lunedì 24 ottobre 2011

Da Genova, destinazione Nuovo Mondo 9) - P. Ranieri


TUTE BIANCHE E MENTITORI

Tutte le relazioni umane si plasmano sul paradigma del rapporto di denaro: tutti gli esseri umani diventano prioritariamente venditori e compratori di merci, atomi che nella loro strutturale separatezza più che incontrarsi si scontrano tra di loro. E, in modo sommamente contraddittorio, mentre la logica puramente quantitativa della merce corrode il significato stesso della qualità, ogni singola merce (attraverso la pubblicità e la comunicazione) è costretta a cercare di divenire veicolo di senso e di valori per distinguersi da tutte le altre perché, proprio nel trionfo dell'astratto, esse diventano tra di loro tendenzialmente indifferenziate.

Roma 15 luglio 2001.

Vis-à-Vis - Quaderni per l'autonomia di classe.

Le chiamavano Tute Bianche, a causa della loro tenuta, ideata per rappresentare la condizione spettrale del moderno neoproletariato, invisibile persino a sé stesso, e Disobbedienza veniva chiamata la loro tecnica d’azione: fare massa, con i corpi protetti da scudi e imbottiture, non ottemperando all’ordine di retrocedere, ma continuando a procedere verso l’obiettivo, “utilizzando i propri corpi” per sospingere i poliziotti.

Una rappresentazione del medesimo tipo era in programma anche a Genova, la mattina del 20 luglio; giù dallo stadio, il “laboratorio Carlini”, fino all’imbocco di via XX settembre, qualche spinta, qualche carica, un certo numero di lacrimogeni, due, tre, dieci manifestanti che riuscivano a scavalcare, un buon numero di arresti (pare che fosse già sgombro e predisposto il carcere di Alessandria) e i successivi rilasci nella notte, così da non intralciare la grande manifestazione dell’indomani, destinata a celebrare insieme la pacifica ma forte vittoria dei manifestanti e la democratica ma efficiente condiscendenza del governo. Per perseguire tale apoteosi della democrazia “dal basso”, erano state tenute varie riunioni, chiamate telefoniche nei due sensi, abboccamenti, sia con altri spezzoni dei manifestanti, sia con la questura. Perché lo spettacolo riuscisse convincente, più vero del vero, erano state effettuate infinite e faticose prove, che sarebbero dovute servire a far muovere migliaia di militanti come un sol uomo, come un solo “corpo”.

Manifestazioni così partecipate e tecniche d’azione che presuppongono una partecipazione corale, coordinata, necessiterebbero di una direzione tecnicamente molto capace e dotata di una grande autorevolezza anche personale. I militari della disobbedienza, cioè della rappresentazione non violenta della violenza, dovrebbero essere condotti con una competenza anche tecnica non comune (non a caso i lillipuziani e gli stessi disobbedienti avevano sentito la necessità di un addestramento specifico, e di una regia). Viceversa la miscela fra presunzione e superficialità da una parte e indisciplina e incontrollabilità dall’altra, fa sì’ che il controllo si operi solo in negativo, nel senso di frenare ogni iniziativa non prevista. I militanti esperti sono sguinzagliati a vigilare perché nel corteo NON si faccia qualcosa che esce dal programma. Il risultato è che la colonna avanza avvolta dalle brume dell’incertezza, pesante e prevedibile

Ma la pioggia torrenziale caduta la sera e la notte del 19 aveva impedito le esercitazioni, che, slittando al mattino, avevano contribuito a ritardare, in una con le mille esigenze mediatiche e con la gerarchia pachidermica eppure inetta, la messa in moto del serpentone. Come Napoleone a Waterloo, pioggia, lentezza di riflessi, presunzione, inadeguatezza dei capi, assuefazione ai successi a poco prezzo, congiurarono per la loro disgrazia. Quando si affacciarono su quello che credevano un palcoscenico, all’incrocio fra via Tolemaide e corso Torino, si trovarono scaraventati senza preavviso, come avrebbe scritto Marco D’Eramo sul Manifesto del 24.7.2001, “davanti alla violenza della Storia”. Il filmato che riprende lo sgomento dei miseri dirigenti senza la bianca divisa (l’accordo fra le Tute e parte del Sud Ribelle aveva comportato la dismissione del loro colore distintivo, forse per eliminare un fattore di divisione, forse per evitare che si evidenziassero troppo i loro limiti quantitativi, in presenza di un movimento previsto in centinaia di migliaia di persone) di fronte alle prime tracce degli incendi del mattino, parla chiaro su come questi si immaginassero lo svolgimento della manifestazione, annunciata niente meno che con una Dichiarazione di Guerra…

