giovedì 4 aprile 2013

Cinque Stelle Uno sguardo diverso sulle ragioni della nascita e dell’ascesa del Movimento Cinque Stelle di Luca Rubinato


thanks to: http://suspended.tv/2010/10/comparing-titles-boardwalk-empire-v-dexter/


MI SONO IMBATTUTA IN QUESTO MESSAGGIO IN BOTTIGLIA E NON HO POTUTO NON CHIEDERE IL PERMESSO DI PUBBLICARE SUL MIO BLOG QUESTO TESTO CHE MI HA DAVVERO ENTUSIASMATO E FORNITO  L'ENNESIMA CONFERMA CHE AD UN CERTO PUNTO: "LE NOSTRE IDEE SONO IN TUTTE LE TESTE!"  

grazie dunque agli incontri nell'oceano della rete

l'autore: Luca Rubinato


Luca Rubinato

I don't watch movies to feel smarter, I watch movies to feel better.


fonte:  Cinque Stelle



Con il passare dei giorni constato con sempre maggiore stupore la pochezza e la miopia delle analisi sul Movimento Cinque Stelle. Analisti e commentatori tentano di riportare qualcosa che non capiscono alle strutture cui sono abituati e così facendo mancano drammaticamente il punto. Si ha l’impressione che chi per tutta la vita ha sostenuto che la Terra sia piatta si trovi ora costretto a spiegarne la sfericità.
Il punto è che – non solo qui, in Italia, ma in tutto il mondo – sta avvenendo un cambio di paradigma, uno spostamento fondamentale del nostro pensiero. Se non si coglie questo elemento è impossibile comprendere cosa sia e perché sia nato il Movimento Cinque Stelle. Per capire è necessario contestualizzare, perché, per quanto il M5S possa avere elementi di contraddittorietà, porta con sé alcuni elementi centrali che devono trovare spazio nel dibattito pubblico tutto, non solo politico.
Partiamo da un’analisi sommaria. L’Italia soffre due ordini di problemi, certamente interconnessi, ma distinti. Una prima categoria di problemi ha sua specificità assoluta. L’eccessiva burocratizzazione, che va a braccetto con l’influenza ormai soffocante dei partiti in tutti gli ambiti della vita pubblica è infatti uno specifico italiano. L’Italia è un paese vecchio – nei modi prima che anagraficamente – stritolato da un luddismo strisciante, da una diffidenza ossessiva verso tutto ciò che non è noto. È un paese di cricche e di amichetti. È un paese in cui le nuove leve vengono selezionate in base alla somiglianza con le vecchie. In poche parole, è un paese destinato allo sfacelo. Non farò esempi: ce ne sono a dozzine lì fuori e sono certo li conosciate.
La grande maggioranza delle analisi sull’ascesa del Movimento Cinque Stelle si concentra su questo elemento. Le analisi si assomigliano tutte, differendo nei dettagli, ma concordano nella sostanza. L’idea è che il M5S sia riuscito a intercettare il malcontento diffuso nel paese grazie al populismo e al carisma del suo leader. L’idea è che, per quanto il problema esista, il M5S non sia la soluzione, vuoi perché le sue proposte sono irrealistiche e/o demagogiche, vuoi perché controllato dittatorialmente da Grillo, vuoi perché formato da persone inesperte e incapaci. Ancora una volta non farò esempi. Aprite Facebook, spulciate i post degli amici e ne troverete a dozzine su questo tema. Ve li lascio: personalmente li trovo di una superficialità disarmante.
Non perché non abbia i miei dubbi o le mie perplessità, né tanto meno perché sia irretito dalla verve di Grillo, piuttosto perché c’è un secondo ordine di problemi che affliggono l’Italia e questa volta non si tratta di problemi specifici. Si tratta, al contrario, di problemi che affliggono il mondo in cui viviamo nel suo insieme, dagli Stati Uniti al Guatemala, dalla Cina al Canada. Ed è questo secondo ordine di problemi la ragione profonda non solo del successo del M5S, ma della sua stessa nascita.
