domenica 28 aprile 2013

PICCOLO CHIARIMENTO POSTELETTORALE





L’Italietta sempiterna del compromesso preistorico planetario

Nonostante il rischio della confusione, voglio provare a ricostituire modestamente una visione d’insieme, cercando di riunire in un’unica analisi complessiva l’abbozzo di un approccio contemporaneamente induttivo e deduttivo della realtà.
So quanto sia facile finire per fare un minestrone, ma sono convinto che sia urgente provarci.
Siamo in un momento in cui intellettuali e mass media (non so se i primi esistano ancora ma so che i secondi fingono di averne sempre uno fresco sotto mano ogni volta che un analfabeta specializzato uscito da una scuola di giornalismo o d’economia conforta la propaganda politica dominante fingendo di discuterla) sembrano operare di concerto per ridurre la realtà a una sequenza di fatti, immagini e flash separati tra loro. Il loro intento, assai poco lodevole in verità, è tuttavia evidente: incrementare la confusione in cittadini-spettatori tanto disillusi che sconcertati perché abbandonati a se stessi in una società fatiscente.
Partendo dal contingente spettacolare, come ho scritto fin dal giorno delle recenti elezioni politiche, il M5s doveva aprire il dialogo con il PD non per una qualche assurda, improponibile fiducia nei suoi confronti ma per lucidità strategica. Era la sola cosa auspicabile se davvero esso vuole farsi carico dell’urgenza di una ristrutturazione laica della società e sostenere concretamente il processo di transizione (appena agli inizi, ancora lungo e denso di ostacoli) verso una democrazia diretta, cioè reale.
Quest’ipotesi, del resto, mi sembra l’unica che possa rendere interessante storicamente un movimento altrimenti condannato a ridursi all’ennesimo gattopardismo di un sempiterno compromesso preistorico.

Ci sono due modi di essere coerenti.
Uno è quello del potere e dei suoi sgherri: è l’atteggiamento rigido e dimostrativo di un perseguimento costante, gesto dopo gesto, di una morale comportamentale spendibile in ambito ideologico.
L’altro è invece quello di un perseguimento laico (cioè antideologico) dell’obiettivo etico e pragmatico della comunità umana concreta; della comunità storica, dunque, in lotta dovunque per l’affermazione di un’autonoma soggettività umana. Sostenuto dal piacere e dalla volontà di vivere, un tale progetto deve imparare, quindi, a usare dialetticamente le contraddizioni dell’avversario per emanciparsi da ogni sudditanza a qualunque potere eteronomo, non per conquistarsene una fetta.
Per meglio preservare la sottomissione dei sudditi, l’ideologia morale, essenza necessaria all’imposizione di qualunque autorità, confonde la coerenza con il rifiuto irrealistico delle contraddizioni, ma per opporsi al recupero non si tratta affatto di piegarsi al manicheismo del fine che giustifica i mezzi, quanto di scegliere una coerenza laica la cui natura, lo ripeto, è antiideologica.
Il moralismo è un autoritarismo praticabile senza ambasce quando la superiorità è fuori di dubbio. Esso agisce allora come un’offensiva militare che schiaccia il nemico.
La gestione coerente e dialettica della contraddizione è invece sempre necessaria quando il nemico (per numero di divisioni militari o di voti, è lo stesso) è preponderante e va indebolito infiltrandone la sua stessa logica senza farsene catturare.
Quest’ultima era la situazione italiana del dopovoto di Aprile. Quasi un ricorso storico del 1948, quando l’Italia appena nata dalla resistenza si è lasciata corrompere dalla propaganda gesuitica di destra e sinistra consegnandosi per mezzo secolo alla Democrazia Cristiana.
Allora come oggi, la seconda opzione suesposta avrebbe dunque dovuto essere praticata da un movimento laico d’emancipazione proprio per il rispetto pratico dei propri valori.
Oggi, il risorgimento macabro e reiterato del capozombi Berlusconi, votato direttamente dagli zombi umiliati del supermercato edonistico e consumerista, è stato scandalosamente favorito indirettamente dagli zombi moralisti di una sinistra che persegue gli stessi obiettivi volgarmente materialistici e capitalisti dei suoi avversari presunti con l’aggiunta di una risibile pretesa etica spettacolare.
Questa ricaduta, tuttavia, è anche una sconfitta gravissima per un movimento che aspiri alla democrazia diretta, cioè alla fine dello spettacolo, perché Berlusconi è il simbolo concreto, unificante della corruzione parlamentare di destra e di sinistra. Come il fascismo, il berlusconismo è nato da una costola del socialismo e si è instaurato come un esorcismo nel popolo bue che s’identifica ancora una volta, per difetto e frustrazione, nel toro caricaturale in perpetua erezione, salvatore autoproclamato di una patria inesistente.
“Spezzeremo le reni alla Grecia così come aboliremo l’IMU.

