Se la politica torna all'agorà di Atene
di BARBARA SPINELLI
"Niente esperimenti!
- Keine Experimente!": così Konrad Adenauer, Cancelliere dopo la
disfatta di Hitler, si rivolse nel '57 ai cittadini tedeschi. Voleva
tranquillarli, toglier loro ogni ghiribizzo - o grillo che dir si
voglia. Nacque una democrazia solida, e tuttavia c'era un che di ottuso e
impolitico nel monito: era rivolto a un popolo vinto, sedotto per anni dalla
più orrenda delle sperimentazioni. Nel fondo dell'animo tedesco, questa paura
dell'esperimento non svanisce.
Oggi non è così, né in Italia né
in Europa: la crisi ha smascherato Stati nazione impotenti, la democrazia è
ovunque in frantumi. Politici e cittadini sono scollegati, con i primi chiusi
nelle loro tane e i secondi che per farsi udire vogliono contare di più. A meno
di non considerarci sconfitti di guerra, oggi è più che mai tempo di
esperimenti, proprio nella sfera della democrazia. È tempo di disabituarci a
schemi cui politici e giornalisti restano, per pigra convenienza, aggrappati.
Manuel Castells, uno dei massimi studiosi dell'informazione, scrive su La Vanguardia del 2 marzo:
"O innovare o perire".
I custodi del vecchio ordine non
vedono il nesso, tra le varie crisi: dell'economia, dell'Europa, del clima,
delle democrazie. Gli sdegni cittadini non dicono loro nulla, anche se il
segnale è chiaro: la democrazia rappresentativa è un Titanic che sta
schiantandosi. Tra governanti e governati c'è un deserto, e in mezzo campeggia
un miraggio di rappresentanza: sono deboli i sindacati, spenti i partiti, e la
stampa più che i lettori serve i potenti. Nel vuoto, però: una cittadinanza che
vuole svegliarsi, sondare altre strade, ricominciare la democrazia.
Oggi l'Italia è a un bivio,
scossa ma non vinta: il nuovo inizio invocato da Castells non genera un
governo, i primi cambiamenti si fanno attendere. Intanto gli abitudinari
gridano all'ingovernabilità. È dagli anni '70 che si esercitano ad averne
paura, a non vedere le crepe che fendono la stabilità cui dicono di anelare.
In Europa abbiamo conosciuto un
caso di ingovernabilità, spettacolare. È il caso dei belgi, che Grillo cita tra
l'altro nel libro scritto con Dario Fo e Roberto Casaleggio (Il grillo canta
sempre al tramonto, Chiarelettere 2013). Accadde in piena crisi del debito
sovrano, dunque vale la pena farsi qualche idea su un evento che sorprese loro
e noi.
Per 541 giorni il paese restò
senza governo, fra il giugno 2010 e il novembre 2011. Ben presto si vide che
non era semplice squasso tra Fiandre e Vallonia: a traballare era l'impianto
stesso della democrazia rappresentativa. L'esperienza belga è istruttiva, per
gli effetti negativi che ebbe ma anche per l'impeto di quelli trasformatori.
Molti luoghi comuni si sfaldarono. Molte parole toccò ripescarle in soffitta:
tra esse la parola riforma, che un tempo significava miglioramento (ma
immediato: se no meglio la rivoluzione). Oggi vuol dire peggioramento. Il paese
resse. L'ingovernabilità - lo stesso potrebbe valere per
l'economia - fu letteralmente crisi: non stasi, ma occasione e
svolta.
Il lato negativo è palese: in
assenza di governo, il re decise che per gli affari correnti sarebbe rimasto il
governo battuto alle urne di Yves Leterme, democristiano. L'ordinaria
amministrazione presto si rivelò poco ordinaria. I poteri del governo
s'estesero, e si parlò delle insidie degli affari correnti. L'amministrazione
ordinaria servì a sventare quel che gli immobilisti considerano da sempre la
mostruosa causa dell'ingovernabilità: il "sovraccarico" delle domande
cittadine. Nei 18 mesi di stasi, il governo facente funzione regnò impassibile,
forte di maggioranze obsolete. Approvò l'austero bilancio del 2011, gestì il
semestre di presidenza europea nel 2010. Partecipò perfino alla guerra libica.
In Italia, sarebbe come
prolungare Monti: un risultato non ottimo, per chi ha vinto alle urne
promettendo di "innovare o perire". Gli Stati-nazione periclitano,
l'Europa ancora non è una Federazione di solidarietà, e lo status quo è salvo.
Il non-governo crea un potere inedito, più libero dal popolo sovrano: assai
simile al pilota automatico che, secondo Draghi, protegge la stabilità dal
"sovraccarico" di domande cittadine.
