mercoledì 26 ottobre 2011

Da Genova, destinazione Nuovo Mondo 11) - P. Ranieri


MOVIMENTO e ASSEMBLEE

(L’ultima internazionale è già passata)

…per un periodo ancora indeterminato la storia verrà fatta dalla potenza delle polizie e dalla potenza del danaro, contro l'interesse dei popoli e la verità dell'uomo. Ma forse proprio per questo è consentita la speranza. Visto che non viviamo più i tempi della rivoluzione, impariamo almeno a vivere i tempi della rivolta, saper dire no, sforzarsi, ciascuno nel posto che occupa, di creare quei valori vitali senza i quali non potrà esserci alcun rinnovamento, conservare ciò che vale dell'essere, preparare quanto merita di esistere, provare a essere felici affinché il sapore terribile della giustizia ne risulti addolcito, ecco alcune buone ragioni di rinnovamento e di speranza...

...sappiamo che la nostra società si fonda sulla menzogna. ma la tragedia della nostra generazione è di aver visto una nuova menzogna sovrapporsi
all'antica, sotto le false insegne della speranza.

quanto meno nulla ci costringe più a chiamare salvatori i tiranni e a giustificare l'uccisione del bambino con la salvezza dell'uomo.

così ci rifiuteremo di credere che la giustizia possa esigere la soppressione della libertà, anche solo a titolo provvisorio...

Albert Camus

"Credo sinceramente che a livello mondiale i nostri "no" si sommino semplicemente con tutti gli altri che provengono dal resto del pianeta, mentre i "sì" debbano ancora essere individuati. Intuiamo per esempio che in Brasile ci siano dei "sì" in fase di costruzione, come nella nostra Selva Lacandona ci siano affermazioni che si stanno concretizzando e che lo stesso stia accadendo in Europa. Non crediamo però che tutti questi "sì" possano articolarsi in un unico corpo mondiale. Anzi, non consideriamo questa eventualità auspicabile. Non crediamo, insomma, che alla globalizzazione si debba opporre una nuova "internazionale"."

Sub-comandante Marcos

... I movimenti di liberazione nazionale, "sessuale", delle donne, dei bottegai, degli usurai, degli omosessuali, degli studenti, dei preti, delle minoranze etniche, dei "minorati", dei drogati, dei "volontari", degli operai, dei bambini, degli animali, degli impiegati e delle piante "verdi", tutto sommato corporativi e produttori di ideologie della separatezza, pongono dispersione e ostacolo alla ricerca faticosa della conquista o della riconquista della totalità...]

Giorgio Cesarano

"noi decidiamo come nessuna organizzazione è in grado di decidere"

Io sono un BB, pag 59

Con quale tecnica avevano raccolto la voce che portavano? come si organizzano le assemblee, come vengono presentate le questioni? si discute tutti insieme o per gruppi? chi ha titolo di partecipare e decidere? donne, uomini, bambini discutono insieme o distinti? si vota? se non si vota qual è il criterio per stabilire che si é pervenuti alla decisione? che cosa si é fatto perché non siano assemblee ideologiche tenute insieme da un nucleo di idee concordi, da un'adesione a un programma? sono assemblee territoriali, che pensano di decidere una linea di condotta per il territorio in cui operano? e se sì, da quale argomento deducono di avere rappresentatività per il territorio stesso (pensiamo agli esempi deplorevoli nel Veneto, ma anche a Roma e in Liguria, dove è accaduto che dei personaggi pretendevano che si obbedisse ai Disobbedienti, che fa pure ridere). Visto che parlate degli zapatisti, saprete la cura che questi mettono nella costruzione delle decisioni consensuali.

Maggioranza e minoranza, sono concetti totalmente interni all'universo democratico, fondato sull'idea che debba essere il popolo a decidere collettivamente, e che gli individui debbano adattarsi a tale decisione, che hanno contribuito a prendere in quanto “naturalmente”, “oggettivamente”, membri della società. Se un naturalista descrive leoni o ghepardi non dice che la maggioranza...mentre invece la minoranza...dice che alcuni, più numerosi, mentre gli altri...Questo perché nessuno ipotizza una decisione collettiva fra quegli animali fortunati.

l'autonomia del proletariato non esiste se non nella distruzione della società, nella rivoluzione che - spezzando ogni legge e ogni catena - consente il libero darsi leggi proprie (questa é l'autonomia). Processo che è insieme di composizione e di scomposizione, e che ciascun individuo può compiere unicamente da sé, non solo senza direzioni, ma contro ogni possibile tentativo di dirigerlo

generico e opportunista, tale da favorire l'adesione di "cani e porci"??? certo, ma il fine é quello, così da poter dire che siamo tanti, forti, fighissimi. Si ripropone l'urgenza di liberarsi di tutte le sigle, tutti partiti, tutti i sindacati. Un movimento fatto di mille sigle, non ha mille volti, ha un'unica faccia da pirla clonata mille volte.

Quei giorni hanno visto sfilare insieme chi afferma «il proletariato non ha nazione, internazionalismo, rivoluzione» sostenendo una »globalizzazione dei diritti», e chi sventola le bandiere dei popoli dimenticati, dei particolarismi, dei mille «rami secchi» della storia, chi rivendica un luddismo integrale, e chi, come alcuni cattolici, (gli «infiltrati del papa» come li ha definiti qualcuno) combatte il «neoliberismo» perché «troppo libertario», poco attento ai valori della famiglia, della sacralità della vita.

E mille, mille altri, perché, questo possiamo ben affermarlo, mai un movimento nella storia era è stato così molteplice. In certo qual modo, ogni individuo che lo attraversa appare portatore di un punto di vista unico e incommensurabile (rende così «inautentici» e così inattuali obsoleti i militanti dei partiti e dei sindacati che si sforzano sempre più stancamente di imporre le regole della propria unità, delle alleanze, delle egemonie, finendo per arrivare sempre in ritardo e, come a Genova, inseguire gli autobus del ritorno).

