Vincent
Liegey, Stéphane Madelaine,
Christophe
Ondet, Anne-Isabelle Veillot
Per la promozione di una
transizione democratica e serena verso società sostenibili e desiderabili di
Decrescita.
«L’uomo non desidera per natura guadagnare
sempre più denaro, desidera invece, molto semplicemente, vivere a modo suo e
guadagnare abbastanza denaro da poterselo permettere».
Max Weber
La prima delle Decrescite[1]
deve essere la decrescita delle diseguaglianze. Così una delle proposte spesso
avanzate e discusse dagli Obiettori di Crescita (OC) è l’instaurazione di una
Dotazione Incondizionata di Autonomia (DIA) accoppiata a un Reddito Massimo
Autorizzato (RMA). Questa DIA sarebbe versata a tutte/i in modo eguale, dalla
nascita alla morte per garantire un livello di sopravvivenza decente e
scollegato dall’occupazione di un impiego[2].
Una tale dotazione sarebbe
individuale, inalienabile e non cumulabile a nessun altro introito e
tradurrebbe il riconoscimento del contributo di ogni individuo alla società,
attraverso l’insieme delle sue attività in particolare non mercantili.
Senza essere un fine in sé, la DIA potrebbe essere un
utensile economico e sociale formidabile per iniziare una transizione
democratica[3]
e serena verso un’uscita dall’asservimento al lavoro, un’uscita dal
capitalismo, una «rilocalizzazione» (nel
senso di riconduzione a una dimensione locale, ndt) dell’economia, una
«ripoliticizzazione» della società grazie alla riappropriazione delle nostre
scelte di vita, permettendo così a tutte/i di partecipare alla costruzione di
società di Decrescita sostenibili, auspicabili e conviviali.
Perché
una dotazione?
1.
Una dotazione per una decrescita delle diseguaglianze (protezione, condivisione
contro austerità e competizione)
2.
Una dotazione per un’uscita dall’asservimento al lavoro
3.
Una dotazione per un’uscita dal capitalismo e dall’economicismo (crisi del
debito: né austerità né rilancio)
4.
Una dotazione per una rilocalizzazione aperta
5.
Una dotazione al servizio di una democrazia reale
6.
Una dotazione per iniziare una transizione verso società di Decrescita
sostenibili, auspicabili e conviviali
Una
dotazione per tutte e per tutti, in modo incondizionato dalla nascita alla
morte, che renda possibile una vita frugale e decente con:
1.
Diritto d’accesso a un alloggio e alla proprietà fondiaria
2.
Diritto di usufrutto delle risorse naturali ed energetiche
3.
Accesso alla salute
4.
Accesso ai trasporti
5.
Accesso all’educazione
6.
Accesso alla cultura e diritto all’informazione
Una
dotazione per una decrescita delle diseguaglianze
La messa in funzione della Dotazione
Incondizionata di Autonomia permetterebbe a ogni individuo di beneficiare di
condizioni di vita decenti e degne, favorendo l’autonomia di ciascuno e facendo
cessare la dipendenza dal lavoro salariato. Si uscirebbe ugualmente dal ciclo
infernale dell’esclusione, vuoi dell’umiliazione legata a una disoccupazione in
aumento soprattutto tra i più giovani. Essendo versata automaticamente a tutte
e a tutti, la DIA
non comporta alcuna eccezione di fatto o di diritto. Rinforza anzi il sistema
di protezione nel suo insieme poiché assicura una base di beni e di servizi
essenziali. Rassicura la vita umana per diventare un elemento cruciale di un
nuovo modello sociale giacché né un impiego né gli aiuti sociali classici
possono pretendere di garantire un diritto all’esistenza dignitosa. La DIA creerebbe questo legame di
solidarietà indispensabile tra tutti i membri della società.
Inoltre, questa dotazione si accompagnerebbe
obbligatoriamente dell’instaurazione di un Reddito Massimo autorizzato (RMA) il
cui montante[4]
dovrà essere discusso democraticamente nell’intento di lottare contro gli
scarti di reddito, poiché la
Decrescita in politica mira precisamente alla decrescita
delle diseguaglianze. Così, essendo un reddito per tutti senza eccezioni di
risorse, ma imponibile e dunque totalmente recuperabile fiscalmente, la DIA permetterebbe di ridurre
le diseguaglianze. A quanti pensano che un RMA sarebbe obsoleto in caso di
funzionamento della DIA poiché, in quel caso, le diseguaglianze sarebbero rese
meno flagranti dal fatto che tutti disporrebbero di condizioni di vita
dignitose e decenti, rispondiamo che un RMA serve anche a ridurre l’impatto
ecologico dei più ricchi, a evitare sprechi scandalosi e pratiche insultanti e
soprattutto a produrre una rottura con l’importanza presa nel nostro
immaginario dal modo di vivere dei più agiati[5].
