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L’Italia
continua a scivolare verso il baratro mettendo alla guida del paese dieci
sadici saggi inventati da Napolitano.
C’è
un’ironia della storia nel piccolo fatto che il tappo sulla bottiglia vuota
della democrazia si stia mettendo proprio attorno a un 25 aprile e un primo
maggio. Le date di riferimento liturgico della liberazione dalla dittatura
fascista e della festa del lavoro servono retoricamente alla perfezione per
verniciare sarcasticamente di democrazia la perpetuazione dell’oligarchia
burocratico-affarista mentre si continua a sacralizzare il mito del lavoro
facendo la festa a lavoratori e disoccupati.
Non
si sa ancora chi sarà il primo ministro ma poco importa, si sa già quale
minestra cucinerà.
Sarà
una gran zuppa di lacrime e sangue rimaste sugli scaffali vuoti della dispensa
comune dopo gli ultimi anni di feroce adeguamento dell’Italia e dell’Europa ai
bisogni del capitalismo finanziario planetario.
Si
sa, “c’è la crisi” in Italia e nel
mondo, e bisogna adeguarsi. E l’Italia, anche questo si sa, è sempre pronta a
osannare il vincitore di turno, che si tratti di una partita a bocce o di una
guerra mondiale, del campionato o di Milano P-2.
I
cittadini-spettatori ascoltano e prendono nota, tifosi di squadre diverse ma
partecipanti in massa (ormai neanche più ignari e per questo in diminuzione
costante) alla solita partita truccata.
Destra
e sinistra si abbaiano come cani arrabbiati, poi scodinzolano tutti insieme e
guaiscono coi loro applausi quando il pizzaiolo di Stato mostra loro la frusta
e la museruola per inviare subdolamente il suo vero messaggio al paese: attenti
al cane!
I
politici applaudono, quasi increduli, il loro salvataggio in extremis mentre i
votanti, presi per i fondelli, s’arrabbiano senza mettere in discussione niente
di quello che li umilia e li rende schiavi.
Perché,
in fondo, nelle condizioni attuali, anche votare Rodotà sarebbe stato, in un
certo senso, un’illusione. Un nobile cambiamento etico certamente, ma non un
cambiamento strutturale. Sarebbe stato bello come una doccia dopo il tuffo nel
fango ma la macchina che produce questo fango avrebbe continuato la sua
produzione industriale: “bisogna
crescere, bisogna crescere…pil, pil, pil”.
Guardate
i cittadini del M5s avanzare, commoventi, in nome della democrazia diretta per poi,
inevitabilmente, trovarsi costretti ad agire, incravattati, secondo le liturgie
del perfetto parlamentare. Guardate i grillini (questo termine sprezzante
riguarda solo una parte del movimento reale ma purtroppo essi esistono come gli
antigrillini e riempiono entrambi i blog del loro tifo da voyeurs cercando in
Grillo il superman che li liberi della loro schiavitù o il diavolo sul quale
scaricare la loro ottusa impotenza) elucubrare come statisti da operetta sulle
migliori strategie per arrivare al potere parlamentare.
C’è
un grande equivoco che bisogna spazzare via. Nessuna democrazia diretta si farà
finche lo Stato e il Parlamento rappresentativo che ne è la “garanzia”
legislativa gestiranno il potere. Si tratta dunque di operare la transizione il
più dolcemente possibile.
Certo,
questa denuncia è delicata e pericolosa poiché contro lo Stato e il Parlamento agiscono
sempre anche tutti i dittatori e tutti gli uomini della provvidenza che in nome
della salvezza del popolo s’arrogano il diritto di un governo dispotico. Certo,
Berlusconi è un sovversivo reazionario la cui presenza è intollerabile quanto
apparentemente inevitabile nell’imputridimento dominante. Certo, Napolitano è
un cinico furbetto che piega la logica parlamentare non ai voleri del popolo
sovrano ma alla sovranità di un presidente che difende la casta dai paria che
la votano e devono continuare a farlo almeno al 50%, in modo che lo spettacolo
continui a nutrire il potere. Certo, ha ragione Rodotà nello stigmatizzare ogni
marcia su Roma, ma è importante che il rifiuto del sopruso si manifesti
nell’agorà pacifica del popolo sovrano, così come è necessario progettare
un’azione strategica di superamento delle forme vigenti dell’organizzazione
sociale.
