domenica 26 agosto 2012

AVVISO AI CIVILIZZATI SULLA MORTE CHE LI GOVERNA


REUNIÓN DE LAS TRIBUS  DE LA TIERRA


Viva l’ignoranza

In una sala di riunione di un liceo professionale, due classi disposte in cerchio sono riunite insieme a tre dei loro professori e un invitato. I sessanta allievi hanno visto il film “I nostri figli ci accuseranno”. La discussione mira a far risaltare le questioni e le soluzioni emerse dal film: l’ecologia dell’avvenire. Solo un pugno di allievi partecipa agli scambi. Dopo un’ora l’invitato propone un giro d’interventi: “Secondo voi, si può cambiare qualcosa in relazione al degrado dell’ambiente, si può evitare il riscaldamento climatico?”.
I primi cinque studenti biascicano un “non so” che li dispensa dal prendere partito e posizione. Il sesto risponde chiaramente “no”. Perché? “Perché sono gli Illuminati che decidono del clima.” La discussione è lanciata; gli allievi hanno di colpo delle cose da dire. Uno di loro spiega persino come gli Illuminati hanno rovinato il clima dell’Alaska. I professori sono interdetti; non hanno mai sentito parlare degli Illuminati e finito il dibattito, scoprono costernati le informazioni consacrate dall’enciclopedia Wikipedia a questa leggenda contemporanea.

Nel Migliore dei mondi, Huxley spiegava che la felicità arriva facilmente: basta essere condizionati. Un “epsilon-meno” clonato per vivere nella polvere e nel calore della miniera non sarà felice che in fondo alla miniera! Si trattava di fantascienza, ma nel 2012, nell’Impero dell’illusione, Chris Hedges descrive come l’illusione venga distillata, proposta, imposta (mai con la forza) al posto della realtà. Secondo lui, gli americani stanno già vivendo quest’accoppiamento mostruoso tra reale e illusione che li rende semplicemente incapaci di pensare la loro esistenza. Non parliamo neppure di “ritrovare ognuno il monopolio sull’impiego della propria vita”, programma degli anni ‘70 ormai davvero eccessivamente rivoluzionario; basterebbe, in tutta modestia, accontentarsi di capire il mondo nel quale viviamo.

Nel suo best-seller (dell’altra sponda dell’Atlantico) The Dumbest Generation, Mark Bauerlein traccia un ritratto terribile del livello d’incultura dei suoi studenti, questa “generazione stupidissima”. Nella nostra epoca, non si sa più granché, ma ciò non è grave di per sé poiché, anche non sapendo granché, si può lavorare, consumare e talvolta arricchirsi - vuoi diventare presidenti della Repubblica Francese o degli Stati Uniti d’America. Noi chiamiamo “vivere” ogni traversata dell’esistenza attraverso e per il consumo; e così sia.
Il problema è ormai, oggi, per Hedges o per Bauerlein come per Huxley e Orwell mezzo secolo fa, che le stesse élite sono incapaci di prendere le decisioni di cui il mondo ha bisogno. La situazione attuale, tuttavia, è ben più preoccupante che quella di Huxley e Orwell: loro due avevano scritto dei romanzi, mentre noi ormai viviamo nei loro romanzi!

Perché salvare un sistema che ci stritola?

Non serve a nulla designare dei colpevoli, assegnare medaglie e assestare bastonate a degli individui particolari. Ognuno di noi può farlo, ma i responsabili sono più numerosi degli innocenti poiché tutti o quasi cercano ancora di salvare il sistema che li stritola.
Non usciamo fuori, non prendiamo in mano il nostro destino al di fuori delle linee tracciate dagli Stati, dai sistemi sociali, dalle imprese globali…

La posta in gioco sta nel caratterizzare gli errori più che i colpevoli. Siamo giunti a questo punto per un concatenarsi di decisioni, di rinunce e di obblighi più o meno forti. Non abbiamo trovato molti decisionisti capaci di capire quel che succedeva fino a opporvi un rifiuto e orientare il nostro avvenire e la nostra cultura collettiva in un’altra direzione. Non serve a niente recriminare un tempo venuto meno : neanche il passato è stato molto positivo e ha finito per sfociare su questo presente che portava in germe. Dov’era dunque questo germe? Come estirparlo per partorire un futuro diverso?

