Al seguito del mio commento
a un articolo di Giulietto Chiesa sui recenti scontri romani, un anonimo ha più o meno sentenziato: “…basta con i neositu del nuovo millennio che predicano la pace sociale. Analizzami sta minchia tanta”.
Replica firmata a un anonimo tra gli altri
Nella società capitalista la pace sociale è un ossimoro demenziale quanto le messe sovversive dei suoi oppositori spettacolari.
Chi può credere davvero che distruggere qualche automobile e qualche vetrina possa mandare veramente in crisi il sistema?
Marchionne si frega le mani e sogna di fare lucrare la FIAT sul rinnovamento del parco macchine del paese.
Le banche sono talmente impelagate nel debito finanziario che, mentre si danno da fare, in combutta con lo Stato, per farlo pagare ai poveri cittadini inermi, sarebbero pure capaci di spaccarsi le vetrine da sole per farsi poi lautamente rimborsare dalle assicurazioni.
I poliziotti menano per professione oltre che per sfogo di istinti brutali lungamente coltivati e i nuovi arrabbiati che odiano lo Stato senza opporgli alcuna alternativa concreta vorrebbero mostrare al popolo che i dilettanti allo sbaraglio che noi siamo stati nel’68 sono stati sostituiti da specialisti che hanno appreso la lezione e sono diventati altrettanto competitivi e professionali dei gendarmi di Stato?
La loro rabbia è anche la mia, ma i loro sfoghi mi sono estranei perché appaiono come un’espressione di quelli che un grande esperto in manipolazioni di massa com’era Stalin chiamava utili idioti.
Quest’idiozia (nel preciso senso etimologico di idiota: colui che non s‘interessa della cosa pubblica), neoconservatrice suo malgrado, non è che un ultimo prodotto dell’alienazione ideologica e lo strascico degli errori degli anni settanta, quando un estremismo nichilista, tragico e impotente ha invaso il movimento rivoluzionario di allora contribuendo pesantemente a ridurlo a un magma ideologico senza sbocchi sociali.
Si tratta di un processo reiterato che aggredisce tragicamente ogni rivoluzione, fallita, tradita o rimasta in sospeso. Non si può che superarlo se si vuole che la coscienza pratica sia foriera di un vero progetto di rivoluzione sociale.
In attesa di un’eventuale guerra civile come suo ultimo jolly, il potere arma la sua propaganda con la retorica insidiosa e repellente dei benpensanti educati nelle sacrestie a cercare dietro ogni giovanilismo estremista i cattivi maestri da criminalizzare come dei preti pedofili, mentre chi spinge i giovani nel vecchio impasse nichilista è la disperazione di una situazione intollerabile di sfruttamento e di alienazione.
La radice di ogni nichilismo è nel cinismo della società dominante.
Molti giovani arrabbiati dubitano - ne sono certo - non della necessità di rovesciare la prospettiva del mondo, ma sui modi e sui mezzi con cui riuscirci.
Bisogna piuttosto aiutare gli indignados a superare i loro limiti e le ingenuità piccolo borghesi evitando di imporre loro i diktat di qualunque ideologia guerriera. L’ora è venuta di finirla con la presunzione di avere capito tutto e di essere gli unici a voler cambiare le cose. Conscio o inconsciente che sia, ogni leninismo è un fascismo rosso, mentre una pratica libertaria della lotta reale educa alla radicalità. Una radicalità i cui maestri - storici, né buoni né cattivi - vengono da lontano (dalla Comune, da Kronstadt, da Barcellona) e riappaiono a intermittenza in ogni angolo della vita quotidiana confiscata dalla dittatura del valore di scambio. Dal Chiapas alla Val di Susa, dovunque la résistenza è espressione di un soggetto reale e di una comunità concreta, emerge l‘ipotesi della democrazia diretta come unica alternativa a tutti i soprusi, a tutte le ingiustizie, a tutti i privilegi.
Ovunque si tratta di smettere di pagare in denaro e in qualità della vita. Allo slogan vendicativo e ottusamente rancoroso a cui alcuni sembrano ancora tragicamente affezionati « pagherete caro, pagherete tutto » sarebbe bene sostituire una determinazione ben più pericolosa per il capitalismo: « non pagheremo affatto, non pagheremo più niente ».
La gratuità non ha prezzo, per questo è rivoluzionaria, mentre attardarsi su regolamenti di conti e giochi di ruoli è oggettivamente nichilista perché partecipa al nulla spettacolare.
