domenica 10 maggio 2020

Quaderni nomadi dal confino - 2. Dagli spari sui rivoltosi al confinamento di massa





2. Dagli spari sui rivoltosi al confinamento di massa
Ancora ieri, la minima riluttanza del popolo al totalitarismo dell’economia politica, il minimo rifiuto di farsi sfruttare, provocava la violenza dello Stato con feriti e aggrediti, umiliati e repressi. La rivolta popolare cilena e i Gilets jaunes francesi hanno recentemente incarnato questo risveglio sociale in ebollizione ovunque. In Francia, in pratica tutte le professioni, dagli avvocati agli insegnanti, si sono rivoltate contro un abbozzo di legge sulle pensioni che tendeva ad azzerare le conquiste sociali approvate dal Consiglio nazionale della Resistenza alla fine della seconda guerra mondiale. Persino il personale curante, oggi tanto osannato per la sua dedizione di fronte alla pandemia, è stato violentemente aggredito e represso quando chiedeva, appunto, di intervenire in aiuto di una politica della salute pubblica in disfacimento.
Da secoli, al minimo sciopero operaio, sono stati migliaia a non più finire i morti, non per virus, ma per arma da fuoco. Se si comparano i tassi di letalità della repressione sociale degli Stati e dei padroni del lavoro salariato con quelli dell’attuale coronavirus, le statistiche più inquietanti sono senz’altro quelle che riguardano la politica. I ventimila fucilati della “semaine sanglante” che ha messo fine alla Comune di Parigi o i morti spagnoli e internazionali della rivoluzione sociale antifranchista, non furono causati della contaminazione delle vie respiratore da parte di un virus; furono le vittime della violenza cinica e crudele che gli antenati dell’oligarchia odierna hanno riversato sul popolo in armi, in lotta per la libertà.
Ora, invece, di colpo, i pronipoti di Thiers, di Bava Beccaris, e delle Giacche azzurre (che già due secoli fa davano ai Sioux, ai Navajo e ai Cheyenne delle coperte contaminate al vaiolo), i nipoti di Franco e di Lister e i figli di Pinochet e di Thatcher, si preoccupano per noi, per la nostra salute.
Bel progresso davvero! Bello se fosse vero, perché grattando sotto le maschere, ci si accorge che gli uomini e le donne dello Stato sono più che mai capaci di mentire, di dissimulare, di manipolare e di mettere tranquillamente in pericolo le nostre vite. Qualche prova? Non ne mancano: l’amianto, Chernobyl, i pesticidi...
A riguardo dell’attualità più recente del coronavirus, affermare che le maschere di protezione non servono a niente per poi renderle obbligatorie il mese dopo come se niente fosse, a modico prezzo, ma pur sempre a un prezzo, anziché distribuirle gratuitamente, rientra in una logica che aggiunge a un possibile crimine contro l’umanità di cui si riparlerà certamente, anche un piccolo sapore di truffa.
In realtà, insieme agli operatori di borsa del CAC 40, i signori delle centrali nucleari e dell’intelligenza artificiale si preoccupano non della nostra sopravvivenza fisica o economica, ma delle difficoltà che potrebbero incontrare per farci riprendere, con ritmo aumentato, è chiaro, per recuperare le perdite di redditività patite, la sopravvivenza miserabile di prima. Di quando già, in Europa e in tutto il cosiddetto capitalismo avanzato, i registi dello spettacolo non si accontentavano più di obbligarci a produrre l’abbondanza di merci in cambio di un misero salario. Ci impongono anche, per carità di patria (la loro, quella del business, che la nostra è il mondo!), di consumare furiosamente le merci come feticci.
Soltanto per questo, non per umanità, gli omicidi di massa sono stati messi da parte: un tempo ci volevano dei lavoratori per produrre quel che altri consumavano, oggi, nei nostri paesi civilizzati dal Capitale, ci vogliono dei produttori di valore economico astratto che consumino tutto quel che producono altri in un’altra parte del mondo.
Così, soltanto quando diventano indispensabili e mancano, ci si accorge che, per ragione di lucro, non siamo più in grado di produrre noi stessi le nostre medicine, le nostre maschere di protezione. Sempre per questo, non per umanità, tra manganellate, qualche occhio accecato, la prigione per molti e migliaia di multe per tutto e per niente (compreso per una passeggiata da soli in un bosco deserto, grazie al coronavirus utilizzato come un eccesso di velocità per rimpinguare le casse dello Stato), ci si preoccupa della sopravvivenza dei consumatori, senza i quali il sistema chiuderebbe bottega.
Il cittadino confinato e deconfinato alternativamente è il perno ideologico del produttivismo moderno. La violenza è dosata per farci piegare la schiena dinanzi allo sfruttamento totale delle nostre vite, così come si protegge puntualmente la nostra sopravvivenza dal virus solo purché continuiamo a produrre la loro ricch



ezza, consumando e spendendo il denaro guadagnato in cambio di qualche assurda attività di sostegno al sistema. A qualunque costo, anche della vita, giacché dobbiamo tornare al lavoro quando la pandemia è ancora presente. La vita stessa è valutata in termini economici quando ci raccontano come una catastrofe che la crisi economica è più grave dell’infezione e che quindi si deve tornare a lavorare più di prima, dimenticando di dire, però, che ciò è valido all’interno del loro sistema e non in una società di uguali dove la ricchezza da condividere fra tutti non ha bisogno di accumulare miliardi, soltanto di produrre e distribuire equamente i beni necessari alla vita.

