domenica 21 aprile 2013

LA FAVOLA DEI LUPI E DEL GRILLO



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Quirinale: appello alla pace, sì alla resistenza no alla guerra

Caro Beppe,
ci sono momenti difficili e pericolosi nella storia di una nazione. Ieri, 20 aprile 2013, è stato uno di quelli. E’ in atto un cortocircuito che rischia le peggiori derive, mentre le condizioni di un vero cambiamento si stavano ponendo. Noi che militiamo altrove, ci abbiamo sperato e creduto, abbiamo lavorato per questo e tu lo sai, bene noi ora siamo disperati delle occasioni perdute fin qui, del malessere che ne sta ingrossandosi. Ma anche no. Disperarsi mai: peggio vanno le cose, e più bisogna mantenersi saldi. Saldi non significa rigidi, la rigidità amplifica i conflitti ma ha preso piede proprio fra quelli che invece avrebbero dovuto cercare le più agili e flessibili sfumature di convergenza. E non ne sono stati capaci, ma si sono incaponiti come in uno scornamento fra cervi. Di questo ti voglio parlare.
Non so se 4 persone si siano incontrate in un salotto con gli intenti che tu dici, ma certo se tutti, fin dall’inizio, fossimo stati più ragionevoli, qui non ci saremmo arrivati. E in quei tutti, ovviamente, ci metto anche il mio partito. Perché non mi tiro fuori, beninteso: se scrivo a te non è per ricordarti le tue responsabilità, né solo per riconoscere le nostre. E’ del fuoco che si rischia di appiccare – chi attivamente e chi per cecità o inerzia – che ti voglio parlare: per invocare acqua, perché stiamo soffocando e morendo di sete.
Non l’acqua che spegne le fiamme della giusta indignazione: quella la capisco, non la voglio sottovalutare anzi… Ma ci serve l’acqua che torni a ristorare la capacità di ragionare, per saperci fermare sull’orlo prima delle guerre. Dobbiamo farcela con altri metodi! Le responsabilità di tutti sono tante e diverse, ma ora vorrei parlare del nostro non saperci fare mai acqua. L’acqua è la più potente delle forze, perché la più dolce, quella che sa adattarsi a tutte le forme, ma proprio per quello non resta mai prigioniera, trova sempre una strada.
Hai toccato un tristissimo tasto evocando una marcia su Roma – di questo non puoi non essere cosciente. Su questo anche Rodotà, persona per bene in cui tu confidi, non è d’accordo con te. Manifestare, reagire, va sempre bene: ma attento a cosa evochi! Ti chiedo di cercare strade diverse.
Finché nel Pd ci sono milioni di elettori e di iscritti capaci di indignarsi per le stesse cose per cui voi vi indignate, non avete il diritto di liquidare questo partito come un blocco unico, non avete il diritto di disprezzarne la forza.
Parli spesso di persone perbene, oneste, di buona volontà.. ma sembri dimenticare che allora è alle persone per le loro qualità che bisogna guardare, e mai aizzare tifoserie fra gruppi. Non è per questo che hai indicato Rodotà? Non è per questo che nella rosa che avete votato vi era anche Prodi?
Adesso esiste un diritto alla rabbia, ma anche un diritto più forte a non cedere a guerre che possono portare solo nuove distruzioni.
Nel dopoguerra l’Italia, le case e le anime degli italiani erano distrutti, ma il patrimonio che tutti avevano in mano era proprio la coesione nel potere e volere guardare finalmente avanti, sentendosi insieme: mentre oggi la divisione ci corrode da dentro, è questa la più grande distruzione da combattere. Senza di questo, dove andiamo?
Il M5S da solo non può cambiare il Paese. E non possono i tanti che in altri partiti vorrebbero farlo, ma sono disgregati, con tutta la loro dedizione cercano di farlo ogni giorno, ma non hanno la forza di imporlo, perché la logica delle tifoserie prevale. E’ necessaria una mobilitazione popolare che restituisca dirompenza anche a valori di pace. Non mi appello certo ai “chi ha dato ha dato ha dato…” eccetera. Ma serve una riconciliazione fra le persone oneste, che includa tutti quelli che si impegnano anche nei partiti e gruppi che non sono il tuo. Non solo le marce su Roma, ma anche il partito unico sarebbe una cosa da non evocare mai.
Creare un fronte più unitario e pacifico, per il cambiamento, è possibile! Ma è qualcosa che è necessario costruire con un linguaggio e uno stile di rapporti diverso. E in questo i toni tenuti finora non sono stati di aiuto, anzi.
Ti chiedo di cambiare parole, scenari, evocazioni: facciamolo insieme. Dobbiamo essere milioni a pensare in un modo nuovo, che includa la resistenza più ferma, ma che ripudi ogni guerra fratricida, perché a vincere sarà sempre il potente e a perdere il più indifeso.
Evoco un’ultima volta le tue stesse parole per dire: in questo, non lasciatemi sola o con quattro gatti. Anche io di più che dirti questo non posso fare: qui o si fa la democrazia e la pace, o si muore come Paese.
Commento di Sergio Ghirardi :

Io non sono il seguace di nessuno se non di me stesso e delle mie convinzioni, ma faccio parte della rivolta storica contro il vecchio mondo ed è chiaro che non è stato Grillo a evocare la marcia su Roma. Siete stati voi, politici e giornalisti, a fare l'amalgama. Se Lei non vuole continuare a d avallare la strategia del confusionismo sia precisa su questo punto.
La vera marcia su Roma fu un atto fascista totalitario contro il movimento operaio che occupava le fabbriche. Ieri il totalitarismo era dentro al palazzo non fuori.

Il commento è stato iimmediatamente sottoposto alla censura dei moderatori del quotidiano, così come un altro commento dello stesso tenore inviato a commento (sempre sul Fatto) di un articolo dell’economista Gawronski dal titolo “La trappola dell’estremismo”:
Dopo qualche ora entrambi i commenti sono stati sdoganati. Ecco quello analogo a Gawronski:

Giusto stigmatizzare l'estremismo ma distinguendolo bene dalla critica radicale la cui pratica tende al superamento della società dello spettacolo. Il sistema usa lo stesso metodo per confondere estremismo e radicalità e per evocare perversamente la marcia su Roma quando dei cittadini traditi e manipolati osano denunciare il sopruso ordito dal Porcellum e da eletti selezionati nello stesso prosciutto.
La Marcia fascista su Roma del 22 fu un atto totalitario contro la semidemocrazia esistente e contro il movimento operaio che occupava le fabbriche in nome della sua emancipazione sociale.
La confusione dei termini e dei concetti è un brodo di coltura essenziale del totalitarismo imperante.