Come farfalle attirate dalla luce bieca del feticismo della merce, i neocons partecipano, loro malgrado, al balletto con cui il capitalismo tenta di restaurare un potere che vacilla.
La crisi planetaria non è banalmente economica né puramente politica. Siamo alla crisi strutturale dell’economia politica e per « il capitale » incarnato dalla barbara èlite del sistema di sfruttamento mondiale, si tratta di ipotizzare l’eventualità del passaggio dallo spettacolo soft della democrazia parlamentare a quello hard di una dittatura esplicita sulla vita quotidiana degli spettatori consumatori. In tal caso, le varie sinistre che, come in Francia e in Italia, si preparano a ritrovare, forse, la gestione del potere, avranno lo stesso ruolo della sinistra greca incaricata di far ingoiare la pillola amara e intollerabile che FMI e compagnia brutta hanno deciso di somministrare a un intero popolo in attesa di prescrivere la stessa cura a tutti gli altri.
A questo ci si deve preparare a rispondere con un progetto radicalmente altro di società, non con un holliganismo da tifosi di calcio che ammettono talvolta spontaneamente di avere la minchia come punto di riferimento.
Sergio Ghirardi
- Caro Sergio! Bentornato ci tengo a dirti che ci sono un paio di punti che non condivido. A parte il fatto che ho riletto due volte dove con una frase un po’ contorta sembri definire par consequence utili idioti i violenti, che pure alla fine etichetti come hooligans. E visto che io mi sento un po’ ulligana nell’animo ne ho un po’ risentito. Non pensare affatto che io per questo ti voglia meno bene, è solo che non capisco del tutto. E qui arrivo al punto teorico dove secondo me abbiamo opinioni diverse: io non penso affatto che sia stato mai il nichilismo o la violenza ad affossare le rivoluzioni. E’ verissimo che le controrivoluzioni non peccano certo di mancanza di brutalità, eppure non è nemmeno che le rivoluzioni siano avvenute senza violenza. Anche quelle “buone” che elenchi tu. Forse considerando che la violenza inevitabile della propria difesa sia appunto impossibile da fermare. E io infatti penso che la violenza delle piazze delle rivolte sia proprio inevitabile laddove anche il nichilismo eventuale, come tu stesso dici, è costruito dalla società che è vera maestra di crudeltà. Se vuoi non è solo un sentimento di identificazione che mi porta ad avere paura di chi addita i violenti come nemici del popolo, (che riconosco semplicemente come mia convinzione profonda presa dai libri di avventure per ragazzi credo), ma soprattutto credo che proporre la questione delle sconfitte innumerevoli delle rivoluzioni non è giusto attribuirla alla manifestazione di rabbia e di violenza dei rivoltosi.
Semmai appunto pensiamo alla violenza dello stato, e dei servizi d’ordine.
Che poi sia da pazzi auto-convocarsi con centinaia di migliaia di persone senza mai essersi parlati tra loro, beh è un altro problema
Ti abbraccio forte, anche se, come hai visto, non sono semprissimo d’accordo del tutto con te!
Certo tra noi non siamo d'accordo su alcuni punti, ma penso essi meritino di essere corcoscritti e precisati per essere meglio visibili:
Utile idiota è chiunque di noi, volendo ottenere un risultato, opera nei fatti per il contrario. Di quest'ipotesi si tratta di discutere: Spero sia chiaro in assenza di virgolette che non si tratta di un epiteto insultante (non più di neositu nella bocca di uno spontaneista primario) ma di una considerazione strategica.
Nemmeno mi sfiora l’idea che la violenza possa essere bannata: Si tratta per me di coglierne le ambiguità e le evidenze per circoscriverla ed eliminarne gli effetti nefasti. Il mio anonimo interlocutore per esempio sembra amarla ( chissa se e come la pratica) come una panacea carica di un'autenticità al di là di ogni riflessione.
La violenza accompagna ogni atto umano come limite di questa umanità realizzata e la bestia che abita in noi va certamente ascoltata e capita ma non per questo assecondata nei suoi capricci autolesionisti. La violenza può risultare necessaria, come bruciare una prateria prima che l'incendio accerchi chi vi si trova. Spesso è inevitabile ma non per questo al di sopra della critica. Nelle rivoluzioni è presente in dosi e con effetti diversi, vuoi opposti. Partecipa del cambiamento come atto d rottura difensiva, come sabotaggio, MAI come atto costitutivo di un nuovo progetto: Gli eserciti non fanno rivoluzioni ma prendono il potere.