Ma l'esperienza belga produsse al
contempo novità enormi. Cosciente che in gioco era la democrazia, la
cittadinanza si mosse. Prese a sperimentare soluzioni antiche come l'agorà
greca che delibera, o l'Azione Popolare auspicata da Salvatore Settis, che
risale alle "actiones populares" del diritto romano: i cittadini
possono far valere non un interesse proprio ma della comunità, ed essendo
titolari della sovranità in democrazia, saranno loro a inventare agende
centrate sul bene comune. Non c'è altra via, per battere l'antipolitica vera:
il predominio dei mercati, e un'austerità che senza ridurre i debiti
impoverisce e divide l'Europa.
Lo Stato siamo noi, dice M5S: è
l'idea del movimento scaturito dal non-governo belga. G1000 è il nome che si
diede, e nacque durante l'ingovernabilità su iniziativa di quattro persone (un
esperto di economia sostenibile, un archeologo, un politologo, un'attrice). Il
primo vertice dei 1000 fu convocato l'11 novembre 2011, nell'ex sito
industriale Tour et Taxis a Bruxelles. Il Manifesto fondativo denuncia le
faglie della democrazia rappresentativa e suggerisce rimedi. Non si tratta di
distruggere rappresentanza o deleghe (i Mille estratti a sorte delegarono le
proposte a 32 cittadini - il G32 - come già aveva fatto
l'Islanda per la riscrittura della Costituzione, prima discussa in rete poi
affidata a un comitato di 25 rappresentanti).
Non si tratta neppure di
"togliere lavoro ai partiti", scrive il Manifesto. Quel che deve
finire è lo status quo: la partitocrazia e - in era Internet
- il giornalismo tradizionale: "In tutti i campi l'innovazione è
stimolata, salvo che in democrazia. Le imprese, gli scienziati, gli sportivi,
gli artisti devono innovare, ma quando si tratta di organizzare la società
facciamo ancora appello, nel 2011, all'800".
È uno dei primi esempi europei di
democrazia deliberativa (il Brasile iniziò nei primi anni '90): Azione Popolare
ha già una storia. Deliberare è discutere e poi decidere, e per il Manifesto
del G1000 è più efficace dei referendum: "In un referendum ci si limita a
votare, mentre in democrazia deliberativa bisogna anche parlare, ascoltare".
Prende forma l'idea postmoderna dell'agire comunicativo, immaginato da Habermas
nel 1981. Il fenomeno è continentale, non solo italiano. Avrà il suo peso, si
spera, alle elezioni del Parlamento europeo nel maggio 2014. Sarà scelto dai
cittadini, si spera, il futuro capo della Commissione che siederà nella trojka
dell'austerità.
È difficile sperimentare,
ricominciare. Lo si vede in queste ore: Grillo ha biasimato i parlamentari
5Stelle favorevoli a Grasso, ma la successiva scelta di far decidere i suoi a
maggioranza (e l'apertura a governi non partitici) innova profondamente,
rispetto alla prassi di tutti i partiti di trasmettere a deputati e senatori
l'indicazione su come si deve votare. È quello che Machiavelli consiglia a chi
innova: "Vedere le cose più da presso", considerare "come i
tempi e non gli uomini causano il disordine" (Discorsi, I-47). Anche la
democrazia rappresentativa fu difficile, anche proporre nell'800 il suffragio
universale. L'unica cosa impraticabile è dire no agli esperimenti, comportandosi
come Adenauer da sconfitti. I veri esperimenti, quelli che usano le persone
come mezzi e le Costituzioni come stracci, avvengono in Grecia, immiserita
dall'austerità. O a Cipro, dove stabilità vuol dire defraudare i conti bancari
dei cittadini, ricchi e no.
Che altro fare, se non
sperimentare quel che la cittadinanza attiva chiede si provi. Continuare a
considerare un "sovraccarico" le sue domande: questa è
ingovernabilità. Se il nuovo Papa torna alle origini, chiamandosi Francesco,
forse anche per la politica è ora di non confondere gli ultimi coi vinti. Di
tornare all'agorà di Atene, all'Azione Popolare di Roma antica.
(20 marzo 2013) © Riproduzione riservata
Commento di Sergio Ghirardi:
Se
persino Barbara Spinelli abbandona la sua cronica diffidenza nei confronti
della democrazia reale vuol dire che il parlamentarismo è davvero agli
sgoccioli. Buon segno, anche se il rischio di un ritorno indietro è sempre
possibile: dal totalitarismo soft della democrazia spettacolare a qualche
totalitarismo arcaico più muscoloso per riportare gli spettatori-consumatori
all'ovile con il telecomando e la scheda elettorale in mano.
Ben
prima di Habermas, da Pannekoek a Rosa Luxembourg ai situazionisti, et j'en
passe, l'ipotesi di un'autogestione generalizzata della vita quotidiana non ha
aspettato la crisi sistemica del capitalismo per proporre un'alternativa umana,
radicale, godibile e civile. Ora siamo dappertutto a Rodi (appunto in Grecia,
mi pare, ma oggi) e qui si salta, mentre il vecchio mondo annaspa tra osceni spot
pubblicitari vaticani e tardive concessioni degli intellettuali in ritardo
sulla storia.