4.
Dalla coscienza di classe alla coscienza di specie
Il confinamento del
proletariato in una massa indifferenziata di salariati sprovvista del minimo
legame di solidarietà tra caste diverse, non ha eliminato il conflitto sociale
(che anzi si esacerba), ma la sua forma storica di lotta di classe. Non c’è, tuttavia,
da sognare un ritorno della lotta di classe, quanto il suo superamento nella
lotta cosciente della specie di fronte al rischio concreto della sua scomparsa.
Questa coscienza di specie integra
l’essenziale della lotta di classe, opponendosi al dominio di un’oligarchia che
ha reso la società sempre più artificiale e invivibile. Nemica di ogni
manicheismo tecnofilo o tecnofobico, la terza via di questa coscienza nascente
è quella della padronanza di una tecnica non invasiva e sottoposta al controllo
dell’umano, in una società ridiventata organica senza regredire nel
primitivismo. Il che significa, appunto, l’integrazione tanto della coscienza
di classe che della coscienza di genere in una nuova coscienza che spinga gli
esseri umani a una rivoluzione sociale ostile al dominio sulla natura come a
quello esercitato dall’uomo sulla donna.
Noto, di sfuggita, che
nel mito antico, la punizione di Prometeo non aveva l’obiettivo di criticare
l’hybris, ma di sottomettere gli esseri umani all’onnipotenza degli dei che il
produttivismo patriarcale ha inventato per meglio garantire il suo potere
gerarchico. Invece, è proprio l’hybris produttivista che bisogna combattere e
non la voglia prometeica di avere accesso all’energia vivificante del fuoco.
Emancipandosi dai signori,
dagli dei e dai loro prosseneti, si ritroverà lo spirito dell’attrazione appassionata teorizzata da Fourier per imparare a utilizzare il
fuoco senza bruciarsi e senza incendiare la foresta che ci protegge e ci nutre.
La coscienza di specie modificherà radicalmente le relazioni tra gli esseri
umani e la natura, trasformando lo sfruttamento in reciprocità, poiché
attaccando la natura, stiamo annientando la natura umana e le condizioni stesse
della vita in terra.
È il produttivismo che,
per ondate successive, ha sempre trasformato ogni invenzione tecnica in uno
snaturamento. Durante i quattro millenni che hanno preceduto la rivoluzione
patriarcale produttivista, l’agricoltura fu una tecnica che s’integrava alla
natura in generale e a quella particolare dei popoli raccoglitori che ne furono
gli scopritori. Il che è vero anche per l’artigianato e gli scambi di
un’economia del dono che preservava la natura, e con essa gli esseri umani. Se
ci si deve effettivamente emancipare dalla società spettacolare-mercantile, non
si tratta, tuttavia, di tornare indietro per restaurare un qualunque passato,
ma di ritrovarne lo spirito che non è altro che quello della felicità da creare
al fine di condividerla piacevolmente.
Solo una coscienza di
specie diffusa fino a cancellare la sconfitta storica del proletariato, potrà
spingere l’umanità a liberarsi del Leviatano statalista-mercantile che da
millenni protende la sua ombra sinistra sul mondo. Essa dovrà confrontarsi alla
questione sociale ben oltre l’economicismo volgare dei politicanti di sinistra[1]. Questa
coscienza di specie dovrà anche andare oltre l’ambientalismo di un capitalismo verde
come il dollaro e rosa/rosso di vergogna socialista come i biglietti di 50 euro
e di 100 yuan. Dovrà nutrirsi della radicalità necessaria per essere sensibile
alla soddisfazione dei bisogni di tutti, alla questione ecologica globale che
investe tutto il sistema di produzione asservito al produttivismo, dal nucleare
ai pesticidi, occupandosi urgentemente del riscaldamento climatico che minaccia
tragedie ben peggiori del coronavirus.
