lunedì 31 ottobre 2011

Da Genova, destinazione Nuovo Mondo 16) - P. Ranieri


CONCLUSIONE

(Ritornerò e saremo milioni)

Tutti gli uomini sognano, ma non nello stesso modo.

Coloro che sognano di notte, nei ripostigli polverosi della loro mente, scoprono al risveglio la vanità di quelle immagini; ma quelli che sognano di giorno, sono uomini pericolosi, perché può darsi che recitino il loro sogno ad occhi aperti, per attuarlo.

T. H. Lawrence

In realtà non vi è un solo attimo che non rechi con sé la propria chance rivoluzionaria.

W. Benjamin

Dopo l'assassinio di Genova fu tutto un fiorire di machissimi "pagherete caro..." e di "onori al compagno": martirizzazione, insomma. Dopo, ma solo dopo 10 giorni, silenzio e distratta dimenticanza. Almeno fino alla commemorazione (appunto) di qualche giorno fa. Ad Aprilia, al rave, dove si è/abbiamo ballato per più di una settimana, una scritta sul muro, discreta e non ostentata CARLETTO QUI E’ VIVO E BALLA.

Altro che giorni della memoria.

Claudio

Per difendere lo Stato è cosa corrente dire che è un organismo e non un’invenzione. Anche il bacillo del colera è un organismo, ma non per questo è una cosa positiva. Anche un corpo in decomposizione genera organismi. (August Strindberg)

Occorre infine riconoscere che il socialismo non è altro che la forma perfetta, e perfettamente odiosa, di capitalismo. Questo movimento ha delle speranze solo nella misura in cui saprà riconoscersi visibilmente come antisociale e antisocialista, per i medesimi motivi che lo rendono antiliberista e anticapitalista, antiautoritario e antifascista.

Nulla somiglia di più a un rappresentante della borghesia, di un rappresentante del proletariato dove numerosi erano i pensionati e i nostalgici del paterno baffone del Cremlino o del fraterno timoniere pechinese come Robert McNamara, l'uomo passato dalla Ford auto al Vietnam e uscito con la fama ignominiosa di "colui che conosceva il prezzo di tutto e il valore di niente".

L’aggettivo capitalista, percepito come troppo aggressivo, è stato rimosso dal vocabolario dei buoni.

Torniamo a riferire alla sfera privata (che non va interpretata nel senso riduttivo del singolo isolato, ma nel senso di gruppi di affini che individuano insieme le maniere per riprodursi, in forma chiaramente consensuale, perché solo il consenso, o l'autoesilio, possono avere corso in questioni d'interesse) le questioni inerenti gli interessi, la necessità, e alla sfera collettiva (che io preferisco, chissà perché? chiamare pubblica) le questioni di libertà, dove si confronta il senso di ciò che accade, si fa la storia. Cancellando come una parentesi disgraziata la lunga epoca sociale, in cui - sulla spinta dei borghesi e dei loro interessi da bottegai - l'umanità ha preso forma di società, pretendendo di affrontare collettivamente le questioni di sopravvivenza, riducendo il mondo a una sordida borsa valori, e – paradosso dei paradossi – relegando nella sfera individuale l'unica questione davvero rilevante, affidata a psicanalisti e preti, la ricerca del posto di ciascuno nel mondo. ne ho una postconfezionata, che nasce dall'esperienza molteplice di tanti amici della libertà: che é il metodo dell'unanimità e del consenso, che non conta le maggioranze e perciò non crea minoranze, dove ognuno é portatore di un punto di vista unico, mix irripetibile delle sue passioni (gli interessi e le necessità che sono viceversa ripetibili stanno fuori dallo spazio pubblico, nella penombra inaccessibile dei cazzi propri), e partecipa di infiniti dibattiti e modi di agire. Chiaro che una simile prospettiva può risultare verosimile solo se gli spazi della decisione del dibattito sono piccoli, a portata della voce umana, e non pretendono di acquistare una dimensione territoriale, un potere sulla terra. Solo così, ciascuno potrebbe portare innanzi la propria specificità senza entrare in contrapposizione con le specificità altrui.