Qualche giorno prima delle elezioni[1], Grillo sembrava aver capito il contesto e previsto esplicitamente la strategia adeguata poi, forse a causa di un imprevisto 25% di consensi, ha sbagliato la prima mossa, irrigidendosi ideologicamente di fronte al patetico Bersani e con la sua autorità indiscussa ha spinto il M5s ad arroccarsi su posizioni puriste e francescane senza altro sbocco che il masochismo cristiano.
Grillo è comunque un tipo sveglio e si è subito corretto con la candidatura di Rodotà, cosicché solo gli utili idioti che votano PD e altri mestatori nel torbido possono continuare a imputare al M5s la responsabilità dell’inciucio finale[2] con il coniglietto affarista di Arcore.
Di fronte alla proposta Rodotà, gli inciucisti bipartisan del PD in preda alla paura hanno scelto quelli che erano più simili a loro (mica è un caso se Letta non ha mai fatto mistero di preferire Berlusconi a Grillo ed è oggi primo ministro), prima non votando neppure Prodi - democristiano doc -, poi ignorando la proposta Rodotà per inginocchiarsi di fronte al vicepapa napoletano.

Passiamo, ora, un momento, come promesso, al metodo deduttivo, ricordando in preambolo che, in realtà, con la sparizione formale della Democrazia Cristiana il cattolicesimo politicizzato, anziché sparire si é diluito e diffuso in tutto il tessuto politico italiano impregnato da millenni di compromesso preistorico. Mentre il muro di Berlino crollava, il servizio segreto vaticano continuava a operare indisturbato nell’inconscio di troppi credenti atavici.
L’Italia, infatti, prima ancora di scaturire come Stato dalla modernità della democrazia borghese, è sempre stata psicogeograficamente una nazione cristiana perché ha storicamente ereditato e sviluppato alle radici il compromesso preistorico che la Chiesa di Roma ha stabilito al suo nascere con l’Impero Romano.
A partire da Costantino, nel terzo secolo DC (nel senso di Dopo Cristo, non ancora di Democrazia Cristiana) il potere ha sempre mostrato in Italia una connotazione cristiana prima e specificatamente cattolica poi.
In Italia, infatti, come in Europa, non è la società naturale a essere cristiana ma i successivi poteri che l’hanno gestita come tale, imponendo la loro cultura dominante che trasuda del patto antico tra l’Imperatore e il Papa: alla cosca di Cesare quel che è sottratto al popolo in nome di Cesare, al rappresentante della cosca di Dio quel che è sottratto al popolo in nome di Dio.
Se in Italia è esistito il fenomeno di alcune comunità reali di cristiani primitivi, legati cioè alla dottrina sociale cristiana, non c’è mai stato, invece, un cristianesimo primitivo ideologicamente organizzato se non nella forma mitologica francescana, immediatamente recuperata da una Chiesa Apostolica e Romana che non ha mai avuto nulla di primitivo.
Solo nel tardo Medio Evo, in seguito alle orribili violenze e ai suprusi continui perpetrati per secoli sul corpo e sullo spirito dalla cultura cristiana, il variegato Movimento del libero spirito ha illuminato l’Europa con l’affermazione spontanea del suo umanesimo poetico.
Fondato sull’olocausto di un numero imprecisato di martiri tanto ebrei che  cristiani, il Papato è nato come un’istituzione imperiale garante di un Impero in disfacimento. Anche i barbari, in seguito, si sono adeguati, facendo della Chiesa il garante della transizione che ha portato al cambiamento storico della forma dell’impero.
Con Carlo Magno incoronato imperatore a Roma, si è dato il via al processo di un’Europa militarmente divisa ma finalmente unita dalle Crociate e sottomessa al potere cristiano fino al totalitarismo mistico dell’Inquisizione. Ed è appunto per controbilanciare gli effetti di un potere papale scandaloso che la mitologia francescana è tornata in auge per recuperare ogni volta, gesuiticamente, al potere i sentimenti e le voglie d’emancipazione.
Certo, i tempi sono cambiati e nella società dello spettacolo l’inquisizione ritrova ormai i suoi connotati tradizionali soltanto in casi eccezionali, quando una laicità concreta torna a disturbare sul terreno sociale e dunque politico del quotidiano, il dipanarsi apparentemente tranquillo del potere e dell’umiliazione redditizia.
In Italia il caso Englaro con le sue le macabre reazioni oscurantiste è stato esemplare in proposito, come lo è oggi in Francia lo squadrismo reazionario e omofobo sul cosiddetto “matrimonio per tutti”[3].
Per qualunque potere politico (Cesare+Dio in dosaggio soffice e variabile) non è il singolo caso concreto a essere pericoloso quanto il simbolo, l’esempio di una laicità che levi la testa. Per questo, nel medioevo, bisognava bruciare gli eretici: per eliminare la tentazione della laicità, cioè di un’autonomia dei soggetti che li spinga a sottrarsi al potere, cioè i prodromi di quella democrazia che non può essere tale finché si pensa e si agisce all’ombra di una qualunque cappella - sia essa quella Sistina, della Casa Bianca, del Cremlino, della Mecca, del muro del pianto, della Porta Celeste, del FMI o dell’OMC.