Viviamo in un mondo complesso e questa affermazione è tutto fuorché ovvia. La tesi è che la complessità del mondo in cui viviamo sia ormai tale che l’incapacità dei governi – che è incapacità dei popoli – di governare ciò che avviene a livello globale non sia più legata alla qualità delle persone, ma al sistema stesso di governo. Siamo arrivati al limite superiore di utilità delle prassi democratiche, così come abbiamo saputo definirle fin qui. Non si tratta più di eleggere questo o quel presidente, questo o quel partito, si tratta ormai di chiedersi se il sistema che abbiamo realizzato sia in grado o meno di offrirci delle soluzioni. La mia tesi – ma per vostra sfortuna non solo mia – è che la risposta sia no. I presupposti dei sistemi che abbiamo realizzato ne definiscono i limiti.
Sentiamo parlare giornalmente di mercati. Di queste entità oscure, che sembrano muoversi alla velocità del pensiero, piombando sui paesi in un lampo, depredando e divorando per poi sparire in un frullare d’ali. Vorremmo disperatamente dare un nome a questo nemico incontrollabile – Goldman Sachs, la Cina, gli Stati Uniti – ma questo nemico non ha un nome. I mercati non sono controllati da nessuno, non esiste alcuna eminenza grigia. I mercati sono sistemi complessi, il cui comportamento è definito dall’azione combinata di una moltitudine di operatori. Dubito esista ancora qualcuno che non sia convinto che nello scontro tra mercati e politica la vittoria sia appannaggio dei primi. Ciò è talmente vero che ormai i governi ammettono esplicitamente che la loro sola funzione è di limitare i danni. Nessuno parla più, come avveniva fino a pochi anni fa, di governare o regolamentare i mercati. I mercati sono ormai oltre qualsiasi possibilità di governo.
Ma come è potuto accadere questo? Come è possibile che ciò che è in fondo uno strumento che noi stessi abbiamo creato, a cui abbiamo affidato la nostra speranza di benessere, sia diventato un mostro che ci divora?
Chiunque abbia anche una minima infarinatura di economia sa che le leggi basilari del mercato sono di una semplicità disarmante e sa anche che il mantra è quello del libero accesso. Chiunque può entrare nel mercato economico e diventarne operatore. Qualsiasi gelataio o idraulico, chiunque offra un prodotto o un servizio in cambio di un compenso è operatore del mercato economico. Le regole di interazione sono quelle della domanda e dell’offerta, lo scopo è il profitto. A livello base c’è poco altro. Ma allora come è possibile che qualcosa di così elementare e semplice sia cresciuto al punto da fagocitare i nostri sistemi democratici e risputarli privi di qualsiasi reale capacità decisionale?
Parliamo di un sistema – e uso questa parola nella sua accezione più stretta, scientifica – composto da un numero estremamente elevato di attori, in competizione gli uni con gli altri per una stessa risorsa – denaro – in grado di interagire utilizzando un set ristretto di regole semplici. La ricerca sui sistemi complessi ci dice che un sistema così strutturato si modificherà con il tempo, complessificandosi per l’azione dei suoi attori. Avendo come obiettivo il profitto, i singoli operatori troveranno nuovi modi per entrare in relazione gli uni con gli altri, alla ricerca di nuove possibilità di guadagno (diverrà così possibile assicurarsi sulle perdite future, il che renderà possibile scommettere sull’andamento futuro del prezzo di un certo titolo, ecc.). In poche parole, col tempo aumenterà il tasso di interconnessione degli elementi del sistema. Non solo cresceranno le connessioni tra gli elementi del sistema, ma nasceranno nuovi tipi di connessioni. Con il tempo, il sistema genererà spontaneamente livelli successivi di complessità. Ecco quindi nascere i future e i btp, lo spread e quella moltitudine di termini oscuri che tormentano i sogni di massaie e pensionati.
L’unico argine a questo sistema dovrebbero essere i governi, e cioè la volontà dei popoli, a cui spetterebbe il diritto di regolamentare e limitare l’azione del mercato, il dominio del profitto. Il problema è che credere che questo sia possibile non è utopistico, è ridicolo.