Sergio Ghirardi, Decameron - il ritorno  2  (continua)





 

Cahiers nomades du confinement

2. Des coups de feu sur les émeutiers au confinement de masse
Hier encore, la moindre réticence du peuple au totalitarisme de l’économie politique, le moindre refus de se faire exploiter, provoquait la violence de l’Etat avec des blessés et des agressés, des humiliés et des réprimés. La révolte populaire au Chili et celle des Gilets jaunes français ont récemment incarné ce réveil social bouillonnant partout. En France, pratiquement toutes les professions, des avocats aux enseignants, se sont révoltées contre une proposition de loi sur les retraites qui avait pour but de mettre à zéro les conquêtes sociales approuvées par le Conseil national de la Résistance à la fin de la deuxième guerre mondiale. Même le personnel soignant, aujourd’hui acclamé pour sa générosité face à la pandémie, a été violemment agressé et réprimé quand il revendiquait, justement, la remise à niveau financière d’une politique de la santé publique en désagrégation.
Depuis des siècles, à la moindre grève ouvrière, il y a eu de milliers et des milliers de morts, non pas par virus, mais par arme à feu. Si on compare le taux de létalité de la répression sociale des Etats et des patrons du travail salarié avec celui du coronavirus actuel, les statistiques plus inquiétantes sont certainement celles concernant la politique. Les vingt mille fusillés de la semaine sanglante qui a mis fin à la Commune de Paris, ou les morts espagnols et internationaux de la révolution sociale antifranquiste, ne furent pas dus à la contamination des voies respiratoires par un virus ; ils furent les victimes de la violence cynique et cruelle que les ancêtres de l’actuelle oligarchie au pouvoir ont déversée sur le peuple armé en lutte pour la liberté.
Maintenant, en revanche, d’un coup, les arrière-petits-enfants de Thiers, de Bava Beccaris et des Tuniques bleus (qui donnaient déjà, il y a deux siècles, des couvertures contaminées à la variole aux Sioux, aux Navajos et aux Cheyennes), les petits-enfants de Franco et de Lister et les fils de Pinochet et de Thatcher, s’inquiètent pour nous, pour notre santé.
C’est beaux le progrès ! Il le serait s’il était vrai car, en grattant sous les masques, on s’aperçoit que les hommes et les femmes de l’Etat sont plus que jamais capables de mentir, de dissimuler et de mettre tranquillement en danger nos vies. Des preuves ? Elles ne manquent pas : l’amiante, Tchernobyl, les pesticides…
A propos de l’actualité plus récente du coronavirus, affirmer que les masques de protection ne servent à rien et les rendre ensuite obligatoires le mois suivant, comme si rien ne s’était passé, à prix modéré mais payant, au lieu de les distribuer gratuitement, retombe dans une logique qui ajoute à un possible crime contre l’humanité dont on reparlera certainement, un petit goût d’arnaque aussi.
En fait, avec les opérateurs du CAC 40, les seigneurs des centrales nucléaires et de l’intelligence artificielle ne s’inquiètent pas pour notre survie physique ni économique, mais pour les difficultés qui pourraient rencontrer afin de nous faire recommencer, avec un rythme plus serré, bien évidemment, la survie minable d’avant, question de récupérer les pertes de profits. Du temps où, déjà, en Europe et en tout le territoire du capitalisme soi-disant avancé, les metteurs en scène du spectacle ne se contentaient plus de nous obliger à produire l’abondance des marchandises en échange d’un misérable salaire. Ils nous imposent aussi, par amour de la patrie (la leur, celle du business, alors que la notre c’est le monde !), de consommer furieusement les marchandises comme des fétiches.
Uniquement pour cela, et non pas par humanité, les meurtres de masse ont été écartés : un temps il fallait des travailleurs pour produire ce que d’autres consommaient, maintenant, dans nos pays civilisés par le Capital, il faut des producteurs de la valeur économique abstraite qui consomment tout ce que d’autres produisent dans une autre partie du monde.
Ainsi, uniquement quand elles deviennent nécessaires et manquent, on s’aperçoit que, pour raison de profit, nous ne sommes plus capables de produire nous-mêmes nos médicaments, nos masques de protection. Toujours pour cela, non pas par humanité, entre matraquages, quelques yeux éborgnés, des peines de prison et des milliers d’amendes pour tout et pour rien (y compris pour une ballade seul dans un bois désert, grâce au coronavirus utilisé comme un excès de vitesse pour renflouer les caisses de l’Etat), on s’inquiète pour la survie des consommateurs, sans lesquels le système fermerait boutique.
Le citoyen, confiné et deconfiné alternativement, est le pivot idéologique du productivisme moderne. La violence est dosée pour nous faire courber l’échine face à l’exploitation totale de nos vies, ainsi qu’on protège ponctuellement notre survie du virus uniquement afin qu’on continue à produire leur richesse, en consommant et dépensant l’argent gagné en retour de quelques absurdes activités de soutien au système. Coûte que coûte, au besoin la vie, vu qu’on doit retourner au travail alors que la pandémie est toujours là.
La vie elle-même est évaluée en termes économiques quand on nous raconte, catastrophés, que la crise économique est plus grave de l’infection et qu’on doit, donc, revenir au travail plus qu’avant, en oubliant, toutefois, de dire que cela est valable à l’intérieur de leur système et non pas dans une société d’égaux où la richesse à partager entre tous n’a pas besoin d’accumuler des milliards, uniquement de produire et distribuer de façon égalitaire les biens nécessaires à la vie.
Sergio Ghirardi, Décaméron – le retour 2 (A suivre)