Ritorniamo ora al particulare e agli italiani che del particulare sono da sempre innamorati, cotti nel sugo dell’ideologia, pseudoanarchici opportunisti, libertari col culo degli altri ma sempre disposti a vendere il proprio al miglior offerente. Machiavelli ha nobilitato con grazia, cinismo e intelligenza quest’opportunismo individualista, sublimandolo in scienza umanistica della strategia di potere, in gestione della collettività in fieri calcolata su quel misto di sacro e profano, di Cesare e Dio che gestisce preistoricamente le emozioni individuali e le pulsioni collettive di una storia umana confiscata da millenni.
Il tutto prima che, in Italia, la società dello spettacolo trasformasse il crollo della Democrazia Cristiana storica in una diaspora di almeno tre democrazie cristiane, con il rischio di una quarta in gestazione.
La prima democrazia cristiana è di destra e ha cambiato qualche nome di partito senza mai cambiare direzione né capo. Comprende i resti in decomposizione del fascismo, exsocialisti craxiani, piduisti, postscelbiani, andreottiani e altri baciapile dal passato mafioso e dal presente spettacolare fondato sull’omertà, dagli attentati nichilisti alla cancellazione delle intercettazioni telefoniche. Berlusconi ne è il signore e padrone, piccolo guitto di periferia dalla carriera folgorante che lo ha portato, di bordello in bordello, fino al governissimo Letta+Letta.
La seconda democrazia cristiana è di sinistra e di nomi ne ha cambiati tanti quanti ne ha scovati nei trattati di botanica nella speranza di cancellare così la sua origine marxista leninista, svergognata dal trionfo della società dello spettacolo. Ulivi, querce, margherite e tutto il regno vegetale hanno concorso a distruggere un materialismo dialettico ridicolizzato da burocrati altrettanto clericali che cinici e opportunisti nel loro materialismo volgare.
Il compito di questo arcaismo, tanto necessario al sistema spettacolare mercantile, si è concluso con l’incoronazione a Roma di un nuovo Carlo-che-magna nella politica italiana da più di mezzo secolo. Si tratta di Napolitano re borbone, vicepapa eletto da un conclave di spretati poco raccomandabili, ma fedeli alla Chiesa del potere che comprende tutte le chiese. I cardinali fedeli al vicepapa hanno creato le condizioni per arrivare al governo Letta+Letta che riunisce finalmente nel puzzle di un capitalismo impazzito le due democrazie cristiane più votate e pure la terza, per non lasciare nessuno fuori dalla chiesa ecumenica del potere assoluto.
Se la terza democrazia cristiana è ininfluente, è anche quella più vicina al logo originale. I Monti, i Casini, i Buttiglione e altri frequentatori di sacrestie e di gioventù cattoliche nutrite al latte di Comunione e Liberazione sono una garanzia di fede ipocrita, speranza pelosa e carità cinica. Nonostante la sua pochezza numerica, il suo ruolo consiste nel fare da filo d’Arianna del “chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo” dei fedeli servitori baciapile del potere. In realtà, questo partitino apparentemente inutile unisce lo Ior alla Golden Sachs, Bildenberg a S Pietro e funziona da maschera secolare di un papato che, così mimetizzato, naviga nell’acqua benedetta di un parlamentarismo ridotto a messa di mezzanotte di una Pasqua senza fine. Ite missa est, mentre il Papa benedice dalla finestra lo spettacolo trionfante.
La quarta democrazia cristiana non esiste ancora e speriamo non esista mai. È però attesa con ansia e circospezione nelle stanze vaticane e nei palazzi del potere che la sperano in gestazione laddove meno la vorresti immaginare.
Nello spettacolo parlamentare, i teologi più attenti e gli statisti più cinici colgono il loro particolare principio speranza nelle titubanze, nei detti e nei modi di alcuni eletti del M5s, in alcune battute da sacrestia di Crimi, nei bigottismi micro fascisti della Lombardi, nelle aperture confusioniste vere o presunte a CasaPound, nelle chiusure agli immigrati, nel protagonismo spettacolare di expoliziotti eletti nel M5s, nella presenza tra gli stessi di qualche ex leghista subitamente diventato libertario e movimentista pur di farsi eleggere, nelle concessioni soltanto simboliche ma fortemente inquietanti nei confronti di un parlamentarismo che da nemico giurato di ogni democrazia diretta, rischia di diventare per qualcuno l’occasione di un impiego stabile e duraturo.
Grillo ha onestamente anticipato che qualche caduta, recupero, abbandono o tradimento sarà inevitabile. Ha ragione e in fondo la cosa non è grave di per sè se resta un’eccezione. Grave sarebbe invece cadere nella trappola di una democrazia cristiana che comprende tutte le altre: quella vaticana che ha appena messo a punto la sua nuova strategia pubblicitaria per contrare l’ottima riuscita della concorrenza islamica sul solo mercato momentaneamente in crescita: quello delle ideologie religiose.
Il Francesco gesuitico messo in scena con l’elezione del nuovo Vescovo di Roma, Presidente della multinazionale cattolica, va tenuto alla larga da ogni movimento d’emancipazione. Certo, ha ragione chi vede nel M5s una varieganza che può tranquillamente includere qualunque intima credenza personale. Non è concepibile, invece, che il blog del M5s ospiti un’apologia francescana del nuovo papargentino presentandolo come santo prima ancora che si metta ipocritamente a lavare i piedi dei diseredati.
Si chiamerà pure Francesco, ma in Argentina non ha tanto parlato con gli uccelli quanto con i lupi alla Videla che trasformavano in uccelli involontari i prigionieri volati in mare dagli aerei di regime. Forse non avrà fatto altro che parlare troppo o troppo poco, ma ha comunque un’educazione da gesuita, come Stalin.  È dunque cosciente che avere a disposizione i primi cinque anni di un bambino basta per renderlo idiota per il resto della vita.
Ligio al messale, la sua visione della donna è misogina su un altro registro almeno quanto quella di Berlusconi, che gesuita magari non sarà mai stato, ma furbastro senz’altro lo è tuttora e sa anche lui che i popoli educati alla servitù volontaria sono indifesi di fronte agli spot pubblicitari dei loro manipolatori. Una volta lobotomizzati dallo spettacolo, hanno l’intelligenza di un bambino idiota di dieci anni incapace di distinguere le menzogne compulsive del potente di turno, sessualmente ossessivo e mistico per impotenza affettiva.