Dall’altra parte della barricata abbiamo infatti i nostri sistemi democratici. Sistemi che prevedono che il popolo si esprima a scadenze regolari, optando per scelte binarie. Ogni cinque anni, il popolo sceglie tra l’opzione A e l’opzione B, e che si tratti di scegliere presidenti, partiti o coalizioni non fa molta differenza. I pochi operatori democratici eletti (deputati, senatori, ecc.) interagiscono quindi tra loro e con il paese all’interno di strutture rigide, pensate per realizzare un bilanciamento tra i diversi poteri dello stato, che impedisca il venir meno della democraticità del sistema e il prevalere di un potere su di un altro. Questo secondo sistema differisce dal primo in un aspetto fondamentale: mentre il primo sistema evolve nella sua struttura, il secondo è statico e sempre identico a sé stesso. Cambiano sì gli attori, ma non cambiano le regole. A differenza del mercato, i nostri sistemi democratici non hanno la capacità di evolvere.
A fronte di questo non può in alcun modo stupire che, dato un tempo sufficiente, il “potere” – inteso come capacità di azione sulla realtà – passi dai governi ai mercati, dal sistema statico e burocratico a quello dinamico e vitale. Non solo questo esito era prevedibile, ma assolutamente scontato. Con il passare del tempo, l’aumento del tasso di interconnessione nei sistemi economici porta a un aumento di complessità di quei sistemi e qualsiasi studioso vi dirà che è impossibile che un sistema semplice sia in grado di governarne uno complesso. Mentre il mercato economico diventa via via più complesso, i sistemi democratici restano immobili e diventano quindi sempre più marginali. Se non mi credete, chiedetevi da quando e perché è lo spread a decidere la nostra politica economica.
Se accettiamo questa analisi ne consegue che mettere in discussione le prassi democratiche è una necessità non più rimandabile. Attenzione: la prassi, non la democrazia. Come denunciato dalla stessa parola, la democrazia è un principio, un principio sacrosanto. Ma il modo in cui questo principio – il governo del popolo – viene attuato, cioè la prassi, è qualcosa che non solo si può mettere in discussione, ma oggi si deve mettere in discussione.
Ma come fare? Per cosa dovremmo abbandonare la democrazia parlamentare? A cosa dovremmo puntare e da dove dovremmo partire per immaginare un nuovo sistema?
Io dico – e ancora una volta non sono l’unico – che, come fa chiunque si trovi di fronte a un vicolo cieco del pensiero, l’unica via è sgomberare il tavolo e tornare all’inizio, tornare ai fondamentali. Abbiamo bisogno di costruire sistemi di governo politico dinamici (cioè in grado di cambiare), reattivi e complessi. Abbiamo bisogno di sfruttare in maniera più efficace l’intelligenza collettiva che siamo in grado di esprimere. Qualsiasi idea di regolamentazione del mercato, qualsiasi volontà di smontare quel meccanismo è fallimentare. La sola possibilità è contrastare quella forza con una forza isomorfa.
Partiamo quindi da alcuni punti fermi, il più importante dei quali è anche quello di cui vi è meno consapevolezza in questo nostro bel paese: la massa non esiste. Il concetto di massa, di popolo bue, è un concetto falso, destituito di qualsiasi fondamento scientifico. Di più, non soltanto è falso, ma è l’opposto della verità. Il popolo non è qualcosa da tenere a briglia stretta e da controllare. Al contrario il popolo è la nostra più grande risorsa*. Tra le persone, nelle loro interazioni, si nasconde una quantità di intelligenza in grado di far impallidire qualsiasi corporation, qualsiasi mercato e qualsiasi governo. L’unico problema è trovare sistemi e strumenti per permettere a questa intelligenza di esprimersi. A dire che il problema non è politico, ma meta-politico. Prima delle decisioni è fondamentale occuparsi dei meccanismi di formazione delle decisioni. Qui sta il cuore della battaglia del Movimento Cinque Stelle, e non solo.
Dobbiamo – ed è un imperativo – liberarci della paura della gente. Di quella visione consolatoria e miope che vede nelle persone un pericolo, una forma ribollente di idiozia. L’insieme di settanta milioni di persone, limitandosi alla sola Italia, ha un potenziale di intelligenza inimmaginabile. Liberare quel potenziale deve oggi essere la nostra assoluta priorità.
Ogni qual volta le nuove tecnologie sono state utilizzate per ottenere questo scopo, a dispetto dei tromboni che infestano questo nostro paese, i risultati sono stati lusinghieri. Il World Wide Web è oggi una risorsa inestimabile, così come lo sono Wikipedia, l’open source e il free software. Nella lotta tra software sviluppati da aziende classicamente strutturate e il software sviluppato da una rete di volontari che non si conoscono e non si coordinano, il software libero ha vinto e sta vincendo su tutta la linea: qualcosa che nessun analista, nessun politologo, nessun economista aveva previsto. Lo stesso dicasi per Wikipedia e per le decine di altri strumenti che stanno nascendo e si stanno sviluppando in questo stesso momento.