Dai
Cahiers de Doleances del popolo in
rivolta contro la monarchia, potremmo magari passare, per cominciare, ai Cahiers de Jouissances di una nuova
società realmente democratica e fraterna.
Il
pericolo di una regressione a forme di governo ancora peggiori della truffa
democratica attuale non si elimina evitando di affrontarlo, bensì rispondendo
con atti di democrazia reale alla democrazia spettacolare che imbavaglia il
mondo e serve il totalitarismo economico del capitale finanziario.
IL
M5s è almeno il sintomo italiano del ritorno confuso di una coscienza di classe
che la sconfitta storica del movimento operaio e la propaganda consumerista
avevano reso autistica, imprigionando i cittadini nell’ipnotica equivalenza tra
destra e sinistra di uno stesso progetto di annichilimento dell’umano .
Del
resto, non si aboliscono le caste passando da una all’altra ma abrogandone il
sistema e sostituendogli il trio di “libertà, uguaglianza e fraternità”
emancipato dal miserabile uso commerciale che ne è stato fatto per secoli.
La
democrazia cosiddetta diretta è l’organizzazione della nazione umana attorno al
principio di una cittadinanza orizzontale, senza gerachie né privilegi. Per
questo non può essere un’evoluzione del sistema gerarchico della democrazia rappresentativa
ma il suo superamento.
Il
dato che emerge dal laboratorio italiano è che non siamo ancora pronti, non
ancora capaci di desiderare veramente fraternità, uguaglianza e libertà da
esseri umani. Siamo troppo inquinati da millenni di sopraffazione. Siamo troppo
abituati a cavarcela lasciando soffrire gli altri.
Non
è una colpa, è ben peggio: è un’impotenza opportunistica che si può correggere
soltanto introducendo le condizioni di un ritorno della capacità di godere
della vita che tolga all’opportunismo l’utilità.
I
grillini che vogliono Grillo presidente o chiunque altro, s’accontentano di un
cambio d’illusione. Certo Rodotà avrebbe rotto gli inciuci e proposto un
governo progressista, ma accontentarsi di questo equivale a sperare nel
riscaldamento centrale in un campo di concentramento. Niente di male, anzi, ma
oltre che irrealistico, ciò non affronta il problema vero che è l’esistenza
stessa di un universo concentrazionario.
Approfittiamo
dunque di questa sconfitta che segue le tante subite dal movimento operaio
quando era il soggetto di una possibile emancipazione.
La Comune e i suoi 20.000 fucilati, le Comuni spagnole del
36/38 distrutte dalla complicità oggettiva di Franco e di Stalin e altri
momenti topici della lotta di classe moderna hanno lasciato in eredità il culto
della rivoluzione e la possibilità laica di riuscire un giorno a prendere i
nostri desideri per la realtà. Ci si è riprovato, pacificamente, nel ’68 e
mezzo secolo dopo siamo ancora qui a lamentarci del fatto che il potere dell’economia
politica è più forte di noi.
Eppure,
qualcosa è cambiato: il sistema non ha più niente da dare ai suoi indiani
rinchiusi nelle riserve del consumo e della povertà se non l’illusione di una
partecipazione al sistema di governo che li opprime, li sfrutta e distrugge il
mondo.
Il
laboratorio Italia sta rendendo palese quest’illusione anche al resto del mondo
civilizzato dal capitalismo e dappertutto, in modo più o meno grottesco di
quello italiano, emerge la stessa dilagante corruzione, lo stesso sfascio della
comunità umana, la stessa burocratizzazione della politica, lo stesso affarismo
intrinseco a ogni azione sociale proposta da Stato o Mercato, lo stesso
inquinamento strutturale della biosfera del vivente, lo stesso rischio di fine
della storia della specie e delle altre forme di vita analoghe.