Infine, di fronte alla crisi economica
e sociale che colpisce un numero crescente di cittadini e soprattutto di fronte
alle crisi in vista[6],
è necessario ridare serenità e sicurezza. In effetti, la paura del domani e la
sofferenza generano ripiegamenti su identità comunitariste, odi, violenze e
frustrazioni con poche probabilità di creare le condizioni per una transizione
democratica. Bisogna dunque ridare speranza, serenità e protezione affinché
fuoriesca quel che c’è di più positivo e costruttivo, si creino delle
solidarietà e si renda questa transizione partecipativa.
Una
dotazione per un’uscita dall’asservimento al lavoro
La
DIA
è innanzitutto l’utensile che permette la realizzazione dei diritti
fondamentali di ogni individuo liberandolo dalla centralità del lavoro
attraverso la sua trasformazione in un’attività volontaria e realizzatrice[7].
Questa dotazione s’iscrive in una riflessione che non fonda l’emancipazione di
uomini e donne sul lavoro. L’elevazione del lavoro al rango di valore
fondamentale deriva da un’ideologia produttivistica e consumistica
incompatibile con una qualunque realizzazione dell’individuo. Per di più, il
mondo del lavoro è diventato oggi un mondo di competizione sotto la minaccia
della disoccupazione, di stress a causa dei nuovi metodi di management, di
alterazione della convivialità attraverso una richiesta sempre più pressante di
produttività e soprattutto di perdita di senso per la specializzazione e la
ripetizione dei compiti oppure qualora il lavoro diventi nefasto per la società[8].
Utensile per decolonizzare il nostro
immaginario sociale, la DIA
mira a non fare più del lavoro il nostro solo riferimento, il solo fondamento
del legame sociale e il solo modo di tentare di vivere dignitosamente.
Con questa dotazione cesseremo di
dipendere per la nostra integrazione economica e sociale dallo statuto legato
al lavoro salariato. Il che significa permettere ad altri mezzi d’espressione
individuale o collettivi di liberarsi, ma anche dirigersi verso una società di
attività scelte e liberamente negoziate anziché verso il lavoro subito,
favorendo al contempo l’emergenza di un «terzo settore» (attività associative, famigliari, politiche, culturali, attività,
cioè, cosiddette « fuori mercato »).
Inoltre, la DIA mette fine alla
disoccupazione come problema economico e sociale e favorisce la ripartizione
dei compiti più difficili. Essa è un premio per questa riduzione ed è
suscettibile, dunque, d’innescare una reale distribuzione dei lavori pesanti. La DIA avrà ripercussioni sulle
remunerazioni e permetterà di valutare meglio il salario per ogni impiego allo
scopo di farne un’attività volontaria, rivalutando, per esempio i ruoli
faticosi. Questi ultimi potrebbero essere riorganizzati nel quadro di un «servizio
d’interesse generale» comune a tutti i cittadini.
Senza
implicare una diserzione dal mercato del lavoro, la DIA innescherebbe una
riduzione dell’attività economica che non sarebbe un problema poiché produciamo
già troppo vivendo al di sopra dei nostri mezzi e dei nostri bisogni[9].
Toccherebbe a ciascuno organizzare e tradurre questa decrescita dello spreco e
del superfluo nella vita quotidiana, come dire non passare più la propria vita
a produrre cose inutili per venderle a gente che non ne ha bisogno.
Una dotazione per uscire dal capitalismo e
dall’economicismo
La DIA è una via per
uscire dalla società della crescita produttivistica e consumistica che dirige
le nostre vite, i nostri bisogni e le nostre speranze. È una condizione
obbligatoria per dare il via alla svolta verso una società di Decrescita. La Dia, tuttavia, non sarà
efficace che nel solo caso che questa dotazione dia la possibilità di un’altra
scelta di società diversa da quella di vivere per consumare. Proporre la DIA vuol dire rimettere
fondamentalmente in questione la logica capitalista e cercare un altro modo
d’organizzazione sociale che vada più lontano dell’aiuto ai più poveri o del
correggere i limiti del sistema, fino a rovesciarlo perché è in un vicolo
cieco.