La miscela inquietante di queste minime deduzioni e induzioni mi fa pensare che l’ipotesi dell’emancipazione resti la sola scommessa sostenibile ma anche che essa sia tutt’altro che di facile realizzazione.
Liberarsi della falsa alternativa tra destre e sinistre per cogliere la radicale opposizione tra tutti gli oscurantismi produttivisti e una nuova coscienza di classe dell’umanità negata e sfruttata. Ecco, forse, il punto di rottura con il paradigma inservibile della democrazia rappresentativa da sostituire al più presto con il progetto di un’autogestione generalizzata della vita quotidiana.
Un nuovo proletariato pacifico e autocostruttore di un nuovo mondo vivibile nel rispetto di sé e della natura potrebbe fare sua questa coscienza e provare a praticarla collettivamente. Questa mi sembra l’unica forma di umanità possibile in un mondo che di umano ormai mostra ben poco.
E se si trattasse di riprendere il movimento delle occupazioni per l’emancipazione e per la liberazione dal capitalismo e dalla società produttivistica, visto che, pur se ostacolata con tutti i mezzi, la volontà di vivere sembra oggi sopravvissuta alla sconfitta vittoriosa del maggio ’68?
Noi ci siamo e la voglia di provarci pure, anche perché, indipendentemente dalla riuscita,  non saprei immaginare un altro modo di vivere umanamente e piacevolmente questo presente.