C'è chi si oppone a ogni prospettiva di tipo socialista, cioè di gestione sociale della produzione e del consumo – tipo consigli operai, per fare un esempio amico, e che non si é mai sputtanato: perché é nella stessa idea di produzione collettiva e di gestione di tale produzione che é insita la miseria, la noia, lo squallore. E infatti ce lo dimostrano tanti esempi, dal Che che - fatto ministro dell'economia - rapidamente corre alle armi, alle fabbriche ferme e inutili del maggio francese, all'uso dopolavoristico del contropotere nelle fabbriche italiane, etc...La gente non vuole decidere lei le questioni economiche: o le abolisce o le lascia in mano agli specialisti, anche se sa che gli specialisti le useranno contro di lei. Tanto é lo schifo che ispira in tutti la necessità,
e il suo veicolo, la merce. L'idea di un mondo che ferma le fabbriche fa paura, ma fa orrore un mondo in cui dovessimo essere noi ad occuparci di
lavorare, di organizzare, di programmare. Adesso siamo qui che parliamo di filosofia, di culi, di canzoni, di storia, di sogni, e dovremmo fare la rivoluzione per spipparci senza posa sui bisogni e sulle urgenze? Si farà la rivoluzione...e non ci andrà nessuno. Solo la fine dell'economia e l'abbandono delle necessità di ciascuno alla libertà di quell'uno stesso (e di chi con lui avrà piacere di godersela) possono
corrispondere a quello é il grido che d'ogni continente si leva: "la finiamo di romperci i coglioni?" Questo grido é l'unico che unifica ricchi e poveri,
giovani e vecchi, affamati e obesi, lavoratori e disoccupati, spettatori televisivi e gente col televisore guasto. A Genova abbaiamo visto levarsi a
centinaia di migliaia, in tanti modi (anche mal coordinati, per ora), individui che affermavano questo e che cercavano nei vicini uno spunto
solidale, una ripresa appassionata. Ricondurre poi la dimensione delle grandi opere (per utilizzare il linguaggio del maligno puffo che ci tormenta) alla passione artistica, al piacere di dare forma al mondo, e al piacere dell'amicizia, che Vaneigem così bene definisce "passione di unità in un progetto comune". E, infine, la libertà, ciò che rende davvero umani, e che imprime senso a tutto il resto. Il tutto nel gioco infinito dei momenti comuni da annodare e da sciogliere, nel gioco di dare vita alla vita. Io non credo che si potrebbe rigettare i saperi accumulati - fra cui quelli tipo l'energia nucleare che forse converrebbe davvero scordare - neppure volendolo...Ma nella coscienza che il senso delle cose essendosi capovolto, ogni singolo atto va riesaminato criticamente, come se non fosse mai stato compiuto, perché mai é stato davvero compiuto nella libertà. E quindi considerando l'ipotesi di buttar via tutto, così come di conservare
tutto ciò che oggi esiste, con l'intesa che verosimilmente qualcosa si salverà e qualcosa no. Ma che non é ora il momento di pensarci, quanto meno
per non rovinarci la sorpresa: perché la rivoluzione a me pare precisamente questo: una festa a sorpresa.

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La critica non è una passione del cervello, è il cervello della passione. Essa non è un coltello anatomico, è un'arma. Il suo oggetto è il suo nemico, che essa non vuole confutare bensì annientare (Marx)

"La mia anima è un tempio sacrilego in cui le campane del peccato e del crimine voluttuose e perverse, risuonano di rivolta e disperazione"

Renzo Novatore

Davvero, penso che abbia fatto male chi non é venuto a Genova, sono assai felice di esserci stato, non già a manifestare ma a riconoscermi con i mille e mille come me ci ha insperatamente ricondotto ad affrontare la condizione fondante del vivere davvero umano, l’esperienza della decisione, della scelta, della soluzione diretta delle questioni storiche incombenti.

si é ottenuto che decine di migliaia di persone hanno visto com'è più bella una banca che brucia, un gippone distrutto, una strada da cui poliziotti e militanti sono stati messi in fuga, e prima o poi si chiederanno se non é meglio fare così sempre e dappertutto; chi è stato totalmente libero un giorno, pretenderà di ritrovare la stessa felicità mille e mille volte, sempre.

A molti di quelli che erano lì, il futuro non potrà che ripetere parole come queste, scritte quando questo nuovo assalto alla storia stava appena riacquistando vigore, «Il calore e il gelo di quest’epoca non vi abbandoneranno più. Occorre scoprire come sia possibile vivere dei domani che siano degni di un così bell’esordio. Questa prima esperienza dell’illegalità, la si vuole continuare sempre»

domenica 30 ottobre 2011

Da Genova, destinazione Nuovo Mondo 15) - P. Ranieri


MANIFESTAZIONI POSSIBILI

(Immaginiamo che si faccia la manifestazione e non ci vada nessuno)

“Nella mia vita, ho partecipato a diversi tipi di azione. La mia esperienza mi ha insegnato che la repressione della polizia e la violenza dello stato non sono una risposta alle dimostrazioni violente, bensì a quelle efficaci.

Abbiamo diritto alle proteste inefficaci, fuori dalle "zone gialle" che proteggono i potenti e permettono loro di ignorarci.

Ho partecipato assieme con milioni di persone alle grandi manifestazioni pacifiche del 15 febbraio 2003. Ho visto come ci hanno ignorato e come sono andati in guerra in nome della democrazia”

G8 di Losanna - Con amore da un Black Block

15 giugno 2003

Ogni spazio è occupato dal nemico. Viviamo sotto uno stato di coprifuoco permanente. Non solo grazie ai poliziotti – ma grazie alla geometria. La vera urbanistica vedrà la luce quando costringerà le forze occupanti a sparire da un limitato numero di luoghi. Quello sarà l’inizio di quello che noi intendiamo per costruzione. Conquistarci la libertà è, in primo luogo, strappare pochi ettari di terra dalla faccia di un pianeta addomesticato”

(Raoul Vaneigem, “Invasione” in “Lasciando il XX secolo”).