Il sistema – sociale questa volta, non economico – si va complessificando. Ogni giorno emergono nuovi strumenti e nuove possibilità, che si confrontano con milioni di utenti. Alcuni strumenti si affermano ed evolvono, altri vengono dimenticati. Ognuno di questi strumenti – Google, Facebook, MySpace, ecc. – può e deve essere criticato, ma a patto che non si perda di vista il disegno di insieme. Vi invito infatti a fermarvi a pensare a cos’erano i motori di ricerca anche solo dieci anni fa e a cosa sono adesso. Se si smette di dare per scontato qualcosa che scontato non è, ci si rende conto che il tasso di sviluppo dei sistemi di interazione sociale che abbiamo di fronte agli occhi non ha precedenti nella storia dell’umanità, e non è una boutade.
Nei vent’anni trascorsi dall’invenzione del World Wide Web a opera di Tim Berners-Lee non passa giorno senza che non venga reso disponibile un nuovo modo per sfruttare l’intelligenza e la cultura altrui. Siamo nel mezzo di una vera e propria rivoluzione, ma vi siamo talmente immersi che non riusciamo a coglierla nella sua reale portata.
Questa stupefacente evoluzione, che sta portando alla dismissione di sistemi vecchi, fino a ieri considerati insostituibili, sta avvenendo perché i nuovi sistemi si basano su un differente paradigma, un paradigma vincente rispetto a quello che ha indirizzato fin qui il nostro sviluppo. Non è il valore dei singoli che si impegnano nelle diverse iniziative a decretarne il successo, ma la struttura profonda che usano per interagire. La struttura reticolare, libera, autopoietica, alla base dei moderni sistemi di interazione è e sarà sempre vincente sulle strutture chiuse, rigide e burocratiche a cui abbiamo fin qui affidato la nostra organizzazione. Non lo dico io, lo dice l’evoluzione in senso sistemico del pensiero scientifico.
La richiesta alla base dei movimenti che stanno nascendo – non solo il Movimento Cinque Stelle, ma Occupy, gli Indignados, il 99%, i Partiti Pirata – è di applicare questo nuovo paradigma all’organizzazione politica. Questi movimenti differiscono nel come, non nel cosa. In Italia, Grillo, preoccupato dallo specifico italiano, ha scelto per sé un ruolo di garante, onde evitare che il Movimento Cinque Stelle diventi un partito come un altro. Personalmente mi interessa fino a un certo punto questo aspetto, perché ho la profonda convinzione che il Movimento Cinque Stelle nascerà davvero e sarà davvero messo alla prova quando questo interregno avrà fine. Se ciò che credo del M5S è vero, sarà lo stesso movimento, partendo dal suo interno, a liberarsi di Grillo e a camminare con le proprie gambe, anche se non posso dire, in tutta onestà, che le preoccupazioni di Grillo non abbiano più di un qualche fondamento.
Il punto centrale è però un altro e cioè la richiesta di riflessione meta-politica che il Movimento Cinque Stelle pone con forza. Come decidiamo? È corretto il modo in cui lo facciamo? È il miglior modo possibile? Stiamo esprimendo la massima intelligenza potenzialmente disponibile nel sistema? La risposta che questi movimenti danno è no. Vedono una possibilità e chiedono con forza che questa possibilità venga esplorata anche in ambito politico. Questo è il punto.
Come allora? Come liberare il potenziale di energia e di intelligenza della gente? Come evitare i tanti rischi impliciti in un passaggio come questo, e come affrontare la fase di transizione? Queste sono le domande, i quesiti fondamentali. Quesiti che nessuno degli analisti italiani oggi pone.
Risposte certe non ci sono, per il semplice motivo che mentre critici e analisti hanno una soluzione pronta, quella che ha funzionato fino a ieri e che oggi non funziona più, gli attivisti di questi movimenti stanno provando a immaginare qualcosa che non è ancora mai esistito. Qualcosa che va costruito oggi. Per questo quando li si accusa di sbagliare, di essere contraddittori si dimostra solo la propria miopia. Certo che sbagliano, certo che si contraddicono, certo che a volte sono ingenui e a volte utopistici… ma sono anche gli unici oggi che stiano affrontando la vera questione sul tappeto.
