REUNIÓN DE LAS TRIBUS DE LA TIERRA |
Viva l’ignoranza
In una sala di riunione di un liceo professionale, due
classi disposte in cerchio sono riunite insieme a tre dei loro professori e un
invitato. I sessanta allievi hanno visto il film “I nostri figli ci accuseranno”. La discussione mira a far risaltare
le questioni e le soluzioni emerse dal film: l’ecologia dell’avvenire. Solo un
pugno di allievi partecipa agli scambi. Dopo un’ora l’invitato propone un giro
d’interventi: “Secondo voi, si può cambiare qualcosa in relazione al degrado
dell’ambiente, si può evitare il riscaldamento climatico?”.
I primi cinque studenti biascicano un “non so” che li
dispensa dal prendere partito e posizione. Il sesto risponde chiaramente “no”.
Perché? “Perché sono gli Illuminati che decidono del clima.” La discussione è
lanciata; gli allievi hanno di colpo delle cose da dire. Uno di loro spiega
persino come gli Illuminati hanno rovinato il clima dell’Alaska. I professori
sono interdetti; non hanno mai sentito parlare degli Illuminati e finito il
dibattito, scoprono costernati le informazioni consacrate dall’enciclopedia
Wikipedia a questa leggenda contemporanea.
Nel Migliore dei
mondi, Huxley spiegava che la felicità arriva facilmente: basta essere
condizionati. Un “epsilon-meno” clonato per vivere nella polvere e nel calore
della miniera non sarà felice che in fondo alla miniera! Si trattava di
fantascienza, ma nel 2012, nell’Impero
dell’illusione, Chris Hedges descrive
come l’illusione venga distillata, proposta, imposta (mai con la forza) al
posto della realtà. Secondo lui, gli americani stanno già vivendo
quest’accoppiamento mostruoso tra reale e illusione che li rende semplicemente
incapaci di pensare la loro esistenza. Non parliamo neppure di “ritrovare
ognuno il monopolio sull’impiego della propria vita”, programma degli anni ‘70
ormai davvero eccessivamente rivoluzionario; basterebbe, in tutta modestia,
accontentarsi di capire il mondo nel quale viviamo.
Nel suo best-seller (dell’altra sponda dell’Atlantico) The Dumbest Generation, Mark Bauerlein
traccia un ritratto terribile del livello d’incultura dei suoi studenti, questa
“generazione stupidissima”. Nella nostra epoca, non si sa più granché, ma ciò
non è grave di per sé poiché, anche non sapendo granché, si può lavorare,
consumare e talvolta arricchirsi - vuoi diventare presidenti della Repubblica
Francese o degli Stati Uniti d’America. Noi chiamiamo “vivere” ogni traversata
dell’esistenza attraverso e per il consumo; e così sia.
Il problema è ormai, oggi, per Hedges o per Bauerlein
come per Huxley e Orwell mezzo secolo fa, che le stesse élite sono incapaci di
prendere le decisioni di cui il mondo ha bisogno. La situazione attuale,
tuttavia, è ben più preoccupante che quella di Huxley e Orwell: loro due avevano
scritto dei romanzi, mentre noi ormai
viviamo nei loro romanzi!
Perché salvare un
sistema che ci stritola?
Non serve a nulla designare dei colpevoli, assegnare
medaglie e assestare bastonate a degli individui particolari. Ognuno di noi può
farlo, ma i responsabili sono più numerosi degli innocenti poiché tutti o quasi
cercano ancora di salvare il sistema che li stritola.
Non usciamo fuori, non prendiamo in mano il nostro
destino al di fuori delle linee tracciate dagli Stati, dai sistemi sociali,
dalle imprese globali…
La posta in gioco sta nel caratterizzare gli errori più
che i colpevoli. Siamo giunti a questo punto per un concatenarsi di decisioni,
di rinunce e di obblighi più o meno forti. Non abbiamo trovato molti
decisionisti capaci di capire quel che succedeva fino a opporvi un rifiuto e
orientare il nostro avvenire e la nostra cultura collettiva in un’altra
direzione. Non serve a niente recriminare un tempo venuto meno : neanche il
passato è stato molto positivo e ha finito per sfociare su questo presente che
portava in germe. Dov’era dunque questo germe? Come estirparlo per partorire un
futuro diverso?