"Liberare zone di vita, questo è il progetto. Nel vivere materiale degli esseri umani, in tutti gli eventi, gli incontri, le esperienze, dove i paradigmi dell'identità, del lavoro, dei rapporti di serie, della comunicazione omologata, perdono ogni valore, e si sperimenta una superiore qualità umana. Isole calde dove si produce un'intensità più alta di respiro, aria, luce, energia magnetica. Lampi di mondi autonomi, di materia in estasi, di incontri fatali, che accadono nel mondo seriale senza appartenergli. Con l'orgoglio di non appartenergli"
Franco Bolelli, "Peter Pan e l'estasi"

"Indipendentemente dalle rivendicazioni, questo sciopero è in sé una gioia. Una gioia pura. Una gioia integra".

Simon Weil

Cercherò, d'ora in poi, di effettuare un'analisi avalutativa delle diverse opzioni viste in piazza, rispetto alla repressione poliziesca. La strategia non violenta, di fronte alla esplicita volontà terroristica delle forze del disordine statale, si è mostrata del tutto inefficace: carabinieri e polizia volevano persone inermi da terrorizzare, e le hanno sostanzialmente avute. La strategia del Black Bloc, d'altro canto, non aveva certo alcuna valenza difensiva. Quella delle cosiddette "Tute Bianche". inoltre, è crollata miseramente di fronte alla - come dire? - mancata "collaborazione" da parte delle forze del disordine statale, che tutto avevano tranne che l'intenzione di effettuare una sceneggiata ad uso e consumo delle telecamere. Quella dell'organizzazione generale dei "portavoce" del GSF, fatta di giornalisti, avvocati e quant'altro desse l'idea della Presenza Dell'Opinione Pubblica e Dello Stato Di Diritto, infine, s'è mostrata fragilissima di fronte alla volontà repressiva di mostrare un terroristico "clima cileno". In altre parole, è mia impressione che in qualche misura lo Stato si sia oramai parametrato, rispetto alle varie strategie di "Blocco" che le diverse anime del movimento no-global hanno espresso da Seattle a Genova, con tutte le specificità delle situazioni locali. Non possiamo più, in altri termini, "contare sulla sorpresa": occorrerà da parte nostra, allora, uno sforzo di intelligenza per trovare nuove strategie di opposizione che, pur continuando efficacemente ad opporsi al dominio imperialista del mondo oggi detto "globalizzazione", riescano altrettanto bene, nei loro momenti di presenza in piazza, a rendere inefficace il progetto terroristico della repressione statale mostratosi in azione, con particolare evidenza, a Goteborg, Napoli (G8) e Genova.

Shevek dell'O.AC.N./F.A.I

La pratica del sabotaggio diffuso (autonomia senza ostacoli, massima flessibilità, autorganizzazione, minimo rischio) fra gli individui affini, apre la possibilità di comunicazione reale, distruggendo quella spettacolare, rompendo l’apatia e l’impotenza dell’eterno monologo rivoluzionarista. Rapporti e possibilità di contatti con altre persone, nella negazione del ruolo spettacolare. Sono situazioni effimere che per la loro preparazione e sviluppo portano, nella loro essenza, le qualità della situazione rivoluzionaria, che non retrocederà e che sopprimerà le condizioni di sopravvivenza. Non cade nell’irrimediabile gerarchizzazione alienante che porta con sé la specializzazione di ogni gruppo armato di carattere autoritario e mîlitarista, nel quale le masse delegano la loro partecipazione negli attacchi. L’aumento quantitativo di questa pratica non ci arriva dalle mani dei propagandisti dello spettacolo, bensì dal passeggiare nello scenario del capitalismo e trovare, in questa deriva, i bancomat bruciati, le ETT con le vetrine infrante, i fabbri che cambiano le serrature di un supermercato... Visioni che ci fanno sbocciare sorrisi complici e che ci animano ad uscire quella stessa notte, a giocare con il fuoco con il fine di far sorgere gli stessi sorrisi sui volti di sconosciuti complici per l’affratellamento della distruzione. Non importa il numero, ma la qualità dei gesti: sabotaggi, espropriazioni, riduzioni... ci restituiscono parte della vita che ci negano, penò noi la vogliamo tutta.

Compagne e compagni il gioco è vostro e noi ci animiamo alla sua pratica quotidiana. Organizzatelo con i vostri complici.

Contro il vecchio mondo in tutte le sue espressioni, per uscire dalla preistoria, lanciamo e moltiplichiamo gli attacchi.