Né, tantomeno, appare casuale l’estinzione accelerata dei leader, già ora ridotti ad effimere vedette, inventate per spiegare al movimento le sue idee senza fargliele capire: i Bové e le Naomi Klein, e ancor più gli Agnoletto e i Casarini, appaiono più che altro come tentativi a metà fra il mediatico e il poliziesco di «dare un volto» e alle donne e agli uomini senza volto di un movimento che principia – in tutte le sue componenti, anche le più radicate nei modi tradizionali della politica – a prendere coscienza che abolizione del potere separato e affermazione del potere di ciascuno sulla propria vita, costituiscono un unico processo. In cui ciascuno comincia a riservare a tutti, noti e ignoti, connazionali o stranieri, lo stesso rispetto ma anche la stessa bonaria ironia. E si può cominciare a credere che sia davvero possibile fare la storia senza martiri e senza eroi

La forza del movimento potrebbe risiedere proprio in questa dimensione plurale e alla condizione che ciascuno di questi soggetti trovi, assai più di ora, la capacità di guardare con curiosa simpatia e con disincantata premura sia il percorso altrui sia il proprio. Senza ricercare unificazioni impossibili, ma senza disperdersi in anatemi o in affermazioni di identità.

necessario che i proletari (vale a dire nelle moderne condizioni di sfruttamento tutti coloro che pensano di non poter trovare posto in questo mondo) incomincino a parlare liberamente della loro esistenza e dei modi di porvi rimedio. E che perciò occorre che si fondino luoghi pubblici a ciò intesi, consulte, circoli, consigli, centri sociali, comuni; e che tali luoghi si ingegnino di mettersi fra loro in relazione sul piano planetario; e che intorno a queste relazioni si studino modi di vivere non secondo i ritmi del capitale, quindi dismettendo la proprietà, puntando alla riduzione del lavoro, al deperimento della scuola, al disseccamento delle superstizioni religiose e politiche. Cercando di ideare luoghi ospitali, dove nessuno sia straniero. Iniziando a praticare da subito i nostri desideri. Tutto questo in un'ottica non legale né illegale ma antilegale, puntando cioè a rifiutare le regole esistenti e vivendo secondo criteri propri. Cercando di non forzare lo scontro con i pubblici poteri ma nella consapevolezza che nella prospettiva tale scontro è inevitabile, e preparandosi ad affrontarlo. In questo senso mi pare interessante (vista dall'esterno perché non ne ho diretta esperienza) la pratica degli squatters e più in generale di tutti coloro i quali cercano di praticare il comunismo da subito, per quanto ciò sia possibile. Vi pare poco? Anche a me; ma sta a noi far sì che sia di più, inventando nuove possibilità e nuovi incontri coinvolgendo persone e situazioni. Io credo che l'unica chance di una nuova civiltà sia di riuscire più attraente di ciò che c'é. Milioni di proletari si sono battuti per il comunismo: hanno smesso di farlo quando hanno scoperto che il futuro che gli veniva offerto (lavoro bestiale-case di merda-inquinamento-consumi insufficienti in cambio di non finire in Siberia) somigliava al presente (lavoro bestiale-case di merda-inquinamento-consumi sovrabbondanti di merci senza valore in cambio di illusioni per deficienti mentali), quando hanno scoperto che nelle patrie del comunismo di comunisti non ne esistevano più (infatti, quelli che oggi in Russia si definiscono così sono più che altro degli imperialisti nostalgici e frustrati).

parto da una concezione tragica dell'agire che vede l'uomo intrappolato nella parola ineffettuale, nell'azione servile, nell'opinione. C'è però la possibilità di rovesciamento di ciò, di riconoscimento delle molteplici anarchie realizzate che siamo e ci portiamo dietro.

From: Claudio

argomenti come quelli che, già prima di Genova, spingevano gli anarchici buoni di A – Rivista Anarchica ad accusare i Black Blocs di pensarsi essere dei "guerrieri" e di portare avanti una modalità di lotta nociva "perché militarizza il movimento, perché concentra l'attenzione sull'azione violenta riducendo il significato della conflittualità, perché si presta a favorire un eroismo di piazza e una cultura dell'atto saltuario, raccontabile, letterario".

proclamando disinvoltamente che la loro violenza non ha nulla a che spartire con «oltre un secolo di storia del movimento anarchico organizzato». qui si nota come l’obiettivo non sia più neppure la violenza, ma proprio un’azione che non sia pura e semplice militanza, con coerenza meritevole di miglior causa, si propone una lotta noiosa per realizzare una società mediocre.

Viviamo il presente con un giorno d'anticipo, perché ci siamo stancati d'inseguire il futuro.

marku

Un movimento é il risultato del muoversi autonomo di un sacco di persone che si muovono indipendentemente liberamente autonomamente. Noi possiamo, con molta modestia, segnalare, mettere in collegamento, contaminare, sottolineare, rammentare, mettere in guardia; e possiamo muoverci, al pari di tutti, alla pari con tutti.

Per continuare a fare la rivoluzione (perché abbiamo già incominciato, anche se siamo un po' in ritardo rispetto alla tabella delle nostre passioni) occorre dialogare sempre più e sempre meglio con tutti gli esseri viventi. Ora molti di loro votano Berlusconi o Rutelli o Bush o Gore o Nader (perché si tratta di un movimento mondiale e ogni tanto ce ne scordiamo), o stanno nel Forum o nel foro del culo o magari vestono questa o quella divisa, o pregano l'impestato signore o baciano il culo di Satana, se ne fanno di cazzate in questo mondo!!! Così é la gente con cui occorre parlare e che occorre ascoltare. Ma sulle cento e cento associazioni e i partiti e i movimenti indipendentisti e le religioni e le sette e il resto del bazar, io cago dal più alto dei cieli. Io sono un uomo e parlo con donne, con uomini, con bambini e bambine. A volte - di rado - con qualche animale. Ma fuori da ogni divisa e ogni bandiera. Del Social Forum me ne sbatto i coglioni. Dei duecentomila che erano con me e degli altri milioni e miliardi come me che cercano di vivere dribblando merci e ideologie, no. Ognuno dei nostri contemporanei, potrebbe essere un nostro compagno, e insieme con noi demolire le prigioni della terra e del cielo: a tutti loro parlo e parlerò. E ascolterò. anche.

