"Agire
in assemblea quando si è insieme, agire in rete quando si è lontani"
(indicazione programmatica del Congresso Nazionale Indigeno, Messico)
1.
La Seconda
Dichiarazione della Realidad (3 agosto 1996) aveva delineato
quattro grandi obiettivi: una consulta mondiale sui temi del Primo Incontro, un
nuovo Intergalattico, una rete di comunicazione intercontinentale e una rete di
resistenze, di lotte e di azioni contro il neoliberismo.
A
differenza di incontri e consultazioni, l'organizzazione in forma di rete non è
uno specifico strumento zapatista, ma è il naturale sviluppo di un modello
sociale praticato nei secoli dagli uomini liberi di tutti i continenti e dai
rivoluzionari di tutti i tempi: la democrazia diretta.
Questa
si articola storicamente in una trama di assemblee sovrane cui si partecipa con
pari diritti e attraverso le quali ogni comunità si esprime, delibera e si fa
carico delle decisioni prese collettivamente. Le differenti comunità si
collegano fra loro tramite delegati dal mandato rigorosamente revocabile,
lasciando in ogni caso integra l'autonomia decisionale delle assemblee.
2.
Anche se non la chiamano così, gli indigeni americani praticano da sempre la
democrazia diretta. Nelle loro comunità, l'autorità suprema è l'assemblea e i
funzionari eletti "mandan obedeciendo" (comandano obbedendo), in
altre parole agiscono praticando unicamente la lettera e lo spirito del mandato
ricevuto. Sia lo svolgimento delle assemblee sia l'esercizio delle autorità è
temperato secondo varie modalità da un consiglio di saggi ed anziani chiamati
"principali".
Arma
di resistenza affinata e perfezionata nei secoli, la particolare versione di
democrazia diretta praticata dai maya del Chiapas si fonda sul consenso. Questo
si presenta contemporaneamente come il meccanismo che permette alla comunità di
funzionare, come termometro che ne misura la vitalità e come la meta da
conseguire.
In
tal modo, la comunità maya ha continuato a ridefinirsi nel tempo qualificando
storicamente quel "noi" che agli occhi degli indigeni costituisce la
vera libertà. Per loro, le decisioni importanti, la pace o la guerra, non
dipendono dalla maggioranza, ma dalla totalità dei membri della comunità che
non delibera fino a quando non riesce a trovare l'accordo.
Ugualmente,
le comunità in lotta organizzate nell'EZLN mantengono relazioni continue
mediante un sistema di delegati revocabili ed anche il Comitato Clandestino
Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale, (CCRI-CG) che è pur sempre una
struttura militare (e quindi gerarchica), ad esse rende costantemente conto
attraverso consultazioni ed altri dispositivi di controllo dal basso.
3.
Questa democrazia del consenso che abbiamo scoperto nelle montagne del Sudest
messicano è inevitabilmente legata a comunità rurali di piccole dimensioni in
cui tutti gli abitanti si conoscono personalmente.
Uno
degli effetti paradossali di questa situazione è precisamente quello di
produrre inedite simultaneità e convergenze, permettendoci di recepire in
maniera radicalmente nuova esperienze altrimenti remote: precisamente così il
Chiapas ha potuto convertirsi in uno specchio del mondo, proponendo a noi tutti
l'esigenza e la possibilità di ricominciare da capo.
4.
È nel proposito di coniugare la libertà collettiva espressa nel Discorso della
Selva (definizione che dobbiamo a Pablo González Casanova) con una prospettiva
di liberazione individuale, che la nostra avventura si fa appassionante.
In
tal modo ci lasciamo alle spalle i fondamenti della vecchia pratica politica:
l'ossessione totalitaria, il concetto di programma come modello astratto e, per
conseguenza, anche quelli complementari di tattica e strategia. Si svuota anche
la nozione di partito e, del pari, i sistemi di pensiero - un tempo si
chiamavano ideologie - mirati a conformare l'esistente secondo direttive
preconfezionate. E cominciamo ad usare il cuore oltre alla testa.
Il
medesimo concetto di "lotta" si va spostando da un antagonismo
negativo necessariamente condizionato dai ritmi della sopravvivenza alla
costruzione quotidiana di una vita nuova - o, per meglio dire, di una nuova
civiltà.
5.
La dinamica tradizionale scinde artificiosamente il momento della
"produzione" del programma, riservato ad intellettuali specialisti da
quello della sua "circolazione", demandato a militanti malinconici e
annoiati. Ed entrambi i momenti sono separati dalla "realizzazione",
proiettata verso un futuro vago ed incerto.
Come
la intendiamo noi, la rete diviene invece il punto di partenza di un nuovo
movimento di autoliberazione umana, il motore di tale processo e il suo esito
ultimo: il regno della pluralità e della libertà, il mondo che contiene molti
mondi. Nella rete il futuro mette radici direttamente nel presente.
Mettendo
in relazione comunità libere che si esprimono attraverso assemblee sovrane rese
ricche da un arcobaleno di scambi e di nomadismi, la rete si colloca così alla
fine della storia costruita sopra la testa degli esseri umani e, al tempo
stesso, al principio della storia coscientemente vissuta. Il tutto, nell'ambito
di un progetto comune, che individua i capisaldi dell'agire individuale e
quelli dell'agire pubblico.