Per l’abolizione della società di classe contro la merce e il lavoro salariato stop Per l’anarchia stop Per il comunismo stop

Pietre e fuoco

Istituto Asturiano di Vandalismo Comparato

Far sorgere, pro-muovere, generare, iniziare: nei primi passi c'è l'intenzionalità del tutto. La politica è un "far sorgere" continuando, essa diventa l'aurora dello "spezzare", il trionfo della potenza del negativo

"Città del Sole"

non è affatto la rivoluzione che sta - a mio avviso - accelerando ma il farsi a pezzi del mondo. Personalmente ritengo si debba cominciare ad abbandonare in fretta parecchi degli strumenti che hanno caratterizzato le "lotte" o anche solo i conflitti del passato ( ad esempio cose come le adunate di contestatori, le pressioni e le manovre della politica, mediazioni e proposte volte ad ottenere giustizia, consenso, eccetera: in piazza, sempre per esempio, ci vado e ci andrei solo per riprendermi un po' di maltolto, se c'è altri come me, e divertirmi a riprenderlo, per quanto rischioso sia, mai per ottenere questo o quello, per dire NO a questo o quello, il No si deve dirlo molto prima, dentro la propria vita, e tentare di farlo aderire alle forme di questa), e iniziare a costruire spazi e tempi di rottura integrale con il "farsi a pezzi del mondo". Vale a dire trovare modi collettivi di rompere con il ricatto dell'economia di mercato e del lavoro, con le regole e le leggi che costituiscono l' ingerenza dello Stato nella vita quotidiana, con luoghi fisici stessi dove la distruzione umana ed ambientale è più avanzata, inventare o ricostruire ovunque e per quanto possibile modi diversi di "ricambio organico" con la natura. Alcuni di questi modi e mezzi - anche graduali - ci sono, anche se comportano varie rotture con ciò che fa di un singolo un "cittadino sociale", l'utente dei diritti e dei doveri del mondo fatto in pezzi. E comporta anche una rottura completa, totale, con l'universo della "militanza". Un universo di follie e masochismi mai abbandonato anche dal ceto politico della cosiddetta sinistra antagonista o rivoluzionaria, basta leggere i messaggi su questa lista. Se appelli per costruire rotture collettive di ciò che opprime l'esistenza comune se ne vedono pochi sono moltissimi in compenso gli appelli alla "mobilitazione" generale per questo e contro quello, la conta dei numeri delle manifestazioni, in cui il militante va generalmente per dare il suo contributo di testimonianza "politica"

Claudio Fausti

I custodi delle ricchezze hanno tutto da temere da questa perfetta espressione della modernità: l’individuo polivalente (…) Un tale individuo, che decidesse di sottrarsi a tutte le leggi senza farsi plagiare dall’ideologia, come il terrorista, o dal denaro, come il delinquente, dovrebbe costituire, nei prossimi anni, un pericolo rilevante per la pace pubblica

Serge Quadruppani

La Forcenée – L’assassina di Belleville

gli atti «irresponsabili» di quel momento sono precisamente da rivendicare per la continuazione del movimento rivoluzionario del nostro tempo (anche se le circostanze li hanno limitati quasi tutti allo stadio distruttivo… Debord, Kotanyi, Vaneigem – Sulla Comune

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Molti avevano raggiunto Genova, precisamente come si va ad assistere a uno spettacolo. Anche senza voler raccogliere integralmente tutte le suggestioni più sinistre di questa parola, intendiamo “spettacolo” semplicemente nel senso di "qualcosa di organizzato da altri, destinato ad essere veduto e fruito in quanto esperienza passiva”, ed é questo che lascia davvero critici rispetto alla concezione delle manifestazioni moderne di cui i disobbedienti sono diciamo i corifei, ma che attraversa un po' tutta la modernità, Come si può pensare che chi passa la settimana in ginocchio, poi si levi vindice, il sabato, altro che marciando nelle manifestazioni del rispettoso dissenso, del democratico distinguo, del responsabile ammonimento?

A metà del pomeriggio di sabato, mentre divampava la violenza di migliaia di celerini e si poneva in gioco la questione di salvare letteralmente la vita, essi parevano più di ogni cosa tormentati dall’ansia di non ritrovare il pullman, proprio come il protagonista della « Coscienza di Zeno » che, nello scoppio della guerra mondiale, riusciva a cogliere unicamente l’impossibilità di raggiungere il proprio caffellatte. Una vittima poco rimpianta di Genova è senza alcun dubbio questo modo di fare politica, rituale podistico, consolatorio, che pare definitivamente consegnato alle adunate oceaniche di obnubilati in cerca di guida, tipo le radunate all’ombra di Cofferati.

Il caso di Genova rimarrà a lungo, e forse per sempre, senza un possibile remake: prima di tutto erano tre giorni, lunghi, complessi, fatti di interminabili ore di sole, di notti, di piazza, ma anche di cercarsi da mangiare, da dormire, con chi, come, dove, quando. La situazione, ciò che dovremmo sempre provarci a creare, ce l'avevano viceversa servita i potenti, con la sospensione non già dei diritti, ma proprio della quotidianità, creando una sorta di vacanza sociale.