Non mi interessa un progetto da eseguire, mi interessa una vita che trasforma l'esistente e crea il proprio mondo e il proprio senso a mano a mano che procede

Professor Chomsky, chi sono i nuovi ribelli che assedieranno Genova?

«Non sono nuovi, sono vecchi, nel senso che sono quelli di sempre.

Rappresentano la maggioranza della popolazione e sono una componente storica di qualsiasi società. La protesta popolare torna a farsi sentire ogni volta che si attraversa un pesante periodo di oppressione sociale, com'è accaduto dagli anni Settanta in poi. Li considero ribelli nell'accezione scritta da Tom Paine, duecento anni fa: persone che recuperano diritti naturali nell'interesse dell'umanità».

riporta il solito teorema. La realtà é insopportabile, chi reagisce più violentemente é quello che la sopporta di meno e perciò é moralmente superiore: ciò gli dà il diritto non solo di insultare gli altri (che, in effetti, é un diritto che tutti hanno) ma di pretendere di guidarli e, in prospettiva, di comandarli, perché la loro cosiddetta moderazione é in realtà irresolutezza determinata da insufficiente coscienza. Questa coscienza, voilà, eccola pronta "dall'esterno" come scriveva Lenin. è la solita solfa bolscevica come conferma l'allusione allo squallido baffone, terrore dei fascisti, terrore dei padroni (e, diciamolo! anche di tutti gli altri, esclusi i suoi sbirri ). Resa più ridicola dopo un secolo di infaticabile affossamento del comunismo da parte dei suoi autoproclamati leader.

Se la censura e la legge sono insopportabili, l'autocensura e l'autodisciplina non sono migliori (per certi aspetti anzi peggiori): adesso per fare quello che si vuole (che comprende tirare sassi, bulloni, ma in via di principio anche molotov e proiettili) si dovrebbe fare che cosa? un sondaggio per valutare se TUTTI i presenti ( o é sufficiente la maggioranza, ma vi rendete conto di che ginepraio di cazzate fiorisce su queste basi?) sono d'accordo? Ovvero, giacché questo non é possibile, evitare le forzature, evitare le fughe in avanti (guarda che bel vocabolario sindacale mi viene alla tastiera...), appiattirsi sul sentimento comune che é, necessariamente, il più moderato? Il fatto che - facendo casino - non si é comunque conquistata la zona rossa non é di per sé un argomento serio: non si può valutare una condotta unicamente sulla base del risultato. E' il concetto stesso di manifestazione che occorre ripensare: nel remoto 1968 le persone si interrogavano in anticipo "che cosa ne pensi? Ci sarà casino?" e se la risposta era affermativa certuni di conseguenza andavano, gli altri no. A quanto sembra siamo ancora al medesimo punto: allegria! La manifestazione é una rappresentazione della propria forza: in questo senso gioverebbe astenersi perché dietro le manifestazioni degli ultimi anni di forza se ne scorge poca e il patetico avanza. Oppure la manifestazione é un contenitore per azioni precise (saccheggiare e devastare, in altra maniera sabotare, etc)di individui e piccoli gruppi: in tal senso conviene l'efficacia, scontrarsi con la polizia e pigliarle manda una volta di più un messaggio patetico. Rilancio qui il concetto di "azione esemplare": di azione cioè che di per sé consegue un risultato che si desidera ottenere ma che per il momento scelto, le modalità e così via é capace di diffondere anche una tesi che si reputa importante e che é atta ad essere ripresa altrove, da altri. Molta parte del movimento degli scorsi decenni si é sviluppato grazie a questo metodo: la polizia serba deporta i kossovari? la nostra polizia deporta gli extracomunitari e quindi: dagli a Corso Brunelleschi COME RISPOSTA ALLA GUERRA. L'esercito Nato devasta la Jugoslavia? Diserzione e quindi attivazione di canali perché chi voglia dismettere l'odiosa divisa possa avere un futuro migliore e più dignitoso. Eccetera eccetera, creando con i fatti un'escalation del ragionamento che metta in luce i fili che legano il governo D'Alema servo della Nato con Il governo D'Alema amico della Confindustria e del giubileo, il sindacato muto di fronte alla guerra con il sindacato che vuole estromettere dalle aziende i rappresentanti dei lavoratori, il Clinton bombardiere con il Clinton fautore della pena di morte. Non mimare quindi per le strade uno scontro che non c'è o, se c'é, è a livelli molto differenti, ma praticare nella vita reale, sui posti di lavoro, nelle scuole, nelle famiglie, nei consumi, sovversione generalizzata. Da soli, se non si trovassero accoliti (ma se ne trovano, se ne trovano...). In piccolo, se questa é la misura reale delle nostre possibilità dirette. Altrimenti ci limitiamo a contrapporre due militanze, una diretta dall'esterno, l'altra liberamente scelta, ma entrambe destinate alla sconfitta individuale e collettiva

un'assemblea non conviene sia di massa, perché la massa stessa sposta e appiattisce i termini e rende le parole imprevedibili incomprensibili e comprensibili solo le parole previste (leggi: slogan)

Più in genere la manifestazione é l'opposto di un'assemblea, giacché, per sua natura, dice cose già pensate, discusse e decise, e le MANIFESTA (se preferisci chiamarla dimostrazione, le DIMOSTRA). In effetti, dentro le manifestazioni a fatica si parla e mai si discute, anche perché la situazione in cui ci si pone sarebbe totalmente impropria. In realtà ci si MANIFESTA appunto, ci si dice cioè a vicenda e si dice al mondo che esistiamo noi con queste caratteristiche. L'assemblea, appunto, dovrebbe precedere, ed essere il luogo in cui il NOI prende forma.