Come notava Hanna Arendt in Crisi della cultura, dobbiamo proteggere le nuove generazioni in
arrivo pur se non sono portatrici d’idee positive, di un’etica umanista, di una
concezione ben salda dell’unità dell’umanità. Ora, quelli che sono oggi al
potere fanno parte di queste ex-giovani generazioni alle quali, forse per la
prima volta da lungo tempo, mancano queste idee, quest’etica, queste concezioni
positive e umanistiche.
Non sarebbe più contestabile che il capitalismo sia il
migliore di tutti i sistemi economici. Ora, nello spazio di qualche decennio, quest’idea
ha comportato un crollo dei valori che avevano fondato la democrazia
repubblicana - la quale non ha nulla a che vedere con il capitalismo e il
reciproco è più vero ancora: il capitalismo si accomoda agevolmente di un
sistema dittatoriale, fatto sul quale non meditiamo abbastanza, convinti che il
totalitarismo sia un orrore del passato che non tornerà.
Fino agli anni 60/70 la contestazione funzionava e senza
essere riconosciuta istituzionalmente - il che non avrebbe senso -, essa
riusciva ad esprimersi anche in seno alle istituzioni e in particolare alla
scuola. In quegli anni la sola grande istituzione muta era l’esercito. Ormai
bisogna aggiungergli l’Università e gli ospedali che non contestano affatto…e
domani senz’altro anche l’intero sistema scolastico - in Francia ciò non è
ancora del tutto vero ma negli Stati Uniti la frittata sembra fatta. Allora, tutto
quel che costituisce la res publica
avrà smesso di esprimersi…perché ridotto alla logica del capitalismo, pardon
del mercato.
Salute ed educazione pubbliche sottomesse al mercato?
Guarda un po’, ciò ricorda i piani d’aggiustamento strutturale imposti dal
Fondo Monetario Internazionale al terzo mondo negli anni 80…L’Europa starebbe
dunque terzomondizzandosi?
Fino agli anni ‘70, la contestazione era almeno
riconosciuta come la mosca cocchiera, il perno essenziale e indispensabile alla
riflessione, alle messe in discussione necessarie e al progresso. Perché la
contestazione si esercitasse, c’era solo bisogno di esprimersi e il resto
funzionava: tutti capivano che cosa era in gioco e si facevano un’opinione.
Quel che offriva il capitalismo agli individui era innanzitutto un certo
livello di vita, ma non era tutto. C’era un ascensore sociale non ancora in
panne e si sapeva perfettamente che senza studi era difficile salire su
quell’ascensore. Inoltre elevarsi nella società non aveva l’obiettivo di
guadagnare di più ma di avere un miglior livello generale di vita, tanto
culturale che pecuniario. Tutti avevano una cultura, popolare o d’“élite” e
parecchi tentavano e riuscivano a stabilire delle passerelle tra le due. Non si
trattava affatto del “bel tempo andato”. La prova: l’intensa agitazione andava
fino alla contestazione rivoluzionaria, verso la distruzione e il superamento
del capitalismo, la sovversione. Il problema è che anziché verso un superamento
positivo, tutto è andato di male in peggio.
Senza dubbio il sistema non è ancora agli sgoccioli.
Dopotutto la caduta di Roma è durata quattro lunghi secoli. Tuttavia il
capitalismo è un sistema che ci sta già divorando e nel quale s’impongono la
stupidità più che l’intelligenza, la paura più che l’audacia, il conformismo
più che l’immaginazione, il consenso più che la libertà di parola e d’opinione.
Per far rientrare nell’ordine e nel silenzio gli straripamenti e i malesseri,
la repressione s’impone dappertutto in tutte le sue forme. Contro la
repressione non conosciamo, nella storia recente dell’umanità, che un solo
antidoto in grado di superare la stupidità, il trionfo della forza, della
violenza, degli eserciti, dei mercenari: la cultura e la conoscenza.
Mettere al cestino
la cultura e la scuola!
Per imporre una politica di repressione a 360 gradi risulta
molto efficace rendere inoperosa
qualunque alternativa. Ora, la migliore alternativa alla repressione è
l’educazione; per questo i dirigenti tentano di renderla inutile e obsoleta.