Ci ripetiamo infaticabilmente a vicenda, nei bistrot come sui giornali, nelle liste internet come nelle assemblee, che la ribellione individuale per potersi esprimere validamente ha necessità di un appropriato contesto: ecco, il 20 luglio, e in parte anche il 21, si sarebbe potuto fare tutto, qualsiasi cosa, bastava volerlo. Avevi a disposizione tanto di quel contesto che veniva da piangere...eppure il più gran numero ha scelto di non perdere di vista i pullman per il ritorno e i titoli dei telegiornali. Fare la rivoluzione significa invece non tornare più a casa, significa che non ci sono più telegiornali, e se anche qualcuno li mandasse in onda, nessuno perderebbe tempo a guardarli, significa non essere più servi, innanzi tutto, della violenza della nostra quotidianità individuale.

Che cosa sarebbe potuta essere Genova, se - invece che sfilare orando come frati della buona morte o penitenziagire bruciando macchine e banche come dolciniani - ci si fosse semplicemente installati lì, abbandonando la vecchia laida vita di lavoro precedente, e trasformando pacificamente ma radicalmente la città, occupando edifici, sabotando la quotidianità e inventando nuove possibilità dello spazio e del tempo, RIMANENDO LI'

una proposta che era già circolata dopo Genova: se si andasse, del tutto pacificamente in un luogo e SI RIMANESSE LI'? Cioè, non si lasciasse più la città, ma la si invadesse sempre pacificamente ma risolutamente fino ad imporre qualche risultato? Pensate a Genova, senza atti di violenza (da parte nostra) ma permanentemente invasa e trasformata da territorio loro a territorio nostro, cioé prendendo sul serio quello slogan "Genova libera" che tutti ricordiamo Potremmo proporre che d'ora in poi le manifestazioni assumano la forma dell'occupazione sine die di uno spazio, cioè prevedano come loro punto nodale il non-rientro a casa la sera o alla fine del weekend. definirlo lo sciopero dal ruolo, lo sciopero della vita quotidiana, o qualcosa di simile. in una simile ottica le diverse capacità e propensioni, più o meno pacifiche, potrebbero trovare ciascuna la propria modalità, e il discorso violenza-nonviolenza verrebbe superato in positivo, invece che con le minacce di reciproca esclusione.

Molto più che qualche vandalismo, l'aspetto dirompente starebbe proprio nel farsi carico di questo, portandosi da mangiare, vivendo del territorio, facendosi ospitare, dilapidando i risparmi, mettendosi in ferie o in malattia, licenziandosi. Rompendo, cioè, con la propria quotidianità: questo sarebbe la manifestazione, la presenza fisica in piazza le aggiungerebbe solo visibilità, faciliterebbe la solidarietà, la convertirebbe in una prassi collettiva. Si potrebbe pensare a delle "casse di resistenza" quali si usano per gli scioperi, dove e quando gli scioperi sono una cosa vera. La fabbrica non é più il luogo unico dello sfruttamento, che si é esteso a tutti i luoghi? E noi invece di occupare la fabbrica, occupiamo la città, occupiamo tutto. Blocchiamo tutto, prima di tutto noi stessi come ingranaggi sociali, riprendiamo a discutere tutto, a decidere tutto, a risolvere tutto. Non facile da fare, ancor più difficile da proclamare, ma l'azione collettiva del futuro, che prende le mosse da una infinità di azioni individuali, anche proprio del singolo nell’oscuro della propria casa, passa per soluzioni che non possono essere di profilo minore di questo.

Un altro aspetto che impone una profonda ridefinizione del modo di pensare non solo il presente sovversivo ma anche il futuro, è il peso crescente della tecnologia, tanto da parte del nemico, che da parte nostra. Mai una manifestazione di tali dimensioni aveva veduto infatti in passato un bilancio così sbilanciato di morti e feriti fra i due contendenti (dopo le prime panzane sugli accoltellamenti, il governo ha dovuto ammettere che, già una settimana dopo i fatti, nessun poliziotto recava segni visibili dei colpi subiti),

Non è affatto detto, perciò, che le tattiche che hanno condotto il movimento fin qui, rimarranno a lungo le più opportune; e che soluzioni in passato scartate o squalificate dalla pochezza dei loro interpreti, non possano, in diverse circostanze, mostrare nuove e inattese potenzialità.

La «disubbidienza civile», travolta nel generale e vergognoso naufragio genovese delle Tute Bianche, potrebbe, rivisitata, rivelarsi un’idea ricca di sviluppi possibili e, in buona misura, tuttora inesplorati. Pur rimanendo nell’ambito non-violento, con motivazioni tattiche simili a quelle che abbiamo visto per i pacifisti e con l’intento di sottolineare visibilmente la polarità fra violenza cieca del sistema e intelligenza armonica dei corpi,

E questo è possibile rendendo visibili delle condotte di auto-affrancamento immediato, che possano essere riprese da ciascuno nelle proprie specificità; che svelino l’incantesimo maligno che induce ciascuno a tenere chiuso il cancello della propria cella.