Non ci sono risposte, ma ci sono linee di tendenza. Ci sono singole battaglie che vanno nella giusta direzione e che vanno sostenute. Chi crede in questi movimenti non ha soluzioni pronte, ma sa riconoscere chi spinge nella giusta direzione. La battaglia di Tim Berners-Lee per gli Open Data, la battaglia di Wikileaks per il libero accesso a qualsiasi informazione, le piattaforme di crowd-founding e di self-publishing, la battaglia per le energie rinnovabili e quella per il libero accesso alla Rete. Gli esempi sarebbero migliaia, su tutti i fronti, perché, ancora una volta, la lezione che il Novecento ci impone di imparare è che tutto è connesso con tutto, che le relazioni non sono lineari e che un qualsiasi cambiamento in una parte del sistema ha ricadute spesso non prevedibili sul sistema nel suo complesso. Per questo si parla di cambio di paradigma.
Se ci fermiamo un secondo a riflettere sulle energie rinnovabili, ad esempio, non possiamo non accorgerci che qui c’è in gioco qualcosa di molto più importante del modo di produrre energia. Nella battaglia oggi in corso si scontrano due diversi idee di società, e non aver capito questo è il dramma delle sinistre europee e mondiali, non solo italiane. L’energia rinnovabile e l’edilizia eco-sostenibile non implicano semplicemente la sostituzione delle attuali centrali con centrali solari o eoliche. In prospettiva portano a un modo diverso di progettare le città, a sistemi diffusi e reticolari di produzione e distribuzione dell’energia. Portano, soprattutto, a un diverso modo di concettualizzare la cittadinanza. Oggi il cittadino è terminale. Acquista energia, acquista cultura, acquista politica. Acquista beni e servizi che arrivano da centrali di produzione e così facendo si svuota di senso e di potere. L’idea implicita nel sistema di sviluppo basato sulle energie rinnovabili è l’opposto. Non è pensabile appoggiarsi a quelle fonti di energia senza che ogni singolo cittadino diventi anche produttore. Senza immaginare una struttura reticolare, fluida e dinamica di produzione. E una struttura di questo genere implica una diversa idea di società nel suo complesso.
Non è infatti un caso che questi movimenti vadano a braccetto con quei movimenti che vorrebbero la fine delle coltivazioni e degli allevamenti intensivi. L’idea è quella di dismettere il principio di organizzazione centro/periferia a favore del principio della produzione diffusa. Questo implicherebbe conseguenze importanti sui trasporti – e quindi sull’inquinamento – sulla nascita e la capacità di sostentarsi dei grandi gruppi, sul sistema economico nel suo complesso. E un cambiamento di questa portata nel sistema economico avrebbe, a cascata, conseguenze drastiche sull’intero sistema sociale e, ovviamente, politico.
Utopistico? Naif? Forse, ma c’è stato un tempo in cui utopistica era l’idea che tutti potessero avere diritto di voto.
Se ci si ferma un attimo a riflettere ci si rende conto che l’idea implicita nel vecchio sistema (un produttore/venditore, che distribuisce a una massa di utenti) è la stessa idea alla base della tanto vituperata televisione, è la stessa idea alla base di qualsiasi attuale sistema di produzione culturale (uno scrittore/regista e una massa di lettori/spettatori), ed è in fondo la stessa idea alla base del sistema politico.
Questa idea è l’opposto dei principi alla base del World Wide Web, quegli stessi principi che informano la battaglia per le energie rinnovabili (questo si intende quando si parla di isomorfismo tra ambiti diversi). Non più un trasmettitore e una massa di riceventi, ma una distesa sterminata di trasmettitori/riceventi che si parlano; che non ricevono, ma comunicano. Non più un ceto politico e poi i cittadini, ma un paese di cittadini ognuno dei quali è anche attore politico. Non più una centrale di produzione di energia, ma milioni di micro-centrali che si parlano e si sostengono. È un modo diverso non solo di produrre energia, ma di pensare alla società.
La critica in questo ambito è sempre la stessa: questo approccio porterà al caos. In ambito culturale, ad esempio, quanto spesso abbiamo sentito qualcuno sostenere che se tutti diventano produttori, allora nessuno ascolterà più e orientarsi tra le proposte diventerà impossibile?