Lo spettacolo consueto
è momentaneamente interrotto per la pandemia, ma i suoi protagonisti moribondi
continuano ad agitarsi perché non concepiscono la parola “fine” neanche quando
essa appare sui titoli di coda del film. Il virus ha marcato una pausa in
seguito alla quale una nuova coscienza delle attuali condizioni di vita degli
esseri umani potrebbe innescare il rovesciamento di prospettiva necessario.
Risulta chiaro per tutti, ormai, che le aspettative della specie sono arrivate
non alla frutta, ma all’indigestione.
La buona notizia del
coronavirus, nell’attesa che sparisca dal nostro orizzonte umano, è che non
attacca soltanto il sistema respiratorio dell’uomo, ma anche la struttura
spettacolare del dominio sociale. Certo, non sarà un virus a liberarci da
questo parassita virale – la società dello spettacolo – che ha invaso da un
secolo l’universo emozionale umano per ridurlo alla redditività. Tuttavia, non
si può negare che il cortocircuito delle emozioni spettacolarizzate operato
dalla natura è un potente messaggio pedagogico – che madre natura sia stata
sollecitata o no dagli apprendisti stregoni che la manipolano, restando a loro
volta manipolati.
Sergio Ghirardi,
Decameron - il ritorno 4 (continua)
[1] Quelli di destra, nessuno
escluso, volteggiano fuori dalla realtà del popolo di cui si gargarizzano, ma
il loro populismo ipocrita è essenziale per il buon funzionamento della truffa
politica parlamentarista. Proclamandosi porta parola di una classe onestamente
agiata, benpensante e più civilizzata di tutta l’altra gente – quando non
delirano chiaramente di appartenere a una patriottica razza superiore
nazionalista –, consentono alla sedicente democrazia parlamentare di vendersi
come l’ultimo baluardo contro le “dittature comuniste” che rodono. Il loro
democratismo di stampo fascista è, di fatto, il brodo di coltura della peste
emozionale degli estremismi di tutti i colori e l’alleato obiettivo del
totalitarismo cibernetico che monta.
4.
Dalla coscienza di classe alla coscienza di specie
Il confinamento del
proletariato in una massa indifferenziata di salariati sprovvista del minimo
legame di solidarietà tra caste diverse, non ha eliminato il conflitto sociale
(che anzi si esacerba), ma la sua forma storica di lotta di classe. Non c’è, tuttavia,
da sognare un ritorno della lotta di classe, quanto il suo superamento nella
lotta cosciente della specie di fronte al rischio concreto della sua scomparsa.
Questa coscienza di specie integra
l’essenziale della lotta di classe, opponendosi al dominio di un’oligarchia che
ha reso la società sempre più artificiale e invivibile. Nemica di ogni
manicheismo tecnofilo o tecnofobico, la terza via di questa coscienza nascente
è quella della padronanza di una tecnica non invasiva e sottoposta al controllo
dell’umano, in una società ridiventata organica senza regredire nel
primitivismo. Il che significa, appunto, l’integrazione tanto della coscienza
di classe che della coscienza di genere in una nuova coscienza che spinga gli
esseri umani a una rivoluzione sociale ostile al dominio sulla natura come a
quello esercitato dall’uomo sulla donna.
Noto, di sfuggita, che
nel mito antico, la punizione di Prometeo non aveva l’obiettivo di criticare
l’hybris, ma di sottomettere gli esseri umani all’onnipotenza degli dei che il
produttivismo patriarcale ha inventato per meglio garantire il suo potere
gerarchico. Invece, è proprio l’hybris produttivista che bisogna combattere e
non la voglia prometeica di avere accesso all’energia vivificante del fuoco.
Emancipandosi dai signori,
dagli dei e dai loro prosseneti, si ritroverà lo spirito dell’attrazione appassionata teorizzata da Fourier per imparare a utilizzare il
fuoco senza bruciarsi e senza incendiare la foresta che ci protegge e ci nutre.
La coscienza di specie modificherà radicalmente le relazioni tra gli esseri
umani e la natura, trasformando lo sfruttamento in reciprocità, poiché
attaccando la natura, stiamo annientando la natura umana e le condizioni stesse
della vita in terra.