Lo scopo del capitalismo è di far rientrare
tutto nel suo dominio mercantile. Un’uscita dolce dal capitalismo è il cammino
opposto. Perciò questa dotazione deve iscriversi nell’estensione delle sfere
della gratuità poiché tutto quel che è gratuito, la cui proprietà è collettiva
e l’uso condiviso, s’integra de facto
alla DIA per liberarsi dalle forze del mercato. Questa gratuità si giustifica
con il buon uso e si equilibra
attraverso il rincaro del cattivo uso.
Ciò richiederà di dibattere collettivamente sui bisogni e sui campi
d’intervento dei servizi pubblici, sensati fornire questi beni e servizi
essenziali, del ruolo e del posto dell’economia ma anche dei limiti da imporsi.
Si tratta di una gratuità socialmente e democraticamente organizzata e
accettata.
La
DIA
è dunque sinonimo di un accesso libero e gratuito a certi beni e servizi la cui
proprietà e gestione sono collettive come il diritto condiviso dei loro usi.
Qualche pista è evocata più lontano. Infatti la DIA permetterebbe che ciascuno goda di una
piccola parte ma sufficiente delle ricchezze collettive.
La
DIA
non è dunque un reddito in valuta[10],
un sussidio equivalente, gonfiato fino a 1200 euri, delle attuali allocazioni
per i meno abbienti (RSA o RMI, per la Francia). Essa scombussola l’immaginario
crescentista e si ricentra sui bisogni fondamentali ed essenziali per
permettere una realizzazione individuale e collettiva fondata su altri valori
che quelli portati dal capitalismo.
Il
finanziamento della DIA è un vero falso problema: verso un’uscita
dall’economicismo.
IL finanziamento della DIA è spesso
evocato per significare la sua impossibilità e archiviare questa misura nel
campo dei sogni. La realtà è, invece tutt’altra. Molti studi[11]
hanno dimostrato la fattibilità della messa in funzione della Dia. È una scelta
politica e societaria da assumere e soprattutto un cambiamento di paradigma da
immaginare. Per imporsi, questa scelta di società non passerà soltanto per le
urne ma per la società che, a grande maggioranza, sarà pronta nel suo
immaginario a cambiare vita, a non lavorare più per consumare ma a essere
autonoma per vivere insieme.
Molti refrattari alla DIA pescano
nell’argomento contabile per condannarla prima ancora di prevedere una
riflessione più ampia sul suo senso e sulla sua ambizione. Un tale argomento
suona come vuoto e respira l’inganno se si pensa a quante sfide ben più
complicate e finanziariamente costose la nostra società ha rilevato in passato.
Basti ricordare l’ambizione del Consiglio Nazionale della Resistenza e le
misure prese dopo la seconda guerra mondiale. Più vicino a noi, il salvataggio
delle banche (e del sistema finanziario) ha mostrato che lo Stato disponeva di «risorse»
rapidamente utilizzabili. L’argomento contabile è dunque altrettanto fallace
dell’impostura della creazione monetaria[12]
o dei debiti, pubblici o privati che , qualunque sia la crescita, non potranno
mai essere rimborsati[13].
La Dia è una
sfida societaria e una scelta che può imporsi se vogliamo veramente uscire dal
capitalismo. Basta avere l’audacia, il coraggio politico ma soprattutto una
forte adesione e partecipazione a questa volontà di cambiamento.
La
DIA
sottintende il ripensamento di tutto il nostro sistema di ridistribuzione e di
solidarietà con la soppressione delle prestazioni e allocazioni sociali,
diventate obsolete quanto le politiche aggressive per i posti di lavoro e la
lotta contro la disoccupazione. Essa necessiterà una profonda riforma fiscale
con, per esempio, la riabilitazione dell’imposta progressiva sul reddito al
fine di tassare al 100% oltre un certo livello da definire democraticamente che
sarebbe il Reddito Massimo Autorizzato (RMA) o l’instaurazione di una reale
tassa sul consumo tendente a penalizzare le produzioni non locali e/ non
rispettose dell’ambiente oppure inutili se non nefaste (pubblicità, armamenti[14],
obsolescenza programmata[15],
beni gettabili…). Certe prestazioni spariranno perché saranno mobilitate per
assicurare la perennità della DIA e ne saranno incluse.
Ancora una volta niente d’impossibile,
tutto resta da inventare poiché l’instaurazione della DIA è concepibile e
possibile da un punto di vista finanziario[16].
Lo è ancora di più dal punto di vista delle risorse, siano esse energetiche o
economiche, poiché la sua vocazione è di razionalizzare e rendere sostenibili i
nostri modi di vivere.