Mica si tratta di difendere le vetrine, ma di denunciare gli effetti della loro spaccatura:in un contesto dato. Chiomonte non è una manifestazione degli indignados e viceversa, ma credo che su questo dato non siamo lontani:
In effetti io distinguo radicalmente ogni azione fatta da una comunità reale che si riconosce in quanto tale e la guerriglia leninista che s'infiltra nel comportamento altrui pretendendo di coercirlo e determinarlo. Chi fa così si comporta da nemico e di questo va preso atto senza cadere nell'alleanza contro natura militanti-buoni/polizia. Di questo orrore/errore, tuttavia, gli strateghi autoproclamati in divisa nera, non i singoli incazzati sciolti, sono corresponsabili con i preti delle vie crucis alternative organizzate
Dove forse siamo più lontani, è nella lettura calcistica del fenomeno: Figurati se il mio animo non condivide la tua rabbia, nobile e sincera, ma non ho mai sopportato l'hooliganismo da calciatore che sono stato anche se ne capisco il processo umano. Reich, che leggevo con gli occhi ai tempi in cui facevo qualche bel gol con i piedi, mi ha insegnato a cercare di capire anche quel che va criticato, senza però amarlo.
La frustrazione e l’oscurantismo comunitarista non possono costituire la base di un superamento delle condizioni esistenti e la psicologia di massa è quella che è, in politica come nello sport e in ogni manifestazione vitale.
Su questo punto, in effetti, le nostre storie hanno talvolta preso in passato sentieri esplorativi diversi che non ci hanno impedito di riconoscere delle identità di fondo al di là delle differenze sugli spalti della vita quotidiana: Ma questo è un discorso diverso che insieme agli altri potrà eventualmente essere sviluppato con la convivialità che condividiamo e apprezziamo. Con affetto e determinazione che non manca a nessuno di noi. Su questo non ci piove.
Ciao, un abbraccio a tutti voi, sergio
*****
Le critiche sciocche sono un male in sé, ma sovente ne suscitano altri, ad esempio delle repliche fallaci: temo che questo sia per molti versi il caso.
Già la definizione di “oppositori spettacolari” attribuita ai vandali romani, non pare azzeccata, perché trasmette l’idea che costoro si opporrebbero alla società capitalista unicamente “nello spettacolo”, che vorrebbe dire nell’ambito dell’apparenza amministrata: E’ un’attempata piroetta della critica, già sentita infinite volte negli ultimi quarant’anni, per cui chi si batte sarebbe un oppositore apparente, mentre…mentre che cosa, mentre chi? Una cosa è affermare che ci sono molte scelte più opportune, più efficaci, più radicali, che abbandonarsi al piacere delle pietre e delle fiamme, affermazione che mi pare fondamentale, ma che non possiamo in alcun modo escludere sia condivisa anche da molti, se non tutti, dei devastatori di cui stiamo parlando. Certo lo è da parte di parecchi di quelli che conosciamo di persona, perché questi soggetti mica arrivano dalla Luna. Altra cosa completamente diversa è sostenere che, essendo lì quel giorno, cosa nient’affatto indispensabile (ad esempio né io né Sergio c’eravamo e nemmeno avevamo preso in esame l’ipotesi di andarci), ci fosse qualcosa di meglio da fare che punzecchiare e disperdere i simboli solo apparentemente viventi, ma tuttavia semoventi, della prepotenza statale. Tanto più che si era facilmente compreso che gli ordini impartiti erano tali da consentire parecchio respiro ai dispettosi, e conveniva profittarne: se non ora quando? Precisamente.
Né mi pare si possa parlare di “messe”, cioè di riti ricorrenti, visto che le occasioni di mettere in fuga i mascalzoni al servizio del potere, non sono davvero frequenti, non hanno quella cadenza settimanale o addirittura quotidiana cui il termine “messa” allude.
Beninteso, credo nessuno si illuda di mettere in crisi il sistema spaccando o bruciando sparsamente una domenica pomeriggio: non ho mai sentito nessuno sostenerlo, d’altro canto.
Tuttavia escluderei che Marchionne si freghi alcunché (a parte i finanziamenti pubblici): anche perché mai si sono visti risarcimenti assicurativi che compensino qualsiasi danno, tanto più che raramente i danni di questo tipo vengono coperti…Ma quand’anche fosse, non credo che si incendi e si devasti per procurare un danno economico diretto al danneggiato.
