giovedì 4 aprile 2013

Manifesto per una Dotazione Incondizionata d’Autonomia






Vincent Liegey, Stéphane Madelaine,
Christophe Ondet, Anne-Isabelle Veillot
Editions Chant libre 



Per la promozione di una transizione democratica e serena verso società sostenibili e desiderabili di Decrescita.

«L’uomo non desidera per natura guadagnare sempre più denaro, desidera invece, molto semplicemente, vivere a modo suo e guadagnare abbastanza denaro da poterselo permettere».                           
Max Weber

La prima delle Decrescite[1] deve essere la decrescita delle diseguaglianze. Così una delle proposte spesso avanzate e discusse dagli Obiettori di Crescita (OC) è l’instaurazione di una Dotazione Incondizionata di Autonomia (DIA) accoppiata a un Reddito Massimo Autorizzato (RMA). Questa DIA sarebbe versata a tutte/i in modo eguale, dalla nascita alla morte per garantire un livello di sopravvivenza decente e scollegato dall’occupazione di un impiego[2].
Una tale dotazione sarebbe individuale, inalienabile e non cumulabile a nessun altro introito e tradurrebbe il riconoscimento del contributo di ogni individuo alla società, attraverso l’insieme delle sue attività in particolare non mercantili.
Senza essere un fine in sé, la DIA potrebbe essere un utensile economico e sociale formidabile per iniziare una transizione democratica[3] e serena verso un’uscita dall’asservimento al lavoro, un’uscita dal capitalismo, una «rilocalizzazione» (nel senso di riconduzione a una dimensione locale, ndt) dell’economia, una «ripoliticizzazione» della società grazie alla riappropriazione delle nostre scelte di vita, permettendo così a tutte/i di partecipare alla costruzione di società di Decrescita sostenibili, auspicabili e conviviali.
Perché una dotazione?
1. Una dotazione per una decrescita delle diseguaglianze (protezione, condivisione contro austerità e competizione)
2. Una dotazione per un’uscita dall’asservimento al lavoro
3. Una dotazione per un’uscita dal capitalismo e dall’economicismo (crisi del debito: né austerità né rilancio)
4. Una dotazione per una rilocalizzazione aperta
5. Una dotazione al servizio di una democrazia reale
6. Una dotazione per iniziare una transizione verso società di Decrescita sostenibili, auspicabili e conviviali

Una dotazione per tutte e per tutti, in modo incondizionato dalla nascita alla morte, che renda possibile una vita frugale e decente con:
1. Diritto d’accesso a un alloggio e alla proprietà fondiaria
2. Diritto di usufrutto delle risorse naturali ed energetiche
3. Accesso alla salute
4. Accesso ai trasporti
5. Accesso all’educazione
6. Accesso alla cultura e diritto all’informazione

Una dotazione per una decrescita delle diseguaglianze

La messa in funzione della Dotazione Incondizionata di Autonomia permetterebbe a ogni individuo di beneficiare di condizioni di vita decenti e degne, favorendo l’autonomia di ciascuno e facendo cessare la dipendenza dal lavoro salariato. Si uscirebbe ugualmente dal ciclo infernale dell’esclusione, vuoi dell’umiliazione legata a una disoccupazione in aumento soprattutto tra i più giovani. Essendo versata automaticamente a tutte e a tutti, la DIA non comporta alcuna eccezione di fatto o di diritto. Rinforza anzi il sistema di protezione nel suo insieme poiché assicura una base di beni e di servizi essenziali. Rassicura la vita umana per diventare un elemento cruciale di un nuovo modello sociale giacché né un impiego né gli aiuti sociali classici possono pretendere di garantire un diritto all’esistenza dignitosa. La DIA creerebbe questo legame di solidarietà indispensabile tra tutti i membri della società.
Inoltre, questa dotazione si accompagnerebbe obbligatoriamente dell’instaurazione di un Reddito Massimo autorizzato (RMA) il cui montante[4] dovrà essere discusso democraticamente nell’intento di lottare contro gli scarti di reddito, poiché la Decrescita in politica mira precisamente alla decrescita delle diseguaglianze. Così, essendo un reddito per tutti senza eccezioni di risorse, ma imponibile e dunque totalmente recuperabile fiscalmente, la DIA permetterebbe di ridurre le diseguaglianze. A quanti pensano che un RMA sarebbe obsoleto in caso di funzionamento della DIA poiché, in quel caso, le diseguaglianze sarebbero rese meno flagranti dal fatto che tutti disporrebbero di condizioni di vita dignitose e decenti, rispondiamo che un RMA serve anche a ridurre l’impatto ecologico dei più ricchi, a evitare sprechi scandalosi e pratiche insultanti e soprattutto a produrre una rottura con l’importanza presa nel nostro immaginario dal modo di vivere dei più agiati[5].
Infine, di fronte alla crisi economica e sociale che colpisce un numero crescente di cittadini e soprattutto di fronte alle crisi in vista[6], è necessario ridare serenità e sicurezza. In effetti, la paura del domani e la sofferenza generano ripiegamenti su identità comunitariste, odi, violenze e frustrazioni con poche probabilità di creare le condizioni per una transizione democratica. Bisogna dunque ridare speranza, serenità e protezione affinché fuoriesca quel che c’è di più positivo e costruttivo, si creino delle solidarietà e si renda questa transizione partecipativa.