La
DIA
non sarà soltanto monetaria ma dovrà anche riguardare la messa a disposizione
di servizi e di materiale per vivere bene. Il che suppone che le collettività
riprendano di nuovo certi servizi pubblici come l’acqua, il gas, l’elettricità
o i trasporti allo scopo di estendere la sfera della gratuità.
Una
dotazione per una rilocalizzazione aperta
E
favorire così la decrescita del consumo delle risorse non rinnovabili: verso
una sovranità alimentare ed energetica locale.
Oggi si montano un po’ dovunque dei
collettivi, dei progetti locali che si chiamano alternative concrete. Queste
alternative partecipano a una rilocalizzazione aperta[17],
desiderabile e necessaria delle nostre produzioni, dei nostri scambi, dei
nostri rapporti economici. La DIA
potrebbe servire da supporto a queste alternative già esistenti e favorire
anche l’emergenza di nuove. Per esempio, la DIA potrebbe essere versata in monete locali
fondenti[18]
utilizzabili solo per prodotti di prossimità. Aiuterebbe così il sostegno e la
nascita di giardini comuni, di atelier autogestiti di riparazione, di verifica
e controllo dei beni, di artigianato, di sistemi di scambio locali (SEL), di
condivisione di materiali, di abitazioni comuni, di riflessioni sulla
resilienza[19],
di sviluppo di energie locali e artigianali, tendendo così a una sovranità
tanto energetica che alimentare e verso un’uscita dalla nostra dipendenza dalle
energie fossili e in particolare dal petrolio.
Una
dotazione al servizio della democrazia
Verso
una riappropriazione delle nostre scelte di vita.
La
DIA
offre a ogni cittadino il pieno e intero godimento della democrazia poiché
rende all’individuo la sua autonomia e la sua riflessione per agire nella
società, liberando queste qualità dal monopolio esercitato dal lavoro. Essa è
un utensile di trasformazione sociale e di riappropriazione delle nostre scelte
di vita.
Apportando una soluzione alla
disoccupazione e favorendo un’equa distribuzione del lavoro, la DIA rende concreta la
rivalorizzazione sociale delle attività non mercantili e , soprattutto, rimette
in questione il monopolio del lavoro come fonte d’integrazione e di
riconoscimento sociale.
Essa ricentra l’individuo nella
società, non più in funzione del suo impiego ma aprendolo a prospettive di
realizzazione personale capaci di un’emancipazione individuale e collettiva
favorevole all’uso di una democrazia reale, aperta e partecipativa,
indipendente dai fattori economici.
Liberati/e dall’obbligo del lavoro,
ogni cittadino/a avrà il tempo ma anche la possibilità di partecipare alla vita
della polis. La Dia può allora contribuire a
una ripoliticizzazione della società e a una risocializzazione della politica
implicandovi i cittadini. Così la maniera in cui la DIA sarà versata deve essere
decisa democraticamente e, almeno in parte, localmente: quale quantità d’acqua,
di cibo, di energia è considerata un diritto e da quale livello essa diventa un
prodotto mercantile tassato. Ugualmente, la ripartizione dei compiti difficili
e l’organizzazione della loro realizzazione dovranno essere discussi e decisi
collettivamente.
Tutto ciò deve far parte di una
riappropriazione della scelta di quel che si produce, di come lo si produce e
per quale uso.
Una
dotazione per iniziare una transizione verso società di Decrescita sostenibili,
desiderabili e conviviali
Utensile di giustizia sociale, di
lotta contro l’alienazione del lavoro che permette al contempo il rispetto dei
bisogni fondamentali di tutte/i, la
DIA è indispensabile per indirizzare la società verso la Decrescita. Fattore
d’emancipazione, essa favorisce l’autonomia sociale e finanziaria mentre riduce
le disuguaglianze grazie al RMA e permette un accesso uguale ai bisogni e
servizi fondamentali.
Per capire meglio quel che potrebbe
rappresentare la DIA,
enumereremo ora in modo sommario delle piste, delle proposte da esplorare,
riflettere, criticare, mettere in prospettiva, precisare ma anche completare e
inventare per cercare quel che sarebbe concretamente una Dotazione
Incondizionata d’Autonomia.
Uto-piste
sulla DIA
Una parte della DIA potrebbe essere
versata in moneta ma in moneta locale fondente. In tal modo la DIA permetterebbe
d’affrancarsi dalla moneta tradizionale privandola della sua funzione di
tesaurizzazione e di speculazione per riportarla alle sole funzioni di
valutazione e di scambio. La DIA
così concepita contribuirebbe a uscire dal sistema finanziario e monetario
attuale. La moneta potrebbe, così, essere impiegata per un’utilizzazione
circoscritta a certi commerci, a certi usi o territori.
