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MI SONO IMBATTUTA IN QUESTO MESSAGGIO IN BOTTIGLIA E NON HO POTUTO NON CHIEDERE IL PERMESSO DI PUBBLICARE SUL MIO BLOG QUESTO TESTO CHE MI HA DAVVERO ENTUSIASMATO E FORNITO L'ENNESIMA CONFERMA CHE AD UN CERTO PUNTO: "LE NOSTRE IDEE SONO IN TUTTE LE TESTE!"
grazie dunque agli incontri nell'oceano della rete
l'autore: Luca Rubinato
I don't watch movies to feel smarter, I watch movies to feel better.
Con il passare dei giorni constato con
sempre maggiore stupore la pochezza e la miopia delle analisi sul
Movimento Cinque Stelle. Analisti e commentatori tentano di riportare
qualcosa che non capiscono alle strutture cui sono abituati e così
facendo mancano drammaticamente il punto. Si ha l’impressione che chi
per tutta la vita ha sostenuto che la Terra sia piatta si trovi ora
costretto a spiegarne la sfericità.
Il punto è che – non solo qui, in
Italia, ma in tutto il mondo – sta avvenendo un cambio di paradigma, uno
spostamento fondamentale del nostro pensiero. Se non si coglie questo
elemento è impossibile comprendere cosa sia e perché sia nato il
Movimento Cinque Stelle. Per capire è necessario contestualizzare,
perché, per quanto il M5S possa avere elementi di contraddittorietà,
porta con sé alcuni elementi centrali che devono trovare spazio nel
dibattito pubblico tutto, non solo politico.
Partiamo da un’analisi sommaria.
L’Italia soffre due ordini di problemi, certamente interconnessi, ma
distinti. Una prima categoria di problemi ha sua specificità assoluta.
L’eccessiva burocratizzazione, che va a braccetto con l’influenza ormai
soffocante dei partiti in tutti gli ambiti della vita pubblica è infatti
uno specifico italiano. L’Italia è un paese vecchio – nei modi prima
che anagraficamente – stritolato da un luddismo strisciante, da una
diffidenza ossessiva verso tutto ciò che non è noto. È un paese di
cricche e di amichetti. È un paese in cui le nuove leve vengono
selezionate in base alla somiglianza con le vecchie. In poche parole, è
un paese destinato allo sfacelo. Non farò esempi: ce ne sono a dozzine
lì fuori e sono certo li conosciate.
La grande maggioranza delle analisi
sull’ascesa del Movimento Cinque Stelle si concentra su questo elemento.
Le analisi si assomigliano tutte, differendo nei dettagli, ma
concordano nella sostanza. L’idea è che il M5S sia riuscito a
intercettare il malcontento diffuso nel paese grazie al populismo e al
carisma del suo leader. L’idea è che, per quanto il problema esista, il
M5S non sia la soluzione, vuoi perché le sue proposte sono irrealistiche
e/o demagogiche, vuoi perché controllato dittatorialmente da Grillo,
vuoi perché formato da persone inesperte e incapaci. Ancora una volta
non farò esempi. Aprite Facebook, spulciate i post degli amici e ne
troverete a dozzine su questo tema. Ve li lascio: personalmente li trovo
di una superficialità disarmante.
Non perché non abbia i miei dubbi o le
mie perplessità, né tanto meno perché sia irretito dalla verve di
Grillo, piuttosto perché c’è un secondo ordine di problemi che
affliggono l’Italia e questa volta non si tratta di problemi specifici.
Si tratta, al contrario, di problemi che affliggono il mondo in cui
viviamo nel suo insieme, dagli Stati Uniti al Guatemala, dalla Cina al
Canada. Ed è questo secondo ordine di problemi la ragione profonda non
solo del successo del M5S, ma della sua stessa nascita.
Viviamo in un mondo complesso e questa
affermazione è tutto fuorché ovvia. La tesi è che la complessità del
mondo in cui viviamo sia ormai tale che l’incapacità dei governi – che è
incapacità dei popoli – di governare ciò che avviene a livello globale non sia più legata alla qualità delle persone, ma al sistema
stesso di governo. Siamo arrivati al limite superiore di utilità delle
prassi democratiche, così come abbiamo saputo definirle fin qui. Non si
tratta più di eleggere questo o quel presidente, questo o quel partito,
si tratta ormai di chiedersi se il sistema che abbiamo realizzato sia in
grado o meno di offrirci delle soluzioni. La mia tesi – ma per vostra
sfortuna non solo mia – è che la risposta sia no. I presupposti dei
sistemi che abbiamo realizzato ne definiscono i limiti.
