La cultura costa
Quindi, se i calcoli sono giusti, 359 mila euro per
lauree e diplomi di Renzo Bossi, di Rosi Mauro e del suo fidanzato Piermosca. Ce
n’é abbastanza perché il Cepu si costituisca parte civile contro la Lega per
concorrenza sleale.
Ma ce n’è anche perché la storia di “The Family”, e
quella dei leader celoduristi in lotta contro Roma ladrona (e soprattutto
contro la grammatica) diventino un piccolo apologo esemplare.
In mezzo a tanti dettagli grotteschi, infatti, emergono
particolari surreali: Manuela Marrone, demiurga della scuola
leghista Bosina, che dorme circondata di libri. Per preparare le sue lezioni?
No, per impratichirsi di magia e di cartomanzia. E che dire del leader
padano commosso mentre gli raccontano i mirabolanti (e falsi) successi
educativi del Trota nelle università del Nord Europa? E cosa pensare del tenero
Renzo, quello che secondo il padre aveva dato tre volte la maturità per colpa
dei presidenti di commissione “terroni”, costretto a vergognarsi perché non sa
cosa rispondere alla domanda che nessun adolescente italiano potrebbe temere:
“Dove ti sei diplomato?”.
Nel tempo dell’Italia supercafona, dei tesoretti e delle
tangenti, gli analfabeti di (in) successo e i loro tentativi grotteschi di
taroccare “il pezzo di carta” a pagamento, fanno pena. Ma ci regalano anche una
piccola soddisfazione: la Porsche e la Smart si possono comprare. Il diploma e la
cultura no.
Commento di Sergio Ghirardi:
Ai tempi del trionfo mercantile dell'industria
subculturale (vedi Adorno, Dialettica dell'illuminismo) appena la subkultura
razzista sente la parola cultura invece di tirar fuori la pistola si compra dei
diplomi.
Quale esempio più lampante dell'ignoranza diplomata
(tanto godibilmente irrisa dai situazionisti in tempi di spettacoli meno beceri
ma non meno miserabili) che la smania della sacra famiglia Bossi di inventarsi
non una cultura ma dei riconoscimenti culturali spendibili nello spettacolo.
Gli sghei, el dané, il malloppo, la tune, the money, ecco
la cultura padana campanilistica in tutto il suo irraggiamento oltre le sacre
frontiere bagnate dall'acqua inquinatissima del Po.
Dall'autentico ingegner Castelli a vari dottor Bossi virtuali,
passando per il famoso dottore in economia Tremonti è lo stesso sciroppo
ideologico che è venduto agli indiani sradicati e bigotti chiusi nelle riserve
produttivistiche affinché si spruzzino con
il fetido deodorante di dialoghi e dibattiti politici di verde vestiti.
Che le lauree siano vere, false o presunte è la stessa
cultura dell'ignoranza e dell'insensibilità che descrive i problemi sociali non
per risolverli ma per renderli redditizi con la tattica del capro espiatorio.
La lega, chi l'ha inventata, chi la vota e chi la critica
inserendola nella storia delle dottrine politiche anziché denunciarla come un
mostro scaturito dal sonno della ragione e soprattutto della sensibilità, è un
prodotto dell'osceno matrimonio mafioso all''italiana tra Stato e mercato nella
decadenza del capitalismo planetario.
Non è credibile il giornalista, il sociologo, l'analista
politico o qualunque guitto che - per garantirsi nel suo ruolo mercenario di
commentatore privilegiato ma umanamente straccione - prenda sul serio i
discorsi di questi drogati di normalità, di queste folcloristiche scorie di un
oscurantismo italico che unisce i resti romani dell'antico regno pontificio con
il colonialismo austroungarico dei mitologici padani da fiera della porchetta.
Un minimo di sensibilità psicanalitica dovrebbe far
riflettere sul Bossi giovanile che si inventa una laurea in medicina mentendo
persino alle persone più intime e sui suoi pragmatici discendenti e compari che
si comprano lauree, aprono scuole gelminiane per lo sviluppo della cartomanzia
e cercano disperatamente di comprarsi un'immagine sociale che copra l'angoscioso
segreto di sapersi dei falliti dal punto di vista umano.
Qualcuno che può concepire di fingere la già in sé risibile
riuscita di una laurea (come se non esistessero tonnellate di laureati idioti e
beceri) è marchiato a fuoco dalla sindrome di una mitomania miserabile.
Il vero problema, però, è che se la psicopatologia
nazista non ha avuto difficoltà a riunire folle oceaniche dietro al mito di un
impotente coi baffi, sembra che neppure il ridicolo del cortigiano nudo che
abdica scimiottando ubu re, faccia fuori la sacralità tragicomica di un
semianalfabeta e della sua corte di discepoli.
Il grave per l'Italia che sprofonda - ma il problema è
internazionale - non è che un certo numero di individui cominci a formulare
chiaramente l'ipotesi di una rivolta sociale di fronte alla decomposizione
dello Stato e del potere che esso rappresenta, ma che ci siano ancora un numero
inconcepibile di schiavi beoti pronti a inneggiare ai simboli putrescenti di
una psicologia di massa del fascismo che va ben al di là di tutte le ideologie politiche
di una democrazia spettacolare che nessuno osa cogliere nella sua essenza
totalitaria di OCLOCRAZIA.
Il più grave ancora, però, è il rischio concreto che
questa psicologia di massa del fascismo possa finire per tradursi in un nuovo
fascismo politico totalitario che - come ultima ratio del potere in crisi - si
proponga ai mazziati come una delirante vendetta assortita dal ritorno vichiano
di tragedie dèjà-vu tra olio di ricino e difesa della razza.