Si può però, prevedere di versare una
parte, e solo una parte[20],
di questa dotazione in moneta nazionale europea (euri).
Diritto
all’alloggio e all’accesso alla proprietà fondiaria
L’alloggio è un diritto fondamentale
da prendere in conto nella DIA. La questione fondiaria è difficile ma chiunque
deve poter vivere in un alloggio decente ed energeticamente sobrio. Ognuno
potrà, per esempio disporre di un numero minimo di m²
e pagare il resto al prezzo del mercato (di un mercato funzionante
democraticamente con istanze di controllo e di regolazione).
Così la legge di requisizione deve
essere applicata per uscire dalla speculazione e rifiutare l’assurda
ingiustizia delle nostre società dette sviluppate di avere un numero crescente
di senza tetto e di alloggiati precari insieme con abitazioni vuote
appartenenti a società o a proprietari privati che speculano sugli immobili.
Il diritto all’alloggio deve
iscriversi in una logica di rilocalizzazione della vita e permettere di ridurre
gli spostamenti quotidiani ripensando l’urbanistica.
Ugualmente per l’accesso alla terra o a
un locale di attività, questa dotazione deve permettere l’accesso a un certo
numero di m² per produrre localmente frutti e legumi e/o a un
locale per dare inizio ad attività locali che abbiano un senso (atelier per
biciclette, di riparazione, servizi, artigianato, cultura…) al fine di
iniziare, facilitare, promuovere e sostenere alternative concrete di
transizione (giardini condivisi, Sistemi di Scambi Locali, Associazioni per il
Mantenimento dell’Agricoltura Contadina, iniziative di città, territori in transizione,
ecc.).
Risorse naturali ed energetiche
La DIA include un diritto a usufruire delle risorse naturali di base (acqua,
gas, ed elettricità) fondato sulla gratuità del buon uso e sul rincaro del cattivo
uso. Così o primi kWh o i m³ consumati saranno gratis, poi la tariffa aumenterà
progressivamente fino a penalizzare i consumi giudicati troppo importanti. Non
è più possibile tollerare che l’acqua per riempire la piscina o per lavare il
SUV costi lo stesso prezzo di quella usata per lavare i legumi e i piatti o per
lavarsi.
Si potrà
dunque immaginare che all’inizio di ogni mese, i contatori d’acqua di gas e
d’elettricità siano negativi per una certa quantità.
Salute
Il sistema
di salute resta una componente della DIA tanto sembra evidente che l’accesso
alle cure sia un diritto essenziale per ogni individuo, ma anche un vettore
sociale fondamentale della vita locale. Ciò renderà necessaria una rifondazione
dell’organizzazione medica (dall’organizzazione geografica per una salute di
prossimità al sistema mutualistico per riappropriarci delle nostre
solidarietà). Ogni abuso o cure mediche di confort, invece, anziché essere
gratuita sarà a carico del paziente. La preparazione, la fabbricazione e la
distribuzione delle medicine dovrebbero dunque diventare un servizio pubblico o
almeno sotto tutela, in modo da permettere l’indipendenza di fronte alle lobby
farmaceutiche e la diminuzione degli sprechi (per esempio tramite distribuzione
di medicinali all’unità anziché per scatole).
Educazione
L’educazione
fa ugualmente parte integrante della DIA. Il sistema educativo dovrà essere
realmente gratuito e non generare spese eccessive per le famiglie. La gratuità
dovrà essere totale affinché questo pezzo essenziale della vita dei nostri
figli- ma lo stesso vale per la formazione continua o per le attività
associative e sportive – resta uno spazio non discriminante, dove il denaro non
ha posto. Una politica di formazione all’autonomia, cioè una formazione per
tutta la vita, non per trovare un impiego remunerativo ma per realizzarsi
individualmente e collettivamente secondo i propri desideri e aspettative, dovrà
essere ugualmente prevista. Così come una sensibilizzazione civica alla vita in
società: riappropriazione della politica, ascolto, dibattiti, prese di decisione,
comunicazione non violenta, servizio civico…
Trasporti
Per quel
che riguarda gli spostamenti, le collettività dovranno prevedere la gratuità
dei trasporti collettivi di prossimità mettendo a disposizione i mezzi
d’utilizzo dei trasporti leggeri, proponendo, per esempio delle biciclette
gratuite o offrendone una a ogni individuo compreso un forfait
d’intrattenimento del mezzo. Si può ugualmente immaginare un sistema di forfait
chilometrico gratuito di trasporti pubblici il cui superamento sarebbe a carico
dell’utilizzatore.