Il passaggio dalla fase nascente del movimento, con le sue ingenuità, le sue spontaneità, le sue incongruenze, al diffondersi di pratiche estese nello spazio e nel tempo, che coinvolgano ciascuno in una critica pratica della vita quotidiana, in una decostruzione puntuale della macchina sociale, porterà necessariamente sia a confrontare fra loro tattiche di intervento, ma altresì ad indagare con maggiore acutezza motivazioni che finora non sono state criticate a fondo.

L’esigenza posta dalla costellazione dei mansueti: «spargere nelle 24 ore, temi e tattiche, forme e obiettivi riassunti a Genova»; quella dei disubbidienti: « pensare nuove forme d’azione pubblica che sorpassino lo schema della manifestazione»; e quella dei radicali: «principiare a demolire concretamente i muri della prigione sociale», occorre che si parlino e si scambino le loro potenziali ricchezze. L'essenziale é che ciascuno individui la propria strategia e il proprio percorso; perché la rivoluzione questo è, la liberazione, lo scatenamento dei percorsi, è un movimento divergente, non convergente. Quindi non si tratta di individuare la via più rapida, o più impercettibile, o più indolore, per pervenire alla dissoluzione di questa società, ma di sciogliere, persona per persona, aiutandosi gli uni con gli altri, i nodi sociali che impediscono a ciascuno di disegnare liberamente il proprio cammino, liberamente componendone e allacciandone di nuovi. Quando ciò si dà, la rivoluzione è già in corso, e non necessita di altri esiti per qualificarsi.

La divisione non è sui metodi di lotta, ma verte, da una parte sui fini, dall’altra sulla compatibilità con l'esistente. Manifestare serve a fare pressioni sui potenti? o piuttosto a propagandare l'idea che un altro mondo è possibile? o a mettere in pratica nelle azioni ma soprattutto nelle relazioni qualcosa di quel mondo possibile, qui ed ora?

quali sono i suoi interlocutori? le istituzioni? la gente? il movimento stesso?

queste opzioni divergenti possono, a loro volta, essere tutte gestite con molta, poca o punta violenza, e con metodi i più svariati, che potrebbero anche non essere in sé e per sé incompatibili: ma faticano a stare insieme, perché si levano il tappeto a vicenda di sotto i piedi. Ma nel contempo hanno necessità di contaminarsi a vicenda, anche perché moltissimi sono coloro i quali ondeggiano fra le diverse tentazioni, e non sono disposti ad identificarsi con alcuna fazione

Che sia chiaro: non siamo contro la gioia insurrezionale di Praga o di Seattle, siamo solo contro la loro unicità epica che ci impedisce di ripeterli ogni giorno a casa nostra (Io sono un BB, pg.123)

Occorre ora non lasciarseli strappare dalla tentazione umanissima di convertirli in un perpetuo presente, ripetendo all’infinito Genova, nella speranza di una miglior fortuna.

Piuttosto che classiche manifestazioni, in forma di sfilata, io credo converrebbe sviluppare i suggerimenti proposti da Genova, fondando cioè un incontro, un convegno, un'assemblea, magari di più giorni, che comporti poi delle azioni dirette, non necessariamente violente, ma tali da comportare una sperimentazione pratica dei discorsi che si fanno. Un esempio: di recente in Belgio c'é stato un raduno internazionale contro le biotecnologie con interventi, dibattiti, discussioni, mangiate, bevute, etc. Poi tutti insieme si sono levati e sono andati a distruggere una coltivazione transgenica, fra bestemmie e schiamazzi. Ecco: io propenderei per sviluppi di questa natura. Si fa un convegno contro la religione a Torino? si discorre amabilmente, si mangiano gianduiotti e bagnacaoda, si beve nebbiolo, si profana un buon numero di ostie: poi, senza preavviso, condotti da alcuni animosi conoscitori dei luoghi, ci si scaraventa nel Duomo e si divora senz'altro la Sindone. Questo é ciò, io credo, che significava per i situazionisti "trarre la teoria da ogni pratica, e viceversa"

Prima di tutto, non si potrebbe ricorrere ai treni speciali e all'ospitalità governativa, che tanti equivoci hanno disseminato (se non altro, perché uno stentava a credere che il governo gli fornisse un treno per farsi sminchiare dalla polizia a mille chilometri da casa).

Suggeriamo pure vie che ci paiono migliori, ma nella coscienza che esse si qualificano più per la nitidezza dell'esperienza che vi è inscritta, che per i risultati, che sono poi sempre cosa del passato, lavoro morto, oggetto.

Tutto ciò sta già accadendo con le mille idee che già attraversano l’esistente, appena sotto la superficie della visibilità, e che contemplano tutte il detournement dei luoghi e degli oggetti: la saldatura delle serrature dei negozi, l’accecamento delle telecamere, la messa a fuoco di laboratori necrotecnologici, il saccheggio di merci utilizzabili, la distruzione di luoghi di compravendita del debito e del credito o della sottomissione salariata, il sabotaggio di macchine e di servizi, l’uso critico dei mezzi elettronici, la pratica del baratto, dello scambio non-monetario, del dono, della gratuità – per dare un elenco esemplificativo e non esaustivo, suscettibile di infinite integrazioni e miglioramenti.

