domenica 10 maggio 2020

Quaderni nomadi dal confino - 1. Oltre i confini del confinamento




1. Oltre i confini del confinamento
Quando prendo la penna per scrivere ... ops ... quando comincio a tempestare la tastiera del computer che ha ridotto la stilografica, e persino la penna biro, a reperti archeologici degni delle penne d’oca (relegando la carta a un uso unicamente igienico, più che mai ora, col coronavirus), vorrei arrivare a spiegare, argomentare, descrivere come uscire dall’incubo di una società marcia e decadente. Impresa impossibile e neppure auspicabile per chi non si prenda né per un profeta né per un sapiente.
Si finisce, così, nel migliore dei casi, per descrivere, una volta di più, le caratteristiche del mostro, la sua assurdità, il suo nichilismo. E la nostra voglia di cambiare noi stessi e il mondo. Ogni volta, dunque, si prova a fare meglio e di più, per passione e non per dovere.
Tutto quel che ho appena affermato è assolutamente sincero e le denunce del mostro produttivista ugualmente motivate, ma ormai l’avvenire senza speranza del sistema dominante è visibile a occhio nudo; diventa, dunque, inutile ripeterlo a chi non vuole vederne la crisi mortale e mortifera.
Tutti gli altri, e sono tanti, dappertutto nel mondo, sarebbero pronti a partire, a uscire dal confinamento di oggi e di ieri, ma non sanno dove andare perché conoscono solo le strade del ghetto ed eventualmente – i più fortunati – gli itinerari turistici che permettono di visitare gli altri campi di concentramento produttivisti del pianeta.
Si visitano paesi e città, usi e costumi, Mac Donald, supermercati e ristoranti giapponesi del mondo intero, come si visita Auschwitz; non per capire e inventarne il superamento definitivo, ma per dimenticare per un attimo, nell’emozione, il presente che ci opprime e di cui subiamo il dominio nel quotidiano. Ci si dice, allora, che in passato è stato anche peggio, per rimuovere il timore di non riuscire a evitare l’orrore qualora facesse di nuovo comodo al potere riesumarlo. “Mai più questo!”, quante volte si finirà ancora per ripeterlo come marionette dislocate? Così, molti vanno a vedere quel che resta di Auschwitz in visita guidata, d’estate come d’inverno, facendo dei selfies che mostreranno agli amici.
Dovunque nel mondo, Stato e Mercato sono le due facce di una stessa medaglia produttivista che si riproduce essenzialmente identica. Con l’accumulazione di queste “medaglie”, che si chiamino euro, yuan o dollaro, l’oligarchia dominante riempie le sue casseforti nelle isole Cayman, in Lussemburgo e in altri paradisi fiscali. Il capitalismo finanziario è ormai planetario, così come lo è la condizione disastrata di un’umanità che, dai morti di fame ai morti di noia, ha perduto il senso della vita.
Stato e Mercato sono dappertutto, ma non sono niente se non un’illusione materializzata in eterna azione per divorare il mondo; un meccanismo micidiale che da seimila anni sta vampirizzando sempre di più l’umanità in cambio di una promessa di felicità che oscilla tra mito e realtà.
Un progressivo benessere materiale, relativo e fragile, che dovrebbe appartenere a tutti, ma di cui solo una ristretta minoranza è proprietaria e approfitta a tempo pieno, è servito da alibi per il potere. Per gli altri non restano che le briciole, il più delle volte stantie se non peggio, o nemmeno quelle; soltanto il mito di un piacere diffuso come uno spray profumato sul puzzo insopportabile di una religione materialista che ha atrofizzato i nostri corpi per farci svolazzare nei cieli contaminati e inquinanti della pubblicità mercantile.
Stato e Mercato sono stati creati per dominare gli esseri umani, per spremere il succo della vita in ciascuno e trasformarlo in un valore economico che cresce, che cresce, che cresce diventando sempre più virtuale, fino a scoppiare come una bolla finanziaria. Entrambi i mostri in questione non hanno che seimila anni circa; quasi niente nell’avventura di un mammifero che si aggira sul pianeta da milioni di anni, prima come scimmia, poi evolvendo verso una possibile umanizzazione la cui versione Sapiens rimonta all’incirca a duecentomila anni fa.
Stato e mercato sono, dunque, un’invenzione recentissima nell’arco d’esistenza della specie umana[1], una scoperta furba e canagliesca, destinata comunque a restare effimera, anche se ormai il pianeta è illuminato a giorno, ogni notte, e luccica elettricamente come l’oro accumulato nei forzieri dei padroni del mondo.
L’arricchimento economico è Dio e il denaro il suo profeta. Il re Mida è diventato democratico e vince sempre tutte le elezioni. A volte lui, a volte il suo oppositore di turno che gli assomiglia come un dollaro a un euro. In realtà è sempre lui, o il suo alter ego, il signore della crescita senza fine della ricchezza mercantile della quale, com’è noto, Doctor Mida sa apprezzare meglio di tutti i vantaggi, trasformando in oro tutto quel che tocca. Un metallo giallo che ridiventa improvvisamente merda (o scorie nucleari, per chi non ama la volgarità) quando lo toccano gli altri, i Mister Hyde[2].
La chiamano crescita ed effettivamente lo è: quella della plastica, della spazzatura, dell’aria inquinata, dei cibi avvelenati, delle code senza fine di masse d’individui chiusi da soli a guidare la loro scatola meccanica, dei viaggi in aereo per andare dappertutto a farsi trattare altrettanto male che a casa propria, delle attività inutili, nocive, mortifere che fanno del denaro accumulato l’equivalente generale di tutte le immondizie.
Eppure, a causa di un piccolo virus come ne sono sempre esistiti e ne esisteranno anche quando noi avremo smesso di inquinare il pianeta, gli ultimi discendenti di quelli che hanno fatto del ricatto economico e del lavoro salariato la forma moderna della schiavitù e dello sfruttamento, ci hanno chiesto, e pure imposto, di chiuderci in casa e inscenare uno sciopero generale per motivi di salute. Da mesi, stiamo vedendo, e soprattutto sentendo, gli Stati, i loro gestori e i loro tirapiedi mediatici preoccuparsi per noi, promettere aiuti, sostegno e solidarietà come non si è mai visto in secoli di capitalismo.
Strano e inquietante.