Quest’ultima
opzione permetterebbe in particolare di rilocalizzare l’attività. La gratuità
del trasporto domicilio-lavoro o domicilio-attività sarebbe così limitata e non
potrebbe essere unicamente a carico della collettività o del datore di lavoro
nel caso che l’impiegato non avesse necessariamente interesse a rilocalizzare
la sua vita. La prossimità ha i suoi limiti e sta a noi di organizzare il
territorio affinché ogni individuo possa ridurre i suoi percorsi e
rilocalizzare la sua vita. Se un cittadino desidera abitare lontano dal luogo
di lavoro dovrà assumere la scelta.
Cultura e diritto all’informazione
La cultura
è un elemento della DIA. L’accesso ai luoghi culturali non deve essere frenato
da un criterio finanziario ma, al contrario, incoraggiato dalla gratuità e/o
sotto forma di forfait. La cultura è, infatti, un presupposto di ogni pensiero
politico e deve figurare come il cuore di un nuovo paradigma, la società di
Decrescita.
La cultura
e l’arte ci formano, ci trasformano lungo tutto l’arco della nostra vita, ci
nutrono, ci collegano al nostro corpo, alla nostra lingua, alla nostra umanità
ma anche al nostro passato, alla nostra memoria collettiva; permettendoci di
apprendere il mondo, di tentare di capirlo e di immaginarlo altro; la lingua è
anche una corrente che ci riunisce e ci permette di fare società, di agire sul
mondo, di scambiare con l’altro dandoci voglia di vivere per quelli che
seguono, preparando loro delle sorgenti di resistenza.
Come spiega
il filosofo Marie-Josée Mondzain, difendere la cultura non vuol dire difendere
una politica culturale ma lottare contro il crollo della politica. La cultura,
in quanto condizione della parola, della circolazione dei dibattiti, dei
giudizi, è quel che provoca il cambiamento, apre la via alla creazione,
all’immaginazione. È dunque indispensabile al nostro accesso alla cittadinanza,
alla libertà e all’uguaglianza.
Il diritto
a un’informazione diversa e indipendente è essenziale alla vita di una società.
Così la pubblicità nei mass media sarà fortemente tassata per finanziare dei
media indipendenti e un giornalismo d’investigazione di qualità.
Conclusione
Va da sé
che questa dotazione è da declinare in parte localmente in modo scelto e
democratico, in funzione degli obblighi e dei bisogni locali ma anche delle
culture e delle tradizioni. Si può prevedere di mettere in funzione questa DIA
a diversi livelli (quartiere, città, regione, paese, Unione Europea, mondo) e
cominciando per tappe: per esempio localmente con la messa in atto di una
moneta locale fondente per comprare dei frutti e legumi prodotti localmente,
oppure là la messa in azione della gratuità del buon uso dell’acqua oppure
nazionalmente con l’instaurarsi di un reddito incondizionato d’esistenza o
l’accesso alla salute gratuita.
Una
dotazione incondizionata d’autonomia s’iscriverebbe in una continuità storica
dell’emancipazione umana allargando i diritti fondamentali[21]
e dando un’opportunità reale d’appropriazione delle nostre scelte di vita dando
nel contempo inizio a una biforcazione, a una transizione verso il
dopo-sviluppo e l’uscita dal vicolo cieco nel quale ci porta questa società di
crescita capitalista, produttivistica e consumistica.
Commento del traduttore:
Avendolo tradotto nonostante la
lunghezza, ho evidentemente trovato di grande interesse questo testo che si
propone come una riflessione nel cuore di una transizione che ci potrebbe
portare a un cambio di paradigma sociale tanto più auspicabile perché necessario.
La decrescita economica non ha più
bisogno di discorsi per mostrarsi indispensabile. S’impone come un passaggio
obbligato per uscire dal totalitarismo produttivistico che sta a noi rendere
piacevole.
Per contro emergono, a mio avviso, nel
testo alcuni punti, ancora connessi a un eccesso di organizzazione burocratica
del cambiamento, errore commesso da lunga data da vari militanti che hanno
appesantito e spesso addirittura tradito, per quasi un secolo, le rivoluzioni
che credevano di servire. Si tratta di evitare gli antichi errori.
Non vedo, in effetti, nessuna utilità
nell’uso di una decrescita maiuscola che diventa immediatamente ideologia
laddove si trasforma da utensile benvenuto in un’imbarazzante e limitante visione
del mondo.
