sabato 15 gennaio 2011

L’URGENZA DI SOGNARE IN TUNISIA…






Siamo soli e isolati, nella collera e nell’inquietudine. Facciamo fronte a un regime che si sbaglia di secolo e di paese.

Questa rivolta dei tunisini non può essere rivendicata da nessun partito politico, da nessuna organizzazione o associazione e nessun esponente dell’opposizione o di partito può pretendere di esserne l’iniziatore.

Questa rivolta viene dal popolo e gli appartiene. Questo popolo che certuni pensavano senza autonomia dà una lezione alla sua classe politica e al mondo.

I manipolatori ideologici non prenderanno il seguito di una collera spontanea e popolare.

Tocca all’elite del nostro paese rispondere all’appello e immaginare l’avvenire. Noi dobbiamo costruire i nostri modelli politici, economici, sociali e culturali. Dobbiamo mostrare al mondo che cosa sia una democrazia araba.

E’ urgente sognare una Tunisia portatrice di speranza per tutti.

Per questo ci sono due condizioni insuperabili. Dobbiamo riappropriarci del nostro diritto alla parola al quale non avremmo mai dovuto rinunciare. Un diritto necessario perché le idee circolino, le intelligenze si esprimano e si coniughino per inventare il nostro comune divenire.

L’altra condizione sine qua non è la contrattualizzazione del rapporto tra i tunisini e le loro elites politiche che devono essere al nostro servizio e non il contrario.

Perché i sacrifici non siano vani è urgente sognare la Tunisia di domani.

Sogniamo.

Fares Mabrouk

Sogniamo dovunque

Se ho tradotto questo articolo di Fares Mabrouk è perché l’esigenza di un mondo nuovo sembra timidamente emergere dovunque l’insopportabilità della situazione presente superi i livelli di guardia.

Pur cambiando i contesti e le forme spettacolari dell’alienazione subita, dovunque quell’uomo che nasce libero si ritrova sempre in catene, e per di più convinto di essere libero.

Sappiamo tutti ormai che le catene moderne non sempre sono visibili. Il savoir faire del dominio le confeziona perché siano consumate in nome di soddisfazioni fittizie e aleatorie al prezzo di enormi frustrazioni dell’essenziale. Da qualche tempo i vecchi soprusi e uno sfruttamento da Ancien Régime sono però tornati a fare capolino sempre più spesso nella fase terminale di un modo di produzione che ha ormai divorziato dagli inventori umani che ha sottomesso. Nel divorzio tra umanità e capitale sta la magia della crisi della struttura economica, peraltro drammatica per chi la subisce passivamente. Nell’uomo abbandonato nel deserto emozionale e sociale di un’imprevista povertà dell’essere (prima ridotto in avere e poi addirittura in apparire), si rompe l’ipnosi per la quale lo schiavo che si crede libero soffre della schiavitù peggiore perché diventa incapace di denunciarla.

Oggi, finalmente, sembra che il condizionamento cominci a fissurarsi e le coscienze a riemergere. Niente è garantito, sia chiaro, poiché le derive ideologiche di esseri umani psicolabili permettono sempre di complicarsi la vita scegliendo il peggio, consegnandosi a liberatori interessati e narcisisti che restaurano con la destra quel che hanno abolito con la sinistra.

C’è bisogno di ancora uno sforzo per diventare rivoluzionari e umani al contempo.

Le prime prove informali di un progetto planetario di democrazia diretta si abbozzano senza che i soggetti in azione ne siano necessariamente coscienti.

In mancanza di latte le prime vacche salariate cominciano a rifiutare la mungitura: in Grecia ci si rifiuta sistematicamente di pagare ai caselli delle autostrade. Si passa alzando la barriera e decretando la gratuità. In Algeria non si accettano più gli aumenti dei generi di prima necessità e si comincia a rifornirsi gratuitamente con una redistribuzione selvaggia che non riconosce più la società dominante. In Tunisia il regime di Alì e i quaranta ladroni sembra avere le ore contate e si spara alla Bava Beccaris sul popolo in rivolta.

In tutti i continenti si accumulano ragioni per dire ora basta; anche nei grandi paesi industrializzati, chi prima e chi dopo in balia della crisi del sistema!

“Papà è lontana l’Italia? Zitto e nuota”.

La corruzione generalizzata delle democrazie spettacolari scadute qui e là in despotismi e dittature degne di un passato che non passa mai completamente e ogni tanto ritorna, incita a una diffidenza della delega che potrebbe spingere a non considerare più accettabile la scelta di delegare il potere senza una garanzia formale e concreta di reversibilità immediata e costante.

Niente è garantito e probabilmente siamo ancora alle prime jacqueries recuperabili di una rivolta planetaria contro il totalitarismo mercantile che sta avvelenando irreversibilmente la vita e la natura. Sono pazzi. Pazzi di profitto col nucleare, con i rifiuti tossici o con gli organi espiantati. Fin dove possono arrivare?

Oseranno davvero fabbricare inutili SUV dal motore americano assemblati a Mirafiori e rispediti in parte in america quando il pianeta muore d’inquinamento? Ma la sanno la storia dei due camion di pomodori, uno con la produzione olandese che andava a vendere in Spagna e uno con la produzione spagnola che andava a vendere in Olanda? Si sono scontrati nel cuore della Francia. Ecco la razionalità profonda della loro economia da schiavisti.

La loro incoerenza mostruosa dovrà diventare la nostra forza. Il produttivismo fa morire d’indigestione chi mangia troppo e di fame coloro a cui impone una dieta anoressica. Produce troppo e male e distrugge la terra mentre distribuisce ingiustamente poco o nulla pensando solo al profitto. Solo i frustrati del re denaro nel girone infernale della finanza creativa sono in costante fibrillazione nelle Versailles mediatiche dove si celebra la nobiltà del business. Mentre perdono nevroticamente la vita a non guadagnarsela possono ancora sostenere il sistema in cui cercano nelle cose la compensazione di una vita fallita. Lo so sono molti, ma sempre meno. Come il lavoro, che aumenta il numero dei disoccupati ma è sempre troppo in paragone col tempo libero e creativo di cui abbiamo voglia.

Sogniamo, dunque, una natura in cui domini la gratuità: dell’energia, del benessere e dell’intelligenza sensibile che si dedica alla felicità costantemente reinventata. Sogniamo che più nessuno decida per gli altri e che le democrazie dirette locali si organizzino per realizzare una democrazia planetaria che si sostituisca all’ONU di nazioni tornate a essere crogiolo di culture diverse, mentre oggi non sono altro che Stati capitalistici in competizione, incapaci di organizzare la felicità degli esseri umani ridotti in poltiglia da scambio nel mercato globale.

Una rivoluzione copernicana del senso della vita ristabilirà il giusto rapporto tra il soggetto umano e l’oggetto prodotto, rapporto oggi rovesciato dal feticismo della merce che domina il mondo.

Sciogliendosi nei consigli collettivi di autogestione della vita quotidiana, le “elites”smetteranno di essere espressione di privilegio per diventare il tessuto di una società egualitaria e differente al più alto grado di creatività.

Sogniamo. Ce n’est qu’un debut…

Sergio Ghirardi