In questa variante molle del totalitarismo che stiamo
subendo, la politica è sottomessa all’economia (sempre munita della ruota di
scorta dell’ipotesi inversa, dittatoriale classica e dura, nella quale
l’economia passa interamente nelle mani del politico come nei sistemi fascisti,
nazisti, maoisti o stalinisti). Per assuefarci a questo diniego integrale della
democrazia basta conservarne le apparenze svuotandola del suo contenuto. È
quanto s’è proposto di fare Sarkozy per dieci anni con qualche riuscita, purtroppo,
al suo attivo.
Il ruolo della cultura come perno dei rapporti sociali scompare;
la scuola stessa non sarà ben presto che il luogo di formazione di futuri
adulti a un lavoro adattato alle sole realtà economiche.
La ricerca del denaro, del potere e della celebrità sono
le illusioni con le quali si drogano tanto i giovani dei centrocittà che delle
periferie, insieme ad altri disperati pronti ad accettare le varianti più
mediocri. Si cerca il denaro, anche disonestamente, oppure la celebrità anche
se si deve passare attraverso l’umiliazione televisiva di non essere che il
fusibile effimero di un reality show.
Che cosa abbiamo tentato contro una tale evoluzione? A
scuola ci siamo accontentati di un surrogato di cultura politica da mordere,
l’educazione civica, diventata col tempo un insegnamento apolitico per non dire
antipolitico, visto che non si può non essere disgustati dalla politica quando
ci si rende conto, di lezione in lezione, che le leggi non sono fatte che per
essere trasgredite dai potenti e per reprimere invece i deboli senza sconti ?
Non abbiamo fatto nulla per spingere la presa di
coscienza politica dei giovani, coscienza che non ha nulla a che vedere con
l’adesione a un partito. Tutti, dall’estrema destra all’estrema sinistra,
abbiamo lasciato la gioventù all’abbandono, l’abbiamo privata del politico per
non rischiare una presa di coscienza troppo precoce. Risultato: non c’è presa
di coscienza che di grandi idee astratte (l’antirazzismo, la fraternità…), e
meno male, ma mai dei diversi mezzi da mettere in atto per realizzarle.
Come dire che l’impotenza politica è stata organizzata.
Se si reclama, infatti, a gran voce l’uguaglianza, la libertà e la fraternità
senza avere la minima idea concreta della maniera di realizzarle e neppure di
come condurre la lotta, allora non solo “si
ha nella bocca un cadavere”, secondo l’espressione degli anni ‘60, ma si
sotterra soprattutto l’idea stessa di una lotta politica rimpiazzandola con
dell’umanesimo vuoto e con un associazionismo militante nel quadro della
società civile.
Purtroppo, la società civile non è in sé l’espressione
delle migliori tendenze dell’umanità; essa raggruppa troppo spesso dei
professionisti che fanno dell’antipoliticismo una virtù e dell’efficienza la
condizione del successo. Ora la dittatura, sotto il capitalismo, può risultare
anche più efficace della democrazia. La prova : la Germania hitleriana o la Cina contemporanea…
L’antipoliticismo e il culto dell’efficienza lastricano
il pavimento dell’inferno dittatoriale con le buone intenzioni della società
civile.
Per rovesciare la tendenza esiste qualche dinamica su cui
faremmo bene a meditare. La principale sta nella ripoliticizzazione dei giovani
poiché non è aspettando di andare a votare a 18 anni che essi prenderanno
coscienza come per miracolo dei problemi del mondo.
Ripoliticizzare i giovani significa dare loro del
pensiero politico da dibattere, della riflessione da decorticare, delle idee da
far circolare. Non si tratta di far aderire a questa o quella dottrina. Al
contrario, il miglior modo per evitare l’indottrinamento settario è di mostrare
il ventaglio delle idee sottomettendole alla discussione e alla critica : in un
mondo in perdizione quale lo descrivono i media nei loro telegiornali, ciò
eviterebbe che i giovani affidino le loro voci al primo demagogo venuto. Per
non subire il populismo, l’elettoralismo, la demagogia politicante…
Testo di Elisée
Personne tradotto da Sergio Ghirardi