Tutto quel che la DIA può apportarci, può
perfettamente passare per una decrescita minuscola senza dare al termine la
pretesa di una totalità che non si accontenta mai di nessun manicheismo
crescente o decrescente.
Così, anche nel descrivere gli
interventi necessari al cambio di paradigma, una qualche foga ipergestionaria
tenderebbe a occuparsi un po’ troppo intimamente del destino della gente.
Bisognerà che le coscienze individuali sappiano autogestire autonomamente, come
del resto lo spirito del testo auspica, la transizione necessaria.
Infine la forma partito che rode come
un retaggio di un passato politico non ancora completamente digerito e
superato, coagula i resti di una mia diffidenza più che motivata verso ogni
pretesa avanguardia che pretenda di portare la coscienza dall’esterno. L’epoca
delle illusioni ideologiche e dei partiti formali è finita. Non resta che la
teoria e la sua pratica soggettiva, individuale e collettiva, che diffida di
qualunque comitato centrale. Un tale indispensabile principio di precauzione non
intacca, però, gli stimoli a riflettere e ad agire che l’ipotesi della DIA
propone.
Sergio Ghirardi
[1] Gli
autori del testo fanno qui la distinzione tra la Decrescita (con la
maiuscola) che è contemporaneamente uno slogan parola chiave, il denominatore
di un movimento politico e anche il nome di un progetto politico e la
decrescita (con la minuscola) che corrisponde al senso primo del termine (in
francese: décroissance), come
decrescita delle diseguaglianze o dell’impronta ecologica.
[2]
Quest’ultima condizione può essere discussa e il conferimento della DIA
condizionato alla partecipazione puntuale ad azioni civiche o alla messa in
funzione di un servizio civico.
[3]
Vincent Liegey (testo collettivo), novembre 2010, sul giornale La
Décroissance, n° 74: La
decrescita sarà autoritaria? Essa sarà democratica o non sarà!
[4] Nella
cucina della democrazia spettacolare, il Partito per la Decrescita aveva
evocato un rapporto di 1 a
4 al momento delle elezioni europee del 2009, mentre i verdi ecologisti
francesi (EE-LV, ora al governo con Hollande) propongono un rapporto da 1 a 30 e il Parti de Gauche di
Melanchon (un Sel alla francese) da 1
a 20.
[5]
Thorstein Veblen e la sua Teoria della
classe del tempo libero (1899), ripresa da Hervé Kempf nel suo libro: Comment les riches détruisent la planète,
Seuil, Paris 2007.
[6] Crisi legata alla
rarefazione delle risorse naturali che sfocia su un aumento dei prezzi delle
stesse, dunque recessioni successive che impoveriscono sempre più i meno
abbienti. Vedere, tra l’altro, l’eccellente analisi di Richard Heinberg sulla
crisi del 2008: Una recessione temporanea
[7] André Gorz, Métamorphoses du travail, Folio Essais,
2004 e Repenser le travail, EcoRev’
n° 28, autunno-inverno 2007.
[8] Vedi, per esempio, le
iniziative di disobbedienza civile nei servizi pubblici e il caso di quegli
agenti che rifiutano di eseguire le direttive contrarie alla nozione stessa di
servizio pubblico. Così come quegli ingegneri che rifiutano l’obsolescenza
programmata e la concezione di oggetti al solo scopo di far marciare
l’economia.
[9] Una
delle principali obiezioni all’instaurazione di una tale dotazione separata dal
lavoro salariato è la diserzione conseguente dal mercato del lavoro, cioè il
rischio che sia scelta «la
pigrizia» piuttosto che
la partecipazione allo «sforzo» collettivo. Molti argomenti contrari
possono essere opposti, tra i quali:
- Molti studi hanno
mostrato che nel caso di un reddito garantito (sia nel quadro di
sperimentazioni della DIA che con riferimento a vincitori di una lotteria del
tipo 1000 euro il mese), la grande maggioranza delle persone in questione
mantengono un impiego.