Il passaggio dalla fase nascente del movimento, con le sue ingenuità, le sue spontaneità, le sue incongruenze, al diffondersi di pratiche estese nello spazio e nel tempo, che coinvolgano ciascuno in una critica pratica della vita quotidiana, in una decostruzione puntuale della macchina sociale, porterà necessariamente sia a confrontare fra loro tattiche di intervento, ma altresì ad indagare con maggiore acutezza motivazioni che finora non sono state criticate a fondo.

Le mie idee sono le solite, e non trovano una particolare eco nella contraddizione capitale-lavoro: sabotaggio (particolarmente rivolto ai sistemi di controllo, telecamere, guardioni, software, informatori, etc; boicottaggio non tanto su basi etiche, ma tattiche (cioè: partire dall'idea che andrebbe boicottata tutta la merce, e principiare con i punti sensibili, ideando e poi propagandando vere e proprie "situazioni" di boicottaggio - con l'obiettivo, ad esempio, nelle periferie - in Italia o simili . di rendere la zona inappetibile per le multinazionali e il loro mortifero progresso, sfruttando la loro ipersensibilità ad ogni opposizione); sciopero dei pagamenti, puntando ad insolvenze non solo di massa, ma visibili le une alle altre, mostrando come pagare alla cassa o alla scadenza sia più un vizio dell'anima che un obbligo effettivamente esigibile da parte dei creditori e dello stato; rinuncia ad utilizzare le istituzioni come arbitri e supporti delle proprie esigenze, astenendosi il più possibile dall'impiegare istruzione e sanità pubbliche (quelle private la gente di senno non le considera proprio) o perlomeno di attribuirvi qualche fiducia - e, naturalmente, riconoscendo nella legge e nei suoi servitori dei nemici mortali di ogni vita libera e giusta, isolandoli come meritano e cessando di riconoscere loro tratti residui di umanità condivisibile, esiliandoli fin d'ora da ogni luogo, incitandoli in ogni modo alla diserzione, alle dimissioni, al suicidio collettivo o individuale; sperimentare da subito forme di condivisione non-economica di tutto ciò che é libero, mirando a ridurre progressivamente il raggio d'azione dell'economia e la sua influenza sulle relazioni; ripudiare ogni mediatore fra il proprio desiderio e la propria azione, dai portavoce, ai rappresentanti, agli specialisti, ai preti, agli scienziati, a Dio stesso, e così via...e naturalmente, agire in concorso e solidarietà con tutti coloro che, operando con i medesimi fini, ci sono compagni, gli evasi, i distruttori, i sabotatori, i clandestini, i ricercati, i perseguitati, gli imprigionati, combattendo contro galere, lager, manicomi, ospizi, collegi, e ogni luogo di reclusione, sia indicandone teoricamente l'insopportabilità, sia favorendo distruzioni, evasioni, riduzioni d'influenza (non escludendo quindi la riduzione del danno: un carcere o un manicomio dove non torturano é migliore di quelli dove lo fanno - occorre evitare i purismi estremisti, come pure le manovre riformiste - in ogni ambito, chi vuole tutto cercheranno di accontentarlo con qualcosa, e conviene che non se ne contenti, chi si accontenta non gli daranno una fava e cercheranno pure di togliergli quel poco che già ha)

In quale maniera la contraddizione capitale-lavoro (il fronte del lavoro come si diceva un tempo) può ambire a un ruolo centrale? non é una domanda retorica, badate, ma un'indagine operativa.

Tanto più se consideriamo che molti di noi non lavorano (sono pensionati, disoccupati, studenti, alcuni perfino rentier...), che altrettanti svolgono lavoro autonomo e professionale, che moltissimi lavorano con inquadramento dipendente in luoghi dove sono soli, o in due, o in tre, che quasi tutti hanno la sensazione (non del tutto inesatta) che se cessassero di lavorare, i padroni (i loro e anche il padronato in generale) ci guadagnerebbero. Il modello mentale della questione é sempre stato quello dello sciopero ad oltranza: quali categorie scuoterebbero davvero il funzionamento della macchina sociale? forse, ma sempre meno, i bancari; sicuramente i benzinai e gli autotrasportatori; soprattutto i poliziotti. Attività che non sono mai state sensibili a una prospettiva antisociale, e limitate ai servizi. Per ciò che attiene alle attività produttive, solo scioperi mondiali potrebbero davvero incidere, e pure in fretta, perché con la tecnica del just in time c'è pochissimo magazzino di tutto, e il sistema é sempre a un velo appena dal tracollo. Ma sono poco convinto che i tempi per dare sostanza mondiale ai movimenti di autonomia proletaria dispersi nel mondo siano capaci di opporsi al precipitare del disastro cui ci stanno conducendo

Siamo noi che dobbiamo fissarci degli "appuntamenti" con la nostra vita e non certo cercare di portare rivendicazioni o proposte a ciò che nemmeno esiste. Le manifestazioni di piazza acquistano senso solo se diventano un luogo e uno spazio riappropriato da parte di tutti coloro che hanno qualcosa da dirsi e da costruire insieme non certo la messinscena del disagio e della contestazione al fine di lamentarsi per le ingiustizie o proporre cambiamenti proprio a quelli che avendo nelle proprie mani il potere stanno portando tutti verso la rovina.