Una dotazione per un’uscita dall’asservimento al lavoro

La DIA è innanzitutto l’utensile che permette la realizzazione dei diritti fondamentali di ogni individuo liberandolo dalla centralità del lavoro attraverso la sua trasformazione in un’attività volontaria e realizzatrice[7]. Questa dotazione s’iscrive in una riflessione che non fonda l’emancipazione di uomini e donne sul lavoro. L’elevazione del lavoro al rango di valore fondamentale deriva da un’ideologia produttivistica e consumistica incompatibile con una qualunque realizzazione dell’individuo. Per di più, il mondo del lavoro è diventato oggi un mondo di competizione sotto la minaccia della disoccupazione, di stress a causa dei nuovi metodi di management, di alterazione della convivialità attraverso una richiesta sempre più pressante di produttività e soprattutto di perdita di senso per la specializzazione e la ripetizione dei compiti oppure qualora il lavoro diventi nefasto per la società[8].

Utensile per decolonizzare il nostro immaginario sociale, la DIA mira a non fare più del lavoro il nostro solo riferimento, il solo fondamento del legame sociale e il solo modo di tentare di vivere dignitosamente.
Con questa dotazione cesseremo di dipendere per la nostra integrazione economica e sociale dallo statuto legato al lavoro salariato. Il che significa permettere ad altri mezzi d’espressione individuale o collettivi di liberarsi, ma anche dirigersi verso una società di attività scelte e liberamente negoziate anziché verso il lavoro subito, favorendo al contempo l’emergenza di un «terzo settore» (attività associative, famigliari, politiche, culturali, attività, cioè, cosiddette « fuori mercato »).
Inoltre, la DIA mette fine alla disoccupazione come problema economico e sociale e favorisce la ripartizione dei compiti più difficili. Essa è un premio per questa riduzione ed è suscettibile, dunque, d’innescare una reale distribuzione dei lavori pesanti. La DIA avrà ripercussioni sulle remunerazioni e permetterà di valutare meglio il salario per ogni impiego allo scopo di farne un’attività volontaria, rivalutando, per esempio i ruoli faticosi. Questi ultimi potrebbero essere riorganizzati nel quadro di un «servizio d’interesse generale» comune a tutti i cittadini.
Senza implicare una diserzione dal mercato del lavoro, la DIA innescherebbe una riduzione dell’attività economica che non sarebbe un problema poiché produciamo già troppo vivendo al di sopra dei nostri mezzi e dei nostri bisogni[9]. Toccherebbe a ciascuno organizzare e tradurre questa decrescita dello spreco e del superfluo nella vita quotidiana, come dire non passare più la propria vita a produrre cose inutili per venderle a gente che non ne ha bisogno.