Come notava Hanna Arendt in Crisi della cultura, dobbiamo proteggere le nuove generazioni in arrivo pur se non sono portatrici d’idee positive, di un’etica umanista, di una concezione ben salda dell’unità dell’umanità. Ora, quelli che sono oggi al potere fanno parte di queste ex-giovani generazioni alle quali, forse per la prima volta da lungo tempo, mancano queste idee, quest’etica, queste concezioni positive e umanistiche.

Non sarebbe più contestabile che il capitalismo sia il migliore di tutti i sistemi economici. Ora, nello spazio di qualche decennio, quest’idea ha comportato un crollo dei valori che avevano fondato la democrazia repubblicana - la quale non ha nulla a che vedere con il capitalismo e il reciproco è più vero ancora: il capitalismo si accomoda agevolmente di un sistema dittatoriale, fatto sul quale non meditiamo abbastanza, convinti che il totalitarismo sia un orrore del passato che non tornerà.
Fino agli anni 60/70 la contestazione funzionava e senza essere riconosciuta istituzionalmente - il che non avrebbe senso -, essa riusciva ad esprimersi anche in seno alle istituzioni e in particolare alla scuola. In quegli anni la sola grande istituzione muta era l’esercito. Ormai bisogna aggiungergli l’Università e gli ospedali che non contestano affatto…e domani senz’altro anche l’intero sistema scolastico - in Francia ciò non è ancora del tutto vero ma negli Stati Uniti la frittata sembra fatta. Allora, tutto quel che costituisce la res publica avrà smesso di esprimersi…perché ridotto alla logica del capitalismo, pardon del mercato.
Salute ed educazione pubbliche sottomesse al mercato? Guarda un po’, ciò ricorda i piani d’aggiustamento strutturale imposti dal Fondo Monetario Internazionale al terzo mondo negli anni 80…L’Europa starebbe dunque terzomondizzandosi?

Fino agli anni ‘70, la contestazione era almeno riconosciuta come la mosca cocchiera, il perno essenziale e indispensabile alla riflessione, alle messe in discussione necessarie e al progresso. Perché la contestazione si esercitasse, c’era solo bisogno di esprimersi e il resto funzionava: tutti capivano che cosa era in gioco e si facevano un’opinione. Quel che offriva il capitalismo agli individui era innanzitutto un certo livello di vita, ma non era tutto. C’era un ascensore sociale non ancora in panne e si sapeva perfettamente che senza studi era difficile salire su quell’ascensore. Inoltre elevarsi nella società non aveva l’obiettivo di guadagnare di più ma di avere un miglior livello generale di vita, tanto culturale che pecuniario. Tutti avevano una cultura, popolare o d’“élite” e parecchi tentavano e riuscivano a stabilire delle passerelle tra le due. Non si trattava affatto del “bel tempo andato”. La prova: l’intensa agitazione andava fino alla contestazione rivoluzionaria, verso la distruzione e il superamento del capitalismo, la sovversione. Il problema è che anziché verso un superamento positivo, tutto è andato di male in peggio.

Senza dubbio il sistema non è ancora agli sgoccioli. Dopotutto la caduta di Roma è durata quattro lunghi secoli. Tuttavia il capitalismo è un sistema che ci sta già divorando e nel quale s’impongono la stupidità più che l’intelligenza, la paura più che l’audacia, il conformismo più che l’immaginazione, il consenso più che la libertà di parola e d’opinione. Per far rientrare nell’ordine e nel silenzio gli straripamenti e i malesseri, la repressione s’impone dappertutto in tutte le sue forme. Contro la repressione non conosciamo, nella storia recente dell’umanità, che un solo antidoto in grado di superare la stupidità, il trionfo della forza, della violenza, degli eserciti, dei mercenari: la cultura e la conoscenza.

Mettere al cestino la cultura e la scuola!