Sergio Ghirardi


[1] [ Intervista a Grillo di Marco Travaglio del 13 giugno 2013:
T. - Ma dovrete scegliere i candidati, che poi saranno inevitabilmente nominati con questa legge elettorale. Il gruppo parlamentare dovrà avere un coordinamento, altrimenti su ogni votazione ciascuno va per conto suo. E, senza una politica delle alleanze, rischiate l’irrilevanza.
G.- Calma, una cosa alla volta. Le alleanze certo, se necessario le faremo, ma solo sulle cose da fare, e in forme trasparenti, senza giochini sottobanco.]

[2] Questo maxiinciucio, addirittura imbarazzante per la sua evidenza, era uno dei due programmi prestabiliti dalla cosca del PD a direzione Bersani, per salvaguardare il business del partito. Oltre che prevedibile era anche il più perverso perché capace d’integrare in un unico progetto Stato autoritario e Mercato liberale, mafie e multinazionali, burocrati e affaristi. Per questo andava assolutamente impedito.
L’altro programma ipotizzato ma improbabile era, invece, l’alleanza con un M5s ben più difficilmente manipolabile per gli scopi suddetti a causa della sua natura radicalmente antipartitica e antiinciucista.

[3] Poiché tutte le imposture monoteiste perseguono lo stesso scopo recuperatore, mi pare giusto aggiungere a questi esempi anche quello dell’Egitto, della Tunisia e di altri paesi islamici dove si sta tentando lo stesso recupero clericale, si spera momentaneo, delle prime storiche rivolte laiche, antiautoritarie e anticapitaliste.



sabato 27 aprile 2013

PER UNA DECRESCITA PIACEVOLE


 
peperone, begonie, timo, insalata, patate, carote (ORTO SINERGICO)