Sentiamo parlare giornalmente di mercati.
Di queste entità oscure, che sembrano muoversi alla velocità del
pensiero, piombando sui paesi in un lampo, depredando e divorando per
poi sparire in un frullare d’ali. Vorremmo disperatamente dare un nome a
questo nemico incontrollabile – Goldman Sachs, la Cina, gli Stati Uniti
– ma questo nemico non ha un nome. I mercati non sono controllati da
nessuno, non esiste alcuna eminenza grigia. I mercati sono sistemi
complessi, il cui comportamento è definito dall’azione combinata di una
moltitudine di operatori. Dubito esista ancora qualcuno che non sia
convinto che nello scontro tra mercati e politica la vittoria sia
appannaggio dei primi. Ciò è talmente vero che ormai i governi ammettono
esplicitamente che la loro sola funzione è di limitare i danni. Nessuno
parla più, come avveniva fino a pochi anni fa, di governare o
regolamentare i mercati. I mercati sono ormai oltre qualsiasi
possibilità di governo.
Ma come è potuto accadere questo? Come è
possibile che ciò che è in fondo uno strumento che noi stessi abbiamo
creato, a cui abbiamo affidato la nostra speranza di benessere, sia
diventato un mostro che ci divora?
Chiunque abbia anche una minima
infarinatura di economia sa che le leggi basilari del mercato sono di
una semplicità disarmante e sa anche che il mantra è quello del libero
accesso. Chiunque può entrare nel mercato economico e diventarne
operatore. Qualsiasi gelataio o idraulico, chiunque offra un prodotto o
un servizio in cambio di un compenso è operatore del mercato economico.
Le regole di interazione sono quelle della domanda e dell’offerta, lo
scopo è il profitto. A livello base c’è poco altro. Ma allora come è
possibile che qualcosa di così elementare e semplice sia cresciuto al
punto da fagocitare i nostri sistemi democratici e risputarli privi di
qualsiasi reale capacità decisionale?
Parliamo di un sistema – e uso questa
parola nella sua accezione più stretta, scientifica – composto da un
numero estremamente elevato di attori, in competizione gli uni con gli
altri per una stessa risorsa – denaro – in grado di interagire
utilizzando un set ristretto di regole semplici. La ricerca sui sistemi
complessi ci dice che un sistema così strutturato si modificherà con il
tempo, complessificandosi per l’azione dei suoi attori. Avendo come
obiettivo il profitto, i singoli operatori troveranno nuovi modi per
entrare in relazione gli uni con gli altri, alla ricerca di nuove
possibilità di guadagno (diverrà così possibile assicurarsi sulle
perdite future, il che renderà possibile scommettere sull’andamento
futuro del prezzo di un certo titolo, ecc.). In poche parole, col tempo
aumenterà il tasso di interconnessione degli elementi del sistema. Non
solo cresceranno le connessioni tra gli elementi del sistema, ma
nasceranno nuovi tipi di connessioni. Con il tempo, il sistema genererà
spontaneamente livelli successivi di complessità. Ecco quindi nascere i
future e i btp, lo spread e quella moltitudine di termini oscuri che
tormentano i sogni di massaie e pensionati.
L’unico argine a questo sistema
dovrebbero essere i governi, e cioè la volontà dei popoli, a cui
spetterebbe il diritto di regolamentare e limitare l’azione del mercato,
il dominio del profitto. Il problema è che credere che questo sia
possibile non è utopistico, è ridicolo.
Dall’altra parte della barricata abbiamo
infatti i nostri sistemi democratici. Sistemi che prevedono che il
popolo si esprima a scadenze regolari, optando per scelte binarie. Ogni
cinque anni, il popolo sceglie tra l’opzione A e l’opzione B, e che si
tratti di scegliere presidenti, partiti o coalizioni non fa molta
differenza. I pochi operatori democratici eletti (deputati, senatori,
ecc.) interagiscono quindi tra loro e con il paese all’interno di
strutture rigide, pensate per realizzare un bilanciamento tra i diversi
poteri dello stato, che impedisca il venir meno della democraticità del
sistema e il prevalere di un potere su di un altro. Questo secondo
sistema differisce dal primo in un aspetto fondamentale: mentre il primo
sistema evolve nella sua struttura, il secondo è statico e sempre
identico a sé stesso. Cambiano sì gli attori, ma non cambiano le regole.
