8. CHE FARE?Prendi la
gatta e falla ballare!
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| Fin dall’inizio della rivoluzione, i bolscevichi erano pronti a prendere il potere immediatamente | 
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| Dove c’è autorità non può esserci libertà | 
Mosca, 1920,
dialogo immaginario tra Lenin ed Emma Goldman
Che
fare
dunque, sul piano politico, al di fuori della contestazione spettacolare – in
questo momento ridotta quasi al silenzio?
Sappiamo,
ormai, che lo Stato, insieme al Mercato, è il pericolo pubblico numero uno della
nostra società da reinventare, ma stiamo ancora imparando che i partiti
politici formali (nessuno escluso, dall’ultra estrema destra suprematista fino
all’ultimo gruppuscolo ultra gauchista, fosse pure libertario) sono strutture
intrinsecamente legate a quella statale. Il loro brodo di coltura comune si
nutre di comunitarismo e non ha niente a che vedere con la comunità umana organica
e la sua nascente coscienza di specie. 
Un
conto è la comunità organica degli individui di un gruppo locale in continua evoluzione
che discutono tra loro le idee costituenti la loro ricchezza comune; donne e
uomini aperti sul mondo e affettuosamente legati da affinità vissute, che
decidono insieme per il bene della loro Comune; un altro è l’unione ideologica di
un gruppo di pressione, oggettivamente una lobby, il cui scopo è arrivare al
potere, quali che siano le sue motivazioni. 
Il
mondo dei gruppi d’affinità e quello dei partiti politici sono incompatibili e
devono restarlo. I partiti sono i figli dello Stato e cercano di occupare il
posto del padre che amano o vogliono assassinare. Ogni militante di qualunque
ideologia ti spiegherà sempre che il fottuto Stato al potere è un mostro,
mentre il suo a venire è la libertà, l’uguaglianza e la fraternità. Nel discorso
demagogico di ogni partito politico, lo Stato siamo sempre noi che non abbiamo
chiesto niente. 
I
partiti politici moderni sono nati all’interno dell’organizzazione parlamentare
dello Stato-nazione una volta che questo si è sbarazzato dalle pastoie
dell’Ancien regime da cui è scaturito come un’evoluzione imperialista dalle
Città-Stato del produttivismo arcaico originario. La borghesia rivoluzionaria
del 1789, attenta a eliminare tutte le fazioni libertarie che agitavano quei
tempi insurrezionali con l’obiettivo proclamato della democrazia diretta, ha
costituito una varietà di posizioni politiche convergenti verso un
parlamentarismo che garantiva la messa sotto tutela della democrazia nascente,
ridotta a una repubblica borghese con la forza delle armi e della ghigliottina.
Da
questa confusione violenta è nata la modernità attuale che assomiglia ormai,
chiaramente, a un arcaismo: il dominio di classe della borghesia trasformatosi oggi
in quello di un’oligarchia finanziaria. Questa ristretta elite di dominanti dal
terribile potere tecnocratico ha scremato l’antica classe dei mercanti proprietari
dei mezzi di produzione, proletarizzandone una buona parte e integrando il
resto – la crema, appunto, i più ricchi o quelli che lo sono diventati
approfittando soprattutto della recente tecnologia digitale applicata al
business – in una nuova aristocrazia finanziaria che ha fatto della democrazia
formale un totalitarismo cibernetico.
Con
l’appoggio delle multinazionali che sono l’avanguardia dello Stato unico
planetario della merce sovrana in via di costituzione, l’oligarchia e la sua
corte[1] tessono
la trama di una sedicente democrazia più intimamente totalitaria delle peggiori
dittature di un tempo. Opporre al Frankenstein democratico che ci soffoca e ci
sfrutta, una democrazia dal volto, dal cervello e dal cuore umani, passa per
l’imbrigliatura di un’intelligenza artificiale che si prepara a completare
un’artificializzazione della vita già abbondantemente avviata. 
Si
potrebbe anche andare oltre il concetto di democrazia, troppo legato a un
passato in gran parte da seppellire, e parlare piuttosto di autogestione generalizzata della vita
quotidiana, ma, più importante delle parole, è l’impegno per evitare che la
minima gerarchia possa corrompere le assemblee di base e quelle successive,
incaricate di rinsaldare e far funzionare i contatti tra i gruppi di affinità
locali e il popolo tutto intero. 
Con
tutta probabilità, ogni popolo finalmente insorto finirà per opporsi allo Stato
che domina ogni nazione antropologica mascherando dietro di essa il suo
fascismo nazionalista. Sarà questo il passaggio più difficile perché ogni Stato
nazionale si arroga il diritto autoritario della violenza legale che è l’alibi
di tutti i suoi crimini, ma, educati dagli effetti del coronavirus, si potrà
infettare il suo totalitarismo con uno sciopero generale anticonsumista (senza
intaccare minimamente i consumi necessari alla vita!) che nessuno Stato
mercantile può sopportare. Passato questo tornante delicato, il popolo potrà
amplificare la pratica della sua coscienza di specie nell’ambito di molte
nazioni diverse – come potrebbe essere il caso della Comune d’Europa. In una
progressione inarrestabile da parte del vecchio mondo in decomposizione, le
diverse popolazioni che abitano i continenti della terra, federate oltre le
diversità di lingua, di costumi, di gusti e di abitudini, potranno rivoluzionare
