Il
fallimento, concetto giuridico nato in ambito commerciale e di lì
metastatizzato nella società intera, significava in origine qualcosa di
differente dalla sua accezione corrente: la legislazione sui fallimenti
introdotta, fra molti dubbi e marce indietro (perché percepita come immorale),
nasce per proteggere, infatti, non già il creditore ma il debitore fallito.
Dichiarare fallimento significa richiedere alla comunità comprensione e
sollecitare un accomodamento. Serve in sostanza a riconoscere che il fallito,
colui che non riesce più a pagare i propri debiti, è differente da un ladro,
anche quando, come sovente accade, i
danni da lui procurati sono molto più rilevanti di quelli causati da un
semplice furto.
Ma
dichiararsi falliti può trovare venia solo perché, in una società fondata sul
successo (identificato il più delle volte con l’accumulo di ricchezze, magari
non solo materiali), questa dichiarazione contiene un’ammissione di
inadeguatezza. Ci si riconosce falliti a capo chino.
Tuttavia,
se il fallimento è l’opposto del successo, non sempre viene affrontato a capo
chino: può viceversa essere rivendicato con orgoglio e lanciato come un guanto
di sfida. Di atteggiamenti come questi possiamo individuare almeno tre
interpretazioni fra loro differenti, e in certo qual modo, a loro volta,
opposte l’una rispetto all’altra.
Da
una parte abbiamo il successo impossibile, perché l’esistente non avrebbe
spazio per contenerlo, ben rappresentato da questo famoso brano di In girum imus nocte et consumimur igni.
“ Quel che un poeta
dell’epoca T’ang ha scritto Separandosi da un viaggiatore, potrebbe applicarsi
a quest’ora del mio racconto? “Discesi da cavallo: gli feci offerta del vino
dell’addio / e gli chiesi quale fosse il fine del suo viaggio./Mi rispose: non
sono riuscito negli affari del mondo;/faccio ritorno ai monti Nan-Chan per
cercarvi riposo.”
Ma no, vedo molto
distintamente che non esiste riposo per me; prima di tutto perché nessuno mi fa
la grazia di pensare che io non sono riuscito negli affari del mondo. Ma,
fortunatamente, nessuno potrà dire neppure che io vi sia riuscito. Occorre
dunque ammettere che non vi erano successo o fallimento per Guy Debord, e per
le sue pretese smisurate”
Dalla
parte opposta, abbiamo colui il quale ha scelto di non gareggiare, di rifiutare
sé stesso alla competizione “Geremia che
avrebbe potuto essere tutto e preferì essere nessuno” (Una ballata del mare
salato, Hugo Pratt)
Da
una terza parte, troviamo chi ha scelto il contrario del successo, un successo
nero, infernale, nemico di ciò che esiste. Un esempio mirabile e mirabilmente
descritto ce le offre Sade in . “Tutti
conoscono la storia del Marchese di *** che, informato sulla sua condanna ad
essere bruciato in effigie, tirò fuori il cazzo dai pantaloni e
gridò “Dio fottuto, ecco dove volevo arrivare; sono coperto d’obbrobrio e di
infamia; lasciatemi, lasciatemi che devo godere!” . E lo fece all’istante”.
Ecco dove volevo arrivare: il
fallimento diviene in ciascuno di questi casi il traguardo desiderato, il
successo rispetto al proprio personale disegno. Essere dimenticati, essere
impossibili da misurare, essere ricordati al vertice del peggio. Tutti modi in
cui si esprime il proprio ripudio dell’esistente, delle masse che lo
percorrono, dei valori che tali masse esprimono.
Anche se, senza dubbio, anche in
questo caso vale, debitamente adeguata, l’avvertenza di Gandhi riguardo alla
non-violenza: è non-violento chi, potendo reagire violentemente, rinuncia a
farlo e non già chi, debole e imbelle, non reagisce violentemente perché non ne
avrebbe la possibilità.
Ugualmente possiamo considerare che
ripudi il successo, che scelga il fallimento unicamente chi avrebbe le doti per
riuscire, e non già chi avrebbe voluto ma
semplicemente non era all’altezza, non era all’altezza di questa società. Il
che, considerando i requisiti davvero infimi che questa reclama, suggerisce che
probabilmente si tratterebbe di soggetti troppo meschini per qualsiasi società.
Anche per fallire con decoro occorrono dunque delle doti, occorre impegno: chi avesse pensato di abbandonarsi pigramente al nulla che avanza, si rassegni. Sarà fallito anche in quanto fallito.
Anche per fallire con decoro occorrono dunque delle doti, occorre impegno: chi avesse pensato di abbandonarsi pigramente al nulla che avanza, si rassegni. Sarà fallito anche in quanto fallito.
Paolo Ranieri per “La melma dei giorni n. 7 - luglio 2012”