mercoledì 4 aprile 2012

Conflitto fra classi o fra generazioni?







 
Intervistando il direttore del Corriere della sera, Ferruccio de Bortoli, Fabio Fazio, uno dei giornalisti più genuflessi che conti la (finanziata dai cittadini mediante canone) Rai-Tv, gli ha chiesto mellifluamente: “Quindi lei è d’accordo che oggi lo scontro sia tra generazioni e non tra classi?”. Ovviamente De Bortoli è d’accordo.
Bisogna chiedersi anzitutto perché questi giornalisti dediti quotidianamente alla mistificazione e alla diseducazione delle masse abbrutite dai media, mettano tanto impegno nel negare l’esistenza di nozioni tanto elementari come quelle di classe sociale e di lotta di classe.
In realtà la lotta di classe è oggi più viva che mai. Solo che la fanno solo o prevalentemente  i padroni. Per dirla con Luciano Gallino (La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza, 2012, p. 12) : “La caratteristica della lotta di classe della nostra epoca è questa: la classe di quelli che da diversi punti di vista sono da considerare i vincitori – termine molto apprezzato per chi ritiene che l’umanità debba inevitabilmente dividersi in vincitori e perdenti – sta conducendo una tenace lotta di classe contro la classe dei perdenti”.
Di questa nuova superborghesia transnazionale fanno parte, dice Gallino, proprietari di grandi patrimoni, top manager, politici di primo piano, grandi proprietari terrieri. Lascio a voi decidere se i giornalisti di lusso ne facciano anch’essi parti o rientrino, sia pure con trattamento privilegiato, nell’ampia ed articolata categoria dei servi della stessa.
Lo stesso Gallino mette in rilievo una delle radici di questa perdurante attualità della lotta di classe che dimostra in modo puntuale la fallacia del discorso del “conflitto fra generazioni”, laddove afferma che  “far parte di una classe sociale significa appartenere, volenti o nolenti, ad una comunità di destino, e subire tutte le conseguenze di tale appartenenza” (p. 4).
A che serve quindi il discorso mistificatorio sul “conflitto fra generazioni” se non a frammentare l’unità di classe mettendo i padri e le madri contro i figli e le figlie? Far credere ad esempio, che sia la “rigidità” del posto di lavoro determinata dall’esistenza di garanzie come l’art. 18 a causare la disoccupazione giovanile, o la spesa pubblica indotta dall’ostinazione dei pensionati a restare in vita a provocare la crisi fiscale. Ignobili bugie propagandistiche.
Vero è, tuttavia, che sono i giovani, anche quelli delle classe medie, a pagare un prezzo alto, perché il sistema non è in grado di offrire oggi e in futuro alcuno sviluppo ed alcuna crescita, al di là delle vacue e contraddittorie chiacchiere dei vari Monti e Passera. Ma la soluzione di questi problemi non si trova scatenando la guerra fra generazioni ma rilanciando la lotta di classe per affossare il sistema presente. Su questo giovani e meno giovani hanno un interesse in comune. Un interesse di classe.

Commento di Sergio Ghirardi:

L'articolo tocca un tema teorico che io considero da tempo di eccezionale importanza ma lontano dall'essere stato affrontato e digerito dall'avvizzita coscienza di classe contemporanea.
Il tema delle classi e della società divisa in classi risale notoriamente a Marx ma è lontano dall'essere un dato chiarito. (Vedi anche Storia e coscienza di classe di Lukacs)
Nel terzo volume del Capitale il capitolo sulle classi che avrebbe dovuto definire il tema esaustivamente non è mai stato scritto oltre una prima pagina introduttiva bruscamente interrotta.
Nei Grundrisse (opera fondamentale dell'autore del Capitale pubblicata per la prima volta in tedesco solo nel 1952! e tradotta in italiano e in francese addirittura solo alla fine degli anni 60! da emeriti marxisti bordighisti) Marx precisa il suo pensiero sullo sviluppo della società umana dalle sue forme primitive fino al capitalismo.
Quest'ultima fase "moderna" della società di classe vede il confronto tra la classe borghese detentrice dei mezzi di produzione e il proletariato costretto a vendere la sua forza-lavoro. Il marxismo-leninismo ha invece mescolato ideologicamente questa radicale visione critica dell'economia politica in cui è centrale il concetto di classe con un uso sociologico del termine (classe operaia, classe contadina, classi medie ecc.) utile a confondere anziché a chiarire.
Marx vedeva in fieri una progressiva proletarizzazione della classe dominante borghese. (Vedi in particolare il VI capitolo inedito del capitale, Nuova Italia 1973).
Partendo da questo quadro ovviamente qui ipersintetizzato, alcune evidenze dell'articolo diventano dubbie.
La lotta di classe esiste sempre ma il rapporto tra le classi è strutturalmente cambiato a causa di un'autonomizzazione del dominio economico sull'uomo.
I dominanti gestiscono il dominio, certo, sono privilegiati e sfruttano gli esseri umani fino all'osso finanziario dell'economia, ma non sono più una classe dominante nel senso storico. Sono una serie frastagliata di caste (alcune sono ormai famose per il loro attivismo da servitori volontari: politici giornalisti...) senza autonomia soggettiva. Più che di una super borghesia si dovrebbe parlare di lumpenborghesia la cui corruzione dice tutto sulla sua miseria umana.
La forma attuale della lotta di classe sembra ridotta al confronto spettacolare tra una lumpenborghesia e un lumpenproletariato entrambi assoggettati al Capitale.
Gli antichi signori non erano corrotti appunto perché si consideravano signori. Erano mostri umani, predatori autoritari ma non relitti di una corruzione corrosiva di tutti i tessuti sociali.
I corrotti sono dei servi furbi e sciocchi nello stesso tempo, arricchiti e miserabili.
Oggi il capitalismo è gestito da questa tipologia umana che distrugge il pianeta per i propri interessi come una mafia qualunque. Se anche alcuni diventano miliardari restano dei miserabili e dei truffatori che mentono come respirano persino a se stessi, altro che statisti politici e tombeurs de femmes!
Assumere la rottura con lo schema classico della lotta di classe non significa tuttavia affermare la fine del conflitto essenziale di una società divisa in classi. Significa coglierlo nella sua realtà attuale. (Vedi anche L'uomo a una dimensione, Marcuse)
Sfruttati e sfruttatori esistono più che mai, ma i loro rapporti non sono determinati dall'età se non per un’arcaica gerarchia gerontologica del potere. Oltre le età, gli uomini, le donne e i bambini sono divisi pur sempre dal potere di gestione dei mezzi di produzione ipertecnologizzati e mediatizzati dal totalitarismo economicista.
I potenti di oggi sono dei burocrati asserviti all'industrializzazione della vita sociale, una vita artificiale che inquina ormai tutto il vivente nella sua essenza.
La società dello spettacolo è la sintesi di una società di classe instauratasi oltre il conflitto di classe (vedi Baumann, sul superamento capitalistico della lotta di classe) ma mi rendo conto che una tale affermazione richiede un approfondimento al quale ho modestamente cercato di contribuire con queste riflessioni accompagnate da una bibliografia minima che viene da lontano.
Se son rose pungeranno.