In questo senso potrebbe apparire ragionevole l'iter di Genova, ripetuto e poi amplificato l’anno successivo a Firenze: assemblee tematiche, documenti, assemblea plenaria, manifestazione finale. (in genere le manifestazioni, si pensi alla porcheria dei vili cgiellini, sono anche peggio, nel senso che non si fa nemmeno il gesto dell'assemblea preliminare), Innanzi tutto, però, sarebbe sensato che la manifestazione - che è una sorta di festa della mietitura - fosse un optional, venisse a festeggiare, cioè, solo DOPO la verifica che la mietitura c'é stata (mentre

qui, come sempre nella politica che tende all'istituzione spettacolare, la mietitura é percepita come garantita dal fatto stesso che c'é stata la discussione).

Ma, e qui si viene al punto davvero dolente dello specifico,cioè il social forum, l'assemblea che avrebbe dovuto realizzare ciò che era opportuno manifestare Perché in realtà nemmeno il social forum é stata un'assemblea, per questi motivi (e forse per altri che mi sfuggono)

1) non solo gli specialisti non erano assenti, tantomeno erano stati estromessi e cacciati - come é essenziale fare se si vuole che un'assemblea non sia una conferenza, una tavola rotonda, un dibattito - ma addirittura monopolizzavano i dibattiti, tutti costituiti intorno a palchi, su cui erano piazzati saldamente noti rottami di tutte le ideologie che si scambiavano il loro pensiero inessenziale, essudato di tutte le disfatte

2) ogni questione (i migranti, l'acqua, la guerra, l'inquinamento, l'andropausa) era avanzata accoppiata con la sua soluzione premasticata (la Tobin tax, il preservativo, il bilancio partecipato, la remissione del debito, il ruolo dell'Onu), ciascuna delle quali aveva la propria specifica claque, debitamente lottizzata)

3) non solo le decisioni delle assemblee non sono state esecutive, ma nemmeno hanno esaminato la possibilità di esserlo: fin da principio si è considerato che il prodotto naturale del forum fossero dei documenti, che illustravano programmi l'esecuzione dei quali era demandata ad autorità estranee e addirittura dichiaratamente ostili

Quindi nemmeno i social forum sono stati davvero assemblee: sono stati un incontro internazionale di un gran numero di movimenti, partiti e sindacati che hanno confrontato idee e programmi, dandosi delle indicazioni per la loro attività futura. A questo incontro di specialisti, funzionari, dirigenti,ì militanti aspiranti alla promozione, hanno ASSISTITO un buon numero di persone che non potevano, non dovevano e, in sostanza, nemmeno volevano incidere. In nessun momento il risultato delle discussioni é risultato sorprendente, mai le decisioni finali si sono discostate di un millimetro dagli assunti iniziali: i documenti finali saranno tutti tali e quali quelli che potevano essere stati, e forse sono stati, scritti PRIMA dei dibattiti. In questo senso i social forum non somigliano a un parlamento ma al congresso di un partito o di un sindacato del socialismo reale. Positivo, rispetto al passato, é, diciamolo, il declino ormai inarrestabile del culto della personalità, e questo crea negli animi bennati, pure qualche trepida speranza.

Perché se da un lato i candidati sono evidentemente al di sotto di ogni appetibilità, si può ugualmente considerare che solo soggetti mediocri hanno la pretesa di cavalcare il movimento, illusi dalla loro stessa modesta levatura.

Ma un'assemblea é un'altra cosa: un'assemblea é quella che possono fare gli operai di termini o di Arese se occupassero la fabbrica e decidessero, cacciati funzionari del sindacato e dei partiti, che cosa fare di lì in avanti. E poi lo facessero: a quel punto, ad assemblea conclusa, a decisioni prese e in via d'esecuzione da parte di ciascuno, sarebbe perfettamente adeguata una manifestazione che festeggiasse i risultati e insieme li comunicasse al mondo. In quell'ambito potrei pure trovare meno fesse le bandiere, gli inni, gli slogan, i saltarelli, i mimi, i trampoli, i mangiafuoco, i girotondi, le corsette e tutti gli altri riti plebei e triviali cui gli individui si sottomettono quando si radunano in folle. Ci tengo a distinguere: io ho il più profondo disprezzo personale per ogni tipo di festa, che percepisco regolarmente come un esorcismo del funerale, il re di tutti i riti; per cui a me, come gusti miei, ogni manifestazione fa cagare, e la sopporto solo come diversivo per compiere atti di violenza e altri eccessi, qualora questi mi paiano opportuni. Le bandiere che sventolano mi ispirano disgusto qualsiasi sia il loro colore, e tutti gli inni mi rimandano alla loro origine prima, la sozza chiesa.

Ma mi rendo conto che altri vedono sentono cose differenti (c'é gente cui piace ballare, altri no - siamo nell'ambito dei gusti personali); anche queste persone dovrebbero vedere come la manifestazione non può essere il luogo della parola e del suo confronto ma solo della sua celebrazione; e che, nello specifico, la manifestazione di Firenze é stata la celebrazione di una parola pronunciata da altri, cui molti (fra cui una pletora di cammellati del pattume dei partiti di sinistra e dei sindacati ingobbiti dalla viltà) si sono prestati a portare il proprio osanna. In questo senso non é questione di violenza maggiore o minore: in una situazione come Firenze godersi le gioie del vandalismo sarebbe stato tanto inopportuno quanto necessario era stato a Genova . Ma di autonomia: Firenze segna la nascita europea di una sinistra internazionale già in moto a Porto Alegre, che intende fare precisamente quel che dice: governare la globalizzazione nel senso dei diritti. Per questa sinistra, di cui il quadro politico aveva assoluta necessità, saremo presto chiamati a votare e militare.

L'Internazionale della Speranza, che aveva suggerito Marcos nel 1995, va prendendo forma in Internazionale dei Diritti.

Milioni e forse miliardi di persone appaiono disponibili a portare a questo discorso il proprio contributo. E pure con qualche possibilità di un esito non del tutto fallimentare. Ma il decidere direttamente del proprio destino, il fare la storia, non c'entrano niente: nel film della politica, dopo che i Biechi Blu hanno impazzato per un bel pezzo, ecco che si affacciano i buoni, Chomsky come Obiwhan Kenobi, Agnoletto come ET, Bové come Obelix, i 99 Posse come Assurancetourix, Lula come Macunaima...