A differenza del mercato, i nostri sistemi democratici non hanno la
capacità di evolvere.
A fronte di questo non può in alcun modo
stupire che, dato un tempo sufficiente, il “potere” – inteso come
capacità di azione sulla realtà – passi dai governi ai mercati, dal
sistema statico e burocratico a quello dinamico e vitale. Non solo
questo esito era prevedibile, ma assolutamente scontato. Con il passare
del tempo, l’aumento del tasso di interconnessione nei sistemi economici
porta a un aumento di complessità di quei sistemi e qualsiasi studioso
vi dirà che è impossibile che un sistema semplice sia in grado di
governarne uno complesso. Mentre il mercato economico diventa via via
più complesso, i sistemi democratici restano immobili e diventano quindi
sempre più marginali. Se non mi credete, chiedetevi da quando e perché è
lo spread a decidere la nostra politica economica.
Se accettiamo questa analisi ne consegue
che mettere in discussione le prassi democratiche è una necessità non
più rimandabile. Attenzione: la prassi, non la democrazia. Come
denunciato dalla stessa parola, la democrazia è un principio, un
principio sacrosanto. Ma il modo in cui questo principio – il
governo del popolo – viene attuato, cioè la prassi, è qualcosa che non
solo si può mettere in discussione, ma oggi si deve mettere in discussione.
Ma come fare? Per cosa dovremmo
abbandonare la democrazia parlamentare? A cosa dovremmo puntare e da
dove dovremmo partire per immaginare un nuovo sistema?
Io dico – e ancora una volta non sono
l’unico – che, come fa chiunque si trovi di fronte a un vicolo cieco del
pensiero, l’unica via è sgomberare il tavolo e tornare all’inizio,
tornare ai fondamentali. Abbiamo bisogno di costruire sistemi di governo
politico dinamici (cioè in grado di cambiare), reattivi e complessi.
Abbiamo bisogno di sfruttare in maniera più efficace l’intelligenza
collettiva che siamo in grado di esprimere. Qualsiasi idea di
regolamentazione del mercato, qualsiasi volontà di smontare quel
meccanismo è fallimentare. La sola possibilità è contrastare quella
forza con una forza isomorfa.
Partiamo quindi da alcuni punti fermi,
il più importante dei quali è anche quello di cui vi è meno
consapevolezza in questo nostro bel paese: la massa non esiste. Il
concetto di massa, di popolo bue, è un concetto falso, destituito di
qualsiasi fondamento scientifico. Di più, non soltanto è falso, ma è
l’opposto della verità. Il popolo non è qualcosa da tenere a briglia
stretta e da controllare. Al contrario il popolo è la nostra più grande
risorsa*. Tra le persone, nelle loro interazioni, si nasconde una
quantità di intelligenza in grado di far impallidire qualsiasi
corporation, qualsiasi mercato e qualsiasi governo. L’unico problema è
trovare sistemi e strumenti per permettere a questa intelligenza di
esprimersi. A dire che il problema non è politico, ma meta-politico.
Prima delle decisioni è fondamentale occuparsi dei meccanismi di
formazione delle decisioni. Qui sta il cuore della battaglia del
Movimento Cinque Stelle, e non solo.
Dobbiamo – ed è un imperativo –
liberarci della paura della gente. Di quella visione consolatoria e
miope che vede nelle persone un pericolo, una forma ribollente di
idiozia. L’insieme di settanta milioni di persone, limitandosi alla sola
Italia, ha un potenziale di intelligenza inimmaginabile. Liberare quel potenziale deve oggi essere la nostra assoluta priorità.
Ogni qual volta le nuove tecnologie sono
state utilizzate per ottenere questo scopo, a dispetto dei tromboni che
infestano questo nostro paese, i risultati sono stati lusinghieri. Il
World Wide Web è oggi una risorsa inestimabile, così come lo sono
Wikipedia, l’open source e il free software. Nella lotta tra software
sviluppati da aziende classicamente strutturate e il software sviluppato
da una rete di volontari che non si conoscono e non si coordinano, il
software libero ha vinto e sta vincendo su tutta la linea: qualcosa che nessun analista, nessun politologo, nessun economista aveva previsto.
Lo stesso dicasi per Wikipedia e per le decine di altri strumenti che
stanno nascendo e si stanno sviluppando in questo stesso momento.