- A quelli che temono le
tensioni che potrebbero sorgere nel caso di un’ipotetica divisione della
popolazione tra una parte che avesse scelto il lavoro salariato «produttivo» e
un’altra considerata «parassita» della società mercantile, si potrebbe
ritorcere che il sistema attuale ha già un alto costo a loro carico e
rappresenta la contropartita della società fondata sulla crescita: costo della
disoccupazione di massa e delle sue conseguenze umanitarie e sociali
(esclusione, povertà, depressione, alcolismo…), costo delle malattie legate al
lavoro, allo stress, al lavoro precario (consumo di antidepressivi, mutua), o
ancora il costo delle conseguenze di questo modello produttivo sull’ambiente
(inquinamento, estinzione delle risorse) ma anche sulle relazioni nord-sud
(saccheggio organizzato del sud da parte del nord con il 20% dei più ricchi che
si appropriano dell’87% delle risorse naturali, guerre d’appropriazione delle
risorse, in particolare fossili), ecc.
- Se tutti disertassero il
lavoro, ciò non significherebbe forse che esso sarebbe, in quel momento, per
tutti loro, un obbligo, una costrizione, un’alienazione più che un modo di
realizzazione? Ciò sarebbe dunque una prova di più che l’organizzazione sociale
aveva bisogno di essere ripensata e rifondata.
- Infine, mentre la
sofferenza al lavoro è sempre più grande, si costata che il numero di volontari
benevoli è sempre elevatissimo in Francia.
Si stima infatti che 12 milioni di francesi partecipino ad attività di
benevolato.
[10] Questa è la differenza
maggiore tra la nozione di reddito (di base, universale, incondizionato di
esistenza…) e di dotazione. Le nostre riflessioni sulla nozione di dotazione si
appoggiano sulla nozione di reddito e sui lavori associati (in particolare i
lavori di Baptiste Mylondo), ma non solo. Si appoggiano anche su quelle di
estensione delle sfere della gratuità (gratuità, semigratuità del buon uso e rincaro del cattivo uso), sulle riflessioni intorno
alle monete locali fondenti e anche sulle nostre riflessioni su una transizione
democratica e serena verso società di Decrescita, per un’uscita dal capitalismo
e dal produttivismo. È questa la critica
che noi facciamo del reddito incondizionato pur se sottolineiamo il progresso
culturale e sociale che questo rappresenta. Temiamo che non vada abbastanza
lontano e che diventi piuttosto un palliativo di una società malata, in
particolare perché rischia di rinforzare il sistema capitalista distribuendo
non i beni ma il denaro senza mettere in questione il contenuto e il senso del
suo uso.
[11] Vedi
i lavori del professor Yoland Bresson, Baptiste Mylondo, Jean Vassilev, P. Van
Parijs, Y. Moulier Boutang, Carlo Vercellone, Jean-Marie Monnier, B. Van Der
Lynden e Alain Caillé.
http://www.partipourladecroissance.net/ ?p=131
[13] Vedi
tra gli altri, gli eccellenti lavori del Comitato per l’annullamento del debito
del terzo mondo (CADTM). I debiti pubblici, al nord come al sud, continuano a
giustificare delle politiche d’austerità, di smantellamento dei servizi
pubblici e di privatizzazioni che servono solo l’interesse dell’oligarchia.
[14]
L’armamento e la pubblicità rappresentano i due primi budget mondiali
rispettivamente con più di 1000 miliardi e 500 miliardi di dollari ! Si tratta
di innescare una riconversione di queste conoscenze, competenze, esperienze e
risorse verso attività socialmente e umanamente desiderabili.
http://www.partipourladecroissance.net/?p=6055
[16] Baptiste Mylondo, Un Revenu pour tous! Précis d’utopie réaliste, Les éditions Utopia,
2010.
[17] Ci
teniamo a insistere sulla nozione di apertura e per questo si parla di
rilocalizzazione aperta al fine di distinguerla chiaramente da una logica di
ripiegamento identitario. In effetti, uno dei rischi della nozione di
rilocalizzazione è di ricadere nelle società ripiegate su se stesse. Il
progetto di Decrescita è un progetto d’emancipazione umana che potrà passare
soltanto per un’apertura culturale e sociale verso l’altro.
[18] Monete locali fondenti:
si tratta di monete il cui valore diminuisce nel tempo per lottare contro la
logica di speculazione. Lo scopo è promuovere gli scambi e un’economia locale e
sostenibile.
[19] Resilienza: concetto
messo spesso in avanti nel movimento delle città in transizione; si tratta
della capacità di una comunità a resistere alle crisi in vista, preparandosi in
particolare al picco petrolifero liberandosi della nostra dipendenza dall’oro
nero.
[20] Vedi la nota 6 sulla
differenza tra reddito (di base, universale, incondizionato d’esistenza…) e
dotazione.
[21] Il principio di questa
dotazione, dando il diritto di vivere dignitosamente dalla nascita alla morte
in modo incondizionato, potrebbe essere un’estensione della dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo e del cittadino.