Le chiamavano Tute Bianche e andarono perdute a Genova, liquefatte proprio quando parevano destinate a un luminoso futuro nell’ambito dello spettacolo politico, ai cui venticelli si dimostravano mirabilmente attenti, e in cui si erano affermati a forza di piroette ed effetti speciali. E, soprattutto, grazie a un battage pubblicitario sproporzionato. Come negli eserciti moderni ogni combattente presuppone da quattro a sette specialisti al suo servizio nelle retrovie, così dietro ogni militante in divisa da invisibile, si affollavano due, tre, quattro, mediattivisti intesi a garantirne la visibilità, a diffonderne le gesta, nate all’accendersi della luce rossa della telecamera, e morte al suo spegnimento.

Eredi legittimi e somiglianti di un’ascendenza non meno sciagurata, l’Associazione YaBasta, cui va il torto inespiabile e perpetuo di aver gettato il discredito sul tentativo, meritevole di ben miglior sorte, di creare un movimento neozapatista in Italia. Non avevano, infatti, compreso che, a distinguere gli zapatisti dalle precedenti insurrezioni non era stato né l’iniziale impiego delle armi, né la successiva sospensione del loro utilizzo, ma la capacità di gettare ponti fra realtà distanti e, soprattutto, di scatenare e di affrontare paradossi «Ci siamo armati per non combattere; ci siamo mascherati per essere visti…».

Viceversa, in questo movimento mondiale che pure dagli zapatisti così grande impulso ha ricevuto, a partire dal 1996, ci si arma ancora per battersi, si va a mani nude per non battersi, ci si espone sotto i riflettori per essere visti, ci si rintana nel buio per rendersi invisibili. Perché la sua molteplicità divenga davvero forza, occorre che essa si faccia contaminazione, intreccio, meticciato, invenzione di strumenti coerenti e di obiettivi appassionanti, di parole indimenticabili, di azioni sorprendenti.

Gli appartenenti a Ya Basta, grazie alla loro prosa melensa e alla loro pratica trasformistica, ottennero in breve che zapatista divenisse, in Italia, sinonimo di superficiale, esteriore, spettacolare, mediatico, autocompiaciuto, ecumenico, frontista. Non fu posto limite alcuno all’impudenza e alla balordaggine: comunità zapatista di lì in avanti giunse a definirsi perfino il mediocre e declinante complesso rap dei 99Posse!

Dopo la loro fondazione, rapidamente affrancatisi dalle faticose pratiche di costruzione del consenso in uso nei comitati Chiapas, resisi allegramente autonomi ed autoreferenziali, convertitisi prima in Tute Bianche, poi in Disobbedienti, avrebbero presto ripreso e rilanciato a pieno regime le pratiche squadristiche e mafiose ereditate da quella parte dell’Autonomia Operaia da cui avevano preso le mosse... Mentre essi giungono talvolta a schierarsi in cordone per proteggere la proprietà privata, minacciata dai casseur, non trovano nulla di contraddittorio nel minacciare, impedire la parola, cacciare dai treni o dai quartieri, assaltare con bastoni; e al tempo stesso operare una comune regia con elementi della Digos e delle questure per recitare vere e proprie commedie O, meglio, considerando l’inconsapevolezza di parte di tanti militanti, come episodi di candid camera., come a Milano, dove si giunse all’estremo, ché non solo lo svolgimento, ma lo stesso tema della manifestazione era concordato intorno a una chiusura di un centro per immigrati clandestini in attesa di rimpatrio (e la sua riapertura cento metri più in là, qualche mese dopo) Accantonata l’ideologia leninista della presa del potere, si tiene in vita però l’intero armamentario del micropotere sotterraneo, Sicché, dietro le autocelebrazioni per il movimento «davvero moderno» riappaiono i tristi personaggi del leader, ora riciclato in portavoce - portavoce é il leader in epoca di carestia, di pensiero debole, è uno di cui sopravvive ormai solo la voce -, del dirigente locale, dell’intellettuale organico, della cinghia di trasmissione, del giornalista amico, del militante, dell’esecutore, del simpatizzante, dell’utile idiota.

