Chi fossero non ha molta importanza, quei 500, o poco più, che hanno impedito al corteo dei 500 mila di giungere fino a piazza San Giovanni. Di estrema destra, di estrema sinistra, skinhead di ogni colore, giovani semplicemente arrabbiati, pasticcioni borderline con inclinazioni verso la “sindrome di Londra” (sfascio tutto e mi porto a casa l’ iPad), sfondatori di bancomat e di distributori di benzina, incendiari di auto con l’idea che è così che si combattono le multinazionali, provocatori che giocano le loro partite su “suggerimenti” di non sappiamo chi. Insomma tutti abitanti di quella gabbia di matti in cui si sta trasformando questa società malata.
Certo che sono, per fortuna nostra, solo qualche centinaio. Per ora. Gli altri, i cinquecentomila che sono arrivati a Roma per dire che non vogliono pagare il debito, sono i rappresentanti di un’Italia che matta non è affatto e che sta velocemente prendendo coscienza del fatto che occorre organizzarsi per togliere il potere alla casta politica che ha tenuto bordone ai padroni della finanza internazionale e nazionale da cui è stata pagata.
Tutta l’Italia ha così visto solo i disordini provocati dai facinorosi e non ha visto i 500 mila che la rappresentavano assai meglio. Non è una novità. Vuol dire che il mainstream si conferma per quello che è: cieco di fronte alla realtà, e interessato solo allo spettacolo.
Ma i 500 mila restano. E, stando ai sondaggi, rappresentano l’80 % degli italiani. A occhio e croce anche degli europei e degli americani.
Vuol dire che le manifestazioni non cesseranno e, anzi, si estenderanno. E vorrà dire che dovremo tornare ai tempi gloriosi in cui i cortei si dotavano di un servizio d’ordine per proteggersi dagl’imbecilli e dai provocatori. Penso che sarà necessario perché la prevalenza del cretino (come scriveva il compianto professor Cipolla) è marcata, specie nei tempi di crisi. E questo lo si è visto bene sabato 15, quando la polizia ha mantenuto i patti con il corteo, e gli unici nemici che i 500 mila si sono trovati davanti avevano solo la divisa del cretino e portavano maschere e caschi per non farsi riconoscere.
Giulietto Chiesa, Il Fatto 17/10
Commento di Sergio Ghirardi :
Mi pare che i 500 siano un sintomo di una decomposizione sociale riguardante anche i 500.000 e le maggioranze silenziose, impotenti e ridotte a cittadini voyeurs. Ci sono mille spiegazioni psicopoliticosociali ai diversi tipi di “cretineria” ma risalgono tutte alla violenza iniziale di un sistema planetario che coltiva la barbarie e l’ignoranza per sfruttare e alienare in nome di lucro e potere. La democrazia rappresentativa è stata l’ultimo alibi all’ingiustizia programmata del capitalismo e le varie violenze affioranti sono il sintomo di una tragica fine regno dai tempi imprevedibili. Il vecchio mondo muore, ma non è detto che riusciremo a sopravvivergli. Riemerge ora e va assunta, la frattura storica tra quanti si oppongono al mondo dominante includendo la violenza e quanti osano rifiutarla perché pensano che non si può sconfiggere l’alienazione con mezzi e metodi alienati. Il contrasto non è solo etico ma strategico. Mi pare evidente che l’opposizione violenta al sopruso e alla repressione non provoca alcun cambiamento sociale, serve anzi al mantenimento dello statu quo favorendo la repressione. Penso e dico da tempo che la violenza è il solo ambito in cui il potere è in vantaggio costante rispetto a quanti vogliono abolirlo e si nutre di una paura che fa regredire. Sfido a trovare un solo fatto che possa smentirmi.
La confusione tra radicalità ed estremismo è l’ultimo trucco della società dello spettacolo prima della guerra civile, ultima ratio di uno Stato che non sa più funzionare. I tempi sono gravi e per chi non è complice del sistema, non è il tempo delle condanne quanto della presa di distanza netta.
Il movimento di chi vuole ancora cambiare il mondo e non lanciare un ultimo urlo nichilista nello spettacolo, deve imparare a distinguersi nei fatti con una costruzione permanente di alternative al singhiozzo di un viva la muerte travestito da slancio rivoluzionario. Nel rovesciamento di prospettiva riuscito o fallito che ne seguirà ognuno riconoscerà i suoi.