Il nostro posto rimane comunque saldamente in sala a guardare lo spettacolo, salvo poi uscire e metterci i trampoli, la maschera, una golata di benzina in fiamme in bocca, le braccia levate a sventolare una qualsiasi bandiera, il culo rigorosamente inchiavardato nelle mutande. A Firenze hanno sfilato dei tifosi - tifosi di un mondo un po' meno ingiusto, magari, ma tuttavia tifosi. La squadra che va in campo, se infine ci andrà, non sono quelli che hanno marciato ad averla scelta, ad averla espressa. Ne sono stati, se mai, scelti ed espressi. La manifestazione - e tutta la vicenda del social forum europeo e del suo successo indiscutibile - é stata solo una tappa del cammino della passività pervasiva, la stessa che ci sposta sui luoghi del lavoro, del consumo, del divertimento. Centinaia di migliaia di persone hanno comprato la merce "globalizzazione dei diritti" al posto della merce "libero mercato", e hanno festeggiato per le vie di uno dei centri commerciali più quotati del pianeta, la loro assunzione in un nuovo cielo della merce ideologica. Ma l'amor che muove il sole e l'altre stelle, rimane sempre il Geova della merce.

Il social forum é un'assemblea, né più né meno di quant'è un'assemblea, una riunione di Mutilevel marketing - e d'altronde gli Umanisti non hanno già da un pezzo fuso le due istanze?

Se qualcuno si chiede che cosa mai sia, come sia mai fatto, come possa mai apparire, questo proletariato assoluto, questo proletariato soggettivo di cui da tanto tempo si va parlando, guardi i mille e mille convenuti a Genova nel luglio del 2001: quello è il proletariato soggettivo. Non militanti della medesima ideologia, non partecipi della medesima condizione sociale, ma uniti solo dalla passione di cambiare il mondo, ciascuno secondo le proprie passioni, tutti insieme, parlandosi, guardandosi e riconoscendosi gli uni con gli altri

Alla fine, tutte le insufficienze del movimento rivoluzionario moderno, quello che si annuncia nel maggio 1968, risalgono, sia dal punto di vista teorico, sia dal punto di vista pratico, all’insufficiente percezione dell’estraneità dei proletari rispetto al mondo che essi stessi hanno costruito per esserne gli inquilini, se non piuttosto i prigionieri. Il fatto di essere rimasti gli ultimi abitatori del mondo – sostituita la borghesia da risibili figuranti salariati che ne recitano i fasti sul palcoscenico delle trasmissioni televisive del pomeriggio, una borghesia ormai altrettanto incredibile che il Gotha dei regnanti e degli spazzolatori di buffet -, di essere coloro che lo hanno ridotto come è, costringe a un perpetuo sforzo per guardare l’esistente, come una possibilità, e non come una perpetua essenza.

E’ da tempo che si usa dire che la definizione appropriata di comunismo è “un mondo senza galere: occorre aggiungere e precisare che distruggere le galere non basta (e infatti nessuno stato vi si è mai accinto, neppure per sbaglio) ma occorre, contestualmente, instaurare la libertà. Rifutare cioè l’idea che la libertà sia il luogo in cui lo stato non ti vessa più in uno dei mille modi che conosciamo, e si può infine “pensare ciascuno ai cazzi propri”. In cui la libertà sia percepita come pace, riposo, mancanza di fatica e di impegno, fine della storia, oblio., licenza di perseguire senza ostacoli i propri interessi privati

Il mondo attuale nasce dal connubio mostruoso fra due diverse, e per certi aspetti, davvero opposte tendenze all’annichilimento della vita umana, il capitalismo e il socialismo. Come notava icasticamente Debord, nel primo era la merce a dominare, nel secondo la polizia. Oggi che il processo di fusione fra questi due processi può dirsi compiuto in tutto il mondo (ed è per questo che il vocabolo “globalizzazione”, pur generico e parziale, corrisponde tuttavia a un dato reale, l’estensione planetaria dell’alienazione e dello spossessamento), la sicurezza è divenuta la merce di punta, dopo i fucili, le auto, i computer, del mercato mondiale. Ogni volta che andiamo a comprare, compriamo “pubblica sicurezza”, se vorrete perdonarci il facile calembour.

Il modello delle repubbliche, ridotto all’essenziale, riporta sempre all’equivoco totalitario della Repubblica platonica. A parole sottoposta al governo dei filosofi, nella sostanza sottoposta al governo di esecutori obbedienti di una filosofia già scritta, una volta per tutte. In questo senso la repubblica, e molto chiaramente lo denuncia Hannah Arendt parlando degli stati Uniti, è il lavoro morto della libertà: ne è il prodotto, ma insieme la pietra tombale. I filosofi, individuata una volta per tutte la libertà, la consolidano, la rendono durevole , la lasciano in eredità. Ce n’è stata di libertà, ma oggi non ne abbiamo più bisogno. La questione dell’istituzione rimane perciò sospesa a questa aporia; da un lato l’insufficienza di una libertà unicamente negativa, di un vuoto passivo delle istituzioni, di una libertà dalle isituzioni; dall’altra la natura inesorabilmente fossile delle istituzioni in quanto costruzione obiettiva. Il giudizio del passato, consolidato nel codice, ritorna di fronte alla comunità che lo aveva prodotto, da nemico. In nessun luogo come nell’ambito della legge, il passato domina il presente: con la crescente tendenza a passare da una giustizia retributiva a una giustizia preventiva, esso ambisce a colonizzare il futuro. La legge diviene così una relazione fra gli individui, mediata dal potere separato, diventa la reificazione del giudizio, tanto degli individui, quanto della comunità in cui essa pretende di operare. Attraverso la legge i morti mantengono una tirannia sinistra sui viventi, le anime sui corpi, le ideologie sui liberi giudizi. Il giudice è bensì l’officiante di questo macabro rito, ma – come nel matrimonio cattolico – sono i cittadini stessi con la loro vita a costituire la materia di cui esso si nutre.