Tutti concordi nel descrivere Carlo Giuliani, come un isolato, un prigioniero del proprio disagio, appena conosciuto, di vista. Salvo, poco tempo dopo, sondati debitamente gli animi, aggiustare Tutti concordi una volta ancora il tiro, per candidarsi al ruolo dell’unico che potrebbe ricondurre alla ragione i «compagni che sbagliano» (riprendendo l’insuperato loro modello, quel professor Negri che si proponeva come alleato dello stato che lo aveva carcerato come terrorista, nella battaglia contro il terrorismo,) e pretendersi, con il supporto di una famiglia oppressa dalla tragedia e scombinata dal turbine della notorietà, come eredi legittimi del morto, come interpreti autentici della sua vita.

Il movimento delle Tute Bianche, nato male e cresciuto peggio, raccogliendo il peggio di svariate esperienze ed esprimendo un linguaggio, un immaginario, delle pratiche e delle vedette di un livello mai così basso dai tempi di Lotta Continua, cui peraltro somigliavano nel rampantismo, nell'ammiccamento impudico ad istituzioni e giornali, nella prepotenza mafiosa e acefala, nel sincretismo teorico per cui ogni pensiero va bene purché possa riassumersi in slogan, é una jattura, e ogni contatto con esso conduce all'inerzia e al fallimento più indecorosi. Non penso che i loro obiettivi siano giusti ma parziali - come sostengono molti estremisti - né che siano giusti ma perseguiti con mezzi inidonei – come sostengono i non-non violenti. La nascita delle Tute Bianche e di quella pletora di movimenti biopolitici che ha impestato per un breve periodo il mercato ideologico, difficile da comprendere se si parte da un’analisi politica o sociale, risulta viceversa perfettamente comprensibile se la si percepisce come la creazione di un’impresa intesa a commerciare una merce di cui IL MERCATO AVEVA BISOGNO. Per molti aspetti, rammenta la nascita di Forza Italia. Si era determinato un vuoto AL CENTRO di uno schieramento, minoritario, ma necessario per incanalare e sterilizzare l’insofferenza crescente. Un’organizzazione capillare, un attivismo tanto vivace quanto generico, un pensiero debole accoppiato con una sloganistica doviziosa e lussureggiante (ottenuta saccheggiando in maniera piuttosto raffazzonata l’armamentario inesauribile del Subcomandante Marcos), una costellazione di successi impalpabili ma altamente percettibili: con simili strumenti fu elaborato il prodotto disobbediente che colse d’acchito grandi successi fra militanti e contemplativi, sempre alleati contro ogni pratica reale. I loro mezzi erano adatti ai loro fini, quello di costituirsi come strumento e portavoce della società civile, per egemonizzare i processi sociali e condurli nel senso di una maggiore socializzazione dei saperi, delle ricchezze, delle decisioni. Che il fine dei singoli fra loro, sia principalmente quello di militare da subito in un movimento attivo e spumeggiante, che ti fa vedere il mondo, come un tempo la Marina Militare, che ti fa provare abbastanza brividi con rischi ragionevolmente modesti, che ti fa essere al centro dell'attenzione dei media, delle mamme e delle ragazze, che ti fa partecipare della poesia un poco inflazionata degli imitatori di Marcos, del mix eccitante dell'incenso, dei gas lacrimogeni, del patchouli, della marijuana, della polvere dei seggi e dei tubi di scappamento. Le Tute Bianche non solo non si volgono contro i mali di questo mondo, passività, militanza, contemplazione, ideologia, delega, godimento procrastinato all'infinito, risentimento, impotenza, fede, ma, pensando di volgere tutto questo a fin di bene, contribuiscono nel loro piccolo ad alimentarli. Con la liberazione umana, semplicemente non c'entrano; alla lunga, se la situazione dovesse radicalizzarsi li troveremo con certezza assoluta dalla parte della polizia, cui già somigliano nell’ansia di normalizzazione, di sottomissione della libertà individuale alla necessità socialmente riconosciuta (non tutti, alcuni finirebbero per rendersi conto e si tirerebbero indietro).