Sergio Ghirardi, Decameron – il ritorno 1 (continua)




[1] Basti ricordare che fino al XVI° secolo, ai primordi del modo di produzione capitalista, la maggior parte della popolazione mondiale non conosceva lo Stato come forma di governo. La Francia è stata il primo Stato-nazione moderno, insieme alla Spagna. Nato in origine con le prime città-Stato produttiviste, lo Stato si è fatto poi regionale e nazionale fagocitando le nazioni antropologiche ridotte al mito pestifero del nazionalismo. Nella sua fase finale attuale, la finzione della nazione non basta più al capitale monopolistico planetario e lo Stato si è fatto continentale (USA, Cina, India, Russia e infine Europa) nella prospettiva totalitaria di un governo mondiale di uno Stato produttivista unico.
[2] Un ultimo commento attuale sulla società dello spettacolo per notare la proliferazione di una singolare novità: i Trump, i Bolsonaro, gli Erdogan, gli Orbán e persino i microscopici Salvini, apparentemente troppo idioti e beceri per essere veri, sono in realtà il sintomo di un rimbecillimento di massa riuscito; al punto che il potere ha bisogno di qualche imbecille integrale (peggio persino di Bush junior) per far marciare al passo del nichilismo capitalista un’idiozia collettiva giunta a un livello impensabile di abbrutimento, degno delle adunate oceaniche di nazista memoria.