Il punto è che questa obiezione è falsa su tutta la linea. Ciò che sta avvenendo in tutti gli ambiti in cui l’idea alla base del World Wide Web (il suo paradigma) viene applicata è l’opposto del caos. Al primo livello se ne aggiungono rapidamente altri, sviluppati dagli stessi attori, che danno ordine al sistema. Se così non fosse, come scegliereste quali app scaricare e come mai vi siete trovati tutti a giocare a Ruzzle nello stesso momento? Il sistema aumenta la sua complessità, anche creando nuovi strumenti di selezione che permettono agli attori del sistema di trovare gli elementi che ritengono interessanti. Questo è naturale e ovvio, ed è isomorfo a ciò che accade nel mercato economico. Nuovi livelli di complessità portano a una crescita del tasso di interconnessione del sistema. I vecchi intermediari vengono sostituiti da nuovi sistemi, dinamici questa volta, di intermediazione.
L’elemento centrale del Movimento Cinque Stelle, ciò che resterà, il suo reale elemento di novità è questo. Nel suo essere isomorfo a questa idea il M5S ha un valore che non è solo contingente, di protesta. Nel suo intendere il singolo parlamentare come semplice portavoce di una rete che sta all’esterno, nel suo chiedere partecipazione, nel suo voler sostituire il governo degli intermediari con il governo diretto sta la forza del M5S. L’elemento veramente rivoluzionario del Movimento Cinque Stelle, spesso implicito, non completamente digerito, quasi inconsapevole, è l’idea di trasformare i cittadini, tutti i cittadini, da elettori a governanti ed è un’idea esaltante. È la volontà di ricostruire il sistema politico dalla base, partendo dalla fiducia nelle persone e dalla consapevolezza che, messe in condizione di interagire e confrontarsi, le persone svilupperanno autonomamente nuovi livelli di governo e intermediazione, che dovranno essere dinamici, che dovranno poter cambiare nel tempo.
Vi è un rischio in questo? Certo, anzi ben più d’uno, e sui pericoli e i problemi della democrazia diretta si è scritto e detto molto, ma il cambiamento ha sempre elementi di rischio. Il punto è che oggi cambiare è necessario ed è possibile. Il punto è che oggi abbiamo un’alternativa, che sta già dimostrando la sua validità e che, cosa ben più importante, non ha nemici. Perché l’aspetto forse più bello di questa “rivoluzione” – al di là della battaglia tutta italiana tra Grillo e i partiti – è che questo nuovo paradigma non parte dall’idea di abbattere qualcosa o qualcuno, parte dall’idea di costruire qualcosa di nuovo, nella convinzione che se l’idea di partenza è giusta, questo qualcosa di nuovo saprà svuotare di senso e rilevanza ciò che c’era prima. Ancora una volta, se ciò che dico vi sembra fumoso, chiedetevi se sareste pronti, oggi, a sostituire l’utilizzo quotidiano di Wikipedia con un’enciclopedia in venti volumi.
Ciò che oggi ci serve è di ritrovare il coraggio e la capacità di immaginare, due elementi che in nessun altro luogo come qui, in Italia, sembrano ormai perduti. Scetticismo, cinismo e sfiducia sono ormai diventati abiti comodi, perfetti da indossare alle feste. Abiti che è tempo di cambiare.
Non sto dicendo, e non dirò mai, che all’interno del M5S non vi siano contraddizioni anche gravi, e non dico e non dirò mai che il M5S sia la soluzione a tutti i problemi. Dico, però, che al momento il M5S è l’unica forza di questo paese – non solo tra i partiti ma drammaticamente anche nel panorama culturale e sociale tutto – che ponga con forza questa, che è per me la questione fondamentale del nostro tempo.
*So per esperienza quanto questo punto sia problematico da accettare, soprattutto per gli italiani. Purtroppo, l’idea di “massa” è radicata in profondità nella nostra cultura, anche, e forse soprattutto, nelle sue componenti progressiste. Non vi chiedo quindi di prendermi sulla parola, ma se avete a cuore questo paese, se volete davvero capire cosa sta avvenendo e se ciò che ho detto fin qui ha per voi anche solo un minimo senso, vi invito con tutte le mie forze a indagare questo concetto, la sua storia e la sua evoluzione.