martedì 23 aprile 2013

TUTTO SOMMATO, E POI SOTTRATTO, DICIAMO CHE È ANDATA BENE!



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L’Italia continua a scivolare verso il baratro mettendo alla guida del paese dieci sadici saggi inventati da Napolitano.
C’è un’ironia della storia nel piccolo fatto che il tappo sulla bottiglia vuota della democrazia si stia mettendo proprio attorno a un 25 aprile e un primo maggio. Le date di riferimento liturgico della liberazione dalla dittatura fascista e della festa del lavoro servono retoricamente alla perfezione per verniciare sarcasticamente di democrazia la perpetuazione dell’oligarchia burocratico-affarista mentre si continua a sacralizzare il mito del lavoro facendo la festa a lavoratori e disoccupati.
Non si sa ancora chi sarà il primo ministro ma poco importa, si sa già quale minestra cucinerà.
Sarà una gran zuppa di lacrime e sangue rimaste sugli scaffali vuoti della dispensa comune dopo gli ultimi anni di feroce adeguamento dell’Italia e dell’Europa ai bisogni del capitalismo finanziario planetario.
Si sa, “c’è la crisi” in Italia e nel mondo, e bisogna adeguarsi. E l’Italia, anche questo si sa, è sempre pronta a osannare il vincitore di turno, che si tratti di una partita a bocce o di una guerra mondiale, del campionato o di Milano P-2.
I cittadini-spettatori ascoltano e prendono nota, tifosi di squadre diverse ma partecipanti in massa (ormai neanche più ignari e per questo in diminuzione costante) alla solita partita truccata.
Destra e sinistra si abbaiano come cani arrabbiati, poi scodinzolano tutti insieme e guaiscono coi loro applausi quando il pizzaiolo di Stato mostra loro la frusta e la museruola per inviare subdolamente il suo vero messaggio al paese: attenti al cane!
I politici applaudono, quasi increduli, il loro salvataggio in extremis mentre i votanti, presi per i fondelli, s’arrabbiano senza mettere in discussione niente di quello che li umilia e li rende schiavi.
Perché, in fondo, nelle condizioni attuali, anche votare Rodotà sarebbe stato, in un certo senso, un’illusione. Un nobile cambiamento etico certamente, ma non un cambiamento strutturale. Sarebbe stato bello come una doccia dopo il tuffo nel fango ma la macchina che produce questo fango avrebbe continuato la sua produzione industriale: “bisogna crescere, bisogna crescere…pil, pil, pil”.
Guardate i cittadini del M5s avanzare, commoventi, in nome della democrazia diretta per poi, inevitabilmente, trovarsi costretti ad agire, incravattati, secondo le liturgie del perfetto parlamentare. Guardate i grillini (questo termine sprezzante riguarda solo una parte del movimento reale ma purtroppo essi esistono come gli antigrillini e riempiono entrambi i blog del loro tifo da voyeurs cercando in Grillo il superman che li liberi della loro schiavitù o il diavolo sul quale scaricare la loro ottusa impotenza) elucubrare come statisti da operetta sulle migliori strategie per arrivare al potere parlamentare.
C’è un grande equivoco che bisogna spazzare via. Nessuna democrazia diretta si farà finche lo Stato e il Parlamento rappresentativo che ne è la “garanzia” legislativa gestiranno il potere. Si tratta dunque di operare la transizione il più dolcemente possibile.
Certo, questa denuncia è delicata e pericolosa poiché contro lo Stato e il Parlamento agiscono sempre anche tutti i dittatori e tutti gli uomini della provvidenza che in nome della salvezza del popolo s’arrogano il diritto di un governo dispotico. Certo, Berlusconi è un sovversivo reazionario la cui presenza è intollerabile quanto apparentemente inevitabile nell’imputridimento dominante. Certo, Napolitano è un cinico furbetto che piega la logica parlamentare non ai voleri del popolo sovrano ma alla sovranità di un presidente che difende la casta dai paria che la votano e devono continuare a farlo almeno al 50%, in modo che lo spettacolo continui a nutrire il potere. Certo, ha ragione Rodotà nello stigmatizzare ogni marcia su Roma, ma è importante che il rifiuto del sopruso si manifesti nell’agorà pacifica del popolo sovrano, così come è necessario progettare un’azione strategica di superamento delle forme vigenti dell’organizzazione sociale.
Dai Cahiers de Doleances del popolo in rivolta contro la monarchia, potremmo magari passare, per cominciare, ai Cahiers de Jouissances di una nuova società realmente democratica e fraterna.
Il pericolo di una regressione a forme di governo ancora peggiori della truffa democratica attuale non si elimina evitando di affrontarlo, bensì rispondendo con atti di democrazia reale alla democrazia spettacolare che imbavaglia il mondo e serve il totalitarismo economico del capitale finanziario.
IL M5s è almeno il sintomo italiano del ritorno confuso di una coscienza di classe che la sconfitta storica del movimento operaio e la propaganda consumerista avevano reso autistica, imprigionando i cittadini nell’ipnotica equivalenza tra destra e sinistra di uno stesso progetto di annichilimento dell’umano .
Del resto, non si aboliscono le caste passando da una all’altra ma abrogandone il sistema e sostituendogli il trio di “libertà, uguaglianza e fraternità” emancipato dal miserabile uso commerciale che ne è stato fatto per secoli.
La democrazia cosiddetta diretta è l’organizzazione della nazione umana attorno al principio di una cittadinanza orizzontale, senza gerachie né privilegi. Per questo non può essere un’evoluzione del sistema gerarchico della democrazia rappresentativa ma il suo superamento.
Il dato che emerge dal laboratorio italiano è che non siamo ancora pronti, non ancora capaci di desiderare veramente fraternità, uguaglianza e libertà da esseri umani. Siamo troppo inquinati da millenni di sopraffazione. Siamo troppo abituati a cavarcela lasciando soffrire gli altri.