é facile vedere come sia proprio in grazia del Black Block che, da Seattle in poi, la ricchezza di questo movimento si sia resa visibile e comunicabile. Se, a Seattle e di lì in avanti dappertutto, non vi fossero stati gli attacchi soggettivi dei compagni ma solo le manifestazioni pacifiche e/o la repressione di polizia, questo movimento avrebbe raggiunto l'ampiezza e la molteplicità che ha oggi? Credi che i vari portavoce sarebbero stati anche solo ricevuti dai ministeriali se non avessero avuto da "vendere" (nel duplice senso: quello del prodotto da scambiare, e quello più classico dei trenta danari, quelli del compagno Giuda) i violenti, che promettevano di controllare? Il ruolo di questi mediatori pretende di riprendere (ma con insufficienti capacità) la storia vergognosa dei partiti comunisti e dei sindacati amici loro, sfruttando la radicalità proletaria per riscuotere fette di potere. E, infatti, quando tale radicalità ha perduto energia, al principio degli anni Ottanta, quei luridi hanno a loro volta perso il potere che avevano acquistato come prezzo della delazione e della resa. Balza agli occhi la somiglianza fra le dichiarazioni di Berlinguer che prospettava di occupare Mirafiori, nel 1980, ad accordo già firmato, e la dichiarazione di guerra di - si parva licet - Casarini, che aveva già concordato lo sfondamento simbolico della Zona Rossa, che - si diceva - avrebbe fatto contenti tutti.

Ma la parte cattiva che scatena la lotta era lì, e Casarini deve scordarsi la carriera dei Berlinguer e cercarsi un ruolo come vice-gabibbo.

Sulla Lista Libertari troviamo: «Genova non ha fatto che sancire una cosa che già si sapeva: la diversità, l'alterità, l'estraneità fra un movimento con dirigenti e divise (benché dismesse) e una moltitudine di individui; fra chi dichiara guerra e vuole rappresentare lo scontro simbolicamente e chi pratica l'azione diretta, assumendosene le conseguenze, nella concretezza del presente; fra chi fa politica nella prospettiva della carriera, sulle spalle del militantismo, e chi tenta di realizzare immediatamente. Con la possibilità anche di sovrapposizione fra le due categorie, evidentemente temporanea, perché l'azione libera è pedagogica.»

Se passa il suo tempo ad indicarci ai poliziotti o a cercare di darci bastonate o di convertirci alla religione di Cristo, sì che é difficile. C'è un limite a ciò che ciascuno può percepire come"noi". In una parola, non sono ipotizzabili soggetti sufficientemente estesi perché la parola "noi" possa comprendere loro e chiunque abbia passione per la sovversione e rispetto per sé stesso.

In realtà la questione é più sottile, perlomeno negli intenti di Ilona che sotto la tuta non avrà niente, ma fra le orecchie sì. E' in gioco tutta un'analisi della realtà e dell'azione politica, dell'uso del deturnamento, della possibilità di una rivoluzione. E forse é in gioco anche un braccio di ferro sul piano personale. Ci sono pensatori che hanno veduto nel movimento delle tute bianche la realizzazione di un sogno, una sorta di blissettismo di massa, di antirappresentazione, di irruzione del simbolico, del gestuale, anche del teatrale, nella lotta sociale. Che dello zapatismo hanno colto una conferma alla loro idea di un movimento fatto essenzialmente di comunicazione, che utilizza l'astrazione mortifera della società contro di essa, attraverso una regia collettiva, ma anche - nell'ombra ma non del tutto - pilotata. A questa visione faceva comodo avere di fronte solo l'etica brusca dei kamikaze con il loro rotear di bicipiti contro tutto l'universo, per potersi porre agli antipodi, nell'ineffabile e nello squisito e nello spiazzante. Ora si é scoperto che, dietro i bicipiti e la nostalgia, ci sono altri modi di percepire il presente e il futuro, dove poco o punto spazio troverebbero artisti e avanguardisti e intellettuali e militanti: e che questi modi articolano delle relazioni fra persone, pensano modi di uscire dall'isolamento e dalla solitudine, i veri problemi della povera triste Ilona, con le sue nudità senza mistero e senza verità. Lo sconfortato fastidio della Tutanuda - tutacalda, deriva da questo: che anche solo affermare che vivere un'altra vita é possibile, dissuade sempre più in fretta dall'accontentarsi di mimare l'antagonismo nei giorni delle scadenze comandate; e di contemplare lucidamente il declino dalla plancia della propria intelligenza solitaria e negletta.