Autonomo è chi obbedisca unicamente alle leggi promananti da lui stesso, chi agisce secondo criteri che gli vengono da sé stesso. L’autonomia è perciò il motore della libertà. Quanto questa è negativa, è libertà dalle costrizioni, consiste nel vivere sciolti da ogni costrizione umana, tanto l’autonomia è libertà attiva, capace di costruire i propri strumenti.

Libero è chi vive secondo la propria legge; tanti sono gli individui, quindi, altrettante le leggi possibili, cui ciascuno liberamente conforma le proprie scelte e i propri giudizi.

Oggetto della rivoluzione quindi non può essere unicamente la liberazione dalle costrizioni, la fine dell’oppressione, ma l’istituzione della libertà, la pratica dell’autonomia.

Qui si entra in una questione di grande difficoltà, giacché l’istituzione difende bensì dal vento dell’oblio, quello che permette alle conquiste umane di dissolversi e rischia perennemente di condannare all’eterno ritorno (un esempio attuale è quello del cosiddetto revisionismo che, insieme a varie scoperte importanti, introduce la sensazione inquietante che i fatti, allorché ce ne separi un sufficiente lasso di tempo, si convertano in opinioni), ma reifica e solidifica una particolare memoria, assunta una volte per tutte per vera. La durevolezza dell’istituzione, se salva dalla vanità quotidiana, dall’assenza di storia, condanna però a periodiche rivoluzioni allorché la forza propulsiva della liberazione originaria abbia perso la propria spinta a fronte della rigidezza dell’istituzione stessa. L’istituzione positiva, che converte i giudizi che gli individui danno sul proprio tempo in legge, destinata a far valere i medesimi giudizi sull’epoca a venire, non fa che dilazionare l’instabilità e l’oblio, imbalsamando un momento, con i medesimi fini e la medesima coreografia dell’odiosa salma di Lenin al centro dell’impero socialista e antisovietico. La legge è la mummia del giudizio, altrettanto macabra, inutile, ingombrante, oppressiva e menagramo di ogni altra mummia.

Un concetto e una pratica che meriterebbe cercare di prendere a prestito, al riguardo, è quello di istituzione negativa. Nel Copyleft, concetto antigiuridico nato nell’ambito delle esperienze, soprattutto nordamericane del free software, si presuppone che l’uso di una creazione dell’ingegno sia libero e gratuito, purché ciò avvenga alle medesime condizioni di libertà e gratuità. Il proprietario si afferma come tale per imporla non appropriabilità dell’oggetto da parte di alcuno. Poiché sono proprietario, dichiaro la fine della proprietà.

Ugualmente conviene che una rivoluzione si ponga il problema di dare vita e corpo ad anti-istituzioni analoghe, fondate sul fatto che, essendoci riuniti col potere di dar vita a delle leggi durevoli, noi proclamiamo per il futuro che nessuna legge potrà mai essere durevole e che ogni volta con libero patto i convenuti potranno e dovranno ricostruire da zero la giustizia, proprio per rispettare la legge.

Alla vigilia della manifestazione, quindi, la scena napoletana mostrava due facce: da una parte un movimento spontaneo di ragazzi e ragazze che avevano voglia di mettersi insieme, di mostrarsi e di manifestare, avendo i più fra questi idee non molto chiare riguardo alla globalizzazione - d'altronde non è facile farsi un'idea precisa! -; dall'altra i gruppi politici dalla militanza storica che hanno saputo organizzare con mesi d'anticipo l'antiglobal. Un antiglobal che probabilmente non ci sarebbe mai stato se non fosse stato da questi preparato. Questo è sicuramente un merito che va loro riconosciuto. Ma tale riconoscimento non esclude la possibilità di avanzare più di una critica, spostando su altri piani la riflessione riguardo a un movimento che forse sta nascendo proprio in questi mesi. Il problema ci sembra essere questo: capire su quali basi e in che modo possa compattarsi un movimento. In che modo far sì che quella spontaneità dei più, forse ancora ingenua, non venga dispersa.

Perché dobbiamo ritenere che la compattezza - e non la molteplicità, la levità, l'inafferrabilità, la capillarità, e chi più ne inventa più ne metta - sia ciò che occorre a un movimento.? E garantire e preservare spontaneità, ingenuità, non potrebbe essere opera degli spontanei e degli ingenui stessi?

Nei giorni precedenti al corteo era già chiaro a tutti il ragionamento svolto da buona parte degli organizzatori: creare movimento alzando la conflittualità, riappropriandosi della strada attraverso lo scontro. Ma a cosa ha portato questo modo di pensare?

Quanto è successo sabato mattina è andato al di là di ogni immaginazione. La piazza si è trasformata subito in una vera e propria arena.

Segue una descrizione delle cariche della polizia: se ne conclude che la prossima volta occorre fare più attenzione, legnarli noi, stare altrove a fare altro. Mai più. Tenetevi forte: occorre reagire alla fascinazione della violenza. Arriva il celerino e tu gli dici: "vade retro, io resisto alla tua fascinazione", e lui repente si assesta il manganello in culo e si ritira. Credete di avere a che fare con dei tifosi di calcio, che quando le pigliano arriva il critico sportivo e spiega che "é questione di mentalità". Più sotto parlate di maestri, é Biscardi-le roux il vostro?