Per imporre una politica di repressione a 360 gradi risulta  molto efficace rendere inoperosa qualunque alternativa. Ora, la migliore alternativa alla repressione è l’educazione; per questo i dirigenti tentano di renderla inutile e obsoleta.
In questa variante molle del totalitarismo che stiamo subendo, la politica è sottomessa all’economia (sempre munita della ruota di scorta dell’ipotesi inversa, dittatoriale classica e dura, nella quale l’economia passa interamente nelle mani del politico come nei sistemi fascisti, nazisti, maoisti o stalinisti). Per assuefarci a questo diniego integrale della democrazia basta conservarne le apparenze svuotandola del suo contenuto. È quanto s’è proposto di fare Sarkozy per dieci anni con qualche riuscita, purtroppo, al suo attivo.

Il ruolo della cultura come perno dei rapporti sociali scompare; la scuola stessa non sarà ben presto che il luogo di formazione di futuri adulti a un lavoro adattato alle sole realtà economiche.
La ricerca del denaro, del potere e della celebrità sono le illusioni con le quali si drogano tanto i giovani dei centrocittà che delle periferie, insieme ad altri disperati pronti ad accettare le varianti più mediocri. Si cerca il denaro, anche disonestamente, oppure la celebrità anche se si deve passare attraverso l’umiliazione televisiva di non essere che il fusibile effimero di un reality show.

Che cosa abbiamo tentato contro una tale evoluzione? A scuola ci siamo accontentati di un surrogato di cultura politica da mordere, l’educazione civica, diventata col tempo un insegnamento apolitico per non dire antipolitico, visto che non si può non essere disgustati dalla politica quando ci si rende conto, di lezione in lezione, che le leggi non sono fatte che per essere trasgredite dai potenti e per reprimere invece i deboli senza sconti ?
Non abbiamo fatto nulla per spingere la presa di coscienza politica dei giovani, coscienza che non ha nulla a che vedere con l’adesione a un partito. Tutti, dall’estrema destra all’estrema sinistra, abbiamo lasciato la gioventù all’abbandono, l’abbiamo privata del politico per non rischiare una presa di coscienza troppo precoce. Risultato: non c’è presa di coscienza che di grandi idee astratte (l’antirazzismo, la fraternità…), e meno male, ma mai dei diversi mezzi da mettere in atto per realizzarle.

Come dire che l’impotenza politica è stata organizzata. Se si reclama, infatti, a gran voce l’uguaglianza, la libertà e la fraternità senza avere la minima idea concreta della maniera di realizzarle e neppure di come condurre la lotta, allora non solo “si ha nella bocca un cadavere”, secondo l’espressione degli anni ‘60, ma si sotterra soprattutto l’idea stessa di una lotta politica rimpiazzandola con dell’umanesimo vuoto e con un associazionismo militante nel quadro della società civile.
Purtroppo, la società civile non è in sé l’espressione delle migliori tendenze dell’umanità; essa raggruppa troppo spesso dei professionisti che fanno dell’antipoliticismo una virtù e dell’efficienza la condizione del successo. Ora la dittatura, sotto il capitalismo, può risultare anche più efficace della democrazia. La prova : la Germania hitleriana o la Cina contemporanea…
L’antipoliticismo e il culto dell’efficienza lastricano il pavimento dell’inferno dittatoriale con le buone intenzioni della società civile.

Per rovesciare la tendenza esiste qualche dinamica su cui faremmo bene a meditare. La principale sta nella ripoliticizzazione dei giovani poiché non è aspettando di andare a votare a 18 anni che essi prenderanno coscienza come per miracolo dei problemi del mondo.
Ripoliticizzare i giovani significa dare loro del pensiero politico da dibattere, della riflessione da decorticare, delle idee da far circolare. Non si tratta di far aderire a questa o quella dottrina. Al contrario, il miglior modo per evitare l’indottrinamento settario è di mostrare il ventaglio delle idee sottomettendole alla discussione e alla critica : in un mondo in perdizione quale lo descrivono i media nei loro telegiornali, ciò eviterebbe che i giovani affidino le loro voci al primo demagogo venuto. Per non subire il populismo, l’elettoralismo, la demagogia politicante…


Testo di Elisée Personne tradotto da Sergio Ghirardi