giovedì 9 agosto 2012

Falliti di tutto il mondo, rallegriamoci




Il fallimento, concetto giuridico nato in ambito commerciale e di lì metastatizzato nella società intera, significava in origine qualcosa di differente dalla sua accezione corrente: la legislazione sui fallimenti introdotta, fra molti dubbi e marce indietro (perché percepita come immorale), nasce per proteggere, infatti, non già il creditore ma il debitore fallito. Dichiarare fallimento significa richiedere alla comunità comprensione e sollecitare un accomodamento. Serve in sostanza a riconoscere che il fallito, colui che non riesce più a pagare i propri debiti, è differente da un ladro, anche quando, come sovente accade,  i danni da lui procurati sono molto più rilevanti di quelli causati da un semplice furto.
Ma dichiararsi falliti può trovare venia solo perché, in una società fondata sul successo (identificato il più delle volte con l’accumulo di ricchezze, magari non solo materiali), questa dichiarazione contiene un’ammissione di inadeguatezza. Ci si riconosce falliti a capo chino.
Tuttavia, se il fallimento è l’opposto del successo, non sempre viene affrontato a capo chino: può viceversa essere rivendicato con orgoglio e lanciato come un guanto di sfida. Di atteggiamenti come questi possiamo individuare almeno tre interpretazioni fra loro differenti, e in certo qual modo, a loro volta, opposte l’una rispetto all’altra.
Da una parte abbiamo il successo impossibile, perché l’esistente non avrebbe spazio per contenerlo, ben rappresentato da questo famoso brano di In girum imus nocte et consumimur igni.  
“ Quel che un poeta dell’epoca T’ang ha scritto Separandosi da un viaggiatore, potrebbe applicarsi a quest’ora del mio racconto? “Discesi da cavallo: gli feci offerta del vino dell’addio / e gli chiesi quale fosse il fine del suo viaggio./Mi rispose: non sono riuscito negli affari del mondo;/faccio ritorno ai monti Nan-Chan per cercarvi riposo.”
Ma no, vedo molto distintamente che non esiste riposo per me; prima di tutto perché nessuno mi fa la grazia di pensare che io non sono riuscito negli affari del mondo. Ma, fortunatamente, nessuno potrà dire neppure che io vi sia riuscito. Occorre dunque ammettere che non vi erano successo o fallimento per Guy Debord, e per le sue pretese smisurate”

Dalla parte opposta, abbiamo colui il quale ha scelto di non gareggiare, di rifiutare sé stesso alla competizione “Geremia che avrebbe potuto essere tutto e preferì essere nessuno” (Una ballata del mare salato, Hugo Pratt)
Da una terza parte, troviamo chi ha scelto il contrario del successo, un successo nero, infernale, nemico di ciò che esiste. Un esempio mirabile e mirabilmente descritto ce le offre Sade in . “Tutti conoscono la storia del Marchese di *** che, informato sulla sua condanna ad essere bruciato in effigie, tirò fuori il cazzo dai pantaloni e gridò “Dio fottuto, ecco dove volevo arrivare; sono coperto d’obbrobrio e di infamia; lasciatemi, lasciatemi che devo godere!” . E lo fece all’istante”.
Ecco dove volevo arrivare: il fallimento diviene in ciascuno di questi casi il traguardo desiderato, il successo rispetto al proprio personale disegno. Essere dimenticati, essere impossibili da misurare, essere ricordati al vertice del peggio. Tutti modi in cui si esprime il proprio ripudio dell’esistente, delle masse che lo percorrono, dei valori che tali masse esprimono.
Anche se, senza dubbio, anche in questo caso vale, debitamente adeguata, l’avvertenza di Gandhi riguardo alla non-violenza: è non-violento chi, potendo reagire violentemente, rinuncia a farlo e non già chi, debole e imbelle, non reagisce violentemente perché non ne avrebbe la possibilità.
Ugualmente possiamo considerare che ripudi il successo, che scelga il fallimento unicamente chi avrebbe le doti per riuscire, e non già chi avrebbe voluto ma semplicemente non era all’altezza, non era all’altezza di questa società. Il che, considerando i requisiti davvero infimi che questa reclama, suggerisce che probabilmente si tratterebbe di soggetti troppo meschini per qualsiasi società.
Anche per fallire con decoro occorrono dunque delle doti, occorre impegno: chi avesse pensato di abbandonarsi pigramente al nulla che avanza, si rassegni. Sarà fallito anche in quanto fallito.
  
Paolo Ranieri per “La melma dei giorni n. 7 - luglio 2012”