mercoledì 25 aprile 2012

Douce France, Italia ed ex voto


Persino il povero marito di Simone De Beauvoir lo diceva: "elections piége à cons", che tradotto vuol dire più o meno: elezioni trappola per coglioni.
Subito i giornalai con microfono di tutte le televisioni e i politici di ogni parrocchia, svolazzando come avvoltoi tra gli innumerevoli talk show dello "Speciale elezioni presidenziali", sono partiti ieri sera, nella sempre meno douce France, con una prima menzogna spettacolare, magnificando l'alta partecipazione al voto.
Da due settimane sparavano il loro timore che le schede bianche potessero arrivare oltre il 30%. Così, quando si sono fermate a 19% si è messo in scena un plebiscito in favore della democrazia spettacolare. In realtà non c'è stato, rispetto alle altre elezioni presidenziali della quinta repubblica.
Dal '65 in poi, solo due volte i francesi hanno votato meno di ieri al primo turno: nel 2002, anno di un primo inatteso affronto dell'orco Le Pen alla democrazia spettacolare, e nel 1969, cioè subito dopo la prima rivolta contro il consumismo e il primo sciopero generale contro il capitalismo produttivista nel favoleggiato maggio '68 e dintorni.
La volta scorsa (2007) l'astensione fu di circa 16% contro il 19 % abbondante di ieri. Senza contare l'alto numero di non iscritti che non sono neppure conteggiati, i francesi che hanno ieri rifiutato il voto di scambio (io, cittadino sovrano voto e poi tu eletto fai quel che ti pare per cinque anni, questa è la cosiddetta democrazia rappresentativa) sono circa nove milioni.
Ora sbranatevi pure ideologicamente, in Francia o in Italia, per decidere chi sono i bravi (nel senso del Manzoni) e i cattivi (nel senso dei milanisti per gli interisti e viceversa).
Intanto il nodo storico della democrazia reale, diretta e autogestita, si stringe come un cappio intorno agli esili resti di una democrazia parlamentare corrotta al servizio dell'economia politica impazzita.
La Francia vive questa contraddizione all'interno della sua storia specifica. A differenza dell'Italia, i francesi e i parigini in particolare, hanno spesso saputo rivoltarsi. Sono intervenuti per cambiare i dati concreti del loro vissuto: 1789, 1871, 1968.
Laddove la Germania ha portato il pensiero moderno (la sinistra hegeliana, per una volta che il termine sinistra non si decompone in una sinistra ideologia recuperatrice), la Francia ha incarnato l'azione politica moderna.
Il proletariato si è mostrato capace di combattere i suoi persecutori e proporre un cambio di civiltà che oggi è la sola alternativa al lento scivolare dentro la barbarie. Quante sconfitte vittoriose prima di cominciare a capire che si tratta di rifiutare tanto il ruolo di guerrieri che di martiri.
Non basterà comunque continuare a definirla democratica perché la barbarie non completi la catastrofe che avanza.
Nel contesto attuale, il voto è una rappresentazione di sovranità di un popolo che non decide nulla di concreto sulla sua vita reale. Quando, come nel 2005 un referendum permette eccezionalmente e per errore (credevano a torto che l'Europa passasse come una lettera alla posta) una scelta chiara, il popolo francese si alza a dire no mentre i suoi politici democraticamente eletti, bien sur, decidono per lui che aveva detto sì.
Certo in Italia basta il sì del papa di turno, che si chiami Prodi, Berlusconi o Monti. Gli italiani non si sono mai rivoltati come popolo e persino la resistenza è stata un fenomeno molto minoritario, e proprio per questo ancor più rispettabile.
Gli sniffatori dell’aria fritta altrui sono sempre pronti a saltare dalla padella nella brace, diffidando, prima, come paranoici, di chiunque denunci il discorso del potere, ma praticando, poi, lo sport in cui gli italiani sono sempre stati olimpionici: saltare eroicamente sul carro del vincitore di turno. Come spiegare altrimenti i vari cicli, un ventennio dopo l’altro, che costellano vergognosamente la storia contemporanea d'Italia?
La Francia non è un paradiso e l'esigenza capitalistica di impoverimento generalizzato è all'opera anche qui. Solo che il livello di conquiste sociali da azzerare è incommensurabilmente più alto di quello italiano. Cinque anni di Sarkozy hanno già fatto un buon lavoro di demolizione, ma grazie alla famosa crisi (cioè il normale funzionamento di uno sfruttamento capitalistico ormai parossistico) chiunque lo sostituisca in un'ottica capitalistica di destra o di sinistra, sarà "obbligato” a fare ancora meglio. Grecia docet.
Fuori dallo spettacolo elettorale, però, un vasto cantiere di intelligenze e di concrete disponibilità alla sperimentazione è all'opera: critica della società produttivistica, creazione di monete locali non capitalizzabili, dotazione di una remunerazione a vita per tutti, limite massimo di salario, ritorno dell'ipotesi secessionista anti statale della Comune, obiezione di gruppo all'ideologia della crescita, movimenti di occupazione che riprendono il movimento delle occupazioni del 1968, quando l'ipotesi delicatamente rivoluzionaria dell'autogestione generalizzata della vita quotidiana è stata scandalosamente e poeticamente formulata.
Tutti gli asini da soma che chiedono di aumentare i ritmi e vedono nel lavoro, nel lavoro, nel lavoro la soluzione, sono accecati dalla propaganda, ma dopo l'orgia di sacralizzazione dello sfruttamento e dell’alienazione del trentennio neoliberale (lavorare di più per guadagnare di più), "Ne travaillez jamais!" è tornato come un refrain condiviso a far sorridere tutti quelli che non hanno mai smesso di prendere i loro desideri per la realtà.
Aria fritta, aria fritta, urla chi rincorre la carota, ma fuori dalla padella e senza la brace dell'alienazione, un mondo nuovo è possibile e non solo in Francia, persino in Italia.
In Francia come in Italia, o si cambia sistema o in tempi assai brevi una qualche forma di fascismo (un francese su cinque è culturalmente fascista, cioé un po' meno che in Italia) arriverà come una tempesta prevedibile dopo l'ineluttabile fallimento di sinistre domestiche adette a servire il capitale finanziario.
Il capitalismo etico è una frottola, come le elezioni, in una società in cui una maggioranza addomesticata e addormentata dai media è comunque succube del volere dei suoi padroni.
Intanto, l’altroieri, Marine Le Pen, che senza dubbio è fascista ma pure opportunista, ha concluso il suo odioso trionfo scimiottando il ‘68 con la famosa chiusa: “Ce n'est qu'un début, continuons le combat”. Roba da incubo. Meno male che è solo uno spettacolo!

Sergio Ghirardi