I più hanno subito la fascinazione di pochi per la violenza. Certo, la fascinazione dello scontro è qualcosa di sottile, che attira più che respinge: tutti siamo stati (diciamolo autocriticamente) un po' vittime di questo, ma questa è una logica che non può essere accettata. La logica dello "sfondamento" tradisce un convincimento antiquato, premoderno

messa così, parrebbe che voi questa modernità la rivendichiate, la viviate come un quid di grande, glorioso e giusto

riguardo alle relazioni sociali e politiche: che il potere risieda in determinati palazzi e non in un sistema capillare e pervasivo. Se il sistema in cui viviamo diventa sempre più complesso e inclusivo, in una parola "post-moderno",

una parola, cento coglioni - cantava Mino Reitano, o avrebbe dovuto farlo

sbriciolando e confondendo i luoghi e le manifestazioni del potere e richiedendo, da parte di chi lo critica,

questo da parte di chi lo critica - fra i quali suppongo vi annoveriate - ma invece chi, come me, lo schifa proprio? Ho già detto e stradetto che secondo me é d'intralcio inseguire le mille scadenze spettacolari degli pseudopotenti (potenti in causa e per grazia dell'impotenza nostra - più che potenti, castratori) e meglio sarebbe abolire i riti di questa falsa attualità, avviandoci verso spazi e tempi nostri. Ma se poi uno vuole andare a piazza Plebiscito vi par decente che debba esibire un pass?

una maggiore capacità di destrutturazione, il tentativo di trasformazione o, quello più limitato, di creazione di luoghi di opposizione, non può avvenire mediante la ricerca dello scontro che mutui (astoricamente) l'assalto al Palazzo d'Inverno.

Vogliamo dire una buona volta che nessun potere era racchiuso nel palazzo d'Inverno in quell'ottobre? Che lo scopo era di affermarvi il potere del partito bolscevico, impadronendosi del luogo-simbolo del potere imperiale?

In questo caso, l'arrivo a Palazzo Reale, anche qualora questo fosse andato in porto (cosa che a tutti, però, è apparsa subito improbabile) avrebbe lasciato i manifestanti con un guscio vuoto in mano: avremmo trovato davanti a noi ministri e burocrati in vacanza per pochi giorni, pronti a lasciare Napoli per altri,

tanti, luoghi in cui più concretamente e nefastamente svolgono il loro ruolo.

A parte che si sarebbe potuto suonarli come zampogne, vi pare una scoperta da poco verificare che il potere non é lì, ma in mezzo a noi, a ricuperare e a assimilare vita per farne merce e ideologia - come voi sapete benissimo, pure troppo - se ci intendiamo

Abbiamo davvero scalfito il potere ragionando in questo modo?

La logica secondo cui lo scontro, una volta scatenatosi, alza il livello della conflittualità, creando l'evento,

sono disposto a smentirmi, pure giurerei che questa frase é vostra...chi l'avrebbe detta questa cosa in questi termini?

è ipocrita e fallimentare: contro i presunti padroni del mondo non serve lo scontro di piazza, ma la creazione e il rafforzarsi di un modo di vedere le cose che possa darsi come efficacemente alternativo al pensiero dominante.

l'aveva pur detto Biscardi che é questione di mentalità!

Negli slogan della manifestazione, assolutamente privi di contenuto se non di scorie vetero-marxiste,

al pari di Marx, e forse perfino di più, non sono mai stato marxista: pure, vien da pensare che, per voi, Marx é out, andava nella passata stagione, é poco rizomatico...per dirla in poche parole non é che siete dei modernisti fracichi...forse contaminate il biscardi-pensiero con un pizzico di fratelli Vanzina - già tutto il vostro scritto uscirebbe perfetto letto con la voce di Sabrina Ferilli

niente di tutto questo. Un simile modo di pensare (ai limiti del terroristico)

che cosa significa terrorista? chi usa la violenza in politica? chi si distacca dalle masse?

lo sapete vero che un uso di questo tipo della parola "terrorista" é di stile giornalistico, oppure questurino?

che nessuna persona decente impiega vocaboli di tale natura?

e di agire (troppo inconcludente e succube di pericolose suggestioni simil-casseur, simil-guerrigliere)

perché simil-casseur? in Francia chi spacca tutto é un casseur, in Italia solo un'imitazione? quale provincialismo per gente che viene da Napoli, che da secoli si vanta di dar lezioni a Parigi....

ha prodotto solo effetti controproducenti: il prevalere della contestazione

perfino la contestazione (azione che discute, che mette in prospettiva) vi par troppo? é vero che é essa pure fuori moda, dell'altro secolo, rétro, nient'affatto rizomatica

sulla riflessione, anteponendo lo sfogo di rabbia alla proposizione razionale di una piattaforma alternativa,

ma a chi si presenterebbe una piattaforma alternativa? all'Onu? al G8? alle masse?

c'era la piattaforma alternativa per chi sa leggere "'IATEVENNE", che significa pure fate spazio, cessate d'interporvi, non occupatevi, lasciateci perdere, non ve ne incaricate. La piattaforma alternativa é sempre la stessa, da quando Spartaco poco lungi da voi, si é sollevato con tutte le sue genti: da due secoli la si riassume in "né dio né stato né servi né padroni"! volete una definizione ancora più moderna? "la ricostruzione incessante del mondo ad opera degli individui liberamente associati". Ora, é chiaro, che la devastazione di qualche cantonata di Napoli é un modesto preliminare a tale ricostruzione, ma - come dice il poeta - "parva favilla gran fiamma seconda"

il prevalere della fascinazione della violenza sul chiedersi se esiste o meno un movimento, quali possano essere le sue potenzialità e finalità, da quale parte, e attraverso quale spiraglio,

dico sempre "pecoreccio astenersi", ma stavolta é davvero dura

è davvero efficace controbattere il sistema dell'occidentalizzazione imperante. Ci si è davvero affannati a discutere del digital divide e di che cosa questo voglia significare nella creazione delle nuove gerarchie mondiali? Di quali influenze abbia sulla nuova geopolitica? Si è parlato davvero del trionfo della tecnica sulla politica, della sopraffazione dell'economia finanziaria sull'economia produttiva?

Ma soprattutto: abbiamo davvero provato a pensare quale altro mondo è possibile dato tutto questo?

Secondo voi, i mondi possibili sono una funzione dipendente del mondo esistente. Questo cambia e i mondi possibili (il sogno di un mondo...) si deve riadeguare? Perché dovremmo studiarci tutte le stronzate della modernità, se essa va polverizzata fino alle fondamenta?