Cahiers nomades du confinement

1. Au-delà des frontières du confinement
A chaque fois que je prends dans mes mains le stylo pour écrire …ops … quand je commence à tapoter sur le clavier de l’ordi qui a réduit le stylo plume et même le bic à des vestiges archéologiques comparables à la plume d’oie (en reléguant le papier à un usage uniquement hygiénique, surtout maintenant, avec le coronavirus), je voudrais arriver à expliquer, argumenter, décrire comment sortir du cauchemar d’une société pourrie et décadente. Une entreprise ni possible ni souhaitable pour quiconque ne se prend pas pour un prophète ni pour un savant.
On finit ainsi, dans le meilleur des cas, par décrire, une fois de plus, les caractéristiques du monstre, son absurdité, son nihilisme. Et notre envie de changer nous-mêmes et le monde. A chaque fois, donc, on essaie de faire mieux et plus, par passion, et non pas par devoir.
Tout ce que je viens d’affirmer est absolument sincère et les dénonciations du monstre productiviste également motivées, mais, désormais, le futur sans espoir du système dominant est visible à l’œil nu ; il est, donc, inutile de le répéter à ceux qui ne veulent pas voir sa crise mortelle et mortifère.
Tous les autres, et ils sont en bon nombre, partout dans le monde, seraient prêts à partir, à sortir du confinement d’aujourd’hui et de hier, mais ils ne savent pas où aller parce qu’ils connaissent uniquement les chemins du ghetto et, éventuellement – les plus chanceux –, les itinéraires touristiques qui permettent de visiter les autres camps de concentration productivistes de la planète.
On visite pays et cités, mœurs et coutumes, Mac Donald, supermarchés et restaurants japonais du monde entier, comme on visite Auschwitz ; non pas pour comprendre et inventer son dépassement définitif, mais pour oublier pendant un court instant, dans l’émotion, le présent qui nous opprime et dont nous subissons la domination dans le quotidien. On se dit, alors, qu’avant ce fut même pire, afin de refouler la crainte de ne pas pouvoir éviter l’horreur au cas où le ressortir ferait de nouveau l’affaire du pouvoir. « Plus jamais ça !», combien de fois on finira encore pour le répéter comme des marionnettes disloquées ? Ainsi, beaucoup de gens vont voir ce qui reste d’Auschwitz en visite guidée, en été comme en hiver, en faisant de selfies qu’ils montreront aux copains.
Partout dans le monde, Etat et Marché sont les deux côtés d’une même médaille productiviste qui se reproduit identique pour l’essentiel. Par l’accumulation de ces « médailles » qu’on appelle euro, yuan ou dollar, l’oligarchie dominante remplit ses coffres-forts dans les iles Cayman, au Luxembourg et autres paradis fiscaux. Le capitalisme financier est désormais planétaire, comme planétaire est la condition désastreuse d’une humanité qui, des morts de faim aux morts d’ennui, a perdu le sens de la vie.
Etat et Marché sont partout, mais ils ne sont rien sinon une illusion matérialisée en perpétuelle action pour dévorer le monde ; un mécanisme mortel qui, depuis six mille ans, vampirise l’humanité toujours plus, en échange d’une promesse de bonheur qui balance entre mythe et réalité.
Un progressif bien-être matériel, relatif et fragile, qui devrait appartenir à tous, mais dont seule une petite minorité propriétaire profite à plein temps, a servi d’alibi pour le pouvoir. Pour les autres ne restent que les miettes – très souvent rassis sinon pire – ou même pas ; rien que le mythe d’un plaisir répandu comme un spray parfumé sur la puanteur insupportable d’une religion matérialiste qui a atrophié nos corps pour nous faire voltiger dans les ciels souillés et polluants de la publicité marchande.
Etat et Marché ont été crées pour dominer les êtres humains, pour presser le jus de la vie en chacun et le transformer en une valeur économique qui grandit, qui grandit, qui grandit, en devenant de plus en plus virtuelle, jusqu’à exploser comme une bulle financière. Les deux monstres en question n’ont que six mille ans environs ; presque rien dans l’aventure d’un mammifère qui traine sur la planète depuis des millions d’années, d’abord comme un singe, puis en évoluant vers une humanisation possible dont la version Sapiens remonte autour de 200.000 ans en arrière.
Etat et Marché sont, donc, une invention très récente dans l’arc d’existence de l’espèce humaine[1], une découverte fourbe et canaille, destinée de toute façon à l’éphémère, même si la planète est désormais éclairée chaque nuit et brille électriquement comme l’or accumulé dans les coffres des patrons du monde.
L’enrichissement économique est Dieu et l’argent est son prophète. Le roi Midas est devenu démocratique et il gagne toujours toutes les élections. Parfois lui, parfois son opposant de service qui lui rassemble comme un dollar à un euro. En fait, c’est toujours lui, ou son alter ego, le seigneur de la croissance sans fin de la richesse marchande dont, c’est connu, Doctor Midas sait apprécier mieux que quiconque les avantages, en transformant en or tout ce qu’il touche. Un métal jaune qui redevient soudainement de la merde (ou des déchets nucléaires, pour ceux qui n’aiment pas la vulgarité) quand il est touché par les autres, les Mister Hyde[2].
Ils l’appellent croissance et elle en est une : celle du plastique, de la poubelle, de l’air polluée, de la nourriture empoisonnée, des embouteillages sans fin de masses d’individus enfermés, seuls, à la conduite de leur boite mécanique, des voyages en avion pour aller partout à se faire maltraiter autant que chez soi, des activités inutiles, nuisibles, mortifères qui font de l’argent accumulé l’équivalent général des toutes les ordures.
Et pourtant, à cause d’un petit virus comme il y a toujours eu et il y aura même après qu’on arrête de polluer la planète, les derniers descendants de ceux qui ont fait du chantage économique et du travail salarié la forme moderne de l’esclavage et de l’exploitation, nous ont demandé, voire imposé, de nous cloîtrer à la maison et mettre en scène une grève générale pour raisons de santé. Depuis des mois, on est en train de voir, et surtout d’entendre, les Etats, leurs décideurs et leurs larbins médiatiques, se préoccuper de nous, promettre de l’aide, du soutien et de la solidarité comme on ne l’a jamais vu pendant des siècles de capitalisme.
Etrange et inquiétant.

