peperone, begonie, timo, insalata, patate, carote (ORTO SINERGICO) |
In barba ai cuochi-star, l’autarchia culinaria
La stupidità
di questo mondo si può misurare anche con l’importanza che viene data alla
visibilità, alla fama.
A tralasciare
il fatto che uno spesso diventa famoso sul nulla, è sufficiente che una
persona sia famosa che addirittura viene premiata con una carica parlamentare.
Del tutto indimostrata, ovviamente, la sua capacità di gestire la cosa
pubblica. Cicciolina, Gerry Scotti, Luxuria, sono i primi nomi che mi vengono
in mente. Senza ovviamente esprimere un giudizio sui predetti, io trovo che
questa sia una delle dimostrazioni più lampanti della predetta stupidità del
nostro mondo.
E adesso ci
sono anche i cuochi-star. Complici, presumo, alcune trasmissioni di cucina, i
cuochi si sono ritagliati un loro ingombrante spazio di celebrità. Che mi
disturba parecchio. In qualche modo la grande cucina è un’arte, sicuro, ma non
certo un’arte povera: va nel senso diametralmente opposto a quello della vita
sobria ed autarchica. Anche se poi questi soloni da un lato hanno il coraggio
di salassare la gente con i loro conti stellari e poi di inneggiare
alla semplicità del panino col salame o della minestrina col formaggino.
Non li digerisco i grandi cuochi. Osannati come
“semidei che vivete in castelli inargentati”, neppure si accontentano delle
ricette culinarie, ma dispensano anche improbabili ricette per la vita.
Lungi allora da noi i cuochi stellati, che
boicotteremo come tanti altri simboli di questo mondo alla rovescia.
E piuttosto,
guardiamoci intorno: è primavera. Un’epoca in cui
ciascuno di noi può sperimentare l’autarchia culinaria. Rechiamoci in campagna
e riempiamo sacchi di punte di ortica, per realizzare
splendidi risotti; oppure di luppolo, per le frittate.
Oppure ancora, semplicemente, con lievito di birra, farina, poco sale e foglie
di borraggine, prepariamo buonissime frittelle. Lasciamo
i grandi cuochi ai loro “letti di”, ai loro “sarcophage”, alle loro cucine
molecolari. Non c’è nulla di più creativo di prepararsi da mangiare in modo
semplice e genuino. E nulla di più gratificante del rendersi conto di operare
nel rispetto di madre natura.
Commento
di Sergio Ghirardi:
Tema
affascinante al cuore della contraddizione ideologica tra crescita e
decrescita.
Certo,
lo spettacolo ha spostato l'alienazione classica dell'essere in avere a uno
stadio ancor più becero e soprattutto perverso. Ormai conta soprattutto
apparire, fare finta, guadagnarsi dieci minuti di celebrità in una vita di merda
dove tutto è inquinato compresi i valori. Per questo tutti i servitori
volontari del totalitarismo economicista, compresi i cuochi, galoppano al passo
dell’oca delle mandrie addomesticate.
Certo,
contro il consumismo alienante e la circolazione forsennata delle merci è
saggio e piacevole usare prodotti locali, stagionali e, perché no, selvatici
quando non siano inquinati da qualche misfatto industriale, diossina, mercurio,
piogge acide o radioattività, per esempio. Tuttavia inventare ricette e piatti
sublimi partendo da questa base non alienata è una nobile, rispettabile e
sostenibile tradizione umanistica, non una vergogna e fa parte di quell'eccesso
necessario all’umanità creatrice per poter modellare la sobrietà gioiosamente e
non farne l'ennesima morale di frustrazione educatrice di schiavi di qualche
padrone.
La
decrescita non ha come fine il venir meno, il ridurre, lo stringere gli
sfinteri, ma la qualità di un di più armonizzato creativamente dall’intelligenza
sensibile in modo da integrarlo all’equilibrio della natura (madre, matrigna,
sorella o possibile amante che sia).
La
decrescita da ogni produttivismo è la condizione necessaria per rimettere al
centro del progetto sociale l’economia del dono per un aumento senza limiti
pregiudizievoli della felicità.
Tutti
gli integralismi sono reazionari e sadomaso. Sarebbe bene cominciare a farli
decrescere radicalmente.