Non vedo neppure perché definire “specialisti” quelli che hanno agito validamente a Roma: solo perché le hanno date più che prese? Mi pare che si tratti di un’ottima cosa, quand’anche fosse vero che odiano lo Stato senza opporgli alcuna alternativa concreta. A parte che ciò che è male, giova combatterlo anche prima di avere individuato alternative, su quale base affermare questo? Chi spacca e brucia un pomeriggio, non è che gli altri giorni, uscito dalla scatola catodica, si tiene riposto in uno stipo, in attesa di un prossimo riot. Vive una vita sua nella quale forse sviluppa alternative e forse no. I casi due: o li si conosce o non li si conosce. Se non li si conosce, con quale autorevolezza si può sostenere che non fanno questo o quello? Se invece se ne conosce un certo numero, come è certamente il mio caso (in realtà anche di Sergio, anche se magari non ne è informato), SI SA PER CERTO, che sviluppano con i più vari strumenti un gran numero di alternative, magari modeste e abborracciate ma in ogni caso le migliori che, allo stato, sono in grado di delineare. Credo sia giudizio unanime che la sovversione oggidì, non è il processo più facile che esista, e mi pare ingeneroso pretendere che altri, magari giovani appena affacciati sulla questione, riescano d’acchito in un’impresa che vede noi ancora a metà del guado dopo cinquant’anni.
E quindi non è appropriato e neanche ammissibile definirli utili idioti: perché non sono utili a nessuno (semmai forse neppure a sé stessi) e non sono per nulla idioti, né nell’accezione triviale che è quella corrente, ma neppure in quella corretta, perché al contrario si interessano eccome della cosa pubblica, anche se si può obiettare che le loro analisi sono talvolta semplicistiche. Quando devastano, precisiamo: perché appunto, lontano di lì, nulla esclude che agiscano in maniera molto più articolata e incisiva.
E questo giudizio ingeneroso discende per via diretta da un’interpretazione a rovescio degli anni Settanta, effettivamente funestati dall’estremismo (purtroppo, assai poco nichilista e anzi segnato da un sovraccarico di tattiche, strategie, programmi, ideologie, illusioni e fedi, una più scombiccherata dell’altra), un estremismo tuttavia che non va ascritto fra le cause ma essenzialmente fra le conseguenze di un’impotenza contemplativa e compiaciuta frutto di un’interpretazione sciagurata dei destini storici. L’estremismo è effettivamente una lebbra che aggredisce le rivoluzioni lasciate in sospeso, ma il punto cruciale, dove si decide il fallimento, si colloca PRIMA, nel momento della sospensione, le cui cause sono diverse e quasi opposte rispetto a quelle che Sergio denuncia. Ma questo c’entra poco col caso in oggetto: nessuna rivoluzione è in sospeso e forse gli attuali scontri (che sono interni a una catena che punteggia tantissime nazioni) semmai annunciano una rivoluzione (ma forse no) che deve ancora prendere le mosse.
Che la minchia sia un punto di riferimento insufficiente, sarà pure vero, ma fra le varie leve con cui sollevare il mondo dall’abisso in cui è precipitato rimane fra le più simpatiche: non la sottovaluterei così alla leggera.
A parte gli scherzi, a me pare più efficace che ciascuno tessa le trame che meglio gli si attagliano, piuttosto che contrastare quelle altrui. Non ha senso, né da un punto di vista teorico, né da uno storico, contrapporre la val di Susa a Roma, dal momento che molti dei protagonisti sono i medesimi là e qua, e moltissimi altri se non lo sono stati finora, potrebbero esserlo domani. Dividere i vandali dai marciatori pacifici è un’operazione che conviene lasciare ai giornali, che devono svolgere il loro incarico di formare l’opinione pubblica (leggi: l’opinione che si intima al pubblico di adottare). Noi che siamo senza salari e senza incarichi, possiamo permetterci di respirare e di lasciar respirare, ognuno come gli va. O davvero vogliamo credere e far credere che, senza gli hooligans, la manifestazione di Roma sarebbe stata più efficace, più utile, più piacevole, più incisiva, meno idiota?
