strabismo, ottimismo, automobilismo ecc). Se andate su Google e
digitate la parola “scientismo” troverete delle buone
spiegazioni e persino un mio articolo “Da di Bella al caso Stamina. Tra
umanità e scientismo”.
Lo “scientista” è
uno che ha un certo atteggiamento dogmatico nei confronti della scienza
considerata come unica forma valida di sapere e quindi
superiore a qualsiasi altra forma di conoscenza. Per lo scientista il sapere
scientifico è ad un solo tipo di razionalità, in generale quella positivista
della fine dell’800, quindi per lui la scienza finisce per essere
sostanzialmente una “definizione chiusa” che in medicina
purtroppo non funziona e crea un mucchio di problemi. Meglio quindi le definizioni
aperte nelle quali le razionalità si confrontano con altre
razionalità, le conoscenze sono molteplici e i modi di conoscere diversi. In
medicina, a parte il caso Stamina, normalmente è d’obbligo tanto
la razionalità che la ragionevolezza, cioè una visione
non rigida della scienza che sappia oltre che applicare ovviamente conoscenze
scientifiche anche dialogare con le situazioni, le contingenze, le complessità,
le specificità di un malato. In medicina il valore della scienza non è in
discussione del resto come si potrebbe? La scienza in medicina se usata in modo
dogmatico ha nefasti effetti collaterali. Per cui non è in discussione il suo
valore ma il modo di usarla. I malati sono più complessi degli elettroni.
Il
medico non è mai solo scienziato, è anche un filosofo, un pragmatista, un tecnico, un eticista, un
ermeneuta, cioè è uno che se la deve vedere con una complessità scientifica e
non solo che nonostante tutto resta poco riducibile. Un medico non può essere
né scientista e né relativista (colui
che nega i valori assoluti delle verità oggettive), deve stare in equilibrio,
quindi stemperare l’assolutismo delle oggettività senza cadere nelle trappole
del relativismo velleitario che nega nelle sue forme estreme alle oggettività i
valori delle evidenze. In un malato le oggettività e le soggettività della
malattia non sono separabili. Ma fare questo non è facile. Gli errori, gli
abbagli, gli equivoci sono costantemente in agguato. La medicina nella sua
storia ha sempre cercato solide verità scientifiche, di essere il più possibile
una scienza il più possibilmente esatta, e a volte ha rischiato di cadere in
tentazioni scientistiche. Anzi la sua storia spesso è
storia di scientismi.
Un esempio è
la “evidence based medicine“ (ebm) oggi molto criticata
ma fino a ieri considerata una verità indiscutibile. Essa ambisce a dedurre la
decisione clinica dal valore apodittico dell’evidenza statistico-epidemiologica
quale prova di scientificità. Purtroppo le malattie delle persone non sono
facilmente riducibili a statistica, ogni malattia è un caso a sé. Questo non
vuol dire che non esistono evidenze scientifiche e meno che mai che l’ebm sia
inutile, tutt’altro, ma solo che bisogna fare molta attenzione nel loro uso
quindi non essere scientisti. Oggi i clinici avanzano critiche interessanti ad
un certo proceduralismo cioè ad un modo predefinito
di conoscere la malattia “basato” proprio su evidenze statistiche e riabilitano
i criteri osservazionali-empirico-fattuali, le intuizioni, le sensibilità, il
buon senso, l’esperienza, l’opinione del malato.
I clinici oggi
parlano di “malato complesso” per dire che nei suoi confronti
non si può essere scientisti ma abili e saggi ragionatori. Nel ’99 con il
caso Di Bella l’oncologia perse una grande occasione di dialogo sociale,
proprio perché si arroccò nel suo scientismo, non riuscendo a sintonizzarsi né
con la disperazione umana né con i nuovi significati culturali di cura.
Certamente i principi attivi impiegati in quel trattamento risultarono
inefficaci alla sperimentazione, ma come hanno dimostrato, tante innegabili
testimonianze, il modo di curare di quel trattamento, la personalizzazione
delle terapie, la conoscenza minuziosa del malato, il suo coinvolgimento, la
filosofia terapeutica di fondo, avrebbero meritato più scienza e meno
scientismo e quindi più attenzione da parte degli oncologi. Cosa impediva
all’oncologia di trasferire quel patrimonio di esperienza alle cure oncologiche
a comprovata efficacia terapeutica? Una terapia non è fatta solo da sostanze o
da cellule ma anche da modi di curare.
Oggi
la cura è molto di più della terapia, oggi il rimedio è molto di più di un farmaco. Oggi è importante al pari
della terapia la relazione terapeutica. Quindi ribadisco il mio sì convinto
alla scienza e un no altrettanto convinto allo scientismo.
Commento di Sergio Ghirardi:
Quando si affronta anche soltanto
sul piano filosofico un tema cruciale sarebbe auspicabile un grande rigore. Gli
ismi, infatti, sono di due tipi quelli materiali che esprimono un insieme di
dati coerenti per definire una condizione (alcolismo, metabolismo ecc.) oppure
concettuali (meccanicismo, scientismo, economicismo) ed esprimono un'ideologia,
cioè una teoria giustificativa di un insieme di valori interessati o
interessanti. Per questo Marx antiideologo per eccellenza (ma che ha prodotto
un enorme materiale poi usato ideologicamente soprattutto da altri) diceva
seriamente di non essere marxista.
Lo scientismo è l'ideologia della
scienza diventata oggi la religione del produttivismo. Di qui si dovrebbe
partire e non arrivare. Il metodo scientifico è oggi il primo nemico dello
scientismo, perchè reintroduce la laicità del dubbio, mentre per tutti gli
ignoranti difensori dell'esistente la paccotiglia scientista serve a
giustificare tutti gli orrori, dal nuclearismo al parlamentarismo che ci sta
riportando al fascismo, ismo, ismo, ismo.