Una dotazione per uscire dal capitalismo e dall’economicismo

La DIA è una via per uscire dalla società della crescita produttivistica e consumistica che dirige le nostre vite, i nostri bisogni e le nostre speranze. È una condizione obbligatoria per dare il via alla svolta verso una società di Decrescita. La Dia, tuttavia, non sarà efficace che nel solo caso che questa dotazione dia la possibilità di un’altra scelta di società diversa da quella di vivere per consumare. Proporre la DIA vuol dire rimettere fondamentalmente in questione la logica capitalista e cercare un altro modo d’organizzazione sociale che vada più lontano dell’aiuto ai più poveri o del correggere i limiti del sistema, fino a rovesciarlo perché è in un vicolo cieco.
Lo scopo del capitalismo è di far rientrare tutto nel suo dominio mercantile. Un’uscita dolce dal capitalismo è il cammino opposto. Perciò questa dotazione deve iscriversi nell’estensione delle sfere della gratuità poiché tutto quel che è gratuito, la cui proprietà è collettiva e l’uso condiviso, s’integra de facto alla DIA per liberarsi dalle forze del mercato. Questa gratuità si giustifica con il buon uso e si equilibra attraverso il rincaro del cattivo uso. Ciò richiederà di dibattere collettivamente sui bisogni e sui campi d’intervento dei servizi pubblici, sensati fornire questi beni e servizi essenziali, del ruolo e del posto dell’economia ma anche dei limiti da imporsi. Si tratta di una gratuità socialmente e democraticamente organizzata e accettata.
La DIA è dunque sinonimo di un accesso libero e gratuito a certi beni e servizi la cui proprietà e gestione sono collettive come il diritto condiviso dei loro usi. Qualche pista è evocata più lontano. Infatti la DIA permetterebbe che ciascuno goda di una piccola parte ma sufficiente delle ricchezze collettive.
La DIA non è dunque un reddito in valuta[10], un sussidio equivalente, gonfiato fino a 1200 euri, delle attuali allocazioni per i meno abbienti (RSA o RMI, per la Francia). Essa scombussola l’immaginario crescentista e si ricentra sui bisogni fondamentali ed essenziali per permettere una realizzazione individuale e collettiva fondata su altri valori che quelli portati dal capitalismo.

Il finanziamento della DIA è un vero falso problema: verso un’uscita dall’economicismo.

IL finanziamento della DIA è spesso evocato per significare la sua impossibilità e archiviare questa misura nel campo dei sogni. La realtà è, invece tutt’altra. Molti studi[11] hanno dimostrato la fattibilità della messa in funzione della Dia. È una scelta politica e societaria da assumere e soprattutto un cambiamento di paradigma da immaginare. Per imporsi, questa scelta di società non passerà soltanto per le urne ma per la società che, a grande maggioranza, sarà pronta nel suo immaginario a cambiare vita, a non lavorare più per consumare ma a essere autonoma per vivere insieme.
Molti refrattari alla DIA pescano nell’argomento contabile per condannarla prima ancora di prevedere una riflessione più ampia sul suo senso e sulla sua ambizione. Un tale argomento suona come vuoto e respira l’inganno se si pensa a quante sfide ben più complicate e finanziariamente costose la nostra società ha rilevato in passato. Basti ricordare l’ambizione del Consiglio Nazionale della Resistenza e le misure prese dopo la seconda guerra mondiale. Più vicino a noi, il salvataggio delle banche (e del sistema finanziario) ha mostrato che lo Stato disponeva di «risorse» rapidamente utilizzabili. L’argomento contabile è dunque altrettanto fallace dell’impostura della creazione monetaria[12] o dei debiti, pubblici o privati che , qualunque sia la crescita, non potranno mai essere rimborsati[13]. La Dia è una sfida societaria e una scelta che può imporsi se vogliamo veramente uscire dal capitalismo. Basta avere l’audacia, il coraggio politico ma soprattutto una forte adesione e partecipazione a questa volontà di cambiamento.
La DIA sottintende il ripensamento di tutto il nostro sistema di ridistribuzione e di solidarietà con la soppressione delle prestazioni e allocazioni sociali, diventate obsolete quanto le politiche aggressive per i posti di lavoro e la lotta contro la disoccupazione. Essa necessiterà una profonda riforma fiscale con, per esempio, la riabilitazione dell’imposta progressiva sul reddito al fine di tassare al 100% oltre un certo livello da definire democraticamente che sarebbe il Reddito Massimo Autorizzato (RMA) o l’instaurazione di una reale tassa sul consumo tendente a penalizzare le produzioni non locali e/ non rispettose dell’ambiente oppure inutili se non nefaste (pubblicità, armamenti[14], obsolescenza programmata[15], beni gettabili…). Certe prestazioni spariranno perché saranno mobilitate per assicurare la perennità della DIA e ne saranno incluse.
Ancora una volta niente d’impossibile, tutto resta da inventare poiché l’instaurazione della DIA è concepibile e possibile da un punto di vista finanziario[16]. Lo è ancora di più dal punto di vista delle risorse, siano esse energetiche o economiche, poiché la sua vocazione è di razionalizzare e rendere sostenibili i nostri modi di vivere.
La DIA non sarà soltanto monetaria ma dovrà anche riguardare la messa a disposizione di servizi e di materiale per vivere bene. Il che suppone che le collettività riprendano di nuovo certi servizi pubblici come l’acqua, il gas, l’elettricità o i trasporti allo scopo di estendere la sfera della gratuità.