Paolo Ranieri
*****
Quel che mi piace di più nel dialogo con Paolo è che laddove appare più evidente il disaccordo egli mi spinge con il suo ragionamento puntiglioso e affinato a migliorare la critica per restituirle un senso e non farla annegare nella banalità a cui la sua controcritica suggerisce delicatamente ma fermamente di affogarla.
Probabilmente un’insufficiente chiarezza e organicità del mio discorso (che lascio spesso, per di più, a un abbozzo in fieri che i molti banali errori formali, di punteggiatura e altro preannunciano) contribuisce a farmi comunicare cose magari diverse da quello che intendo.
Contro ogni ecumenismo per me intollerabile, provo dunque, adesso, a ricentrare le differenze come io le sento e le analizzo su qualche aspetto a mio parere fondamentale.
Non usando mai il pene per sollevare il mondo, ma, ogni tanto, per scopi più umani e piacevoli per entrambi i generi dell’umanità, sono pronto a riconoscere i miei errori senza noiosi priapismi quando qualcuno riesce a mostrarmeli in maniera convincente.
1) Gli oppositori sono spettacolari non perché partecipano a una messa in scena di per sé artificiale, separata dalle relazioni sociali reali, ma proprio perché contribuiscono a materializzare delle relazioni sociali reali mediate da immagini che sovrappongono un significato artificiale - in questo senso spettacolare -alla realtà delle emozioni e delle volontà concrete in gioco.
Nessuno è definitivamente dentro o fuori dallo spettacolo, ma ognuno di noi ci fa i conti, volente o nolente, perché la forma dello spettacolo è la forma del dominio reale del capitale sul lavoro astratto degli uomini su cui si fonda la società produttivista in questa fase terminale del capitalismo.
L’amministrazione dell’apparenza arriva dopo, quando la frittata spettacolare è già fatta.
2) Per quanto riguarda poi l’approffittare della situazione (se non ora quando?) si tratta prima di decidere il fine di una tale opportunità. Io desidero sinceramentre e considero ineluttabile da un punto di vista umano un rovesciamento di prospettiva e una rivoluzione sociale sulla quale non sono né ottimista né pessimista, ma non desidero affatto sostituirla, nell’attesa, con gesti simbolici di sorta. Si tratta certamente di un gusto personale e non pretendo che nessuno si uniformi alle mie preferenze. Anch’io come chiunque, che spacchi vetrine o giochi alla play station, che lavori tutti i giorni o’sinventi il lavoro di lavorare il meno possibile, riempio i miei giorni di atti e di gesti che cercano un’autonomia necessaria quanto difficile da inventare in un mondo reso artificiale dall’onnipresente mafia produttivista. Non apprezzo affatto, per contro, che qualcuno profitti dei miei movimenti o di quelli di chiunque per parassitarli a vantaggio di un’ideologia diversa e manco a dirlo migliore.
Diciamo che sono un antileninista primario. Ho già detto che vivo ogni pseudocoscienza portata dall’esterno come una dichiarazione di guerra oggettiva tipica di chi s’arroga un livello di coscienza superiore a quella altrui senza verifica possibile. La gerarchia delle coscienze pratiche è da sempre il brodo di coltura di tutte le tirannie.
3) Chi s’illude di pacifismo ha per me gli stessi diritti di chi s’illude di guerre civili, mentre cio che ci accomuna tutti è l’ipotesi di smetterla d’illudersi e di disperarsi per provare a vivere nel presente. Intanto io sostengo il diritto di tutti non solo a manifestare ma a farlo nel modo che crede anche quando io non ne condivido le tattiche o le strategie. Un tale diritto vale per tutti o non è più vero per nessuno. Poi è una questione d’analisi strategica, discutibile dunque, capire che cosa faccia danni e che cosa favorisca un’insurrezione popolare (dunque democratica, per come io intendo la democrazia diretta e l’autogestione generalizzata) contro la dittatura del valore di scambio e i suoi governi asserviti al mercato.
4) Intendo per messa quel che si propone sul piano simbolico, liturgico e senza sbocchi - evidentemente, su questo punto degli sbocchi i pareri possono totalmente divergere ed effettivamente divergono – come un carnevale puntuale che lascia al potere dominante la gestione intatta di ogni anno solare in corso. Fin da bambino ho sempre odiato il carnevale e le sue maschere come una messa falsamente dionisiaca al servizio di Apollo. Io la festa l’ho sempre voluta per davvero e nel mio piccolo l’ho costantemente cercata lungo tutto l’arco della mia vita. Per questo la repulsione per ogni liturgia vale altrettanto, ai miei occhi, nei confronti di pacifisti e bellicisti, ma non c’è dubbio che una messa, come ogni sua variante in via crucis, è tale indipendentemente dal numero di repliche o dal numero di partecipanti. Nel migliore dei casi, ogni messa finisce come è cominciata con un “ite missa est”in cui si rimanda a data da destinarsi la nascita di un Io soggettivo laico per definizione.