Il sistema – sociale questa volta, non
economico – si va complessificando. Ogni giorno emergono nuovi strumenti
e nuove possibilità, che si confrontano con milioni di utenti. Alcuni
strumenti si affermano ed evolvono, altri vengono dimenticati. Ognuno di
questi strumenti – Google, Facebook, MySpace, ecc. – può e deve essere
criticato, ma a patto che non si perda di vista il disegno di insieme.
Vi invito infatti a fermarvi a pensare a cos’erano i motori di ricerca
anche solo dieci anni fa e a cosa sono adesso. Se si smette di dare per
scontato qualcosa che scontato non è, ci si rende conto che il tasso di
sviluppo dei sistemi di interazione sociale che abbiamo di fronte agli
occhi non ha precedenti nella storia dell’umanità, e non è una boutade.
Nei vent’anni trascorsi dall’invenzione
del World Wide Web a opera di Tim Berners-Lee non passa giorno senza che
non venga reso disponibile un nuovo modo per sfruttare l’intelligenza e
la cultura altrui. Siamo nel mezzo di una vera e propria rivoluzione,
ma vi siamo talmente immersi che non riusciamo a coglierla nella sua
reale portata.
Questa stupefacente evoluzione, che sta portando alla dismissione di sistemi vecchi,
fino a ieri considerati insostituibili, sta avvenendo perché i nuovi
sistemi si basano su un differente paradigma, un paradigma vincente
rispetto a quello che ha indirizzato fin qui il nostro sviluppo. Non è
il valore dei singoli che si impegnano nelle diverse iniziative a
decretarne il successo, ma la struttura profonda che usano per
interagire. La struttura reticolare, libera, autopoietica, alla base dei
moderni sistemi di interazione è e sarà sempre vincente sulle strutture
chiuse, rigide e burocratiche a cui abbiamo fin qui affidato la nostra
organizzazione. Non lo dico io, lo dice l’evoluzione in senso sistemico
del pensiero scientifico.
La richiesta alla base dei movimenti che
stanno nascendo – non solo il Movimento Cinque Stelle, ma Occupy, gli
Indignados, il 99%, i Partiti Pirata – è di applicare questo nuovo
paradigma all’organizzazione politica. Questi movimenti differiscono nel
come, non nel cosa. In Italia, Grillo, preoccupato dallo specifico
italiano, ha scelto per sé un ruolo di garante, onde evitare che il
Movimento Cinque Stelle diventi un partito come un altro. Personalmente
mi interessa fino a un certo punto questo aspetto, perché ho la profonda
convinzione che il Movimento Cinque Stelle nascerà davvero e sarà
davvero messo alla prova quando questo interregno avrà fine. Se ciò che
credo del M5S è vero, sarà lo stesso movimento, partendo dal suo
interno, a liberarsi di Grillo e a camminare con le proprie gambe, anche
se non posso dire, in tutta onestà, che le preoccupazioni di Grillo non
abbiano più di un qualche fondamento.
Il punto centrale è però un altro e cioè
la richiesta di riflessione meta-politica che il Movimento Cinque
Stelle pone con forza. Come decidiamo? È corretto il modo in cui lo
facciamo? È il miglior modo possibile? Stiamo esprimendo la massima
intelligenza potenzialmente disponibile nel sistema? La risposta che
questi movimenti danno è no. Vedono una possibilità e chiedono con forza
che questa possibilità venga esplorata anche in ambito politico. Questo
è il punto.
Come allora? Come liberare il potenziale
di energia e di intelligenza della gente? Come evitare i tanti rischi
impliciti in un passaggio come questo, e come affrontare la fase di
transizione? Queste sono le domande, i quesiti fondamentali. Quesiti che
nessuno degli analisti italiani oggi pone.
Risposte certe non ci sono, per il
semplice motivo che mentre critici e analisti hanno una soluzione
pronta, quella che ha funzionato fino a ieri e che oggi non funziona
più, gli attivisti di questi movimenti stanno provando a immaginare
qualcosa che non è ancora mai esistito. Qualcosa che va costruito oggi.
Per questo quando li si accusa di sbagliare, di essere contraddittori si
dimostra solo la propria miopia. Certo che sbagliano, certo che si
contraddicono, certo che a volte sono ingenui e a volte utopistici… ma
sono anche gli unici oggi che stiano affrontando la vera questione sul
tappeto.