Una dotazione per una rilocalizzazione aperta
E favorire così la decrescita del consumo delle risorse non rinnovabili: verso una sovranità alimentare ed energetica locale.

Oggi si montano un po’ dovunque dei collettivi, dei progetti locali che si chiamano alternative concrete. Queste alternative partecipano a una rilocalizzazione aperta[17], desiderabile e necessaria delle nostre produzioni, dei nostri scambi, dei nostri rapporti economici. La DIA potrebbe servire da supporto a queste alternative già esistenti e favorire anche l’emergenza di nuove. Per esempio, la DIA potrebbe essere versata in monete locali fondenti[18] utilizzabili solo per prodotti di prossimità. Aiuterebbe così il sostegno e la nascita di giardini comuni, di atelier autogestiti di riparazione, di verifica e controllo dei beni, di artigianato, di sistemi di scambio locali (SEL), di condivisione di materiali, di abitazioni comuni, di riflessioni sulla resilienza[19], di sviluppo di energie locali e artigianali, tendendo così a una sovranità tanto energetica che alimentare e verso un’uscita dalla nostra dipendenza dalle energie fossili e in particolare dal petrolio.

Una dotazione al servizio della democrazia
Verso una riappropriazione delle nostre scelte di vita.

La DIA offre a ogni cittadino il pieno e intero godimento della democrazia poiché rende all’individuo la sua autonomia e la sua riflessione per agire nella società, liberando queste qualità dal monopolio esercitato dal lavoro. Essa è un utensile di trasformazione sociale e di riappropriazione delle nostre scelte di vita.
Apportando una soluzione alla disoccupazione e favorendo un’equa distribuzione del lavoro, la DIA rende concreta la rivalorizzazione sociale delle attività non mercantili e , soprattutto, rimette in questione il monopolio del lavoro come fonte d’integrazione e di riconoscimento sociale.
Essa ricentra l’individuo nella società, non più in funzione del suo impiego ma aprendolo a prospettive di realizzazione personale capaci di un’emancipazione individuale e collettiva favorevole all’uso di una democrazia reale, aperta e partecipativa, indipendente dai fattori economici.

Liberati/e dall’obbligo del lavoro, ogni cittadino/a avrà il tempo ma anche la possibilità di partecipare alla vita della polis. La Dia può allora contribuire a una ripoliticizzazione della società e a una risocializzazione della politica implicandovi i cittadini. Così la maniera in cui la DIA sarà versata deve essere decisa democraticamente e, almeno in parte, localmente: quale quantità d’acqua, di cibo, di energia è considerata un diritto e da quale livello essa diventa un prodotto mercantile tassato. Ugualmente, la ripartizione dei compiti difficili e l’organizzazione della loro realizzazione dovranno essere discussi e decisi collettivamente.
Tutto ciò deve far parte di una riappropriazione della scelta di quel che si produce, di come lo si produce e per quale uso.

Una dotazione per iniziare una transizione verso società di Decrescita sostenibili, desiderabili e conviviali

Utensile di giustizia sociale, di lotta contro l’alienazione del lavoro che permette al contempo il rispetto dei bisogni fondamentali di tutte/i, la DIA è indispensabile per indirizzare la società verso la Decrescita. Fattore d’emancipazione, essa favorisce l’autonomia sociale e finanziaria mentre riduce le disuguaglianze grazie al RMA e permette un accesso uguale ai bisogni e servizi fondamentali.
Per capire meglio quel che potrebbe rappresentare la DIA, enumereremo ora in modo sommario delle piste, delle proposte da esplorare, riflettere, criticare, mettere in prospettiva, precisare ma anche completare e inventare per cercare quel che sarebbe concretamente una Dotazione Incondizionata d’Autonomia.

Uto-piste sulla DIA

Una parte della DIA potrebbe essere versata in moneta ma in moneta locale fondente. In tal modo la DIA permetterebbe d’affrancarsi dalla moneta tradizionale privandola della sua funzione di tesaurizzazione e di speculazione per riportarla alle sole funzioni di valutazione e di scambio. La DIA così concepita contribuirebbe a uscire dal sistema finanziario e monetario attuale. La moneta potrebbe, così, essere impiegata per un’utilizzazione circoscritta a certi commerci, a certi usi o territori.
Si può però, prevedere di versare una parte, e solo una parte[20], di questa dotazione in moneta nazionale europea (euri).