Con
queste armi è forse possibile sfidare il pensiero unico, ricondurre le
decisioni all'unico livello controllabile, quello locale, e da lì lanciare le
nostre reti al mare misterioso delle risonanze e degli echi.
E
rimettere all'ordine del giorno il nobile proposito del vecchio movimento
operaio: l'internazionale sarà il genere umano.
6.
Gli ostacoli a un tale disegno sono qui da noi riassumibili nella quasi totale
polverizzazione delle comunità che dovrebbero essere il sangue di questo corpo
e la conseguente difficoltà per gli individui del nostro tempo di pensare la
propria liberazione in maniera collettiva.
Non
solo. Oggi, i dispositivi di dominio moltiplicano e disseminano all'infinito il
potere centrale, nutrono l'identificazione dei dominati con i dominanti e
incrementano gli assi di conflitto in modo da rendere arduo coglierne il senso
globale.
Rompere
il circolo vizioso non è facile. E nemmeno lo è parlare fuori dagli schemi
preconfezionati, parlare di noi, delle nostre speranze e di come realizzarle
insieme ad altri: il neoliberismo, oltre alle imprese privatizza le nostre
vite.
7.
Se non può certo ambire a sciogliere miracolosamente questi nodi, la rete può
invece fornire l'attrezzatura tecnica, la strumentazione necessaria per mettere
in moto quel rovesciamento di prospettiva che restituisca agli esseri umani la
capacità di resistere e di lottare, di creare nelle infinite situazioni
concrete i molti modi di praticare collettivamente la parola libera e i suoi
oneri.
Lo
possiamo fare legandoci ad altre reti attraverso campagne internazionali di
sostegno a cause comuni come la cittadinanza globale, o il diritto a muoversi
liberamente oltre le frontiere; oppure con azioni di boicottaggio a imprese che
non rispettano i diritti umani, a stati militaristi, ecc..
La
pratica degli Incontri Intercontinentali amplifica questo genere di azioni e
ripercorre, per così dire a ritroso, il cammino che nel disegno originale
dovrebbe portare dalle comunità locali alla rete.
È
lampante che un tale impianto presupponga un certo quid di volontarismo.
L'esperienza
di questi due anni con la creazione sia pur tra mille difficoltà e per il
momento con una forte connotazione minoritaria, di una trama di rapporti e
relazioni che vanno nella direzione sopra delineata, autorizza tuttavia un
minimo di ragionato ottimismo. A partire da ciò possiamo inventare un linguaggio
ed una pratica che - come hanno saputo fare i neozapatisti in Messico -
riunisca i motivi delle rivoluzioni passate con quelli delle rivoluzioni a
venire. I motivi dei popoli oppressi e quelli dei proletari delle metropoli
industriali.
8.
Al tempo stesso crediamo necessario sgombrare il campo da alcune
interpretazioni sfortunate che possono ricondurre in tempi brevi il poco che è
stato fatto fin qui nelle sabbie mobili del vecchio mondo.
La
rete che stiamo costruendo non va considerata come un fronte popolare,
tantomeno come un "in mancanza di meglio" di quest'epoca disgraziata,
segnata dalla morte di tante illusioni. Allo stesso modo, il metodo includente
che tutti difendiamo non può e non deve essere quello in cui tutte le ideologie
sono ammesse, ma quello in cui donne e uomini rimettono in discussione la
propria vita, e in cui perciò nessuna ideologia in quanto sistema di pensiero
chiuso e sclerotizzato ha più senso.
La
rete non è l'organizzazione debole adatta a un'epoca di pensiero debole ma
piuttosto lo strumento libero di un'epoca che deve riscoprire la libertà. La
traduzione nei fatti delle parole contenute nella Prima Dichiarazione de La Realidad: "Non è
necessario conquistare il mondo. Basta rifarlo. Noi, oggi".
9.
Proprio perché è essenziale dare spazio a ogni modalità di autoliberazione
umana, occorre che la rete si collochi al di fuori delle istituzioni e dei
poteri costituiti, destinati per loro stessa natura a imporre interessi
particolari. Possiamo invece pensare a forme di auto-organizzazione difensiva
come il mutualismo o altre esperienze di solidarietà che ci arrivano dagli
albori del movimento operaio.
È
invece vitale che ciascun individuo abbia la possibilità di rimettersi in gioco
indipendentemente da affiliazioni ideologiche.
Solo
così crediamo possibile inventare una prassi veramente includente senza
dimenticare che non è possibile combattere l'alienazione sotto forme alienate.
Nel
corso di questo secolo, la sinistra ha coltivato l'ossessione di sostituire al
capitalismo un sistema (socialista, comunista) altrettanto globale; oggi, se
non è automatico che piccolo è bello, è ormai indiscutibile che grande è mostruoso
e antiumano.
Una
rete che sappia dare contenuto alla necessità di riappropriazione della
politica che si leva da ogni parte del mondo.
Claudio
Albertani, Paolo Ranieri.