Contro
tutto questo ci siamo solo noi, le nostre solidarietà non governamentali, i
nostri tentativi di costruzione di un tessuto sociale fondato sul dono e sul
piacere di vivere e non sulla speculazione economica. Niente è puro e il cancro
capitalista può insinuarsi in ogni situazione, ma una cultura consiliare può
permettere di vigilare e continuare la nostra scommessa fino a vincerla, fino a
rinviare il capitalismo e i suoi schiavi nella spazzatura della storia. Non so
se ci riusciremo, ma fa bene alla salute provarci.
Intellettualmente
è già chiaro che non solo un altro mondo è possibile ma anche che è il solo nel
quale potremo, a termine, sopravvivere.
La
nostra speranza di vita non si calcola più in anni futuri ma in riconquista del
presente e questa lotta passerà per i Parlamenti il tempo necessario per
abrogarne il potere dispotico, così come i repubblicani abrogarono l’Ancien Régime in nome dei diritti
dell’uomo, pur se ridotti, col tempo, a diritti della merce.
Hanno
ragione i burocrati a denunciare come etimologicamente sovversivo (gentilmente,
però) l’obiettivo del movimento (5 stelle comprese) di rompere col
parlamentarismo. Sta a noi far capire alla gente che questa rottura non è una follia
ma il solo modo di salvarci tutti e di essere pure, ogni tanto, felici.
Questi
cinque anni di respiro che la casta si è arrogata sara per lei un tempo dal respiro
affannoso mentre potrebbero essere per noi un buon viatico se li useremo per
rendere chiari gli obiettivi della nostra rivoluzione pacifica e inevitabile,
ben oltre i confini della povera Italia.
Oggi
un nuovo obiettivo comune unisce l’umanità in una speranza concreta che si
oppone al crollo disperato di un mondo.
Per
quanto eccessivo possa sembrare ai servitori volontari, abituati a guardare la
realtà con gli occhiali della loro sottomissione, la Comune d’Europa può sorgere
come un’antitesi dialettica al capitalismo planetario. Essa abrogherà l’Europa
del Capitale non per tornare a variegati fascismi degli Stati nazione ma per
liberare le diverse culture nazionali in un’internazionale degli esseri umani,
dai Comuni particolari alla Comune continentale.
Quegli
stessi popoli che hanno smesso di farsi la guerra economica perché l’ha deciso
l’economia per meglio sottometterli, possono oggi restituire un futuro umano
alla specie ridando a ciascuno l’autonomia e il libero arbitrio. Ricostruire
una democrazia continentale partendo dal locale, dalle famiglie naturali, dalle
comunità reali, culturali, affettive, senza gerarchie che le impestino e Stati
che le facciano marciare al passo dell’oca del produttivismo, è possibile,
basta deciderlo collettivamente.
Questa
comunità di base, in carne, ossa, desideri, sentimenti e ragione si può ricostruire
democraticamente nell’agorà attraverso il dialogo e le decisioni condivise. Si
può poi allargare - con l’aiuto della rete e di altre tecniche di comunicazione
da non idolatrare, ma da vagliare e usare con attenta radicalità -, con metodi
consiliari già secolarmente proposti e collaudati ma sistematicamente annichiliti
dalla furia dello sfruttamento e dell’alienazione che non voleva affatto donne
e uomini liberi ma ruoli di genere e di classe da sfruttare
produttivisticamente.
Non
è detto che il tempo che resta sia molto, ma è dalla nostra parte e se sapremo
usarlo con gioiosa laicità possiamo tranquillamente lasciare al sistema e ai
suoi schiavi tutti gli dei di millenni di oscurantismo.
Sergio Ghirardi