tranquillamente la società planetaria dando dappertutto tutto il potere ai
Consigli, fino a sfociare nel Consiglio generale di un’ONU che abolirebbe la
sua perversa caricatura attuale. Ecco un’utopia assolutamente possibile.
Vasto
progetto, ne convengo. Partiamo, dunque, da quello di una democrazia diretta
che si radichi nel locale per aprirsi al planetario, senza gerarchie che ne
inquinino lo spirito e la pratica. Già così, quest’accenno minimo dà un’idea
dolcemente e pacificamente sovversiva, del tutto diversa dalla società attuale
e da essa assolutamente autonoma. 
Si
tratta, però, essenzialmente, della stessa idea di fondo per cui hanno lottato,
durante tutta l’epoca moderna – per non guardare più lontano –, le Sezioni
parigine della Rivoluzione francese, i comunardi, i marinai di Cronstadt, i
Machnovisti d’Ucraina, i libertari spagnoli, il movimento delle occupazioni del
1968, i rivoltosi di Seattle, del Chiapas, del Rojava, della Val di Susa, di
Notre Dame des Landes. Dimentico[2] qui,
senza scordarli, milioni d’individui, migliaia di altre comunità locali
insorte, ieri e oggi, contro le prepotenze e i soprusi di qualunque Stato e di
ogni Mercato, dappertutto nel mondo, in ogni zona difesa da gruppi di affinità
che con cervello e con cuore hanno amato le donne, gli uomini, gli animali e la
terra, in cerca costruttiva di un altro mondo possibile, contro la violenza
inaudita e miserabile del produttivismo.
Ecco,
come il solito, non sono entrato davvero nel merito del “Che fare”, ma forse è
anche perché sarebbe pericoloso che qualcuno s’incarichi di dettare dieci nuovi
comandamenti per il mondo intero o un nuovo manifesto rivoluzionario. Chi ci ha
provato, anche senza prendersi per l’emissario di un Dio, ha finito per
cauzionare la psicologia di massa di qualche fascismo che è sempre il peggiore
dei misticismi. 
Stavolta
le decisioni e i valori che le giustificano non dovranno più cadere dal cielo
dell’ideologia promettendo il paradiso, ma salire dalla terra e
dall’intelligenza collettiva di molte piante diverse, capaci di fare la loro
sintesi clorofilliana sociale al riparo dalle divinità e dai signori, godendo
semplicemente della gratuità del sole e condividendone la luce.
Altri,
prima e meglio di me (non né citerò alcuno, anche se molti ne ho incontrati sui
libri e nella vita vissuta), ci hanno già dato parecchi consigli utili per
realizzare una democrazia diretta. Io preferisco aspettare che dei nuovi Consigli
matricentrici e acratici vedano la luce (locali, regionali, nazionali,
continentali fino a un Organo delle Nazioni Unite senza alcun potere
decisionale né di veto, ma che sia la sintesi organica di tutte le altre
collettività: un’assemblea delle assemblee planetaria). Perché è primordiale
che il potere decisionale resti sempre orizzontale, sotto il controllo delle
basi locali la cui rete naturale costituisce la comunità umana. 
A
partire dall’abolizione degli Stati e del Mercato di cui è costituito il produttivismo,
quel che ho appena descritto sommariamente è l’unico semplice schema generale
che mi permetto di proporre alla discussione: una società consiliare da
affinare costantemente perché nessuna organizzazione sociale, come ogni essere
vivente, è definitivamente al riparo dalla perversione narcisista, dalla
corruzione, dall’inquinamento, dagli errori da correggere e da qualche dose di
peste emozionale da curare con il massimo di dolcezza possibile. 
Per
il resto, vi aspetto ballando con l’ultima felina gioiosa incontrata per caso e
che aveva anche lei voglia di ballare. Perché se nella vostra rivoluzione non
si potrà ballare, cantare, mangiar bene, bere e godere liberamente, io non
vengo. 
THE END 
Sergio
Ghirardi, Decameron - il ritorno, 1 maggio 2020
[1] Esperti di ogni tipo, scienziati
collusi, spin doctors, pseudo
giornalisti, politicanti corrotti e militari capaci di tutto, dal polonio 210
per eliminare un singolo oppositore, alla guerra contro i popoli – chimica,
batteriologica e altre quisquilie nucleari come ci ricorda la storia del Giappone
da Hiroshima a Fukushima.
[2] Vedi in
inglese : James C. Scott,
The Art of Not Being Governed: An Anarchist History of Upland Southeast Asia, Yale
University Press, 2009; in francese: James C. Scott, Zomia ou l'Art de ne
pas être gouverné,  Seuil, Paris 2013.
Cahiers nomades du confinement
8.
QUE FAIRE? Invite ta belle et danse avec elle !
|  | 
| Depuis le début de la révolution, les bolcheviks étaient prêts à prendre le pouvoir immédiatement | 
|  | 
| Là où il y a autorité, il ne peut y avoir de liberté | 
Moscou, 1920,
dialogue imaginaire entre Lénine et Emma Goldman
 
Que faire, donc, sur le plan politique, en dehors de la contestation spectaculaire – en ce moment réduite presque au silence?
      
   
[1] Experts en tout genre, scientifiques corrompus, spin doctors, pseudo journalistes, politiciens véreux et militaires capables de tout, du polonium 210 pour éliminer un opposant particulièrement encombrant à la guerre contre les peuples – chimique, bactériologique et autres bagatelles nucléaires comme nous rappelle l’histoire du Japon, de Hiroshima a Fukushima.
[2] Voir James C. Scott, Zomia ou l'Art de ne pas être gouverné, Seuil, Paris 2013.
THE END
Sergio
Ghirardi, Decameron – le retour, 1 mai 2020
Sergio Ghirardi, Decameron – le retour, 1 mai 2020
 


 