Non ci sono risposte, ma ci sono linee
di tendenza. Ci sono singole battaglie che vanno nella giusta direzione e
che vanno sostenute. Chi crede in questi movimenti non ha soluzioni
pronte, ma sa riconoscere chi spinge nella giusta direzione. La
battaglia di Tim Berners-Lee per gli Open Data, la battaglia di
Wikileaks per il libero accesso a qualsiasi informazione, le piattaforme
di crowd-founding e di self-publishing, la battaglia per le energie
rinnovabili e quella per il libero accesso alla Rete. Gli esempi
sarebbero migliaia, su tutti i fronti, perché, ancora una volta, la
lezione che il Novecento ci impone di imparare è che tutto è connesso
con tutto, che le relazioni non sono lineari e che un qualsiasi
cambiamento in una parte del sistema ha ricadute spesso non prevedibili
sul sistema nel suo complesso. Per questo si parla di cambio di
paradigma.
Se ci fermiamo un secondo a riflettere
sulle energie rinnovabili, ad esempio, non possiamo non accorgerci che
qui c’è in gioco qualcosa di molto più importante del modo di produrre
energia. Nella battaglia oggi in corso si scontrano due diversi idee di
società, e non aver capito questo è il dramma delle sinistre europee e
mondiali, non solo italiane. L’energia rinnovabile e l’edilizia
eco-sostenibile non implicano semplicemente la sostituzione delle
attuali centrali con centrali solari o eoliche. In prospettiva portano a
un modo diverso di progettare le città, a sistemi diffusi e reticolari
di produzione e distribuzione dell’energia. Portano, soprattutto, a un
diverso modo di concettualizzare la cittadinanza. Oggi il cittadino è
terminale. Acquista energia, acquista cultura, acquista politica.
Acquista beni e servizi che arrivano da centrali di produzione e così
facendo si svuota di senso e di potere. L’idea implicita nel sistema di
sviluppo basato sulle energie rinnovabili è l’opposto. Non è pensabile
appoggiarsi a quelle fonti di energia senza che ogni singolo cittadino
diventi anche produttore. Senza immaginare una struttura reticolare,
fluida e dinamica di produzione. E una struttura di questo genere
implica una diversa idea di società nel suo complesso.
Non è infatti un caso che questi
movimenti vadano a braccetto con quei movimenti che vorrebbero la fine
delle coltivazioni e degli allevamenti intensivi. L’idea è quella di
dismettere il principio di organizzazione centro/periferia a favore del
principio della produzione diffusa. Questo implicherebbe conseguenze
importanti sui trasporti – e quindi sull’inquinamento – sulla nascita e
la capacità di sostentarsi dei grandi gruppi, sul sistema economico nel
suo complesso. E un cambiamento di questa portata nel sistema economico
avrebbe, a cascata, conseguenze drastiche sull’intero sistema sociale e,
ovviamente, politico.
Utopistico? Naif? Forse, ma c’è stato un tempo in cui utopistica era l’idea che tutti potessero avere diritto di voto.
Se ci si ferma un attimo a riflettere ci
si rende conto che l’idea implicita nel vecchio sistema (un
produttore/venditore, che distribuisce a una massa di utenti) è la
stessa idea alla base della tanto vituperata televisione, è la stessa
idea alla base di qualsiasi attuale sistema di produzione culturale (uno
scrittore/regista e una massa di lettori/spettatori), ed è in fondo la
stessa idea alla base del sistema politico.
Questa idea è l’opposto dei principi
alla base del World Wide Web, quegli stessi principi che informano la
battaglia per le energie rinnovabili (questo si intende quando si parla
di isomorfismo tra ambiti diversi). Non più un trasmettitore e una massa
di riceventi, ma una distesa sterminata di trasmettitori/riceventi che
si parlano; che non ricevono, ma comunicano. Non più un ceto
politico e poi i cittadini, ma un paese di cittadini ognuno dei quali è
anche attore politico. Non più una centrale di produzione di energia, ma
milioni di micro-centrali che si parlano e si sostengono. È un modo
diverso non solo di produrre energia, ma di pensare alla società.
La critica in questo ambito è sempre la
stessa: questo approccio porterà al caos. In ambito culturale, ad
esempio, quanto spesso abbiamo sentito qualcuno sostenere che se tutti
diventano produttori, allora nessuno ascolterà più e orientarsi tra le
proposte diventerà impossibile?