5) Come non condividere, se si è libertari, che ognuno faccia quel che gli pare, purchè non falsi, trasformi e manipoli le scelte altrui? La differenza radicale tra libertarismo e liberalismo è l’amore senza limiti per il soggetto che nella poesia libertaria è indispensabile ma non può esistere se non nella reciprocità di autonomia degli individui. La mia libertà non può che cominciare dove comincia quella degli altri, altrimenti s’innesca la competizione tra tirannie di cui il patriarcato con le sue minchie trionfanti e fragili è una maledizione storica particolarmente riuscita.
6) Un nodo del problema mi pare stia nel fatto che arrivati allo stadio del dominio spettacolare non si rivendica più niente mentre le “azioni” esprimono un autismo crescente che esorcizza un superamento impossibile. Anziché superare la rivendicazione parcellare rivendicando la poesia totalizzante del proprio radicale diritto ad esistere, il nichilismo oggettivo da me denunciato come un tragico errore, non certo come una colpa, si esprime come un al di qua della rivendicazione; come un urlo disperato – e che non mi lascia per nulla indifferente, sia ben chiaro – di impotenza e di rabbia implosiva fuoriuscito come uno sfogo fuori controllo. Evidentemente, come ho ripetuto diverse volte, la causa di questo impasse doloroso è intrinseca al sistema dominante, poi, però, le reazioni dei singoli, dei gruppi e di chi si voglia affermare come soggetto esigono una responsabilità appunto soggettiva, senza la quale si cade dall’altra parte dello specchio nel gioco borghese che identifica l’anarchia al caos, la rivoluzione a un atto autoritario e a un fatto di sangue.
7) Se come ho letto- vero o falso non lo so – qualcunodell’avanguardia di devastatori, come li chiami tu, ha apostrofato gli indignados che gli si opponevano, scontenti e irritati, dicendo: “lasciateci lavorare”, il termine di specialisti mi pare totalmente azzeccato in quanto definizione di un’attività privilegiata di fronte alla quale gli altri non hanno da opporre il loro inutile, improduttivo passeggiare.
8) “L’estremismo è effettivamente una lebbra che aggredisce le rivoluzioni lasciate in sospeso, ma il punto cruciale, dove si decide il fallimento, si colloca PRIMA, nel momento della sospensione, le cui cause sono diverse e quasi opposte rispetto a quelle che Sergio denuncia.”
Su questo tema specifico da te annotato, Paolo, lascio aperta la proposta di un approfondimento che richiede tempi e modi altri e che mi sembra al cuore delle diversità delle visioni del mondo non tanto nostre quanto di un’intera epoca in bilico tra passività, terrorismo o rivoluzione. Che poi l’estremismo non sia stato nichilista è certamente un’affermazione che non condivido affatto. Così come ci differenzia la conclusione che, a tuo dire non ci sarebbe nessuna rivoluzione in sospeso, perché io penso invece, senza nessuna nostalgia per il passato - in questi tempi detti moderni dall’ignorante presunzione di troppi nostri contemporanei -, che un progetto di rovesciamento di prospettiva cuoce da tempo a fuoco lento nella pentola del mondo e che solo la ormai possibile esplosione della pentola potrà impedirlo.
9) Mi fermo su questa mia prepotente nostalgia per un futuro che nessuna spaccatura di vetrine nel presente potrà lenire, cosciente che non ti ho risposto su tutti i nostri distinguo. Non l’ho mai preteso, del resto. Mi sono limitato a prendere al volo l’opportunità di un dialogo rinnovato con un’intelligenza sensibile che stimo oltre le differenze che ci riguardano.
“Che ciascuno tessa le trame che meglio gli si attagliano, piuttosto che contrastare quelle altrui” è esattamente quello che insisto a difendere e che gli ultimi giorni in Val di Susa sembrano confortare, senza certezze impossibili ma oltre la diversità e le contraddizioni delle lotte possibili.
Chi vivrà vedrà, come direbbe Ray Charles.
(A suivre)
Sergio Ghirardi