Le relazioni che appassionatamente coltivo hanno tutte in comune questo tentativo di coinvolgere i molti individui che amo in attività talmente forti da vincere la sopravvivenza con colpi di vita indimenticabili.

Tutto è così vivido nei miei sogni

Boccadorata

Comunque lasciamo che le cose seguano il loro corso, purché questo corso sia come corso Torino venerdì e Corso Italia e Corso Sardegna sabato, fiammeggianti di banche e di gipponi, libere dagli sbirri e da ogni bandiera, compresa quella anarchica. Nessuno di noi aveva mai visto Genova così bella.

Certamente, una maggiore organizzazione avrebbe dato altri frutti, ma quali? Se vincere contro le guardie in piazza presuppone la necessità di un'organizzazione militare complessiva (non semplicemente che ciascuno sia organizzato validamente lui stesso e con coloro con cui ha scelto di operare), questo non suggerisce piuttosto che lo scontro militare in piazza contro le guardie é un terreno che non corrisponde a una maniera di operare che sia libera e sia soprattutto capace di creare libertà? Circola in questo periodo, poderosamente propagandato un libro sciapo e fesso, La banda Bellini, in cui si vedono dall'interno i meccanismi di un gruppo che ha scelto appunto di organizzarsi per organizzare la piazza, e finisce per convertirsi in un servizio d'ordine e in fine in una contropolizia, di quelle che operano l'infame contropotere nei quartieri. L'organizzazione militare, militarizza coloro che si lasciano organizzare e perseguita quelli che a farsi organizzare sono irriducibili.

qualcosa di quel che infastidisce me, cioè il fatto che sono degli pesudoeventi, delle cose che non nascono per essere vissute e perciò diventano memorabili, ma che nascono direttamente per essere ricordate. Fra una manifestazione e una sommossa spontanea, una radunata sediziosa come recita il codice, io vedo la differenza medesima che vedo fra chi colleziona qualcosa che viene fabbricato per essere collezionato e chi colleziona oggetti che erano stati creati per l'uso.

In sostanza a che cosa ci serve scontrarci con la polizia, su un terreno scelto da loro, sotto gli occhi delle loro telecamere, sia quelle che ci faranno fare la figura dei fessi nei telegiornali, sia quelle che ci faranno fare gli imputati nei processi? Se si fosse passati, che cosa si faceva, si invadeva la sede dell'incontro delle merde, e li si linciava? se la risposta é no, e in certo modo temo che sia no, allora di che cosa ci lamentiamo? Di essere stati sconfitti troppo in fretta? In sostanza, ed emerge anche dai volantini (peraltro davvero buoni) dei compagni che erano a Salonicco, l'idea é quella di rendere visibile che noi consideriamo nemici gli otto, e pure la Nato, e pure l'Europa unita, etc. Ora, le domande sono due: conviene davvero battersi in strada per conseguire un simile obiettivo? E quest'obiettivo é davvero così interessante? interessante al punto di adombrare la rinascita di un'organizzazione dello scontro stradale, con tutte le conseguenze nefaste del caso? io non ne sono davvero convinto mi piacerebbe che, se ci fosse una nuova Genova Facessimo come i BB, occupando una zona e barricandola, ma invece di perder tempo con le vetrine, si usasse quello spazio, per transitorio che sia, per parlare davvero, di come cambiare non il mondo in astratto, ma la nostra concreta posizione nel mondo, lì, in quel momento. Se una manifestazione per me ha senso, dovrebbe avere la forma di un'assemblea permanente, si comunica con la parola, e anche con l'azione, essendo in un luogo, e non andando nell'altro. La materia prima di cui si nutrono gli specialisti politico-sindacali, siamo noi e la nostra irriducibile voglia di vivere. E' essenziale che loro non la possono più vendere, e per questo, è indispensabile che non ne possano disporre. Ogni volta che sfilano le bandiere del sindacato, di rifondazione, ogni volta che senti Morti di Reggio Emilia, El Pueblo Unido, etc. ogni volta che la sinistra fa le sue porcate e frigge le sue salamelle, é essenziale non esserci. Facciamo che si faccia la manifestazione e non ci vada nessuno. E' quella diserzione che serve oggi. la diserzione dall'ideologia, dalla rappresentazione, dalla "politica", come luogo dello scontro di interessi.