In barba ai cuochi-star, l’autarchia culinaria


La stupidità di questo mondo si può misurare anche con l’importanza che viene data alla visibilità, alla fama.
A tralasciare il fatto che uno spesso diventa famoso sul nulla, è sufficiente che una persona sia famosa che addirittura viene premiata con una carica parlamentare. Del tutto indimostrata, ovviamente, la sua capacità di gestire la cosa pubblica. Cicciolina, Gerry Scotti, Luxuria, sono i primi nomi che mi vengono in mente. Senza ovviamente esprimere un giudizio sui predetti, io trovo che questa sia una delle dimostrazioni più lampanti della predetta stupidità del nostro mondo.
E adesso ci sono anche i cuochi-star. Complici, presumo, alcune trasmissioni di cucina, i cuochi si sono ritagliati un loro ingombrante spazio di celebrità. Che mi disturba parecchio. In qualche modo la grande cucina è un’arte, sicuro, ma non certo un’arte povera: va nel senso diametralmente opposto a quello della vita sobria ed autarchica. Anche se poi questi soloni da un lato hanno il coraggio di salassare la gente con i loro conti stellari e poi di inneggiare alla semplicità del panino col salame o della minestrina col formaggino.
Non li digerisco i grandi cuochi. Osannati come “semidei che vivete in castelli inargentati”, neppure si accontentano delle ricette culinarie, ma dispensano anche improbabili ricette per la vita.
Lungi allora da noi i cuochi stellati, che boicotteremo come tanti altri simboli di questo mondo alla rovescia.
E piuttosto, guardiamoci intorno: è primavera. Un’epoca in cui ciascuno di noi può sperimentare l’autarchia culinaria. Rechiamoci in campagna e riempiamo sacchi di punte di ortica, per realizzare splendidi risotti; oppure di luppolo, per le frittate. Oppure ancora, semplicemente, con lievito di birra, farina, poco sale e foglie di borraggine, prepariamo buonissime frittelle. Lasciamo i grandi cuochi ai loro “letti di”, ai loro “sarcophage”, alle loro cucine molecolari. Non c’è nulla di più creativo di prepararsi da mangiare in modo semplice e genuino. E nulla di più gratificante del rendersi conto di operare nel rispetto di madre natura.

Commento di Sergio Ghirardi:

Tema affascinante al cuore della contraddizione ideologica tra crescita e decrescita.
Certo, lo spettacolo ha spostato l'alienazione classica dell'essere in avere a uno stadio ancor più becero e soprattutto perverso. Ormai conta soprattutto apparire, fare finta, guadagnarsi dieci minuti di celebrità in una vita di merda dove tutto è inquinato compresi i valori. Per questo tutti i servitori volontari del totalitarismo economicista, compresi i cuochi, galoppano al passo dell’oca delle mandrie addomesticate.
Certo, contro il consumismo alienante e la circolazione forsennata delle merci è saggio e piacevole usare prodotti locali, stagionali e, perché no, selvatici quando non siano inquinati da qualche misfatto industriale, diossina, mercurio, piogge acide o radioattività, per esempio. Tuttavia inventare ricette e piatti sublimi partendo da questa base non alienata è una nobile, rispettabile e sostenibile tradizione umanistica, non una vergogna e fa parte di quell'eccesso necessario all’umanità creatrice per poter modellare la sobrietà gioiosamente e non farne l'ennesima morale di frustrazione educatrice di schiavi di qualche padrone.
La decrescita non ha come fine il venir meno, il ridurre, lo stringere gli sfinteri, ma la qualità di un di più armonizzato creativamente dall’intelligenza sensibile in modo da integrarlo all’equilibrio della natura (madre, matrigna, sorella o possibile amante che sia).
La decrescita da ogni produttivismo è la condizione necessaria per rimettere al centro del progetto sociale l’economia del dono per un aumento senza limiti pregiudizievoli della felicità.
Tutti gli integralismi sono reazionari e sadomaso. Sarebbe bene cominciare a farli decrescere radicalmente.

venerdì 26 aprile 2013

Un agricoltore prepara la rivoluzione sociale




Con l'uso di wiki e della produzione digitale di strumenti, Marcin Jakubowski, uno dei membri di TED, rende open source i progetti di 50 macchine agricole, permettendo a chiunque di costruire il proprio trattore o mietitrice. Ed è solo il primo dei passi in un progetto per redigere un set di istruzioni per un intero villaggio auto sostenibile (con un costo iniziale di 10.000 dollari). (il film include i sottotitoli anche in italiano).


http://www.ted.com/talks/marcin_jakubowski.html