Non è una colpa, è ben peggio: è un’impotenza opportunistica che si può correggere soltanto introducendo le condizioni di un ritorno della capacità di godere della vita che tolga all’opportunismo l’utilità.
I grillini che vogliono Grillo presidente o chiunque altro, s’accontentano di un cambio d’illusione. Certo Rodotà avrebbe rotto gli inciuci e proposto un governo progressista, ma accontentarsi di questo equivale a sperare nel riscaldamento centrale in un campo di concentramento. Niente di male, anzi, ma oltre che irrealistico, ciò non affronta il problema vero che è l’esistenza stessa di un universo concentrazionario.
Approfittiamo dunque di questa sconfitta che segue le tante subite dal movimento operaio quando era il soggetto di una possibile emancipazione.
La Comune e i suoi 20.000 fucilati, le Comuni spagnole del 36/38 distrutte dalla complicità oggettiva di Franco e di Stalin e altri momenti topici della lotta di classe moderna hanno lasciato in eredità il culto della rivoluzione e la possibilità laica di riuscire un giorno a prendere i nostri desideri per la realtà. Ci si è riprovato, pacificamente, nel ’68 e mezzo secolo dopo siamo ancora qui a lamentarci del fatto che il potere dell’economia politica è più forte di noi.
Eppure, qualcosa è cambiato: il sistema non ha più niente da dare ai suoi indiani rinchiusi nelle riserve del consumo e della povertà se non l’illusione di una partecipazione al sistema di governo che li opprime, li sfrutta e distrugge il mondo.
Il laboratorio Italia sta rendendo palese quest’illusione anche al resto del mondo civilizzato dal capitalismo e dappertutto, in modo più o meno grottesco di quello italiano, emerge la stessa dilagante corruzione, lo stesso sfascio della comunità umana, la stessa burocratizzazione della politica, lo stesso affarismo intrinseco a ogni azione sociale proposta da Stato o Mercato, lo stesso inquinamento strutturale della biosfera del vivente, lo stesso rischio di fine della storia della specie e delle altre forme di vita analoghe.
Contro tutto questo ci siamo solo noi, le nostre solidarietà non governamentali, i nostri tentativi di costruzione di un tessuto sociale fondato sul dono e sul piacere di vivere e non sulla speculazione economica. Niente è puro e il cancro capitalista può insinuarsi in ogni situazione, ma una cultura consiliare può permettere di vigilare e continuare la nostra scommessa fino a vincerla, fino a rinviare il capitalismo e i suoi schiavi nella spazzatura della storia. Non so se ci riusciremo, ma fa bene alla salute provarci.
Intellettualmente è già chiaro che non solo un altro mondo è possibile ma anche che è il solo nel quale potremo, a termine, sopravvivere.
La nostra speranza di vita non si calcola più in anni futuri ma in riconquista del presente e questa lotta passerà per i Parlamenti il tempo necessario per abrogarne il potere dispotico, così come i repubblicani abrogarono l’Ancien Régime in nome dei diritti dell’uomo, pur se ridotti, col tempo, a diritti della merce.
Hanno ragione i burocrati a denunciare come etimologicamente sovversivo (gentilmente, però) l’obiettivo del movimento (5 stelle comprese) di rompere col parlamentarismo. Sta a noi far capire alla gente che questa rottura non è una follia ma il solo modo di salvarci tutti e di essere pure, ogni tanto, felici.
Questi cinque anni di respiro che la casta si è arrogata sara per lei un tempo dal respiro affannoso mentre potrebbero essere per noi un buon viatico se li useremo per rendere chiari gli obiettivi della nostra rivoluzione pacifica e inevitabile, ben oltre i confini della povera Italia.
Oggi un nuovo obiettivo comune unisce l’umanità in una speranza concreta che si oppone al crollo disperato di un mondo.
Per quanto eccessivo possa sembrare ai servitori volontari, abituati a guardare la realtà con gli occhiali della loro sottomissione, la Comune d’Europa può sorgere come un’antitesi dialettica al capitalismo planetario. Essa abrogherà l’Europa del Capitale non per tornare a variegati fascismi degli Stati nazione ma per liberare le diverse culture nazionali in un’internazionale degli esseri umani, dai Comuni particolari alla Comune continentale.
Quegli stessi popoli che hanno smesso di farsi la guerra economica perché l’ha deciso l’economia per meglio sottometterli, possono oggi restituire un futuro umano alla specie ridando a ciascuno l’autonomia e il libero arbitrio. Ricostruire una democrazia continentale partendo dal locale, dalle famiglie naturali, dalle comunità reali, culturali, affettive, senza gerarchie che le impestino e Stati che le facciano marciare al passo dell’oca del produttivismo, è possibile, basta deciderlo collettivamente.
Questa comunità di base, in carne, ossa, desideri, sentimenti e ragione si può ricostruire democraticamente nell’agorà attraverso il dialogo e le decisioni condivise. Si può poi allargare - con l’aiuto della rete e di altre tecniche di comunicazione da non idolatrare, ma da vagliare e usare con attenta radicalità -, con metodi consiliari già secolarmente proposti e collaudati ma sistematicamente annichiliti dalla furia dello sfruttamento e dell’alienazione che non voleva affatto donne e uomini liberi ma ruoli di genere e di classe da sfruttare produttivisticamente.
Non è detto che il tempo che resta sia molto, ma è dalla nostra parte e se sapremo usarlo con gioiosa laicità possiamo tranquillamente lasciare al sistema e ai suoi schiavi tutti gli dei di millenni di oscurantismo.


Sergio Ghirardi