(A suivre)


Sergio Ghirardi, Décaméron – le retour 1 (A suivre)



[1] Il suffit de rappeler que jusqu’au XVIème siècle, au début du mode de production capitaliste, la majorité de  la population mondiale ne connaissait pas l’Etat comme forme de gouvernement. La France a été le premier Etat-nation moderne, avec l’Espagne. Né en origine avec les premières Cités-état productivistes, l’Etat est ensuite devenu régional, puis national en avalant les nations anthropologiques réduites au mythe pestifère du nationalisme. Dans sa phase finale actuelle, la fiction de la nation ne suffit plus au capital monopoliste planétaire et l’Etat est devenu continental (USA, Chine, Inde, Russie et enfin l’Europe) dans la perspective totalitaire d’un gouvernement mondiale d’un Etat productiviste unique.
[2] Un dernier commentaire actuel sur la societé du spectacle pour remarquer la prolifération d’une nouveauté singulière : les Trump, les Bolsonaro, les Erdogan, les Orbán et même les minuscules Salvini, apparemment trop idiots et rustres pour être vrais, sont, en fait, le symptôme d’une crétinisation de masse réussie, au point que le pouvoir a besoin de quelques imbéciles profonds (même pire que Bush Junior) afin de faire marcher au pas du nihilisme capitaliste une idiotie collective arrivée à un niveau inimaginable d’abrutissement digne des rassemblements océaniques nazis.