Diritto all’alloggio e all’accesso alla proprietà fondiaria

L’alloggio è un diritto fondamentale da prendere in conto nella DIA. La questione fondiaria è difficile ma chiunque deve poter vivere in un alloggio decente ed energeticamente sobrio. Ognuno potrà, per esempio disporre di un numero minimo di m² e pagare il resto al prezzo del mercato (di un mercato funzionante democraticamente con istanze di controllo e di regolazione).
Così la legge di requisizione deve essere applicata per uscire dalla speculazione e rifiutare l’assurda ingiustizia delle nostre società dette sviluppate di avere un numero crescente di senza tetto e di alloggiati precari insieme con abitazioni vuote appartenenti a società o a proprietari privati che speculano sugli immobili.
Il diritto all’alloggio deve iscriversi in una logica di rilocalizzazione della vita e permettere di ridurre gli spostamenti quotidiani ripensando l’urbanistica.
Ugualmente per l’accesso alla terra o a un locale di attività, questa dotazione deve permettere l’accesso a un certo numero di m² per produrre localmente frutti e legumi e/o a un locale per dare inizio ad attività locali che abbiano un senso (atelier per biciclette, di riparazione, servizi, artigianato, cultura…) al fine di iniziare, facilitare, promuovere e sostenere alternative concrete di transizione (giardini condivisi, Sistemi di Scambi Locali, Associazioni per il Mantenimento dell’Agricoltura Contadina, iniziative di città, territori in transizione, ecc.).

Risorse naturali ed energetiche

La DIA include un diritto a usufruire delle risorse naturali di base (acqua, gas, ed elettricità) fondato sulla gratuità del buon uso e sul rincaro del cattivo uso. Così o primi kWh o i m³ consumati saranno gratis, poi la tariffa aumenterà progressivamente fino a penalizzare i consumi giudicati troppo importanti. Non è più possibile tollerare che l’acqua per riempire la piscina o per lavare il SUV costi lo stesso prezzo di quella usata per lavare i legumi e i piatti o per lavarsi.
Si potrà dunque immaginare che all’inizio di ogni mese, i contatori d’acqua di gas e d’elettricità siano negativi per una certa quantità.

Salute

Il sistema di salute resta una componente della DIA tanto sembra evidente che l’accesso alle cure sia un diritto essenziale per ogni individuo, ma anche un vettore sociale fondamentale della vita locale. Ciò renderà necessaria una rifondazione dell’organizzazione medica (dall’organizzazione geografica per una salute di prossimità al sistema mutualistico per riappropriarci delle nostre solidarietà). Ogni abuso o cure mediche di confort, invece, anziché essere gratuita sarà a carico del paziente. La preparazione, la fabbricazione e la distribuzione delle medicine dovrebbero dunque diventare un servizio pubblico o almeno sotto tutela, in modo da permettere l’indipendenza di fronte alle lobby farmaceutiche e la diminuzione degli sprechi (per esempio tramite distribuzione di medicinali all’unità anziché per scatole).

Educazione

L’educazione fa ugualmente parte integrante della DIA. Il sistema educativo dovrà essere realmente gratuito e non generare spese eccessive per le famiglie. La gratuità dovrà essere totale affinché questo pezzo essenziale della vita dei nostri figli- ma lo stesso vale per la formazione continua o per le attività associative e sportive – resta uno spazio non discriminante, dove il denaro non ha posto. Una politica di formazione all’autonomia, cioè una formazione per tutta la vita, non per trovare un impiego remunerativo ma per realizzarsi individualmente e collettivamente secondo i propri desideri e aspettative, dovrà essere ugualmente prevista. Così come una sensibilizzazione civica alla vita in società: riappropriazione della politica, ascolto, dibattiti, prese di decisione, comunicazione non violenta, servizio civico…