È il produttivismo che,
per ondate successive, ha sempre trasformato ogni invenzione tecnica in uno
snaturamento. Durante i quattro millenni che hanno preceduto la rivoluzione
patriarcale produttivista, l’agricoltura fu una tecnica che s’integrava alla
natura in generale e a quella particolare dei popoli raccoglitori che ne furono
gli scopritori. Il che è vero anche per l’artigianato e gli scambi di
un’economia del dono che preservava la natura, e con essa gli esseri umani. Se
ci si deve effettivamente emancipare dalla società spettacolare-mercantile, non
si tratta, tuttavia, di tornare indietro per restaurare un qualunque passato,
ma di ritrovarne lo spirito che non è altro che quello della felicità da creare
al fine di condividerla piacevolmente.
Solo una coscienza di
specie diffusa fino a cancellare la sconfitta storica del proletariato, potrà
spingere l’umanità a liberarsi del Leviatano statalista-mercantile che da
millenni protende la sua ombra sinistra sul mondo. Essa dovrà confrontarsi alla
questione sociale ben oltre l’economicismo volgare dei politicanti di sinistra[1]. Questa
coscienza di specie dovrà anche andare oltre l’ambientalismo di un capitalismo verde
come il dollaro e rosa/rosso di vergogna socialista come i biglietti di 50 euro
e di 100 yuan. Dovrà nutrirsi della radicalità necessaria per essere sensibile
alla soddisfazione dei bisogni di tutti, alla questione ecologica globale che
investe tutto il sistema di produzione asservito al produttivismo, dal nucleare
ai pesticidi, occupandosi urgentemente del riscaldamento climatico che minaccia
tragedie ben peggiori del coronavirus.
Lo spettacolo consueto
è momentaneamente interrotto per la pandemia, ma i suoi protagonisti moribondi
continuano ad agitarsi perché non concepiscono la parola “fine” neanche quando
essa appare sui titoli di coda del film. Il virus ha marcato una pausa in
seguito alla quale una nuova coscienza delle attuali condizioni di vita degli
esseri umani potrebbe innescare il rovesciamento di prospettiva necessario.
Risulta chiaro per tutti, ormai, che le aspettative della specie sono arrivate
non alla frutta, ma all’indigestione.
La buona notizia del
coronavirus, nell’attesa che sparisca dal nostro orizzonte umano, è che non
attacca soltanto il sistema respiratorio dell’uomo, ma anche la struttura
spettacolare del dominio sociale. Certo, non sarà un virus a liberarci da
questo parassita virale – la società dello spettacolo – che ha invaso da un
secolo l’universo emozionale umano per ridurlo alla redditività. Tuttavia, non
si può negare che il cortocircuito delle emozioni spettacolarizzate operato
dalla natura è un potente messaggio pedagogico – che madre natura sia stata
sollecitata o no dagli apprendisti stregoni che la manipolano, restando a loro
volta manipolati.
Sergio Ghirardi,
Decameron - il ritorno 4 (continua)
[1] Quelli di destra, nessuno
escluso, volteggiano fuori dalla realtà del popolo di cui si gargarizzano, ma
il loro populismo ipocrita è essenziale per il buon funzionamento della truffa
politica parlamentarista. Proclamandosi porta parola di una classe onestamente
agiata, benpensante e più civilizzata di tutta l’altra gente – quando non
delirano chiaramente di appartenere a una patriottica razza superiore
nazionalista –, consentono alla sedicente democrazia parlamentare di vendersi
come l’ultimo baluardo contro le “dittature comuniste” che rodono. Il loro
democratismo di stampo fascista è, di fatto, il brodo di coltura della peste
emozionale degli estremismi di tutti i colori e l’alleato obiettivo del
totalitarismo cibernetico che monta.
[1] Quelli di destra, nessuno
escluso, volteggiano fuori dalla realtà del popolo di cui si gargarizzano, ma
il loro populismo ipocrita è essenziale per il buon funzionamento della truffa
politica parlamentarista. Proclamandosi porta parola di una classe onestamente
agiata, benpensante e più civilizzata di tutta l’altra gente – quando non
delirano chiaramente di appartenere a una patriottica razza superiore
nazionalista –, consentono alla sedicente democrazia parlamentare di vendersi
come l’ultimo baluardo contro le “dittature comuniste” che rodono. Il loro
democratismo di stampo fascista è, di fatto, il brodo di coltura della peste
emozionale degli estremismi di tutti i colori e l’alleato obiettivo del
totalitarismo cibernetico che monta.
Cahiers nomades du confinement
4.
De la conscience de classe à la conscience d’espèce
Le confinement du prolétariat en une masse indistincte de salariés
dépourvue du moindre lien de solidarité entre castes diverses, n’a pas éliminé
le conflit social (qui, au contraire, s’exacerbe), mais sa forme historique de
lutte des classes. Il n’y a pourtant pas à rêver d’un retour de la lutte des
classes, mais de son dépassement dans la lutte consciente de l’espèce face au
risque concret de sa propre disparition. Cette conscience d’espèce intègre l’essentiel de la lutte de classe en
s’opposant à la domination d’une oligarchie qui a rendu la société de plus en
plus artificielle et invivable. Ennemi de tout manichéisme technophile ou
technophobe, la troisième voie de cette conscience naissante est celle de la
maîtrise d’une technique non invasive et sous contrôle de l’humain, dans une
société redevenue organique sans régresser vers le primitivisme. Ce qui
signifie, justement, l’intégration autant de la conscience de classe que de la
conscience de genre dans une nouvelle conscience qui pousse les êtres humains à
une révolution sociale hostile à la domination sur la nature autant qu’à celle
exercée par l’homme sur la femme.
Je remarque, en passant, que dans le mythe ancien, la punition de Prométhée
n’avait pas pour but de critiquer l’hybris, mais de soumettre les hommes à la
toute puissance des dieux que le productivisme patriarcal a inventé pour mieux
garantir son pouvoir hiérarchique. Or, c’est justement l’hybris productiviste
qu’on doit combattre, et non pas l’envie prométhéenne d’avoir accès à l’énergie
vivifiante du feu.
En s’émancipant des seigneurs, des dieux et de leurs macros, on va
retrouver l’esprit de l’attraction
passionnée théorisée par Fourier afin d’apprendre à utiliser le feu sans se
brûler et sans incendier la forêt qui nous abrite et nous nourrit. La
conscience d’espèce va modifier radicalement les relations entre les êtres
humains et la nature, en transformant l’exploitation en réciprocité, puisqu’en
détruisant la nature, on est en train de détruire la nature humaine et les
conditions mêmes de la vie sur terre.
C’est le productivisme qui, par vagues successives, a toujours transformé
toute invention technique en une dénaturation. Pendant les quatre millénaires
précédant la révolution patriarcale productiviste, l’agriculture fut une
technique qui s’intégrait à la nature en général et à celle particulière des
peuples de la cueillette qui en furent les découvreurs. Ce qui est vrai aussi
pour l’artisanat et les échanges d’une économie du don qui préservait la
nature, et avec elle les êtres humains. Si on doit effectivement s’émanciper de
la société spectaculaire marchande, il ne s’agit pas, pour autant, de revenir
en arriéré pour restaurer un quelconque passé, mais d’en retrouver l’esprit qui
n’est rien d’autre que celui du bonheur à créer pour le partager agréablement.
Seule une conscience d’espèce répandue jusqu’à effacer l’échec historique du prolétariat, pourra pousser l’humanité à se libérer du Léviathan étatiste-marchand qui depuis des millénaires répand son ombre sinistre sur le monde. Elle aura à se confronter à la question sociale bien au-delà de l’économisme vulgaire des politiciens de gauche[1]. Cette conscience d’espèce devra aussi dépasser l’écologisme d’un capitalisme vert comme le dollar et rose/rouge de honte socialiste comme les billets de 50 euros et de 100 yuans. Elle devra se nourrir de la radicalité nécessaire pour être sensible à la satisfaction des besoins de tous, à la question écologique globale concernant tout le système de production asservi au productivisme, du nucléaire aux pesticides, en s’occupant, avec une urgence particulière, du réchauffement climatique qui menace des tragédies bien pires que le coronavirus.
Le spectacle ordinaire est, pour l’instant, interrompu par la pandémie, mais ses protagonistes moribonds s’agitent encore parce qu’ils ne conçoivent pas le mot « fin », même quand il apparaît au générique du film. Le virus a marqué une pause à la suite de laquelle une nouvelle conscience des conditions actuelles de la vie des êtres humains pourrait déclencher le renversement de perspective nécessaire. C’est clair pour tous, désormais, que les attentes de l’espèce sont arrivées non pas au dessert, mais à l’indigestion.
La bonne nouvelle du coronavirus, en attendant qu’il disparaisse de notre horizon humain, est qu’il n’attaque pas uniquement le système respiratoire des humains, mais aussi la structure spectaculaire de la domination sociale. Certes, ce ne sera pas un virus à nous libérer de ce parasite viral – la societé du spectacle – qui a envahi, depuis un siècle, l’univers émotionnel humain pour le réduire à la rentabilité. Néanmoins, on ne peut pas nier que le court-circuit des émotions spectaculairisées réussi par la nature, est un sacre message pédagogique – que mère natura ait été ou pas sollicitée par les apprentis sorciers qui la manipulent, en étant manipulés à leur tour.
(A suivre)
Sergio Ghirardi, Décaméron – le retour 4
[1] Ceux de droite, sans exception, voltigent hors de la réalité du peuple
dont ils se gargarisent, mais leur populisme hypocrite est essentiel pour le
bon fonctionnement de l’arnaque politique parlementariste. En se proclamant les
porte-paroles d’une classe honnêtement aisée, bien pensante et plus civilisée
que tous les autres gens – quand ils ne
délirent pas, clairement, d’appartenir à une patriotique race supérieure
nationaliste –, ils permettent à la soi-disant démocratie parlementaire de se
vendre comme le dernier rempart contre « les dictatures communistes »
qui rodent. Leur démocratisme fascisant est, en fait, le bouillon de culture de
la peste émotionnelle des extrémismes de toutes les couleurs et l’allié
objectif du totalitarisme cybernétique qui monte.
Le confinement du prolétariat en une masse indistincte de salariés
dépourvue du moindre lien de solidarité entre castes diverses, n’a pas éliminé
le conflit social (qui, au contraire, s’exacerbe), mais sa forme historique de
lutte des classes. Il n’y a pourtant pas à rêver d’un retour de la lutte des
classes, mais de son dépassement dans la lutte consciente de l’espèce face au
risque concret de sa propre disparition. Cette conscience d’espèce intègre l’essentiel de la lutte de classe en
s’opposant à la domination d’une oligarchie qui a rendu la société de plus en
plus artificielle et invivable. Ennemi de tout manichéisme technophile ou
technophobe, la troisième voie de cette conscience naissante est celle de la
maîtrise d’une technique non invasive et sous contrôle de l’humain, dans une
société redevenue organique sans régresser vers le primitivisme. Ce qui
signifie, justement, l’intégration autant de la conscience de classe que de la
conscience de genre dans une nouvelle conscience qui pousse les êtres humains à
une révolution sociale hostile à la domination sur la nature autant qu’à celle
exercée par l’homme sur la femme.
Je remarque, en passant, que dans le mythe ancien, la punition de Prométhée
n’avait pas pour but de critiquer l’hybris, mais de soumettre les hommes à la
toute puissance des dieux que le productivisme patriarcal a inventé pour mieux
garantir son pouvoir hiérarchique. Or, c’est justement l’hybris productiviste
qu’on doit combattre, et non pas l’envie prométhéenne d’avoir accès à l’énergie
vivifiante du feu.
En s’émancipant des seigneurs, des dieux et de leurs macros, on va
retrouver l’esprit de l’attraction
passionnée théorisée par Fourier afin d’apprendre à utiliser le feu sans se
brûler et sans incendier la forêt qui nous abrite et nous nourrit. La
conscience d’espèce va modifier radicalement les relations entre les êtres
humains et la nature, en transformant l’exploitation en réciprocité, puisqu’en
détruisant la nature, on est en train de détruire la nature humaine et les
conditions mêmes de la vie sur terre.
C’est le productivisme qui, par vagues successives, a toujours transformé
toute invention technique en une dénaturation. Pendant les quatre millénaires
précédant la révolution patriarcale productiviste, l’agriculture fut une
technique qui s’intégrait à la nature en général et à celle particulière des
peuples de la cueillette qui en furent les découvreurs. Ce qui est vrai aussi
pour l’artisanat et les échanges d’une économie du don qui préservait la
nature, et avec elle les êtres humains. Si on doit effectivement s’émanciper de
la société spectaculaire marchande, il ne s’agit pas, pour autant, de revenir
en arriéré pour restaurer un quelconque passé, mais d’en retrouver l’esprit qui
n’est rien d’autre que celui du bonheur à créer pour le partager agréablement.
Seule une conscience d’espèce répandue jusqu’à effacer l’échec historique du prolétariat, pourra pousser l’humanité à se libérer du Léviathan étatiste-marchand qui depuis des millénaires répand son ombre sinistre sur le monde. Elle aura à se confronter à la question sociale bien au-delà de l’économisme vulgaire des politiciens de gauche[1]. Cette conscience d’espèce devra aussi dépasser l’écologisme d’un capitalisme vert comme le dollar et rose/rouge de honte socialiste comme les billets de 50 euros et de 100 yuans. Elle devra se nourrir de la radicalité nécessaire pour être sensible à la satisfaction des besoins de tous, à la question écologique globale concernant tout le système de production asservi au productivisme, du nucléaire aux pesticides, en s’occupant, avec une urgence particulière, du réchauffement climatique qui menace des tragédies bien pires que le coronavirus.
Le spectacle ordinaire est, pour l’instant, interrompu par la pandémie, mais ses protagonistes moribonds s’agitent encore parce qu’ils ne conçoivent pas le mot « fin », même quand il apparaît au générique du film. Le virus a marqué une pause à la suite de laquelle une nouvelle conscience des conditions actuelles de la vie des êtres humains pourrait déclencher le renversement de perspective nécessaire. C’est clair pour tous, désormais, que les attentes de l’espèce sont arrivées non pas au dessert, mais à l’indigestion.
La bonne nouvelle du coronavirus, en attendant qu’il disparaisse de notre horizon humain, est qu’il n’attaque pas uniquement le système respiratoire des humains, mais aussi la structure spectaculaire de la domination sociale. Certes, ce ne sera pas un virus à nous libérer de ce parasite viral – la societé du spectacle – qui a envahi, depuis un siècle, l’univers émotionnel humain pour le réduire à la rentabilité. Néanmoins, on ne peut pas nier que le court-circuit des émotions spectaculairisées réussi par la nature, est un sacre message pédagogique – que mère natura ait été ou pas sollicitée par les apprentis sorciers qui la manipulent, en étant manipulés à leur tour.
(A suivre)
Sergio Ghirardi, Décaméron – le retour 4
[1] Ceux de droite, sans exception, voltigent hors de la réalité du peuple
dont ils se gargarisent, mais leur populisme hypocrite est essentiel pour le
bon fonctionnement de l’arnaque politique parlementariste. En se proclamant les
porte-paroles d’une classe honnêtement aisée, bien pensante et plus civilisée
que tous les autres gens – quand ils ne
délirent pas, clairement, d’appartenir à une patriotique race supérieure
nationaliste –, ils permettent à la soi-disant démocratie parlementaire de se
vendre comme le dernier rempart contre « les dictatures communistes »
qui rodent. Leur démocratisme fascisant est, en fait, le bouillon de culture de
la peste émotionnelle des extrémismes de toutes les couleurs et l’allié
objectif du totalitarisme cybernétique qui monte.