Il punto è che questa obiezione è falsa
su tutta la linea. Ciò che sta avvenendo in tutti gli ambiti in cui
l’idea alla base del World Wide Web (il suo paradigma) viene applicata è
l’opposto del caos. Al primo livello se ne aggiungono rapidamente
altri, sviluppati dagli stessi attori, che danno ordine al sistema. Se
così non fosse, come scegliereste quali app scaricare e come mai vi
siete trovati tutti a giocare a Ruzzle nello stesso momento? Il sistema
aumenta la sua complessità, anche creando nuovi strumenti di selezione
che permettono agli attori del sistema di trovare gli elementi che
ritengono interessanti. Questo è naturale e ovvio, ed è isomorfo a ciò
che accade nel mercato economico. Nuovi livelli di complessità portano a
una crescita del tasso di interconnessione del sistema. I vecchi
intermediari vengono sostituiti da nuovi sistemi, dinamici questa volta,
di intermediazione.
L’elemento centrale del Movimento Cinque
Stelle, ciò che resterà, il suo reale elemento di novità è questo. Nel
suo essere isomorfo a questa idea il M5S ha un valore che non è solo
contingente, di protesta. Nel suo intendere il singolo parlamentare come
semplice portavoce di una rete che sta all’esterno, nel suo chiedere
partecipazione, nel suo voler sostituire il governo degli intermediari
con il governo diretto sta la forza del M5S. L’elemento veramente
rivoluzionario del Movimento Cinque Stelle, spesso implicito, non
completamente digerito, quasi inconsapevole, è l’idea di trasformare i
cittadini, tutti i cittadini, da elettori a governanti ed è un’idea
esaltante. È la volontà di ricostruire il sistema politico dalla base,
partendo dalla fiducia nelle persone e dalla consapevolezza che, messe
in condizione di interagire e confrontarsi, le persone svilupperanno
autonomamente nuovi livelli di governo e intermediazione, che dovranno
essere dinamici, che dovranno poter cambiare nel tempo.
Vi è un rischio in questo? Certo, anzi ben più d’uno, e sui pericoli e i problemi della democrazia diretta si è scritto e detto molto,
ma il cambiamento ha sempre elementi di rischio. Il punto è che oggi
cambiare è necessario ed è possibile. Il punto è che oggi abbiamo
un’alternativa, che sta già dimostrando la sua validità e che, cosa ben
più importante, non ha nemici. Perché l’aspetto forse più bello di
questa “rivoluzione” – al di là della battaglia tutta italiana tra
Grillo e i partiti – è che questo nuovo paradigma non parte dall’idea di
abbattere qualcosa o qualcuno, parte dall’idea di costruire qualcosa di
nuovo, nella convinzione che se l’idea di partenza è giusta, questo
qualcosa di nuovo saprà svuotare di senso e rilevanza ciò che c’era
prima. Ancora una volta, se ciò che dico vi sembra fumoso, chiedetevi se
sareste pronti, oggi, a sostituire l’utilizzo quotidiano di Wikipedia
con un’enciclopedia in venti volumi.
Ciò che oggi ci serve è di ritrovare il
coraggio e la capacità di immaginare, due elementi che in nessun altro
luogo come qui, in Italia, sembrano ormai perduti. Scetticismo, cinismo e
sfiducia sono ormai diventati abiti comodi, perfetti da indossare alle
feste. Abiti che è tempo di cambiare.
Non sto dicendo, e non dirò mai, che
all’interno del M5S non vi siano contraddizioni anche gravi, e non dico e
non dirò mai che il M5S sia la soluzione a tutti i problemi. Dico,
però, che al momento il M5S è l’unica forza di questo paese – non solo
tra i partiti ma drammaticamente anche nel panorama culturale e sociale
tutto – che ponga con forza questa, che è per me la questione
fondamentale del nostro tempo.
*So per esperienza quanto questo
punto sia problematico da accettare, soprattutto per gli italiani.
Purtroppo, l’idea di “massa” è radicata in profondità nella nostra
cultura, anche, e forse soprattutto, nelle sue componenti progressiste.
Non vi chiedo quindi di prendermi sulla parola, ma se avete a cuore
questo paese, se volete davvero capire cosa sta avvenendo e se ciò che
ho detto fin qui ha per voi anche solo un minimo senso, vi invito con
tutte le mie forze a indagare questo concetto, la sua storia e la sua evoluzione.