Trasporti

Per quel che riguarda gli spostamenti, le collettività dovranno prevedere la gratuità dei trasporti collettivi di prossimità mettendo a disposizione i mezzi d’utilizzo dei trasporti leggeri, proponendo, per esempio delle biciclette gratuite o offrendone una a ogni individuo compreso un forfait d’intrattenimento del mezzo. Si può ugualmente immaginare un sistema di forfait chilometrico gratuito di trasporti pubblici il cui superamento sarebbe a carico dell’utilizzatore.
Quest’ultima opzione permetterebbe in particolare di rilocalizzare l’attività. La gratuità del trasporto domicilio-lavoro o domicilio-attività sarebbe così limitata e non potrebbe essere unicamente a carico della collettività o del datore di lavoro nel caso che l’impiegato non avesse necessariamente interesse a rilocalizzare la sua vita. La prossimità ha i suoi limiti e sta a noi di organizzare il territorio affinché ogni individuo possa ridurre i suoi percorsi e rilocalizzare la sua vita. Se un cittadino desidera abitare lontano dal luogo di lavoro dovrà assumere la scelta.

Cultura e diritto all’informazione

La cultura è un elemento della DIA. L’accesso ai luoghi culturali non deve essere frenato da un criterio finanziario ma, al contrario, incoraggiato dalla gratuità e/o sotto forma di forfait. La cultura è, infatti, un presupposto di ogni pensiero politico e deve figurare come il cuore di un nuovo paradigma, la società di Decrescita.
La cultura e l’arte ci formano, ci trasformano lungo tutto l’arco della nostra vita, ci nutrono, ci collegano al nostro corpo, alla nostra lingua, alla nostra umanità ma anche al nostro passato, alla nostra memoria collettiva; permettendoci di apprendere il mondo, di tentare di capirlo e di immaginarlo altro; la lingua è anche una corrente che ci riunisce e ci permette di fare società, di agire sul mondo, di scambiare con l’altro dandoci voglia di vivere per quelli che seguono, preparando loro delle sorgenti di resistenza.

Come spiega il filosofo Marie-Josée Mondzain, difendere la cultura non vuol dire difendere una politica culturale ma lottare contro il crollo della politica. La cultura, in quanto condizione della parola, della circolazione dei dibattiti, dei giudizi, è quel che provoca il cambiamento, apre la via alla creazione, all’immaginazione. È dunque indispensabile al nostro accesso alla cittadinanza, alla libertà e all’uguaglianza.

Il diritto a un’informazione diversa e indipendente è essenziale alla vita di una società. Così la pubblicità nei mass media sarà fortemente tassata per finanziare dei media indipendenti e un giornalismo d’investigazione di qualità.

Conclusione

Va da sé che questa dotazione è da declinare in parte localmente in modo scelto e democratico, in funzione degli obblighi e dei bisogni locali ma anche delle culture e delle tradizioni. Si può prevedere di mettere in funzione questa DIA a diversi livelli (quartiere, città, regione, paese, Unione Europea, mondo) e cominciando per tappe: per esempio localmente con la messa in atto di una moneta locale fondente per comprare dei frutti e legumi prodotti localmente, oppure là la messa in azione della gratuità del buon uso dell’acqua oppure nazionalmente con l’instaurarsi di un reddito incondizionato d’esistenza o l’accesso alla salute gratuita.

Una dotazione incondizionata d’autonomia s’iscriverebbe in una continuità storica dell’emancipazione umana allargando i diritti fondamentali[21] e dando un’opportunità reale d’appropriazione delle nostre scelte di vita dando nel contempo inizio a una biforcazione, a una transizione verso il dopo-sviluppo e l’uscita dal vicolo cieco nel quale ci porta questa società di crescita capitalista, produttivistica e consumistica.


Commento del traduttore:

Avendolo tradotto nonostante la lunghezza, ho evidentemente trovato di grande interesse questo testo che si propone come una riflessione nel cuore di una transizione che ci potrebbe portare a un cambio di paradigma sociale tanto più auspicabile perché necessario.
La decrescita economica non ha più bisogno di discorsi per mostrarsi indispensabile. S’impone come un passaggio obbligato per uscire dal totalitarismo produttivistico che sta a noi rendere piacevole.
Per contro emergono, a mio avviso, nel testo alcuni punti, ancora connessi a un eccesso di organizzazione burocratica del cambiamento, errore commesso da lunga data da vari militanti che hanno appesantito e spesso addirittura tradito, per quasi un secolo, le rivoluzioni che credevano di servire. Si tratta di evitare gli antichi errori.
Non vedo, in effetti, nessuna utilità nell’uso di una decrescita maiuscola che diventa immediatamente ideologia laddove si trasforma da utensile benvenuto in un’imbarazzante e limitante visione del mondo.
Tutto quel che la DIA può apportarci, può perfettamente passare per una decrescita minuscola senza dare al termine la pretesa di una totalità che non si accontenta mai di nessun manicheismo crescente o decrescente.
Così, anche nel descrivere gli interventi necessari al cambio di paradigma, una qualche foga ipergestionaria tenderebbe a occuparsi un po’ troppo intimamente del destino della gente. Bisognerà che le coscienze individuali sappiano autogestire autonomamente, come del resto lo spirito del testo auspica, la transizione necessaria.
Infine la forma partito che rode come un retaggio di un passato politico non ancora completamente digerito e superato, coagula i resti di una mia diffidenza più che motivata verso ogni pretesa avanguardia che pretenda di portare la coscienza dall’esterno. L’epoca delle illusioni ideologiche e dei partiti formali è finita. Non resta che la teoria e la sua pratica soggettiva, individuale e collettiva, che diffida di qualunque comitato centrale. Un tale indispensabile principio di precauzione non intacca, però, gli stimoli a riflettere e ad agire che l’ipotesi della DIA propone.