Perché dovremmo affannarci sulla geopolitica? Non é per caso perché simili torture solo gente della vostra risma le sopporta e vi presentate volontari per il duro compito di condurre le masse, mediarne le pretese, metterglielo nel culo senza pomata in cambio di onori, cariche e prebende, come tanti altri vostri predecessori, anche loro così pronti al "duro lavoro" della politica?

Nei giorni che hanno preceduto la manifestazione, ciò che più ha colpito sono state la scarsezza dei contenuti e l'incapacità di riflettere anche sulle questioni più "ovvie" del post-Seattle: Tobin tax, organismi geneticamente modificati, il peso delle multinazionali, il ruolo dell'Onu, la legislazione internazionale, quale strategie di lotta, quali idee alternative, quali autori leggere, su quali maestri riflettere,

in attesa della firma digitale, ecco un esempio di firma involontaria, che denuncia in chi scrive l'assistente universitario e il leccaculo

quali esperienze riproporre...Era importante creare un evento massmediatico,

oramai da 'sti eventi del cazzo non si riesce più a liberarsi: agire é troppo per la vostra immaginazione?

e in questo ci si è riusciti bene. Ma dopo qualche giorno, chi lo ricorda? "Creare eventi" vuol dire solo prendersi i due minuti di popolarità nei tg della sera, accanto a altri eventi? È davvero alternativo creare eventi di questo tipo? E qui le responsabilità della stampa, della televisioni sono enormi. Sono venuti in massa a Napoli a cercare la violenza, lo scontro, il sangue, per poi riproporre nei giorni seguenti, la violenza bruta da una parte e dall'altra. La ricerca del sensazionale ha sicuramente contribuito a creare l'arena di Piazza Municipio, alla quale poi è stato dato un "opportuno" rilievo nazionale. Ma anche questo deve far riflettere: l'uso distorto dell'informazione è

ormai una delle armi più affinate nelle mani di chi si vorrebbe contrastare. Come perseguire allora una disobbedienza civile che sia tale, evitando la criminalizzazione televisiva?

Un poì come celarsi un fico d'india in culo in maniera indolore

Da quali comportamenti partire? Quali strategie, meno rozze, far emergere?

Più in generale, la manifestazione di Napoli, per alcuni una vittoria, per altri un fallimento, deve farci riflettere sullo stato di cose del movimento post-Seattle.

Innanzitutto deve farci riflettere sul provincialismo italiano. Del fitto dibattito internazionale sul tema "another world is possible" a noi arrivano solo le briciole, e quelle poche briciole sono intrise di un ideologismo in forte ritardo. Il contro-vertice di Porto Alegre ha indicato una svolta possibile, è stato il segnale che è possibile, anche come arcipelago di gruppi sovranazionali, andare al di là del fenomeno contestativo e mass-mediatico e proponendo idee riguardo una diversa globalizzazione, una democrazia più reale e partecipata, una giustizia sociale meno astratta. Che è possibile definire il nostro another world, pensandosi all'interno di un dialogo crescente che evita le frasi fatte. (Non tutto ovviamente a Porto Alegre è filato liscio, e la società civile globale è più un'idea regolativa che un fatto concreto, ma passi avanti sono stati fatti).

Porto Alegre ha affossato anni di movimenti internazionali, col suo codazzo di carogne istituzionali, sindaci, ministri, vescovi e ballerine di lambada: e voi lo sapete alla perfezione

Per questo riteniamo opportuno operare da subito una critica interna al nascente movimento. Se certi comportamenti verranno a sclerotizzarsi sarà il suicidio di quanto di nuovo e alternativo poteva esserci nel fiacco e omologato panorama italiano (e poi anche europeo) di questi anni. Se si pongono da subito idee nuove, un nuovo sistema di valori,

Biscardi Biscardi

che ripudi non solo il globale dominante ma anche l'antiglobale che si nutre di vecchi pregiudizi e di vecchie analisi e di vecchie forme - e questo è evidente in Italia più che altrove - si potrà costituire davvero qualcosa di nuovo.

Dovreste pubblicizzare deodoranti - si vedono antiglobalizzatori sminchiati e che all'uscita dalla caserma profumano di virile freschezza..."Maschio Angioino" contesta i cattivi odori, per un mondo nuovo nel campo della fragranza...e avanti così,

dicendoci, fra l'altro, che qui siamo nella parte ricca del mondo: e che la giustizia che si cerca non è nell'aumentare i diritti e i consumi ma nel ridurre questi ultimi e nel definire i doveri.” (NonLuoghi piattaforma)

eccola la piattaforma PENITENZIAGITE!!! E vai coi Flagellanti

Noi non siamo solidali nei confronti della miseria, bensì del vigore con cui gli uomini e le donne non la sopportano.(Gli indesiderabili)

A me (ma non a me solo) paiono due piani completamente distinti e anche abbastanza distanti. Sparare a un ladro che ti entra in caso é contemplato e
permesso dalla legge, ma non é non-violento. Bloccare, sedendosi a terra, una linea ferroviaria, é perfettamente non-violento, eppure la legge lo
sanziona, anche abbastanza pesantemente.
Ciò che scrivi, che mantenendosi all'interno delle leggi si rende più difficile l'azione di chi vuole reprimerti, é indiscutibile; ma ammetterai
che é del pari indiscutibile che, a quel punto, la necessità di reprimerti tu stesso l'hai risolta, rendendoti del tutto inoffensivo. Il presupposto di
un ragionamento come quello che proponi é che la legge sia, nell'essenziale, giusta, e che siano i suoi amministratori a tradirne la lettera e lo
spirito. Perciò, attraverso la legge stessa, tu potresti portare in contraddizione ciò che dovrebbe essere con ciò che si fa, e modificare questo sulla base di quello. Un pensiero non dissimile, ma molto più
moderato, rispetto a quello dei Radicali. Che cosa vuoi che ti dica? L'impressione é che l'ansia di non essere criminalizzati vi abbia condotti là dove nessuno era mai arrivato prima...ai confini della realtà...