Sergio Ghirardi




[1] Gli autori del testo fanno qui la distinzione tra la Decrescita (con la maiuscola) che è contemporaneamente uno slogan parola chiave, il denominatore di un movimento politico e anche il nome di un progetto politico e la decrescita (con la minuscola) che corrisponde al senso primo del termine (in francese: décroissance), come decrescita delle diseguaglianze o dell’impronta ecologica.
[2] Quest’ultima condizione può essere discussa e il conferimento della DIA condizionato alla partecipazione puntuale ad azioni civiche o alla messa in funzione di un servizio civico.
[3] Vincent Liegey (testo collettivo), novembre 2010, sul giornale La Décroissance, n° 74: La decrescita sarà autoritaria? Essa sarà democratica o non sarà!
[4] Nella cucina della democrazia spettacolare, il Partito per la Decrescita aveva evocato un rapporto di 1 a 4 al momento delle elezioni europee del 2009, mentre i verdi ecologisti francesi (EE-LV, ora al governo con Hollande) propongono un rapporto da 1 a 30 e il Parti de Gauche di Melanchon (un Sel alla francese) da 1 a 20.
[5] Thorstein Veblen e la sua Teoria della classe del tempo libero (1899), ripresa da Hervé Kempf nel suo libro: Comment les riches détruisent la planète, Seuil, Paris 2007.
[6] Crisi legata alla rarefazione delle risorse naturali che sfocia su un aumento dei prezzi delle stesse, dunque recessioni successive che impoveriscono sempre più i meno abbienti. Vedere, tra l’altro, l’eccellente analisi di Richard Heinberg sulla crisi del 2008: Una recessione temporanea
[7]  André Gorz, Métamorphoses du travail, Folio Essais, 2004 e Repenser le travail, EcoRev’ n° 28, autunno-inverno 2007.
[8] Vedi, per esempio, le iniziative di disobbedienza civile nei servizi pubblici e il caso di quegli agenti che rifiutano di eseguire le direttive contrarie alla nozione stessa di servizio pubblico. Così come quegli ingegneri che rifiutano l’obsolescenza programmata e la concezione di oggetti al solo scopo di far marciare l’economia.
[9] Una delle principali obiezioni all’instaurazione di una tale dotazione separata dal lavoro salariato è la diserzione conseguente dal mercato del lavoro, cioè il rischio che sia scelta «la pigrizia» piuttosto che la partecipazione allo «sforzo» collettivo. Molti argomenti contrari possono essere opposti, tra i quali:
- Molti studi hanno mostrato che nel caso di un reddito garantito (sia nel quadro di sperimentazioni della DIA che con riferimento a vincitori di una lotteria del tipo 1000 euro il mese), la grande maggioranza delle persone in questione mantengono un impiego.
- A quelli che temono le tensioni che potrebbero sorgere nel caso di un’ipotetica divisione della popolazione tra una parte che avesse scelto il lavoro salariato «produttivo» e un’altra considerata «parassita» della società mercantile, si potrebbe ritorcere che il sistema attuale ha già un alto costo a loro carico e rappresenta la contropartita della società fondata sulla crescita: costo della disoccupazione di massa e delle sue conseguenze umanitarie e sociali (esclusione, povertà, depressione, alcolismo…), costo delle malattie legate al lavoro, allo stress, al lavoro precario (consumo di antidepressivi, mutua), o ancora il costo delle conseguenze di questo modello produttivo sull’ambiente (inquinamento, estinzione delle risorse) ma anche sulle relazioni nord-sud (saccheggio organizzato del sud da parte del nord con il 20% dei più ricchi che si appropriano dell’87% delle risorse naturali, guerre d’appropriazione delle risorse, in particolare fossili), ecc.
- Se tutti disertassero il lavoro, ciò non significherebbe forse che esso sarebbe, in quel momento, per tutti loro, un obbligo, una costrizione, un’alienazione più che un modo di realizzazione? Ciò sarebbe dunque una prova di più che l’organizzazione sociale aveva bisogno di essere ripensata e rifondata.
- Infine, mentre la sofferenza al lavoro è sempre più grande, si costata che il numero di volontari benevoli è sempre elevatissimo in Francia.  Si stima infatti che 12 milioni di francesi partecipino ad attività di benevolato.
[10] Questa è la differenza maggiore tra la nozione di reddito (di base, universale, incondizionato di esistenza…) e di dotazione. Le nostre riflessioni sulla nozione di dotazione si appoggiano sulla nozione di reddito e sui lavori associati (in particolare i lavori di Baptiste Mylondo), ma non solo. Si appoggiano anche su quelle di estensione delle sfere della gratuità (gratuità, semigratuità del buon uso e rincaro del cattivo uso), sulle riflessioni intorno alle monete locali fondenti e anche sulle nostre riflessioni su una transizione democratica e serena verso società di Decrescita, per un’uscita dal capitalismo e dal produttivismo.  È questa la critica che noi facciamo del reddito incondizionato pur se sottolineiamo il progresso culturale e sociale che questo rappresenta. Temiamo che non vada abbastanza lontano e che diventi piuttosto un palliativo di una società malata, in particolare perché rischia di rinforzare il sistema capitalista distribuendo non i beni ma il denaro senza mettere in questione il contenuto e il senso del suo uso.
[11] Vedi i lavori del professor Yoland Bresson, Baptiste Mylondo, Jean Vassilev, P. Van Parijs, Y. Moulier Boutang, Carlo Vercellone, Jean-Marie Monnier, B. Van Der Lynden e Alain Caillé.
[12] Vedi per esempio il documentario «Il denaro debito» di Paul Grignon. 
http://www.partipourladecroissance.net/ ?p=131
[13] Vedi tra gli altri, gli eccellenti lavori del Comitato per l’annullamento del debito del terzo mondo (CADTM). I debiti pubblici, al nord come al sud, continuano a giustificare delle politiche d’austerità, di smantellamento dei servizi pubblici e di privatizzazioni che servono solo l’interesse dell’oligarchia.
[14] L’armamento e la pubblicità rappresentano i due primi budget mondiali rispettivamente con più di 1000 miliardi e 500 miliardi di dollari ! Si tratta di innescare una riconversione di queste conoscenze, competenze, esperienze e risorse verso attività socialmente e umanamente desiderabili.
[15]Vedi l’eccellente documentario «Prêt à jeter», (Buono da buttare)
http://www.partipourladecroissance.net/?p=6055
[16] Baptiste Mylondo, Un Revenu pour tous! Précis d’utopie réaliste, Les éditions Utopia, 2010.
[17] Ci teniamo a insistere sulla nozione di apertura e per questo si parla di rilocalizzazione aperta al fine di distinguerla chiaramente da una logica di ripiegamento identitario. In effetti, uno dei rischi della nozione di rilocalizzazione è di ricadere nelle società ripiegate su se stesse. Il progetto di Decrescita è un progetto d’emancipazione umana che potrà passare soltanto per un’apertura culturale e sociale verso l’altro.
[18] Monete locali fondenti: si tratta di monete il cui valore diminuisce nel tempo per lottare contro la logica di speculazione. Lo scopo è promuovere gli scambi e un’economia locale e sostenibile.
[19] Resilienza: concetto messo spesso in avanti nel movimento delle città in transizione; si tratta della capacità di una comunità a resistere alle crisi in vista, preparandosi in particolare al picco petrolifero liberandosi della nostra dipendenza dall’oro nero.
[20] Vedi la nota 6 sulla differenza tra reddito (di base, universale, incondizionato d’esistenza…) e dotazione.
[21] Il principio di questa dotazione, dando il diritto di vivere dignitosamente dalla nascita alla morte in modo incondizionato, potrebbe essere un’estensione della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino.